La rinegoziazione delle condizioni contrattuali (art. 120 codice dei contratti pubblici)
Relazione tenuta al convegno organizzato il 10 maggio 2024 dall’Università Sapienza di Roma dal titolo <<Il principio di conservazione dell'equilibrio contrattuale>> ed inserita negli atti del convegno in corso di pubblicazione.
1.PREMESSA
L’argomento oggetto del presente contributo -che ha come referenti normativi l’art. 9 e l’art. 120, ma anche l’art. 60, del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36 - fino all’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici non sarebbe stato trattato col titolo della “rinegoziazione delle condizioni contrattuali”.
Sebbene infatti il tema delle sopravvenienze in corso di esecuzione riguardi i contratti ad esecuzione continuata o periodica e sebbene il contratto di appalto si ascriva a tale tipologia contrattuale, il contratto di appalto di lavori, servizi e forniture stipulato dalla pubblica amministrazione è connotato da tendenziale non modificabilità, qualificata anche come “stabilità rinforzata”.
Di qui la portata “eccezionale” – nel senso proprio di eccezioni alla regola – degli istituti destinati a regolare gli eventi non previsti o non prevedibili che alterano il rapporto sinallagmatico delle prestazioni ovvero che richiedono modifiche tali delle prestazioni originarie da comportare la necessità di ripristinare l’equilibrio contrattuale.
Per il vero, entrambe queste esigenze, al fine di fare prevalere il rimedio conservativo del contratto piuttosto che quello ablativo –considerato, a sua volta, la regola secondo la disciplina dell’art. 1467 cod. civ. in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta – sono prese in considerazione dal codice civile già per il contratto di appalto “di diritto privato”, sia dagli artt. 1660-1661 che dall’art. 1664 cc., prevedendosi un’equa indennità o l’adeguamento o la revisione del prezzo in favore dell’appaltatore per la prosecuzione dell’appalto, con norme ritenute appunto eccezionali rispetto alla regola generale dell’art. 1467 cod. civ.
La scelta del rimedio manutentivo, rispetto alla risoluzione, si giustifica con la particolare natura degli interessi coinvolti, ovvero quello del committente a non ricercare un nuovo appaltatore e quello dell’appaltatore alla conservazione dell’investimento già effettuato con l’inizio dei lavori, trattandosi di prestazione di regola impostata per soddisfare le esigenze di un committente determinato.
Nella contrattualistica pubblica detti interessi sono rimasti sullo sfondo, e le eccezioni alla regola dell’intangibilità del contratto sono state costruite dal legislatore e interpretate dalla giurisprudenza, tradizionalmente, come limiti dello ius variandi del committente pubblico, in funzione sia di oggettivizzazione del relativo potere sia di contenimento della spesa pubblica e, dopo le ultime direttive europee, (anche) in funzione di tutela della concorrenza per impedire un’alterazione delle condizioni contrattuali in fase esecutiva, tale da mascherare forme di affidamento diretto o comunque di elusione dei vincoli dell’evidenza pubblica che condizionano la scelta dell’aggiudicatario.
2.PRECEDENTI NORMATIVI E INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE
Un breve cenno agli antecedenti normativi degli artt. 60 e 120 del d.lgs. n. 36 del 2023 consente di cogliere la matrice composita delle due norme, in specie della seconda, e quindi di meglio collocare nell’impianto normativo del nuovo Codice dei contratti pubblici la novità costituita dall’ottavo comma dell’art. 120 e dal suo rapporto col principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale dell’art. 9 e con la disciplina della revisione prezzi dell’art. 60.
Gli istituti tradizionali corrispondenti, risalenti alla legge sui lavori pubblici n. 2248 del 1865 (All. F) e, poi, al r.d. n.2440 del 1923, sono quelli delle varianti in corso d’opera e dell’adeguamento dei prezzi dei materiali di costruzione.
Si deve infatti agli artt. 342, 343 e 344 della prima legge la disciplina delle “variazioni o aggiunte” in corso di esecuzione di un contratto di appalto di lavori (estesa dall’art. 11 del r.d. del 1923 alle opere e alle forniture) non previste dal contratto e che dessero luogo ad alterazione di prezzo. Vi si prevedeva il c.d. quinto d’obbligo (presente in tutte le successive normative fino al codice attuale), espressione del contemperamento tra le esigenze dell’amministrazione di adeguare il progetto alla situazione sopravvenuta, in corrispondenza a ragioni di pubblico interesse, mantenendo il contratto, e quelle dell’appaltatore di poterne valutare la convenienza al fine di sottrarsi al vincolo contrattuale, senza compromettere tali ragioni.
Nella Nuova legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 (c.d. Legge Merloni) le variazioni al progetto e l’onerosità sopravvenuta nell’esecuzione del contratto di appalto con la p.a. vengono disciplinate come deroghe alle regole dettate dal codice civile.
La disciplina “eccezionale”, in deroga a quella prevista per gli appalti privati, rinviene la sua ratio principale nell’interesse pubblico a preservare la committenza dagli incrementi dei costi delle opere pubbliche, ma anche a manutenere il contratto, evitando il rimedio risolutorio, perciò previsto come azionabile dall’appaltatore in termini più stringenti rispetto all’appalto privato.
Si vuole con ciò significare che - con la legge Merloni e, poi, anche con il codice di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 - la fase esecutiva degli appalti pubblici è ancora fortemente condizionata dalla prospettiva dualistica, nella quale si colloca il rapporto paritario tra le parti derogato eccezionalmente per assicurare condizioni di favore per la committenza pubblica a tutela dell’interesse al completamento dell’opera ed alla salvaguardia della spesa pubblica, con la previsione di misure di contemperamento rispetto alla posizione della controparte privata.
A) In detta prospettiva si spiegano, in primo luogo, le deroghe all’art. 1664, comma 1, cod. civ. sulla revisione del prezzo dell’appalto[1].
Negli appalti di lavori, l’art. 26 comma 3 della legge Merloni - superando una precedente disciplina più favorevole all’appaltatore - ne vieta l’applicazione, introducendo nel comma 4 un diverso sistema pur sempre incentrato sul c.d. prezzo chiuso, analogo a quello del codice civile, ma col temperamento realizzato mediante il collegamento al tasso di inflazione reale[2] e - a seguito di modifiche effettuate con leggi successive – mediante una sorta di “compensazione” dell’aumento dei costi dei materiali da costruzione (non anche della manodopera), quando superiore al 10%.
Le disposizioni sono riprodotte, per gli appalti di lavori, nell’art. 133 del d.lgs. n. 163 del 2006[3].
Per gli appalti di forniture e servizi, l’art. 115 dello stesso d.lgs. del 2006[4] disciplina invece una vera e propria “revisione dei prezzi”, imponendo l’obbligo di prevedere in tutti i contratti una clausola di revisione periodica dei prezzi, da operarsi a seguito di istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi.
Pur essendo sia la compensazione dell’aumento dei prezzi dei materiali da costruzione sia, a maggior ragione, la revisione periodica dei prezzi due strumenti di “riequilibro contrattuale”, tuttavia, nella giurisprudenza amministrativa, si è evitato di qualificare l’una o l’altra come forme di rinegoziazione delle condizioni contrattuali, prendendone anzi le distanze sotto il seguente duplice profilo:
- per un verso, si è affermato che la principale finalità di “compensazione” e “revisione” fosse quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non fossero esposte col tempo – a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta – al rischio di una diminuzione qualitativa e solo in via mediata l’istituto della revisione dei prezzi è stato ritenuto posto a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto[5];
- per altro verso, in correlazione a quanto appena detto, si è affermato che il meccanismo revisionale opera sulla base di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, che è espressione di un potere autoritativo di carattere tecnico-discrezionale; quindi le clausole revisionali, diversamente dall’istituto della rinegoziazione, non attribuirebbero un diritto alla revisione dei prezzi, bensì, secondo la giurisprudenza consolidata, darebbero luogo a un interesse legittimo all’apertura di un procedimento tecnico discrezionale da parte della stazione appaltante che è tenuta a valutare la sussistenza dei presupposti di legge per il suo riconoscimento[6].
B) Ancora più estranee alla logica del riequilibro contrattuale sono gli antecedenti normativi riguardanti le c.d. varianti in corso d’opera.
Si tratta pur sempre di deroghe alla disciplina dell’appalto di diritto privato, in particolare agli artt. 1659 (variazioni concordate del progetto), 1660 (variazioni necessarie del progetto), 1661 (variazioni ordinate dal committente) e 1664, comma 2 (difficoltà dell’esecuzione) del codice civile.
Così, in ossequio al principio di non modificabilità del progetto, l’art. 26 della legge Merloni consente le varianti in corso d’opera soltanto in ipotesi tassativamente e puntualmente individuate alle lettere da a) a d), quest’ultima concernente il c.d. errore progettuale, al quale si collega la responsabilità dei titolari degli incarichi di progettazione di cui al secondo comma (riprodotta nei codici del 2006 e del 2016, non anche nel nuovo Codice dei contratti pubblici del 2023). Particolarmente significativo è il terzo comma dell’art. 26 della legge n. 109 del 1994[7].
L’art. 132 del d.lgs. n. 163 del 2006 riproduce, per gli appalti di lavori, l’art. 26 della legge Merloni[8].
Per i contratti relativi a servizi e forniture l’art. 114 del d.lgs. n. 163 del 2006 fa rinvio, “nel rispetto dell’art. 132, in quanto compatibile”, al regolamento di cui al d.P.R. n. 207 del 2010[9].
La disciplina delle modifiche contrattuali contenuta nel codice del 2006 risente del fatto che la direttiva 2004/18/CE non conteneva previsioni che necessitassero di trasposizione interna in tema di modifiche del contratto in corso di esecuzione.
Queste vengono previste per la prima volta in ambito euro unitario dalla direttiva 2014/24/UE[10].
Con l’adozione di quest’ultima viene in evidenza il cambiamento di prospettiva rispetto alla logica che, nel diritto interno, era sottesa alla disciplina delle modifiche contrattuali in fase esecutiva.
I principi di trasparenza e imparzialità dell’amministrazione pubblica, e di libera concorrenza e parità di trattamento tra coloro che operano nel mercato, al cui rispetto sono improntate le procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente, irrompono definitivamente nella fase esecutiva, secondo una logica pro-concorrenziale, assente o comunque non prioritaria fino ad allora in ambito interno, ma esplicitata dai considerando 107, 108, 109, 110 e 111, cui corrisponde l’art. 72 (Modifica dei contratti durante il periodo di validità) della direttiva 2014/24/UE.
Nel trasporre l’art.72 della direttiva, il d.lgs. n. 50 del 2016 ha realizzato un’operazione di contemperamento delle rationes, sovranazionale e nazionale, della disciplina delle modifiche contrattuali in corso di esecuzione: ha recepito infatti le ipotesi tassative di modifiche consentite dalla direttiva in quanto non anticoncorrenziali, a tutela quindi del mercato e sostanzialmente dei soggetti terzi rispetto al contratto (in specie gli altri operatori del settore); ha però conservato, nei rapporti fra le parti contrattuali, la finalità regolatrice dei poteri della committenza pubblica della precedente normativa interna, consentendo alla controparte privata il ricorso al rimedio risolutorio solo a determinate condizioni.
L’operazione di recepimento è stata compiuta peraltro in modo da introdurre le fattispecie previste dalla direttiva senza tuttavia tralasciare quelle della tradizione interna, sia pure con qualche adattamento.
Così, l’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016 ha introdotto ex novo la fattispecie omnicomprensiva di derivazione comunitaria della lettera a), che demanda alle stazioni appaltanti l’individuazione con i documenti di gara iniziali di qualsivoglia tipologia di modifica ammissibile, purché tale da non alterare la “natura generale del contratto”, nonché la fattispecie riguardante le prestazioni “supplementari” della lettera b).
Nella fattispecie di cui alla lettera a) è stata fatta confluire la previsione della revisione prezzi, soltanto come facoltativa per le stazioni appaltanti, da inserire in “clausole chiare, precise e inequivocabili”; con la precisazione che “Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti”[11].
Invece la lettera c) del paragrafo 1. dell’art. 72 della direttiva, riguardante le circostanze “imprevedibili”, è stata trasposta ritenendo che potesse ricomprendere quelle altre sopravvenienze che nella previgente disciplina erano considerate quali modifiche ammissibili ai sensi degli artt. 132 del d.lgs. n. 163 del 2006 (per i lavori) e 311 del regolamento del 2010 (per i servizi e le forniture), con la precisazione che “in tali casi le modifiche dell’oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera” e che “tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti”.
Nell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016 si è poi mantenuta la previsione del c.d. errore progettuale, inserito al secondo comma, unitamente alla previsione di responsabilità del progettista ed in collegamento con le previsioni dei commi 9 e 10.
Ne è risultata una struttura “composita” dell’art. 106, nel quale i commi successivi al settimo non hanno derivazione comunitaria, ma nei quali sono confluite disposizioni della disciplina previgente che si è inteso comunque “salvare”. Tra queste ultime, oltre a quella del detto errore progettuale, vi è quella della modifica della durata, o meglio della proroga, e quella dell’istituto del c.d. quinto d’obbligo, risalente, come detto, alla legge sui lavori pubblici di fine ottocento.
3. LA LEGGE DELEGA E GLI ARTT. 60 E 120 DEL D.LGS. N. 36 DEL 2023
Nell’evoluzione normativa fin qui descritta si sono inseriti i due criteri direttivi rilevanti sul tema, dettati dall’art. 1 della legge delega 21 giugno 2022 n. 78, alle lettere:
g) previsione dell'obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell'offerta, compresa la variazione del costo derivante dal rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabili in relazione all'oggetto dell'appalto e delle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, stabilendo che gli eventuali oneri derivanti dal suddetto meccanismo di revisione dei prezzi siano a valere sulle risorse disponibili del quadro economico degli interventi e su eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante da utilizzare nel rispetto delle procedure contabili di spesa;
u) ridefinizione della disciplina delle varianti in corso d'opera, nei limiti previsti dall'ordinamento europeo, in relazione alla possibilità di modifica dei contratti durante la fase dell'esecuzione.
La legge delega quindi si occupa dei due tradizionali istituti dai quali si sono prese le mosse, della revisione dei prezzi e delle varianti in corso d’opera, utilizzando perciò la terminologia risalente all’esperienza interna.
Non era obbligata, ma è sembrata opportuna, ed in linea con i principi della legge delega, la scelta della Commissione speciale nominata per la redazione del nuovo Codice dei contratti pubblici di separare dalla norma sulle modifiche in corso di esecuzione quella sulla revisione prezzi, collocando quest’ultima nell’art. 60 e facendone oggetto di un obbligo specifico[12], che va quindi oltre, ma non contro, la previsione di facoltatività delle clausole di revisione dei prezzi di cui all’art. 72 della direttiva europea[13].
Non vi è dubbio tuttavia che - pur inserita nella parte II del libro “dell’appalto”, tra gli istituti e le clausole comuni a tutti gli appalti – la revisione prezzi rimanga istituto tipico della fase esecutiva – quest’ultima, disciplinata invece nella parte VI del nuovo Codice – e finisce per saldarsi con le norme dell’art. 120 che realizzano una finalità manutentiva o conservativa del contratto in caso di sopravvenienze.
La nuova disciplina dell’art. 60 sostituisce, in particolare, per intero la corrispondente disposizione contenuta nell’art. 106 del d.lgs. 50/2016, comma 1 lettera a), e opera nei casi e alle condizioni prefissati dalla stazione appaltante nei documenti di gara iniziali, al “verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo”, nei limiti tuttavia dell’80% della variazione stessa, in relazione alle prestazioni ancora da eseguire[14].
Istituto oramai chiaramente rivolto al riequilibrio economico del contratto, la revisione dei prezzi è disciplinata, dalla legge delega prima e dall’art. 60 del Codice poi, in modo tale da indurre a ritenere un cambiamento di prospettiva rispetto al passato, nel senso che la relativa pretesa dell’appaltatore si configuri non più come interesse legittimo, ma come diritto soggettivo alla revisione dei prezzi al ricorrere delle circostanze oggettive precisate nelle clausole revisionali[15].
L’oggetto del presente contributo non consente di intrattenersi sul contenuto dell’art. 60, essendo sufficiente qui osservare che l’art. 9, comma 5, del nuovo Codice dei contratti pubblici riconduce la revisione dei prezzi, così come le modifiche contrattuali, al principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale.
Quanto all’art. 120, la norma, pur privata del riferimento alla revisione dei prezzi, per il resto potrebbe sembrare avere poco modificato dell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016. Tuttavia la coincidenza dei testi normativi è parziale, risultando, ad una più attenta lettura, innovata la sistemazione delle modifiche contrattuali tipizzate, dato che la nuova disposizione:
- razionalizza il recepimento della direttiva;
- elimina ogni riferimento al c.d. errore progettuale;
- mantiene invece quello al c.d. quinto d’obbligo;
- regola più coerentemente le modifiche attinenti alla durata sub specie di opzione di proroga, distinta dalla c.d. proroga tecnica;
- inserisce nuove fattispecie di varianti in corso d’opera consentite negli spazi lasciati liberi dalla disciplina di derivazione comunitaria, che sono stati occupati dal nuovo comma 7;
- disciplina nel dettaglio l’applicazione del principio di rinegoziazione di cui all’art. 9.
Nel razionalizzare il recepimento della direttiva si sono nettamente distinte due tipologie di modifiche, entrambe considerate dall’art. 72:
- una prima tipologia riguarda le modifiche consentite: dall’esercizio dello ius variandi della committenza delineato nei documenti di gara da clausole chiare precise e inequivocabili (lett. a); dalla necessità di prestazioni “supplementari” (lett. b)[16]; dalla previsione di varianti in corso d’opera per circostanze imprevedibili (lett. c); dalle modifiche soggettive, collegate ad ipotesi tassative di successione nel contratto (lett. d); dai limiti quantitativi (comma 2). In correlazione alle lettere b) e c) è prevista la pubblicità regolata dal comma 14, che rivela la portata pro-concorrenziale delle disposizioni, la cui violazione legittima il ricorso di terzi operatori del settore dinanzi al giudice amministrativo;
- una seconda tipologia riguarda le modifiche non consentite perché sostanziali, come definite al comma 6, in trasposizione del comma 4 dell’art. 72 della direttiva.
In deroga alle modifiche non consentite (oltre la previsione del comma 5, anche questa riproduttiva della direttiva) vi è pure la novità rappresentata dal comma 7 dell’art. 120. Tale comma va letto in correlazione col principio del risultato e col principio della fiducia (che gli artt. 1 e 2 del nuovo Codice dei contratti pubblici riferiscono significativamente anche alla fase esecutiva), nonché con l’obiettivo della lettera u) della legge di delega di ampliare il ricorso alle varianti in corso d’opera, al fine di assicurare una maggiore flessibilità e capacità di adattamento alle sopravvenienze. Detto comma prevede l’ammissibilità di modifiche (non sostanziali) al progetto volte ad assicurare risparmi di spesa o a realizzare soluzioni equivalenti o migliorative in termini economici, tecnici o di durata dei tempi di realizzazione dell’opera. Pur se riservato agli appalti di lavori, è espressione della volontà del legislatore nazionale – in linea peraltro con l’impostazione della direttiva del 2014 – di rivedere il principio di non modificabilità del contratto pubblico, favorendo anche le proposte dell’appaltatore, pur di garantire la qualità della spesa e, appunto, il raggiungimento del risultato. La portata innovativa si coglie nella necessità che, proprio perché di possibile provenienza dalla parte privata, le modifiche del comma 7 non solo devono essere autorizzate dal RUP come le altre, ma devono essere “approvate” dalla stazione appaltante.
A questa novità si affianca il mantenimento della posizione di “vantaggio” assicurata dal c.d. quinto d’obbligo, da intendersi non come ipotesi ulteriore ed autonoma di modifica unilaterale dell’amministrazione, bensì come fattispecie perimetrata dalle modifiche consentite in base ai commi precedenti. Il nuovo Codice ha aggiunto l’ulteriore limite della necessaria previsione nei documenti di gara iniziali di tale facoltà riconosciuta al committente pubblico in fase esecutiva.
4. L’ART. 120 E LA RINEGOZIAZIONE DELLE CONDIZIONI CONTRATTUALI
Di tutt’altra portata, sia quanto alla matrice che quanto agli effetti nei rapporti tra le parti (ed anche rispetto ai terzi) sono le modifiche contemplate nel comma 8 dell’art. 120, in relazione all’art. 9 del Codice.
La matrice è quella del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale e lo strumento attuativo di tale principio consiste nella rinegoziazione delle condizioni contrattuali.
La rinegoziazione delle condizioni contrattuali ha in comune con i due istituti della revisione dei prezzi e delle varianti in corso d’opera la funzione di conservazione del contratto, in luogo della sua risoluzione, in caso di sopravvenienze che producano disequilibri tra le prestazioni.
Sebbene i detti istituti condividano con quelli corrispondenti previsti per l’appalto di diritto privato dagli artt. 1660-1661 e 1664 del codice civile la natura di disposizioni eccezionali rispetto alla regola fissata dall’art. 1467 cod. civ., l’art. 9 del codice ed il comma 8 dell’art. 120, che ne costituisce - come si sta per dire - la norma “di dettaglio”, riconoscono alla parte svantaggiata, in caso di sopravvenuto disequilibrio a carattere straordinario, un vero e proprio “diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali”.
Appunto in tale posizione di diritto soggettivo alla rinegoziazione, spettante per legge o per contratto, alla parte svantaggiata sta l’elemento di assoluta novità[17] e di cambiamento di prospettiva rispetto – non tanto all’istituto della revisione dei prezzi, soprattutto per come si è venuto oramai atteggiando nell’art. 60 del d.lgs. n. 36 del 2023 quanto – alle modifiche del contratto in corso di esecuzione di cui ai commi precedenti il comma 8 dello stesso art. 120.
Le modifiche dell’art.72 della direttiva e quindi anche quelle dell’art. 120, commi 1-7 (cui si si possono aggiungere i commi 9- 10 e 11) sono modifiche unilateralmente praticabili da parte dell’amministrazione committente, unica titolare del potere di modifica, cui l’appaltatore non vanta alcuna pretesa giuridicamente tutelata[18], ma che tutt’al più può (o meno) consentire, essendovi obbligato a sottostare solo a certe condizioni: in sintesi, sono modifiche possibili, ma che si muovono lungo la direttrice dell’accordo tra le parti, promosso però dalla stazione appaltante e regolato dalla legge nel preminente interesse del mercato e della concorrenza.
Le modifiche dell’art. 9 e dell’art. 120, comma 8, sono quelle che la parte svantaggiata, alle condizioni previste dal primo dei due articoli, ha diritto di pretendere, attivando un rimedio che, a differenza delle varianti in corso d’opera e della revisione prezzi (come tradizionalmente intesa), ha l’obiettivo immediato, non solo mediato, di riequilibrare le prestazioni contrattuali nei confronti della parte del contratto colpita dalle “circostanze straordinarie e imprevedibili” dell’art. 9.
Si tratta quindi di un diritto dell’appaltatore alla rinegoziazione secondo buona fede, sebbene condizionato dai limiti sopra detti, cui corrisponde un obbligo della stazione appaltante a rinegoziare (e viceversa), sì da realizzare un vero e proprio rapporto paritario tra stazione appaltante e impresa esecutrice.
Questo è il vero tratto differenziale tra le modifiche a seguito di rinegoziazione e quelle altre previste dall’art. 120: esso non sta (tanto) nella tipologia delle modifiche quanto nella finalità di riequilibrio contrattuale che caratterizza l’ottavo comma.
Nessuna delle ipotesi di cui al primo gruppo di modifiche consentite, tassativamente identificate dall’art. 120, commi 1-3, ha una siffatta funzione di riequilibrio contrattuale delle prestazioni già concordate. Si tratta piuttosto di prestazioni “aggiuntive”, praticabili nei limiti in cui non alterano la struttura del contratto e l’operazione economica sottesa, che, in quanto concordate tra le parti o accettate (o subite) dall’appaltatore, necessitano dell’<<aggiustamento>> delle relative condizioni contrattuali.
La ratio dell’art. 9 e del comma 8 dell’art. 120 è esattamente rovesciata: sono le prestazioni già contenute nel contratto che vengono interessate da circostanze sopravvenute “straordinarie ed imprevedibili” in modo che ne risulti alterato “l’equilibrio” appunto “originario” del contratto.
La funzione di riequilibro contrattuale consente di escludere la fisiologica possibile sovrapposizione tra le modifiche “negoziate” e quelle sostanziali come definite, e vietate, dal comma 6 dello stesso art. 120.
Per definizione, la modifica “negoziata” del comma 8 non cambia (ma ripristina) l’equilibrio contrattuale (contra: lett. b del comma 6) né estende l’ambito di applicazione del contratto (contra: lett. c del comma 6).
Inoltre, intervenendo la rinegoziazione al solo fine di ripristinare “l’equilibrio originario” del contratto di regola non ne comporta la modifica dell’operazione economica sottesa, cioè del rapporto sinallagmatico dal punto di vista economico.
Potrebbe tuttavia portare a modificare la “struttura” del contratto, intervenendo non tanto sulla tipologia contrattuale (che resta un appalto di lavori o servizi o forniture), quanto sull’oggetto, sui tempi o sulle modalità della prestazione dell’appaltatore.
Da questo punto di vista si potrebbe effettivamente porre la problematica della portata “sostanziale” della modifica nei termini vietati dalla direttiva e dal comma 6 dell’art. 120. Tuttavia si tratta di una questione (di ammissibilità della rinegoziazione) che si pone in ogni ipotesi “patologica” di modifica contrattuale, compresa quindi quella che è effetto di una rinegoziazione effettuata oltre o in mancanza dei presupposti dell’art. 9.
Problematico è altresì il rapporto tra l’art. 120, comma 8, e la norma sulla revisione dei prezzi contrattuali dell’art. 60: una plausibile lettura combinata delle disposizioni induce a ritenere che, mentre quest’ultimo articolo disciplina fattispecie “ordinarie” di incremento dei prezzi dell’appalto dovuto a circostanze che la stessa disposizione qualifica come “oggettive” e – a seguito della soppressione del requisito della imprevedibilità – anche “prevedibili”, gli artt. 9 e 120, comma 8, riguardano invece circostanze assolutamente straordinarie e imprevedibili che non consentirebbero di riequilibrare il contratto col solo ricorso al meccanismo revisionale dell’art. 60.
In ragione di quanto fin qui detto, rispondendo ad un interrogativo posto dai primi commentatori dell’art. 120, si può dire, pur consapevoli della complessità della questione, che la fattispecie della “rinegoziazione” che risulta dall’art. 9 e dall’art. 120, comma 8, ha una portata applicativa sua propria, diversa rispetto alle fattispecie normative degli altri comma dell’art. 120 e dell’art. 60.
La diversità di ratio e di portata delle modiche “negoziate” ai sensi dell’art. 120, comma 8, rispetto a quelle di cui ai restanti commi dello stesso articolo si coglie anche nelle modalità attuative dell’obbligo di rinegoziazione come disciplinate appunto dal comma 8 (secondo cui “[…] la richiesta di rinegoziazione va avanzata senza ritardo […]. Il RUP provvede a formulare la proposta di un nuovo accordo entro un termine non superiore a tre mesi. Nel caso in cui non si pervenga al nuovo accordo entro un termine ragionevole, la parte svantaggiata può agire in giudizio per ottenere l’adeguamento del contratto all’equilibrio originario […]”).
Tale parte della disposizione è riconducibile a quella tipologia di norme che, sebbene non destinate a regolare un vero e proprio “procedimento” amministrativo (essendo le parti oramai legate da un vincolo contrattuale), si è soliti definire come “procedimentali” (un esempio se ne ha nell’art. 122, a proposito del “procedimento” di risoluzione contrattuale), a significare l’avvio di un confronto o comunque l’attivazione del contraddittorio tra la committenza pubblica e l’appaltatore.
Non sempre tale confronto – pur dando luogo a diverse condizioni contrattuali – è qualificabile come “rinegoziazione”, nel senso tecnico del termine.
Non sono tali infatti le modifiche e le varianti che – ai sensi del comma 13 dell’art. 120 – devono essere “autorizzate dal RUP con le modalità previste dalla stazione appaltante” e quelle che - ai sensi del comma 7 – devono essere anche approvate dalla stazione appaltante; alle une e alle altre si riferisce la norma regolamentare dell’allegato II. 14, art. 5 (per i lavori) e artt. 35 e 39 (per i servizi e forniture) in tema di rapporti tra direttore dei lavori e r.u.p., nonché tra l’uno e l’altro e l’esecutore. Evidente è la posizione di quest’ultimo quale, di norma, mero destinatario degli atti degli organi esecutivi della stazione appaltante, che può accettare o meno, secondo le tradizionali modalità degli “atti di sottomissione” o degli “atti aggiuntivi” o, in caso di disaccordo, dell’iscrizione di “riserve”.
L’incipit del comma 13 fa salvo quanto previsto dal comma 8, quindi differenzia nettamente da ogni altro il “procedimento” di “rinegoziazione”. Quest’ultimo è regolato direttamente nella norma di legge, senza alcun rinvio all’allegato regolamentare.
Peraltro quest’ultima è da intendersi come norma suppletiva (come fatto palese dall’inciso, secondo il quale essa opera nel caso in cui le clausole di negoziazione non siano contenute nel contratto[19]), volta a colmare la mancanza o le lacune delle clausole di rinegoziazione concordate tra le parti.
Si vuole cioè significare che queste ultime, oltre a prevedere specifiche circostanze che possono dare luogo alla rinegoziazione, riconducibili alla clausola generale dell’art. 9, ben possono disciplinare modalità e tempi della richiesta di rinegoziazione e della formulazione della proposta del “nuovo accordo”.
In mancanza, si applica la disciplina che è stata prevista nel comma 8, in termini (volutamente) privi dell’indicazione di oneri di forma e di rispetto di tempi particolarmente stringenti.
Si tratta di regole di mera condotta, essendo necessariamente rimesso all’accordo tra le parti il contenuto delle modifiche contrattuali.
Per il caso di mancato accordo è prevista l’azione in giudizio - così superando il tradizionale istituto dell’iscrizione della “riserva” da parte dell’appaltatore[20] - a significare che l’eccezionalità dello squilibrio determinato dalle circostanze sopravvenute dell’art. 9 è di per sé ostativa alla prosecuzione, non tanto del rapporto contrattuale in sé (come dimostrato dall’esclusione normativa della sospensione “automatica” dell’esecuzione), ma del rapporto contrattuale alle condizioni originarie, tanto da comportare che per uno dei due contraenti (non necessariamente l’appaltatore) la prestazione sia resa inutile o inutilizzabile (arg. ex art. 9, comma 3).
Nella logica del Codice, ma anche in linea con uno dei criteri direttivi della legge delega[21], il ricorso all’azione giudiziale può essere prevenuto o impedito dall’intervento del collegio consultivo tecnico. Questo ben può essere previsto nelle clausole di rinegoziazione predisposte dalle stazioni appaltanti o comunque richiesto ai sensi dell’art. 215 del d.lgs. n. 36 del 2023 da ciascuna parte “per prevenire le controversie o consentire la rapida risoluzione delle stesse o delle dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere nell'esecuzione dei contratti”, quindi anche in tema di sopravvenienze considerate da dette clausole o rientranti nella previsione dell’art. 9.
In mancanza di accordo tra le parti sulle modifiche a fini di riequilibrio delle prestazioni contrattuali, il ricorso al giudice è, allora, in primo luogo, funzionale ad accertare che sussistano effettivamente un diritto ed un correlato obbligo di rinegoziazione e, in caso positivo, ad ottenere per via giudiziale l’adeguamento del contratto all’equilibrio originario e/o il risarcimento del danno per la violazione dell’obbligo di rinegoziazione.
Nei rapporti tra le parti, il mancato accordo si qualifica come lesivo di una posizione soggettiva che, ai sensi dell’art. 9, va qualificata come di diritto soggettivo, rientrante nella giurisdizione civile ordinaria.
A quest’ultimo riguardo si segnala la possibile disarmonia di sistema determinata dalla perdurante vigenza ed applicabilità (con gli opportuni adattamenti dei rinvii normativi non più attuali) della previsione dell’art. 133, comma 1, lettera e) n. 2, c.p.a., non inciso dal nuovo Codice dei contratti pubblici, laddove devolve alla competenza giurisdizionale esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative “alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto”[22].
All’opposto, l’accordo cui le parti pervengano all’esito della rinegoziazione potrebbe assumere profili di lesione delle posizioni di interessi legittimi di terzi operatori del settore, nei limiti in cui si sia tradotto in modifiche sostanziali non consentite. In tale caso, la giurisdizione dovrebbe spettare al giudice amministrativo poiché la modifica non consentita, alterando la concorrenza, si pone come elusiva dei vincoli dell’evidenza pubblica.
5. CONCLUSIONI
La disciplina sulla conservazione dell’equilibrio contrattuale come delineata negli articoli del nuovo Codice dei contratti pubblici su esaminati segna il superamento della tesi tradizionale della prevalenza dei rimedi ablatori ed il riconoscimento - già presente in altri ordinamenti, tra cui quello francese - della preminenza dell’interesse pubblico (di cui è detto nella Relazione al Codice) al compimento dell’opera o del servizio od al completamento della fornitura, in breve dell’interesse al raggiungimento del risultato, nella consapevolezza della convergenza della tutela di tale interesse con altri interessi generali di primario rilievo (stabilità economica, sociale, occupazionale, ecc.) e del loro necessario contemperamento con gli interessi economici delle imprese appaltatrici.
Spetterà alle scelte applicative delle stazioni appaltanti ed a quelle interpretative della giurisprudenza, civile e amministrativa, realizzare il più giusto equilibrio tra le esigenze di adattabilità del contratto e il vincolo della gara e del rispetto della concorrenza che inevitabilmente connota anche la fase esecutiva.
Giuseppina Luciana Barreca
Consigliere di Stato
[1] Secondo cui “Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo”.
[2] Consistente nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d'asta, aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmato nell'anno precedente fosse superiore al 2 per cento, all'importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l'ultimazione dei lavori stessi. Tale percentuale era fissata con decreto del Ministro dei lavori pubblici da emanare entro il 30 giugno di ogni anno.
[3] Art. 133. Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi
1. In caso di ritardo nella emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti e alla rata di saldo rispetto alle condizioni e ai termini stabiliti dal contratto, che non devono comunque superare quelli fissati dal regolamento di cui all'articolo 5, spettano all'esecutore dei lavori gli interessi, legali e moratori, questi ultimi nella misura accertata annualmente con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ferma restando la sua facoltà, trascorsi i termini di cui sopra o, nel caso in cui l'ammontare delle rate di acconto, per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il quarto dell'importo netto contrattuale, di agire ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile, ovvero, previa costituzione in mora dell'amministrazione aggiudicatrice e trascorsi sessanta giorni dalla data della costituzione stessa, di promuovere il giudizio arbitrale per la dichiarazione di risoluzione del contratto. (comma così modificato dall'art. 2, comma 1, lettera dd), d.lgs. n. 113 del 2007)
(ai sensi dell'art. 24, commi 1 e 2, della legge n. 161 del 2014, i termini e il tasso di interesse previsti dal presente comma, si applicano solo se più favorevoli al creditore rispetto a quanto previsto dagli articoli 4 e 5 del d.lgs. n. 231 del 2002)
1-bis. Fermi i vigenti divieti di anticipazione del prezzo, il bando di gara può individuare i materiali da costruzione per i quali i contratti, nei limiti delle risorse disponibili e imputabili all'acquisto dei materiali, prevedono le modalità e i tempi di pagamento degli stessi, ferma restando l'applicazione dei prezzi contrattuali ovvero dei prezzi elementari desunti dagli stessi, previa presentazione da parte dell'esecutore di fattura o altro documento comprovanti il loro acquisto nella tipologia e quantità necessarie per l'esecuzione del contratto e la loro destinazione allo specifico contratto, previa accettazione dei materiali da parte del direttore dei lavori, a condizione comunque che il responsabile del procedimento abbia accertato l'effettivo inizio dei lavori e che l'esecuzione degli stessi proceda conformemente al cronoprogramma. Per tali materiali non si applicano le disposizioni di cui al comma 3, nonché ai commi da 4 a 7 per variazioni in aumento. Il pagamento dei materiali da costruzione è subordinato alla costituzione di garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa di importo pari al pagamento maggiorato del tasso di interesse legale applicato al periodo necessario al recupero del pagamento stesso secondo il cronoprogramma dei lavori. La garanzia è immediatamente escussa dal committente in caso di inadempimento dell'affidatario dei lavori, ovvero in caso di interruzione dei lavori o non completamento dell'opera per cause non imputabili al committente. L'importo della garanzia è gradualmente ed automaticamente ridotto nel corso dei lavori, in rapporto al progressivo recupero del pagamento da parte delle stazioni appaltanti. Da tale norma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
(comma introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera gg), d.lgs. n. 152 del 2008)
2. Per i lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti non si può procedere alla revisione dei prezzi e non si applica il comma 1 dell'articolo 1664 del codice civile.
3. Per i lavori di cui al comma 2 si applica il prezzo chiuso, consistente nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d'asta, aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmato nell'anno precedente sia superiore al 2 per cento, all'importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l'ultimazione dei lavori stessi. Tale percentuale è fissata, con decreto del Ministro delle infrastrutture da emanare entro il 31 marzo di ogni anno, nella misura eccedente la predetta percentuale del 2 per cento.
(comma così modificato dall'art. 2, comma 1, lettera gg), d.lgs. n. 152 del 2008).
3-bis. A pena di decadenza, l’appaltatore presenta alla stazione appaltante l’istanza di applicazione del prezzo chiuso, ai sensi del comma 3, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del decreto ministeriale di cui al medesimo comma 3 (comma introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera gg), d.lgs. n. 152 del 2008).
4. In deroga a quanto previsto dal comma 2, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture nell'anno di presentazione dell'offerta con il decreto di cui al comma 6, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 7
(comma così sostituito dall'art. 4, comma 2, lettera o), legge n. 106 del 2011).
5. La compensazione è determinata applicando la metà della percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell'anno solare precedente al decreto di cui al comma 6 nelle quantità accertate dal direttore dei lavori (comma così sostituito dall'art. 4, comma 2, lettera o), legge n. 106 del 2011).
6. Il Ministero delle infrastrutture, entro il 31 marzo di ogni anno, rileva con proprio decreto le variazioni percentuali annuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi (comma così modificato dall'art. 2, comma 1, lettera gg), d.lgs. n. 152 del 2008).
6-bis. A pena di decadenza, l’appaltatore presenta alla stazione appaltante l’istanza di compensazione, ai sensi del comma 4, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del decreto ministeriale di cui al comma 6 (comma introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera gg), d.lgs. n. 152 del 2008).
7. Per le finalità di cui al comma 4 si possono utilizzare le somme appositamente accantonate per imprevisti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel quadro economico di ogni intervento, in misura non inferiore all'1 per cento del totale dell'importo dei lavori, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, nonché le eventuali ulteriori somme a disposizione della stazione appaltante per lo stesso intervento nei limiti della relativa autorizzazione di spesa. Possono altresì essere utilizzate le somme derivanti da ribassi d'asta, qualora non ne sia prevista una diversa destinazione sulla base delle norme vigenti, nonché le somme disponibili relative ad altri interventi ultimati di competenza dei soggetti aggiudicatori nei limiti della residua spesa autorizzata; l'utilizzo di tali somme deve essere autorizzato dal CIPE, qualora gli interventi siano stati finanziati dal CIPE stesso.
8. Le stazioni appaltanti provvedono ad aggiornare annualmente i propri prezzari, con particolare riferimento alle voci di elenco correlate a quei prodotti destinati alle costruzioni, che siano stati soggetti a significative variazioni di prezzo legate a particolari condizioni di mercato. I prezzari cessano di avere validità il 31 dicembre di ogni anno e possono essere transitoriamente utilizzati fino al 30 giugno dell'anno successivo per i progetti a base di gara la cui approvazione sia intervenuta entro tale data. In caso di inadempienza da parte dei predetti soggetti, i prezzari possono essere aggiornati dalle competenti articolazioni territoriali del Ministero delle infrastrutture di concerto con le regioni interessate.
9. I progettisti e gli esecutori di lavori pubblici sono soggetti a penali per il ritardato adempimento dei loro obblighi contrattuali. L'entità delle penali e le modalità di versamento sono disciplinate dal regolamento.
[4] Art. 115. Adeguamenti dei prezzi
Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all'articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5.
Art. 7. Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
1. Nell'ambito dell'Autorità opera l'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, composto da una sezione centrale e da sezioni regionali aventi sede presso le regioni e le province autonome. I modi e i protocolli della articolazione regionale sono definiti dall'Autorità di concerto con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
2. Sono fatte salve le competenze del Nucleo tecnico di valutazione e verifica degli investimenti pubblici di cui all'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 5 dicembre 1997, n. 430.
3. L'Osservatorio, in collaborazione con il CNIPA, opera mediante procedure informatiche, sulla base di apposite convenzioni, anche attraverso collegamento con gli analoghi sistemi della Ragioneria generale dello Stato, del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e degli altri Ministeri interessati, dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), delle regioni, dell'Unione province d'Italia (UPI), dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e delle casse edili, della CONSIP (comma così modificato dall'art. 3, comma 1, lettera c), d.lgs. n. 113 del 2007).
4. La sezione centrale dell'Osservatorio si avvale delle sezioni regionali competenti per territorio, per l'acquisizione delle informazioni necessarie allo svolgimento dei seguenti compiti, oltre a quelli previsti da altre norme:
(alinea così modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 113 del 2007)
a) provvede alla raccolta e alla elaborazione dei dati informativi concernenti i contratti pubblici su tutto il territorio nazionale e, in particolare, di quelli concernenti i bandi e gli avvisi di gara, le aggiudicazioni e gli affidamenti, le imprese partecipanti, l'impiego della mano d'opera e le relative norme di sicurezza, i costi e gli scostamenti rispetto a quelli preventivati, i tempi di esecuzione e le modalità di attuazione degli interventi, i ritardi e le disfunzioni;
b) determina annualmente costi standardizzati per tipo di lavoro in relazione a specifiche aree territoriali, facendone oggetto di una specifica pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
c) determina annualmente costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali, facendone oggetto di una specifica pubblicazione, avvalendosi dei dati forniti dall'ISTAT, e tenendo conto dei parametri qualità prezzo di cui alle convenzioni stipulate dalla CONSIP, ai sensi dell'articolo 26, legge 23 dicembre 1999, n. 488;
d) pubblica annualmente per estremi i programmi triennali dei lavori pubblici predisposti dalle amministrazioni aggiudicatrici, nonché l'elenco dei contratti pubblici affidati (lettera così modificata dall'art. 2, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 152 del 2008);
e) promuove la realizzazione di un collegamento informatico con le stazioni appaltanti, nonché con le regioni, al fine di acquisire informazioni in tempo reale sui contratti pubblici;
f) garantisce l'accesso generalizzato, anche per via informatica, ai dati raccolti e alle relative elaborazioni;
g) adempie agli oneri di pubblicità e di conoscibilità richiesti dall'Autorità;
h) favorisce la formazione di archivi di settore, in particolare in materia contrattuale, e la formulazione di tipologie unitarie da mettere a disposizione dei soggetti interessati.
i) gestisce il proprio sito informatico
l) cura l'elaborazione dei prospetti statistici di cui all'articolo 250 (contenuto del prospetto statistico per i contratti pubblici di lavori, forniture e servizi di rilevanza comunitaria) e di cui all'articolo 251 (contenuto del prospetto statistico per i contratti pubblici di lavori, forniture e servizi nei settori di gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica);
l-bis) provvede a monitorare l’applicazione dei criteri ambientali minimi di cui ai decreti attuativi del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 11 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 dell’8 maggio 2008, e successive modificazioni, e il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione, di cui al medesimo decreto, e successive modificazioni.
(lettera aggiunta dall'art. 19, comma 1, legge n. 221 del 2015)
5. Al fine della determinazione dei costi standardizzati di cui al comma 4, lettera c), l'ISTAT, avvalendosi, ove necessario, delle Camere di commercio, cura la rilevazione e la elaborazione dei prezzi di mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni aggiudicatrici, provvedendo alla comparazione, su base statistica, tra questi ultimi e i prezzi di mercato. Gli elenchi dei prezzi rilevati sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, con cadenza almeno semestrale, entro il 30 giugno e il 31 dicembre. Per i prodotti e servizi informatici, laddove la natura delle prestazioni consenta la rilevazione di prezzi di mercato, dette rilevazioni sono operate dall'ISTAT di concerto con il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione di cui al decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39.
5-bis. Nella determinazione dei costi standardizzati, di cui al comma 4, lettere b) e c), si tiene conto del costo del lavoro determinato dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, secondo quanto previsto dall'articolo 87, comma 2, lettera g).
(comma introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 113 del 2007)
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze, di intesa con quello per la funzione pubblica, assicura lo svolgimento delle attività di cui al comma 5, definendo modalità, tempi e responsabilità per la loro realizzazione. Il Ministro dell'economia e delle finanze vigila sul rispetto da parte delle amministrazioni aggiudicatrici degli obblighi, dei criteri e dei tempi per la rilevazione dei prezzi corrisposti e, in sede di concerto per la presentazione al Parlamento del disegno di legge recante il bilancio di previsione dello Stato, può proporre riduzioni da apportare agli stanziamenti di bilancio delle amministrazioni inadempienti.
7. In relazione alle attività, agli aspetti e alle componenti peculiari dei lavori, servizi e forniture concernenti i beni sottoposti alle disposizioni della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i compiti di cui alle lettere a), b) e c) del comma 4 sono svolti dalla sezione centrale dell'Osservatorio, su comunicazione del soprintendente per i beni ambientali e architettonici avente sede nel capoluogo di regione, da effettuare per il tramite della sezione regionale dell'Osservatorio.
8. Le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori sono tenuti a comunicare all'Osservatorio, per contratti di importo superiore a 50.000 euro (importo ridotto da 150.000 a 50.000 euro dall'art. 8, comma 2-bis, legge n. 94 del 2012):
a) entro trenta giorni dalla data dell'aggiudicazione definitiva o di definizione della procedura negoziata, i dati concernenti il contenuto dei bandi, con specificazione dell’eventuale suddivisione in lotti ai sensi dell’articolo 2, comma 1-bis, dei verbali di gara, i soggetti invitati, l'importo di aggiudicazione, il nominativo dell'affidatario e del progettista;
(lettera modificata dall'art. 2, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 113 del 2007, poi dall'art. 26-bis, comma 3, legge n. 98 del 2013)
b) limitatamente ai settori ordinari, entro sessanta giorni dalla data del loro compimento ed effettuazione, l'inizio, gli stati di avanzamento e l'ultimazione dei lavori, servizi, forniture, l'effettuazione del collaudo, l'importo finale. Per gli appalti di importo inferiore a 500.000 euro non è necessaria la comunicazione dell'emissione degli stati di avanzamento. Le norme del presente comma non si applicano ai contratti di cui agli articoli 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, per i quali le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori trasmettono all'Autorità, entro il 31 gennaio di ciascun anno, una relazione contenente il numero e i dati essenziali relativi a detti contratti affidati nell'anno precedente. Il soggetto che ometta, senza giustificato motivo, di fornire i dati richiesti è sottoposto, con provvedimento dell'Autorità, alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma fino a euro 25.822. La sanzione è elevata fino a euro 51.545 se sono forniti dati non veritieri.
9. I dati di cui al comma 8, relativi ai lavori di interesse regionale, provinciale e comunale, sono comunicati alle sezioni regionali dell'Osservatorio che li trasmettono alla sezione centrale.
10. É istituito il casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture presso l’Osservatorio. Il regolamento di cui all'articolo 5 disciplina il casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nonché le modalità di funzionamento del sito informatico presso l'Osservatorio, prevedendo archivi differenziati per i bandi, gli avvisi e gli estremi dei programmi non ancora scaduti e per atti scaduti, stabilendo altresì il termine massimo di conservazione degli atti nell'archivio degli atti scaduti, nonché un archivio per la pubblicazione di massime tratte da decisioni giurisdizionali e lodi arbitrali.(comma così modificato dall'art. 2, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 152 del 2008).
[5] Solo nella giurisprudenza più recente si legge espressamente affermato che l’art. 115 del d.lgs. 163/2006 rappresenta, dunque, un rimedio conservativo dell’equilibrio economico del contratto, volto a gestire le sopravvenienze giuridicamente rilevanti, intervenute nel corso di un rapporto contrattuale di durata, laddove l’orientamento comunque tuttora prevalente è nel senso che la revisione non concede al contraente la possibilità di rinegoziare il corrispettivo per compensare gli aumenti dei costi a suo carico, ma solo di conseguire rimodulazioni agganciate alla rilevazione degli aumenti medi dei prezzi di beni e dei servizi, cosicché solo in via eccezionale è possibile il ricorso a differenti parametri, ma nella ricorrenza di evenienze impreviste e imprevedibili, insussistenti all’atto della sottoscrizione del contratto e delle quali non era prevedibile l’avveramento.
[6] La conseguenza applicativa di quanto detto nel testo – non più rilevante ai fini della giurisdizione dopo la previsione della giurisdizione esclusiva – riguarda il regime processuale, dato che la giurisprudenza è nel senso che un provvedimento che neghi la revisione ovvero non dia seguito all’istanza in tal senso dell’appaltatore, debba essere rispettivamente impugnato nel termine di decadenza fissato per il ricorso amministrativo o con ricorso contro il silenzio.
[7] L’art. 26, comma 3, prevede infatti che “Non sono considerati varianti ai sensi del comma 1 gli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio, che siano contenuti entro un importo non superiore al 10 per cento per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5 per cento per tutti gli altri lavori delle categorie di lavoro dell'appalto e che non comportino un aumento dell'importo del contratto stipulato, per la realizzazione dell'opera. Sono inoltre ammesse, nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, le varianti, in aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento dell'opera e alla sua funzionalità, sempreché non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. L'importo in aumento relativo a tali varianti non può superare il 5 per cento dell'importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera.”.
[8] Le varianti risultano ammesse nei seguenti casi:
a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;
b) per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento, o per l'intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell'opera o di sue parti e sempre che non alterino l'impostazione progettuale;
c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d'opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale;
d) nei casi previsti dall'articolo 1664, comma 2, del codice civile;
e) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il responsabile del procedimento ne dà immediatamente comunicazione all'Osservatorio e al progettista;
e-bis) nei casi di bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati ai sensi della Parte quarta, Titolo V, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
[9] Riguardo a servizi e forniture, gli artt. 310 e 311 del regolamento consentono le seguenti varianti:
a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;
b) per cause impreviste e imprevedibili accertate dal responsabile del procedimento o per l'intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento in cui ha avuto inizio la procedura di selezione del contraente, che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità delle prestazioni eseguite;
c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni o dei luoghi sui quali si interviene, verificatisi nel corso di esecuzione del contratto.
[10] In particolare il considerando 107 esordisce affermando che “E’ necessario precisare, tenendo conto della pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, le condizioni alle quali le modifiche di un contratto durante la sua esecuzione richiedono una nuova procedura di appalto”.
[12] Se, in violazione di legge, il bando non preveda l’inserimento di clausole revisionali, dovrebbe essere esclusa l'impugnazione immediata del bando perché non si tratta di lacuna a portata escludente, quindi immediatamente lesiva - salvo ritenere che la mancata indicazione della clausola di revisione impedisca una consapevole formulazione dell’offerta. In realtà, più che di un vizio di legittimità del bando, si dovrebbe trattare di un vizio di validità del successivo contratto. Qualora il contratto sia rimasto privo di clausole revisionali dovrebbe operare comunque un meccanismo di integrazione ex lege ex art. 1339 cc, configurandosi l’art. 60 come norma imperativa.
[13] La norma della legge delega è stata ispirata dalla crisi pandemica, che ha portato all’adozione della normativa emergenziale del D.L. n. 73 del 2022 “Decreto Sostegni bis”, del D.L. 4 del 2022 “Decreto Sostegni ter” e del Decreto Aiuti, D.L. 50 del 2022. Tutti gli interventi legislativi si sono concentrati soprattutto nell'ambito dei lavori pubblici, lasciando i contratti di beni e servizi quasi del tutto privi di copertura emergenziale.
Il Decreto Sostegni ter, convertito in legge n. 25 il 28 marzo 2022 ha introdotto misure urgenti in materia di sostegno alle imprese connesse all'emergenza COVID-19, nonché misure per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi.
In particolare, all'articolo 29, 1° comma, lett. a), veniva previsto che fino al 31 dicembre 2023, nelle procedure indette successivamente alla sua entrata in vigore, era obbligatorio l’inserimento nei documenti di gara iniziali delle clausole di revisione dei prezzi previste dall’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016.
[14] Il testo dell’art. 60 licenziato dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato prevedeva il requisito della “imprevedibilità” delle condizioni determinanti la variazione dei costi (che avrebbero dovuto essere “non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta”), come indicato nella legge delega. Il requisito è stato eliminato a seguito del passaggio parlamentare della bozza del Codice.
In effetti, la stessa Relazione aveva posto in evidenza che “Particolarmente delicato e complesso è stato … conciliare l’opzione di indicizzazione con la caratteristica dell’imprevedibilità delle variazioni: per garantire la coerenza del nuovo sistema si è così concentrata l’attenzione sia sul profilo temporale della valutazione dell’imprevedibilità (“imprevedibili al momento della formulazione dell’offerta”) sia sul dato quantitativo di essa (variazioni imprevedibili nel quantum)”.
Eliminato il riferimento all’imprevedibilità, non vi sono più dubbi sul fatto che le clausole revisionali possano operare anche in caso di eventi prevedibili nell’an pur se non nel quantum.
[15] Sulla questione in oggetto, però, non vi è concordia di opinioni tra i primi commentatori dell’art. 60 poiché, per alcuni, le clausole revisionali, anche quando disciplinate dal nuovo Codice dei contratti pubblici, non attribuirebbero un diritto alla revisione dei prezzi, bensì, in linea con la giurisprudenza già consolidata, configurerebbero un interesse legittimo all’apertura di un procedimento tecnico discrezionale da parte della stazione appaltante tenuta a valutare la sussistenza dei presupposti di legge per il suo riconoscimento.
Pur dovendosi riconoscere le difficoltà interpretative poste dal quinto comma dell’art. 60, che sembra condizionare la revisione alla disponibilità delle risorse necessarie, si ritiene preferibile la configurazione della posizione dell’appaltatore come di diritto soggettivo, per quanto detto nel testo circa il collegamento tra revisione prezzi e rinegoziazione contrattuale.
[16] Intendendosi per tali prestazioni diverse da quelle originarie, ma rese necessarie perché funzionalmente connesse, quindi non aggiuntive/ampliative: Cons. Stato, 7 ottobre 2020, n. 5962
[17] La portata innovativa degli artt. 9 e 120, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016 comporta che le relative disposizioni non sono applicabili agli appalti regolati dalla normativa previgente.
[18] Per la ragione indicata nel testo non pare in linea con le previsioni del d.lgs. n. 50 del 2016 la giurisprudenza che ha ritenuto che l’art. 106 potesse costringere il committente pubblico, su richiesta dell’appaltatore, alla “rinegoziazione” o comunque all’adeguamento del contratto di appalto, a seguito degli eventi straordinari verificatisi nel corso della sua esecuzione (in specie, a causa dell’incremento dei prezzi causato dalla crisi pandemica da Covid 19 ovvero dalla guerra in Ucraina).
[19] Evidente è l’operatività della norma di legge anche in caso di clausole di rinegoziazione lacunose.
[20] L’istituto delle “riserve” dell’appaltatore è stato ripristinato, invece, in via generale, come obbligatorio dall’art. 115 del Codice, laddove il d.lgs. n. 50 del 2016 lo aveva reso facoltativo, da prevedersi quindi volta a volta nei documenti di gara iniziali o nei singoli contratti.
[21] L’art. 1, comma 2, lettera ll), prevede il rafforzamento del metodo di risoluzione delle controversie alternativo al rimedio giurisdizionale anche in materia di esecuzione del contratto.
[22] La giurisdizione esclusiva non è ovviamente compromessa dalla configurazione di una posizione di diritto soggettivo alla revisione prezzi in capo all’impresa, secondo quanto detto nella parte 3 del testo. Ciò peraltro dovrebbe portare a rivedere anche la giurisprudenza, tanto della Cassazione che dei giudici amministrativi, che distingue l'ipotesi in cui vi sia una scelta discrezionale in capo alla stazione appaltante da quella in cui il contenuto della clausola sia così preciso nell’an e nel quantum da escludere ogni margine di valutazione discrezionale; in tale ultima ipotesi si afferma che l’appaltatore vanterebbe un diritto soggettivo tutelabile innanzi al g.o. (da ultimo, Cons. Stato, n. 7291/2023). In realtà, a fronte di clausole dal contenuto espressamente legato a parametri oggettivi e prefissati, che si attivano automaticamente al verificarsi dell’evento, la previsione della giurisdizione esclusiva, pur se ritenuta “di problematica giustificazione”, non dovrebbe venire meno in quanto la materia “particolare” verrebbe a coincidere comunque con quella dell’art. 60 del d.lgs. n. 36/2023.