Il riparto di giurisdizione

L’art. 133, co. 1, lett. e), del codice del processo amministrativo, riprendendo quanto previsto dal d.lgs. n. 80/1998 e dalla l. n. 205/2000, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo:

- le controversie relative a “procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative” (lett. e, n. 1);

- le controversie “relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica…. nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi…” (lett. e, n. 2).

Sul piano soggettivo, si prescinde dalla natura pubblica o privata della stazione appaltante: rientrano nel novero degli atti conoscibili dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva non solo quelli adottati da soggetti pubblici, ma anche quelli ascrivibili a soggetti privati “comunque” tenuti all’applicazione della normativa eurounitaria ovvero al rispetto delle procedure ad evidenza pubblica previste dalle norme interne, ovverosia dal d.lgs. n. 36/2023 (il nuovo “Codice dei contratti pubblici”).

Dal punto di vista oggettivo, il citato d.lgs. n. 36/2023 ha arricchito l’ambito di applicazione dell’art. 133 c.p.a., inserendo - nell’articolo 120 c.p.a. - il riferimento (prima mancante) alle “concessioni”, ed escludendo ogni residuo dubbio sull’applicabilità del rito speciale (e della giurisdizione esclusiva) agli atti delle procedure di affidamento delle concessioni.

Il nuovo Codice ha altresì introdotto nell’art. 120 c.p.a. la locuzione “provvedimenti dell’Autorità nazionale anticorruzione in materia di contratti pubblici” con una formulazione che è certamente più estesa rispetto a quella antecedente.

È altresì importante rilevare come non vi sia, nelle norme, alcun riferimento limitativo alle sole procedure soprasoglia e che, nella nozione di “atti delle procedure di affidamento”, rientrano anche quelli cd. di secondo grado posti in essere dalle stazioni appaltanti o comunque a essi connessi.

Del pari, la giurisdizione esclusiva viene in rilievo sia nel caso di procedura ad evidenza pubblica illegittimamente condotta sia nell’ipotesi di illegittima omissione di una procedura doverosa.

Tanto premesso, in estrema sintesi, il momento dirimente ai fini del riparto di giurisdizione in materia è costituito, almeno tendenzialmente, dalla stipula del contratto.

Tuttavia, in concreto, non sempre risulta agevole qualificare le fattispecie che si pongono nello iato tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto. Proprio in questo spazio giuridico di confine, si sono annidati e continuano ad annidarsi i dubbi interpretativi della dottrina e della giurisprudenza.

Si è affermato che rientrano nella giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie concernenti gli atti adottati o i comportamenti assunti in relazione alla pretesa alla stipula del contratto da parte dell’aggiudicatario. In tale prospettiva, essi sarebbero esercizio di potestà amministrativa sottoposto a norme di carattere pubblicistico, a fronte del quale la posizione giuridica dell’interessato avrebbe consistenza di interesse legittimo: la stazione appaltante, anche ad aggiudicazione avvenuta, in presenza di valide e motivate ragioni di interesse pubblico, conserverebbe infatti il potere di non stipulare.

In definitiva, secondo la giurisprudenza amministrativa, l’aggiudicazione della gara individua senz’altro l’operatore economico che potrà stipulare il contratto, ma non genera una posizione di diritto soggettivo, atteso che – pur concludendo la fase centrale del procedimento – si pone all’interno del più ampio procedimento di affidamento dell’appalto, che si conclude con la stipula del contratto.

Peraltro, l’eventuale ritardo o rifiuto della stipula, pur se non fronteggiabile con il rimedio specifico della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., è contrastabile con l’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. con cui il privato fa valere il suo interesse (pretensivo) a ottenere una risposta, che, sebbene discrezionale nel quid, è vincolata nell’an.

Oggi, esplicitamente, l’art. 18, comma 5, d.lgs. n. 36 del 2023 dispone che: “Se la stipula del contratto non avviene nel termine per fatto della stazione appaltante o dell’ente concedente, l’aggiudicatario può farne constatare il silenzio inadempimento o, in alternativa, può sciogliersi da ogni vincolo mediante atto notificato”. L’obbligo giuridico di provvedere non ha, dunque, a oggetto la conclusione del contratto - esito questo a cui l’Amministrazione non è vincolata - bensì la determinazione, di natura prettamente autoritativa e come tale equiparabile a un provvedimento, della volontà di addivenire o meno alla stipula.

Altro tema su cui si è confrontata la giurisprudenza è quello relativo al riparto di giurisdizione sulla domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla decadenza dell’aggiudicazione.

In particolare, la Corte di Cassazione esclude che il destinatario incolpevole del provvedimento favorevole poi annullato possa rivolgersi al giudice amministrativo: secondo tale tesi, l’effetto retroattivo dell’annullamento comporta che il provvedimento non sia mai esistito, residuando il solo fatto storico dell’illecito. Oggetto della contestazione non sarebbe, dunque, un provvedimento, che, in quanto tale, non esiste più, ma un comportamento di natura privatistica. Il destinatario del provvedimento favorevole annullato non lamenterebbe, quindi, la lesione dell’interesse legittimo, ma la frustrazione del legittimo affidamento sulla spettanza del bene della vita e, quindi, in definitiva, la lesione del diritto soggettivo al rispetto delle regole di correttezza e diligenza dell’art. 1175 c.c..

Tuttavia, la qualificazione dell’affidamento come diritto sostanziale e autonomo, di matrice schiettamente privatistica, è apparsa ai giudici amministrativi una forzatura, in quanto, come chiarito dall’art. 1, comma 2-bis della l. n. 241/1990, la tutela dell’affidamento e il canone di buona fede informano i traffici giuridici e conformano in modo universale non solo l’attività privatistica, ma anche l’azione pubblicistica della Pubblica Amministrazione, ponendosi come regole e limiti all’esercizio del potere amministrativo. Per il Consiglio di Stato: - la lesione dell’affidamento in parola matura pur sempre nel contesto relazionale gestito dal confronto “interesse legittimo-potere amministrativo”; - lo stesso provvedimento illegittimo “favorevole” è di fatto lesivo dell’interesse legittimo, inteso come interesse del privato a ottenere stabilmente e definitivamente, ossia attraverso un provvedimento non suscettibile di caducazione per effetto dei vizi che lo inficiano, il bene della vita agognato.

Secondo la prospettiva assunta dall’Adunanza Plenaria (sentenze 19, 20 e 21/2021), sotto il profilo della giurisdizione, dunque, azione caducatoria e azione risarcitoria sarebbero equipollenti, in quanto entrambe esercitate a doglianza di un cattivo esercizio del potere, a fronte del quale il privato non potrebbe che vantare posizioni di interesse legittimo.

Tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ribadito che: «In tema di procedure ad evidenza pubblica, la controversia relativa alla responsabilità della P.A. per il danno derivante dalla lesione dell’affidamento del privato nella correttezza dell’azione amministrativa, spetta al giudice ordinario, anche in relazione alla fase procedimentale […] laddove a fondamento della domanda risarcitoria sia posta una responsabilità per violazione dei doveri di correttezza e buona fede, senza contestare la legittimità dell’esercizio della funzione pubblica ma la correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione» (cfr. n. 13595/2022).

Con riguardo alle pretese della cd. parte pubblica, di recente, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 111 del 4 gennaio 2023, cassando una pronuncia del Consiglio di Stato, hanno affermato che sussiste la giurisdizione del G.O. ogni volta che la stazione appaltante «agisce per il risarcimento del danno derivante da comportamenti inquadrabili nell’ambito della responsabilità precontrattuale della contraente privata e dalla mancata stipula del contratto con il soggetto originariamente individuato come vincitore della gara pubblica, non dall’annullamento dell’aggiudicazione in sé, vicenda ormai chiusa, non rilevando in alcun modo l’esercizio di poteri autoritativi dell’amministrazione».

In tale delicato contesto, si inserisce la novella dell’art. 124 c.p.a. operata dal nuovo Codice dei contratti pubblici, in materia di azione risarcitoria e azione di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell’operatore economico, che, per le possibili ricadute in termini di riparto di giurisdizione, ha suscitato taluni commenti critici.

Altro tema interessante concerne il riparto di giurisdizione sulle controversie relative alla fase di esecuzione dell’appalto.

Il riferimento alle “procedure” di affidamento contenuto nell’art. 133 c.p.a. (prima illustrato) è sintomatico della scelta del legislatore che – in coerenza con la pronuncia della Corte costituzionale n. 204/2004 – ha inteso escludere dal perimetro della giurisdizione esclusiva le controversie involgenti l’esecuzione del contratto, afferenti a una fase a connotazione privatistica nella quale la stazione appaltante si pone su un piano di parità rispetto alla controparte.

Più nello specifico, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla risoluzione per inadempimento contrattuale. In particolare, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che, anche ove si autoqualifichi come “revoca”, quando si basi su una serie di inadempimenti delle obbligazioni scaturenti dal rapporto contrattuale, l’atto risolutorio sia privo di contenuto provvedimentale. Afferendo alla fase di esecuzione dell’appalto, rientrano dunque nella giurisdizione del G.O. le controversie su recesso e risoluzione unilaterale del contratto (articoli 122, 123 e 190 del d.lgs. n. 36/2023; articoli 108 e 109 del previgente Codice), quali atti di autotutela privatistica esercizio di diritti potestativi di diritto comune, ferma la giurisdizione del G.A. per i residui poteri pubblicistici di annullamento e revoca dell’aggiudicazione della gara.

Da ultimo, si è avviato un confronto in relazione al riparto di giurisdizione in materia di rinegoziazione (cfr. gli artt. 9, 60 e 120 d.lgs. n. 36/2023).

Il legislatore qualifica espressamente la situazione della parte svantaggiata - che, in presenza delle condizioni di legge, aspiri alla rinegoziazione - come diritto soggettivo: non sussisterebbero, dunque, margini di valutazione in ordine all’an della rinegoziazione in capo all’Amministrazione, dovendo essa solo accertare il ricorrere dei relativi presupposti. L’eventuale controversia, avendo a oggetto la pretesa (il diritto soggettivo) all’adempimento dell’obbligo legale di rinegoziazione, previo accertamento della sussistenza delle relative condizioni, dovrebbe, quindi, appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario.

Conseguentemente, in caso di inerzia dell’Amministrazione a fronte di una istanza di rinegoziazione, non sarebbe esperibile il rimedio del ricorso contro il silenzio-inadempimento previsto dagli artt. 31 e 117 c.p.a..

Laddove poi venissero interrotte ingiustificatamente le trattative prossime a conclusione, potrebbe anche ipotizzarsi, l’ottenimento da parte del soggetto svantaggiato di una sentenza che tenga il luogo del contratto non concluso alle condizioni stabilite (art. 2932 c.c.). Peraltro, occorre comunque considerare che l’attività di rinegoziazione non è completamente libera, ma soggiace al controllo da parte degli altri operatori economici, dell’ANAC e del giudice, al fine di evitare violazioni del principio della concorrenza.

Con specifico riguardo alla revisione dei prezzi, si rileva che l’art. 60 del Codice del 2023 la costruisce come rimedio obbligatorio e non derogabile dalle parti, pur ponendo il limite di operatività della clausola di revisione nell’intangibilità della “natura generale del contratto”. Ciò è sintomatico del fatto che, nel nuovo assetto normativo, il riequilibrio economico del contratto (di fronte a perturbazioni non prevedibili) non è riducibile a interesse “di parte”, ma ha la sostanza di un interesse generale.

È lecito dunque chiedersi quale sarà l’impatto di tale modifica sul riparto di giurisdizione.

Una prima via interpretativa potrebbe essere quella di ritenere che le clausole in questione non attribuiscano un vero e proprio diritto alla revisione dei prezzi, dando origine, piuttosto, all’interesse legittimo all’apertura di un procedimento tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante. Quest’ultima dovrebbe, dunque, valutare la sussistenza dei presupposti di legge per il relativo riconoscimento, con la conseguenza che un provvedimento che neghi la revisione andrebbe impugnato nei termini decadenziali, tanto più che l’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a. - non modificato dal nuovo Codice -, estende la giurisdizione esclusiva del G.A. alle controversie relative “alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, nonché [a] quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto”.

In proposito, si deve considerare che la giurisprudenza, nel vigore dei precedenti Codici, ha ricondotto le controversie in tema di revisione dei prezzi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a prescindere dal fatto che la contestazione riguardasse la spettanza della stessa o la determinazione del suo esatto importo.

In definitiva, assumendo la prospettiva appena illustrata, si potrebbe ritenere che, anche nell’assetto ora disegnato dall’art. 60 del d.lgs. n. 36/2023, la revisione dei prezzi segua un’attività di preventiva verifica dei presupposti che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del privato contraente.

Su posizioni contrarie si pone chi, viceversa, avverte che, essendo pressoché azzerati i margini di discrezionalità riconosciuti all’Amministrazione, la giurisdizione in materia dovrebbe trasferirsi al giudice ordinario. In particolare, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la regola della giurisdizione del G.A. incontra un limite se è in contestazione solo l’espletamento di una prestazione già puntualmente prevista nel contratto e disciplinata in ordine all’an e al quantum del corrispettivo, giacché, in tale evenienza, la controversia incardinata dall’appaltatore ai fini della percezione del compenso revisionale ha a oggetto una mera pretesa di adempimento contrattuale e, quindi, comporta l’accertamento dell’esistenza di un diritto soggettivo, che ricade nell’ambito della giurisdizione ordinaria.

Quanto alle modifiche consentite nel corso dell’esecuzione del contratto, secondo un orientamento, insisterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo sul diniego opposto dalla stazione appaltante a una richiesta dell’esecutore di approvazione di una variante. In altri termini, benché la pretesa dell’appaltatore originario all’effettuazione di lavori aggiuntivi in variante si collochi nella fase strettamente esecutiva del contratto, l’approvazione di siffatta variante involgerebbe pur sempre aspetti inerenti l’affidamento.

Secondo altro orientamento, invece, le varianti sarebbero comunque espressione di un potere privatistico della stazione appaltante attinente alla fase esecutiva dell’appalto, ovvero il cd. ius variandi; pertanto, il relativo contenzioso rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario.

A riprova del dibattito sul punto, si rileva che, di recente, il Consiglio di Stato, nel confermare che la stazione appaltante può provvedere alla modifica dei contratti durante il periodo della loro efficacia - allorché sopravvengano esigenze tali da incidere sulle modalità esecutive delle prestazioni oggetto del contratto e purché la variante non si sostanzi in una modificazione radicale del contratto, con conseguente alterazione della natura generale del contratto e connessa elusione della disciplina del Codice -, ha chiarito che quando la decisione della stazione appaltante di intervenire sulle modalità esecutive della prestazione sia stata assunta nella fase precedente alla stipula del contratto, opera la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Va, comunque, considerato che la più recente disciplina introdotta dal d.lgs. n. 36/2023 prevede anche un controllo pubblico esterno sulle varianti, ad opera dell’ANAC, con la conseguenza che l’impugnativa di eventuali atti dell’Autorità, che invitino ad annullare l’autorizzazione alla variante, rientrerà nella giurisdizione del G.A.. Pertanto, una soluzione opposta in relazione all’atto della stazione appaltante di autorizzazione alla variante determinerebbe un frazionamento delle pretese di fronte a plessi giurisdizionali diversi, di per sé contrario al principio di concentrazione delle tutele.

È opportuno, infine, soffermarsi sui risvolti in tema di giurisdizione delle posizioni assunte sulla questione della sorte del contratto in conseguenza dell’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione. Sul punto, per l’orientamento accreditato dall’Adunanza Plenaria n. 14 del 2014, maggioritario nella giurisprudenza amministrativa e condiviso in dottrina, il provvedimento di auto-annullamento dell’aggiudicazione comporterebbe la caducazione automatica dell’eventuale contratto già stipulato con l’aggiudicatario. La ragione dell’automatica e immediata perdita di efficacia del contratto risiederebbe nella stretta consequenzialità funzionale intercorrente tra il contratto medesimo e l’aggiudicazione, che del contratto costituisce l’indefettibile presupposto, tale che “simul stabunt, simul cadent”. Inoltre, muovendo dall’assunto secondo il quale l’atto di annullamento dell’aggiudicazione ha la stessa natura giuridica del procedimento di evidenza pubblica (ed è, pertanto, espressione dell’esercizio di un potere pubblicistico) e rimarcando la compresenza di un aspetto pubblico e privato nel rapporto fra P.A. e aggiudicatario, l’orientamento in esame afferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie concernenti l’annullamento in autotutela e le relative conseguenze sul contratto.

A sostegno di tale posizione viene richiamata la stessa previsione dell’art. 133 c.p.a., che, nell’estendere la giurisdizione esclusiva del G.A. alla dichiarazione di inefficacia del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione, non specifica la sede dell’annullamento e può, dunque, riferirsi sia all’annullamento giurisdizionale (la giurisdizione è costitutiva perché la sentenza risolve il contratto) sia all’annullamento in autotutela (la giurisdizione è dichiarativa perché la sentenza accerta la risoluzione già disposta dall’Amministrazione).