Cons. Stato, Sez. V, 16 settembre 2024, n. 7603
Non può essere dichiarato il carattere anomalo di un'offerta per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato indicato secondo valori in ipotesi inferiori rispetto a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali, essendo per converso consentiti scostamenti dalle voci di costo ivi riassunte, spettando alla stazione appaltante valutare se si tratti discostamenti talmente significativi e, comunque, del tutto ingiustificati, da poter compromettere la complessiva affidabilità dell'offerta e indurre ad un giudizio di anomalia della stessa.
La modalità di calcolo del costo della manodopera, funzionale alla verifica di anomalia, si compone di due operazioni principali: va dapprima stimato il costo medio effettivo (dividendo, cioè, la retribuzione lorda annuale per il numero di ore effettive di lavoro); successivamente, occorre moltiplicare tale valore medio per il numero totale delle ore lavorative offerte all'amministrazione (o da questa richieste), e cioè le ore effettivamente garantite per l'esecuzione della prestazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (omissis), proposto da
(omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9842190021, rappresentata e difesa dall'avvocato (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
(omissis), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma (omissis);
nei confronti
(omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. (omissis), resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di (omissis), nonché della società (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 luglio 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e viste le conclusioni come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana ha respinto il ricorso proposto dalla società (omissis) contro il Ministero (omissis), nonché nei confronti della società (omissis), per l’annullamento dell’aggiudicazione a quest’ultima del servizio di sicurezza con sorveglianza armata notturna della portineria di Bacco di Palazzo Pitti e Loggia dei Lanzi -Piazzale degli Uffizi, per un periodo di dodici mesi, con importo a base di gara di euro 449.680,00, da affidare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
1.1. Il tribunale – dato atto dei due motivi di ricorso e della resistenza del Ministero e della controinteressata – ha ritenuto infondati i motivi, trattati congiuntamente per ragioni di connessione oggettiva.
Dopo aver enunciato i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza in tema di valutazione dell’anomalia dell’offerta, ha evidenziato che “nel caso di specie le valutazioni effettuate dall’amministrazione, per il tramite della commissione di gara e del RUP, riportate nei verbali di valutazione dell’anomalia dell’offerta datati 19.09.2023 e 18.10.2023 (cfr. doc. 11 allegato al ricorso), non presentano, alla luce dei richiamati canoni ermeneutici individuati dalla giurisprudenza, i vizi lamentati nel ricorso”.
Quindi ha esaminato e respinto le singole censure, per le ragioni di cui si dirà nel prosieguo.
1.2. Le spese processuali sono state poste a carico della ricorrente.
2. (omissis) ha proposto appello con due motivi, il primo dei quali articolato in sei censure.
La società (omissis) si è costituita per resistere all’appello, riproponendo ex art. 101, comma 2, c.p.a. le eccezioni di inammissibilità del ricorso, già assorbite in primo grado.
Il Ministero (omissis) e (omissis) si sono costituiti con una memoria di mera forma.
2.1. All’udienza del (omissis) la causa è stata assegnata a sentenza, previo deposito di memorie e repliche delle parti private.
3. Col primo motivo di appello sono riproposte, in chiave critica rispetto alla decisione gravata, le censure del primo motivo di ricorso, concernenti l’omissione o la sottostima di voci di costo della commessa relative agli oneri della manodopera.
3.1. Con la prima censura (omessa quantificazione del costo del lavoro straordinario siccome necessario a coprire il monte ore dell’appalto) si è sostenuto che l’offerta dell’aggiudicataria non avrebbe quantificato il costo del lavoro straordinario necessario a coprire il monte ore dell’appalto. Nello specifico a fronte di 9,73 unità lavorative indicate in sede di giustificativi dell’offerta, di 20.551 complessive ore di appalto indicate nel capitolato (con divisore orario annuo pari a 2.112 ore) e 350,32 ore di straordinario medie annue lavorate da ciascuna unità, l’offerta dell’aggiudicataria non avrebbe tenuto in debita considerazione il maggior costo di tale tipologia oraria (pari al 30% sul valore base), omettendo un importo complessivo pari a euro 34.539,56 sul totale dell’importo offerto, a fronte di un utile quantificato nel modesto importo di € 1.662,28.
3.1.1. La decisione di rigetto si fonda sui seguenti passaggi motivazionali:
- è fallace il presupposto dell’impegno della controinteressata ad impiegare un numero prefissato di unità lavorative pari a 9,73, che la ricorrente ha desunto dai giustificativi presentati in sede di verifica di anomalia; invece né da tali giustificativi né dall’offerta sarebbe possibile desumere un corrispondente impegno;
- in particolare, il fatto che il capitolato rechi, all’art. 2, un numero prefissato di unità da adibire al servizio di vigilanza notturna non è indice di un impegno vincolante alle 9,73 unità di cui al ricorso, giacché anche a voler attribuire a ciascun turno superiore alle 7 ore giornaliere due unità lavorative (attribuzione comunque in eccesso) non si arriverebbe alla quantità media presa in considerazione nel ricorso;
- anche il fatto che l’offerta tecnica dell’aggiudicataria indichi un numero di guardie pari a 9 non può assurgere ad impegno contrattuale all’impiego contemporaneo di un tale numero di unità lavorative, giacché il dato indica il c.d. organico di gara, vale a dire la possibilità di poter attingere ad un numero di soggetti aventi determinate caratteristiche (di esperienza ultra quinquennale, di formazione adeguata) da adibire al servizio;
- l’impegno non è desumibile neanche dalle dichiarazioni, rese in sede di gara, in ordine al c.d. cambio appalto (in relazione alla clausola sociale di cui all’art. 12 del Capitolato), giacché da tale documento scaturisce una mera prospettiva di riassunzione (non garantita ma eventuale) di un massimo di 8 dipendenti già impiegati nel servizio (sul regime contrattuale ed orario dei quali nulla è dato sapere, cfr. doc. n.12 di parte resistente);
- anche nei giustificativi di gara (in particolare nei primi inviati in data 11.09.2023, cfr. doc. n. 9 di parte ricorrente) l’impresa aggiudicataria utilizza, nel calcolo del costo della manodopera, il numero di ore giornaliere presenti nel capitolato, che moltiplicate per il numero annuo complessivo, assommano a 20.551 senza mai fare riferimento ad un numero determinato di unità lavorative;
- il valore preso in considerazione nel ricorso (pari a 9,73 unità) è presente nei citati giustificativi ma al solo scopo di dimostrare la congruità degli oneri aziendali per la sicurezza. È un dato non originario ma desunto dal rapporto tra il monte ore complessivo da capitolato (pari a 20.551) ed il divisore (numero “teorico” annuo di ore impiegate per ciascun soggetto addetto, pari a 2.112);
- tale grandezza non esprime un dato reale in termini di “teste” impiegate nel servizio ma la forza lavoro espressa in Full Time Equivalent (FTE) che costituisce unità di misura oramai largamente utilizzata per proiettare il costo del lavoro rispetto ad un monte orario, indipendentemente dal numero di unità fisiche di personale impiegato e dalla tipologia di contratto ed impegno orario richiesto a ciascuna;
- nei secondi giustificativi, presentati l’11.10.2023 (cfr. doc. n. 10 allegato al ricorso), l’aggiudicataria fa riferimento ad una media di ore straordinarie lavorate dal proprio personale nell’anno 2022 (asseverando tale dato con una dichiarazione del proprio consulente del lavoro) al solo scopo di dimostrare la ragionevolezza del divisore utilizzato dall’impresa per il calcolo del costo orario nonché il rispetto del tetto massimo annuo di lavoro straordinario fissato dal CCNL, pari a 384 ore. Ciò è ben lontano dal costituire un impegno contrattuale o dall’evidenziare la strutturazione dell’offerta in termini di “teste” impiegate piuttosto che in termini di FTE.
3.1.2. L’appellante censura la sentenza riferendosi, in primo luogo, al testo dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria, nella quale è descritta l’organizzazione del servizio indicando in 9 g.p.g. l’<<organico impiegato nell’espletamento del servizio>>.
In ogni caso, secondo l’appellante, anche a voler tenere conto del piano di assorbimento del personale (8 g.p.g.) o del calcolo degli oneri della sicurezza (9 g.p.g.) o dei giustificativi (9,7 g.p.g.) o dell’impiego di due unità per ciascuno dei cinque turni di servizio (10 g.p.g.), il costo dello straordinario non sarebbe remunerabile con il residuo utile di € 1.662,28.
Secondo l’appellante la motivazione della sentenza non terrebbe conto dei seguenti elementi:
- l’asseverazione del consulente del lavoro che il dato aziendale è pari a 350 ore di lavoro straordinario per guardia giurata: se tale dato è utile per superare il dato tabellare, dovrebbe essere impiegato anche per comprovare quanto straordinario presta una g.p.g. della controinteressata;
- quanto affermato nel piano di assorbimento in merito al coefficiente di 2.112 ore comprensivo di straordinario;
- quanto dichiarato dalla difesa della stazione appaltante sul divisore orario, indicato dalla controinteressata nell’offerta, di 2.133 ore, di cui 350 di straordinario, nonché sul costo del monte orario di 1.782 di ore di lavoro ordinario (che restituirebbero un costo della manodopera di € 357.000 e un’offerta economica di € 370.000, mentre la controinteressata ha formulato un’offerta per € 315.000).
L’appellante aggiunge che la necessità di computare comunque il lavoro straordinario risulterebbe dal limite settimanale delle 40 ore del CCNL e dal numero di g.p.g. da impiegarsi (9,7) per 48 settimane lavorative annue.
Ancora, sarebbe inutilizzabile il divisore di 2.112 ore per identificare il numero di risorse da impiegare nell’appalto.
Infine, sarebbero errate:
- l’affermazione della sentenza secondo cui il costo lavorativo annuo presentato dall’aggiudicataria sarebbe di euro 31.032,51 per ciascuna unità lavorativa, superiore a quello presente nelle tabelle ministeriali (pari ad euro 30.857,60), perché sarebbe viziato dal mancato computo dei costi di straordinario;
- l’affermazione della sentenza secondo cui la ricorrente, evidenzia un costo orario di 17,12 euro, che “sarebbe del tutto allineato a quello risultante dall’offerta”, dato che quest’ultimo sarebbe stato invece pari all’importo di gran lunga inferiore pari a € 14,69.
3.1.3. La censura non merita di essere accolta.
Non risulta efficacemente smentito il presupposto giuridico e di fatto da cui ha preso le mosse il giudice di primo grado, vale a dire che: l’impresa aggiudicataria ha utilizzato, per il calcolo del costo della manodopera, il numero di ore giornaliere presenti nel capitolato; queste, moltiplicate per il numero annuo complessivo sono pari a 20.551; poiché non vi è l’indicazione del numero di lavoratori adibiti al servizio, manca la specificazione (rectius, la possibilità di specificare) il numero di ore di lavoro “straordinario” distinte dal numero di ore di lavoro “ordinario”.
Di qui la correttezza della conclusione, raggiunta in sentenza, secondo cui “risultano infondate le censure di parte ricorrente relative al mancato conteggio della maggiorazione dovuta per il lavoro straordinario che la stessa assume, senza però riuscire a provarlo, necessario per la copertura del servizio da parte dell’aggiudicataria”.
Invero, tutte le doglianze, anche così come riproposte in appello, presuppongono come dato necessario di partenza il numero di lavoratori impiegati nella commessa dalla società aggiudicataria: tuttavia, come detto, si tratta di un dato rimasto ignoto.
La ricorrente sostiene di poterne desumere l’entità (in un range compreso tra 8 e 10 lavoratori) da alcuni passaggi dell’offerta tecnica della società (omissis) ovvero dei giustificativi forniti nel sub procedimento di anomalia dell’offerta. Tuttavia, nessuno di tali passaggi o delle corrispondenti dichiarazioni contiene alcun impegno vincolante all’impiego di un numero determinato di lavoratori, essendo funzionali ad altri scopi, per le ragioni esposte nella sentenza di primo grado (sopra sintetizzate), che qui si confermano.
Ne consegue la correttezza dell’applicazione, nel caso di specie, della modalità di calcolo del costo della manodopera funzionale alla verifica di anomalia, così come, in generale, ricostruita dalla giurisprudenza, secondo cui tale calcolo “si compone di due operazioni principali: va dapprima stimato il costo medio effettivo (dividendo, cioè, la retribuzione lorda annuale per il numero di ore effettive di lavoro); successivamente, occorre moltiplicare tale valore medio per il numero totale delle ore lavorative offerte all'amministrazione (o da questa richieste), e cioè le ore effettivamente garantite per l'esecuzione della prestazione” (Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2023, n.9122).
Per come risulta dalla sentenza gravata, nel caso di specie, l’amministrazione ha chiesto all’impresa aggiudicataria di giustificare lo scostamento tra il costo orario presentato in offerta (pari a euro 14,69) e quello previsto (al mese di marzo 2016) dalle tabelle ministeriali di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 50 del 2016 (pari a euro 18,63 per il lavoro diurno e euro 19,55 per il lavoro notturno come da d.m. 21 marzo 2016, in vigore al momento di pubblicazione della gara).
Nel verbale di verifica della conformità dell’offerta successivo alle seconde giustificazioni si evidenzia che dai giustificativi presentati in sede di gara il costo lavorativo annuo presentato dall’aggiudicataria è pari ad euro 31.032,51 per ciascuna unità lavorativa, superiore a quello presente nelle tabelle ministeriali (pari a euro 30.857,60).
Si condivide l’affermazione del primo giudice secondo cui “tale ricostruzione è corretta e sintetizza un compiuto giudizio di congruità sul costo complessivo e sul costo orario offerto dalla aggiudicataria”.
Per come esposto in sentenza, il costo annuo relativo ad una unità di personale (di € 31.032,51) nei primi giustificativi era stato diviso per 2112 ore (cioè per tale numero di ore lavorate), così ottenendosi l’importo orario di € 14,69; dai secondi giustificativi risultano, poi, le ragioni per le quali è stato applicato detto divisore (che, essendo superiore a quello ministeriale, ha determinato il ribasso orario). Il divisore stato giustificato in quanto prossimo alle ore effettive lavorate dal personale della società (di 2133, 34), nonché di poco superiore al coefficiente di 2.076 di cui all’art. 115 del CCNL applicabile (sul punto non rinnovato), oltre che non troppo dissimile dal numero totale di ore teoriche delle tabelle ministeriali (2.128).
In base a tali giustificazioni non è irragionevole il giudizio di non anomalia espresso dalla stazione appaltante, malgrado lo scostamento dell’importo orario offerto rispetto a quelli tabellari, sulla base della giurisprudenza per la quale “non può essere dichiarato il carattere anomalo di un'offerta per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato indicato secondo valori in ipotesi inferiori rispetto a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali, essendo per converso consentiti scostamenti dalle voci di costo ivi riassunte, spettando alla stazione appaltante valutare se si tratti discostamenti talmente significativi e, comunque, del tutto ingiustificati, da poter compromettere la complessiva affidabilità dell'offerta e indurre ad un giudizio di anomalia della stessa” (Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 2023, n. 8356).
3.2. Con la seconda censura (omesso computo della componente salariale prescritta a titolo di “una tantum” dal rinnovo del c.c.n.l. vigilanza privata a far data dal 1° giugno 2023) si è sostenuto che l’aggiudicataria non avrebbe valorizzato l’indennità riconosciuta una tantum dal nuovo CCNL applicabile, pari ad euro 135,00 per ciascuna unità lavorativa (vale a dire euro 400,00 da erogarsi in 3 tranches: euro 135,00 a settembre 2023, euro 135,00 a settembre 2024 ed euro 130,00 a settembre 2025).
3.2.1. La decisione di rigetto ha evidenziato che (oltre a non conoscere il numero esatto di lavoratori impiegati nell’appalto) “la valorizzazione di tali somme risulta ininfluente, in considerazione del loro esiguo importo, agli scopi che qui interessano”.
3.2.2. L’appellante contesta tale conclusione, alla luce del numero (8 g.p.g.) di unità da assorbire nel cambio appalto e dell’importo modesto indicato come utile.
Precisa che, comunque, le tranches di € 135,00 da computare per lavoratore sarebbero due, e non una, come reputato dal tribunale.
3.2.3. La censura non è meritevole di accoglimento, considerato che, avendo l’appalto durata annuale (con decorrenza 22 novembre 2023), va corrisposta dall’aggiudicataria una sola rata dell’indennità in questione (settembre 2024), senza che possa rilevare il mancato pagamento della rata precedente (settembre 2023), quando ancora non era stata avviata l’esecuzione da parte di (omissis) s.p.a..
Ne consegue l’ininfluenza sulla sostenibilità dell’offerta dell’importo complessivo (riferito dalla stessa appellante alle otto unità di personale oggetto della clausola sociale).
Essendo la detta indennità una tantum l’unica voce del rinnovato CCNL che non sarebbe stata considerata nell’offerta (dato che nel ricorso introduttivo di Rangers non è detto di alcun altro incremento contrattuale derivante dal rinnovo del CCNL non considerato dall’aggiudicataria), sono irrilevanti (pure se condivisibili) i precedenti giurisprudenziali in tema di variazioni retributive ascrivibili all’adozione del nuovo CCNL, da computarsi ai fini del giudizio di anomalia dell’offerta, ancorché sopraggiunto alle offerte e diverso da quello tenuto in considerazione dall’amministrazione (cfr. Cons. Stato, V, n. 6652/23, id., n. 453/24 e id., 5659/24).
3.3. Con la terza censura (errata quantificazione delle indennità di lavoro domenicale e notturno ex art. 108 c.c.n.l. vigilanza privata) si è sostenuto che l’offerta recherebbe un’errata quantificazione del lavoro domenicale e notturno (che a norma del Capitolato di gara costituirebbero la regola) di cui all’art. 108 del CCNL applicabile, per un ammanco di euro 950,25 per lavoratore/mese (con riferimento al lavoro notturno) ed euro 180,35 (per il lavoro domenicale).
3.3.1. Il tribunale ha affermato che le indennità per i servizi prestati (per lavoro notturno e per lavoro festivo, corrispondenti a quelle riconosciute all’art. 108 del CCNL vigente al momento di indizione della gara) sono presenti nel computo effettuato dalla ricorrente: “in sede di prime giustificazioni, infatti, la stessa ha inserito nel computo del costo annuo lordo le due voci (Media Mensile Indennità Presenza e Media Mensile Indennità Domenicale, valorizzandole in 145,86 euro e 9,94 euro mensili). Tale conteggio del resto è in linea con quanto previsto nelle tabelle ministeriali che includono tali indennità nell’ambito dell’ordinario conteggio del costo orario (alle voci indennità relative ai servizi prestati ex art. 108 e Indennità di lavoro domenicale). La ricorrente lamenta il mancato conteggio di euro 929,17 annui (pari a 4,18 euro per 18,52 turni notturni, vale a dire a 77,41 euro mensili, seguendo la logica di conto presentata nel ricorso) per lavoro notturno e 180,35 euro annui per lavoro domenicale (pari a 0,71 indennità oraria di lavoro domenicale X 7 ore die X 36,29 domeniche lavorate nell’anno che, ridotte al mese e ipotizzando 4 domeniche per ciascun mese, ammonta ad euro 11,70). Al di là della trascurabilità di tali valori sugli importi dell’appalto, è palese pertanto che tali voci di costo siano state considerate dalla impresa aggiudicataria”.
3.3.2. L’appellante obietta di non avere dedotto l’omesso computo delle indennità, ma gli errori di calcolo che avrebbe commesso l’aggiudicataria, con una differenza tutt’altro che marginale poiché i costi aggiuntivi di euro 950,25 per lavoro notturno e 180,00 per quello domenicale varrebbero ad assorbire più della metà dell’utile di commessa.
3.3.3. La censura non merita accoglimento, per la sola considerazione che la stessa appellante riconosce che, tutt’al più, gli importi delle maggiorazioni che non sarebbero stati correttamente computati dall’aggiudicataria eroderebbero la metà dell’utile stimato.
In proposito, è sufficiente osservare che, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale l'offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi, invece, avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante (Cons. Stato, III, 17 giugno 2019, n. 4025 e id, V, 29 dicembre 2017 n. 6158).
3.4. Con la quarta censura (errata quantificazione delle componenti contributive INPS e INAIL) si è sostenuto che i giustificativi presentati dalla aggiudicataria recherebbero una quantificazione errata dell’incidenza degli oneri contributivi (componente INPS ad euro 7.148,72 anziché euro 6.314,00) ed assicurativi (componente INAIL ad euro 481,96 anziché euro 425,69).
3.4.1. Il tribunale ha osservato che in realtà dall’applicazione delle aliquote indicate nella tabella contenuta nel documento (30.11%, quota INPS; 2,03% quota INAIL) alla base imponibile data dal lordo retributivo comprensivo di 13° e 14° mensilità (pari per il periodo 1/6/2024 al 31/05/2025 a euro 20.969,78) si ottengono esattamente le cifre indicate dalla “ricorrente” (rectius, dall’aggiudicataria). In sintesi, applicando le aliquote dichiarate dalla controinteressata (in sé non contestate) alla base imponibile pure dalla medesima indicata, si giunge ai minori importi di cui ai giustificativi.
3.4.2. L’appellante ribadisce i dati di cui al primo grado, ma non offre significative argomentazioni in merito ai calcoli che - applicando dette aliquote - condurrebbero ai maggiori importi di cui al ricorso.
3.4.3. La mancata argomentazione in primo grado, cui corrisponde in appello l’assenza di contestazione specifica della motivazione resa dal primo giudice, rende la censura inammissibile per violazione dell’art. 101, comma 1, c.p.a..
3.5. Con la quinta censura (errata quantificazione di buoni pasto di cui all’art. 15 del Contratto Integrativo Provinciale Firenze Prato) si è sostenuto che i giustificativi presentati dall’aggiudicataria recherebbero una quantificazione mensile e non annuale dei buoni pasto, così come disciplinati dal Contratto Collettivo Integrativo Provinciale per i territori di Firenze e Prato.
3.5.1. Riguardo a tale voce, nella sentenza di primo grado si legge che la doglianza corrispondente “risulta semplicemente dedotta e non argomentata (non risulta infatti evidenziato alcun controvalore né una quantificazione annuale credibile tale da poter condurre il Collegio ad un giudizio di irragionevolezza o illogicità della valutazione di congruità dell’amministrazione, anche in considerazione del fatto che i valori proposti dall’aggiudicataria sono presentati come medi in ragione della propria realtà organizzativa)”.
3.5.2. L’appellante contesta l’argomentazione riportando quanto dedotto a pag. 15 del proprio ricorso introduttivo e sostenendo che da questo si evincerebbero: l’errore di calcolo dell’aggiudicataria (calcolo per un solo mese e non per un anno); dove si troverebbe l’errore (pag. 2 dei primi giustificativi); l’esatto valore indicato dal CIP (5 euro al giorno); il calcolo della differenza (€ 1.273,57).
Il costo omesso sarebbe pari a 0,52 euro/ora che, per 20.551 ore, sarebbe di ben 10.686,52 euro, senza che – contrariamente a quanto affermato dal tribunale – rilevi il dato aziendale.
3.5.3. La censura non merita di essere accolta, considerato che tale ultima deduzione è stata svolta per la prima volta in appello, essendo mancata del tutto in primo grado.
3.6. Con la sesta e ultima censura (sintesi del costo effettivo della manodopera e comprova dell’incongruità dell’offerta economica avversa) si è sostenuto che, includendo le voci non considerate o sottostimate, il costo orario ammonterebbe a euro 17,12 (secondo un prospetto riportato nel ricorso) a fronte dei 14,87 euro (vale a dire euro 14,69 cui sono aggiunti gli oneri aziendali per la sicurezza) offerti dall’aggiudicataria che, proiettati sull’intera commessa, porterebbero ad un maggior costo di euro 46.239,75.
3.6.1. L’appellante ripropone il calcolo in secondo grado, ribadendo che, al valore sopra indicato, occorrerebbe aggiungere anche altre componenti di costo (formazione, migliorie, costi generali e utile d’impresa), con conseguente insostenibilità della tariffa oraria di € 15,33.
3.6.2. La censura è smentita dalle argomentazioni sopra esposte in merito all’infondatezza dell’assunto dell’appellante circa l’incapienza del costo orario indicato nell’offerta dell’aggiudicataria.
3.7. Il primo motivo di gravame va quindi complessivamente respinto.
4. Col secondo motivo (Omessa documentazione del dato aziendale, difforme da quello tabellare ministeriale, del numero di ore annue mediamente lavorate) si ripropone la censura concernente il minor tasso di assenteismo prospettato nei giustificativi dell’aggiudicataria, in deroga al dato tabellare, mediante allegazione di apposita dichiarazione del consulente del lavoro.
L’appellante ne ribadisce l’inidoneità probatoria, come da giurisprudenza richiamata in ricorso.
4.1. Il motivo va respinto, considerato che il dato riportato in detta certificazione - peraltro prodotto solo come termine di paragone, dal momento che, come detto trattando della prima censura, la società aggiudicataria ha utilizzato un divisore per le ore annue mediamente lavorate inferiore al numero medio rilevato in ambito aziendale dal proprio consulente del lavoro - non è, in sé, specificamente contestato dall’appellante e comunque non appare palesemente inverosimile, tale quindi da inficiare manifestamente l’apprezzamento discrezionale della stazione appaltante.
5. L’appello va quindi respinto, restando perciò definitivamente assorbite le eccezioni di inammissibilità riproposte ex art. 101, comma 2, c.p.a..
6. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei rapporti tra l’appellante e la società (omissis).
Possono essere compensate nei rapporti col Ministero (omissis), considerata la costituzione solo formale dell’Avvocatura generale dello Stato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore della società (omissis), che liquida nell’importo complessivo di € 4000,00, oltre accessori come per legge. Compensa le spese tra l’appellante e le amministrazioni appellate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Con sentenza n. 7603/2024, la V Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata, ancora una volta, sul tema della presunta omissione o sottostima delle voci di costo della manodopera.
La decisione, a contenuto ricognitivo, assume, comunque, considerevole rilievo in ragione della apprezzabile sintesi dei diversificati principi, di derivazione giurisprudenziale, maturati sul tema.
L’iter argomentativo, caratterizzante il ricorso di primo grado, risulta incentrato sul ritenere anomala l’offerta dell’aggiudicataria giacché, anche in sede di cd. giustificativi, essa: a) non avrebbe quantificato il costo del lavoro straordinario necessario a coprire il monte ore dell’appalto; b) non avrebbe, altresì, tenuto in debita considerazione il maggior costo di tale tipologia oraria (e tanto) a fronte di un utile ritenuto oggettivamente modesto.
Il dictum di prime cure, avente segno contrario, si incentra, invece, sul seguente (e satisfattivo) iter motivazionale: “l’aggiudicataria (effettivamente – n.d.a.) fa riferimento ad una media di ore straordinarie lavorate dal proprio personale (ma tanto – n.d.a.) al solo scopo di dimostrare la ragionevolezza del divisore utilizzato per il calcolo del costo orario nonché il rispetto del tetto massimo annuo di lavoro straordinario fissato dal CCNL (…). Ciò – ad avviso del Giudice a quo (n.d.a.) – è ben lontano dal costituire un impegno contrattuale o dall’evidenziare la strutturazione dell’offerta in termini di teste impiegate”.
L’appellante introduce, di contro, una pluralità di censure così, essenzialmente, sintetizzabili:
a) non remunerabilità dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria giacché, anche a voler tenere conto dei giustificativi resi, essa recherebbe, in sé, un’incidenza del costo del lavoro straordinario oggettivamente non remunerabile con il residuo utile dichiarato;
b) incongruità del costo orario offerto che – includendo le ulteriori voci di costo (assunte come) non considerate o sottostimate (una tantum, lavoro domenicale e notturno, componenti contributive e buoni pasto) – risulterebbe, ad avviso dell’appellante, ben più elevato onde, quale logico corollario, la ritenuta anomalia dell’offerta.
Quanto alla prima doglianza (lavoro straordinario), il Consiglio di Stato, con la pronuncia in commento, preserva integralmente l’iter argomentativo del Giudice a quo, in virtù del quale (effettivamente) tutte le doglianze di parte ricorrente postulano, quale unico presupposto indefettibile, la conoscibilità del numero di lavoratori impiegati: trattasi, tuttavia, di un dato ignoto in atti giacché l’aggiudicataria ha (correttamente) utilizzato, per il calcolo del costo della manodopera, il numero di ore giornaliere presenti nel capitolato, moltiplicato per il numero annuo complessivo, sicché, mancando l’indicazione del numero di lavoratori adibiti al servizio, difetta la possibilità di specificare il numero di ore di lavoro “straordinario” distinte dal numero di ore di lavoro “ordinario”. Di qui la correttezza della conclusione, raggiunta in primo grado, secondo cui “risultano infondate le censure di parte ricorrente relative al mancato conteggio della maggiorazione dovuta per il lavoro straordinario che la stessa assume (come – n.d.a.) necessario per la copertura del servizio da parte dell’aggiudicataria”.
Quanto, invece, alle ulteriori voci di costo (assunte come) non considerate o sottostimate, il Collegio ne ritiene ora l’ininfluenza (voce salariale una tantum), ora la non condivisibilità (lavoro domenicale e notturno e componenti contributive) ora l’inammissibilità per mancata deduzione in primo grado (buoni pasto).
Il principio che, nella sostanza, la Sezione ribadisce è il seguente: “Non può essere dichiarato il carattere anomalo di un'offerta per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato indicato secondo valori in ipotesi inferiori rispetto a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali, essendo per converso consentiti scostamenti dalle voci di costo ivi riassunte, spettando alla stazione appaltante valutare se si tratti di scostamenti talmente significativi e, comunque, del tutto ingiustificati, da poter compromettere la complessiva affidabilità dell'offerta e indurre ad un giudizio di anomalia della stessa”.
La Sezione, per l’effetto, ha concluso per il rigetto dell’appello.