1. Il principio del favor partecipationis e la natura dei consorzi stabili; 2. Il generale divieto di partecipazione a più consorzi stabili previsto dall’art. 36 del D.lgs. n. 163/2006; 3. La mancata riproduzione del divieto nella normativa sopravvenuta ; 4. Il comunicato del Presidente dell’ANAC; 4.1 La possibile “permanenza” del divieto in ambito civilistico e contrattuale; 5. La tassatività delle cause di esclusione come faro interpretativo dirimente

1. Il principio del favor partecipationis e la natura dei consorzi stabili

La disciplina dei contratti pubblici, come noto, ha la finalità di consentire alle stazioni appaltanti di ricorrere al mercato con l’obiettivo di ottenere beni, servizi o lavori atti a garantire le specifiche esigenze di interesse pubblico.

La concorrenza fra operatori economici, pertanto, non rappresenta il fine perseguito, ma il mezzo attraverso il quale assicurare ai soggetti pubblici un prodotto già testato e risultato “appetibile” sul libero mercato.

Ciononostante, la massima partecipazione alle gare pubbliche rappresenta uno snodo fondamentale per raggiungere l’obiettivo concreto della singola procedura evidenziale. Del resto, la Direttiva 2014/24/UE più volte richiama il principio del favor partecipationis[1].

Il D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (di seguito anche il “Nuovo Codice”) sancisce il principio di massima partecipazione all’art. 10, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti devono tenere presente “l’interesse pubblico al più ampio numero di potenziali concorrenti e favorendo, purché sia compatibile con le prestazioni da acquisire e con l’esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica, l’accesso al mercato e la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese”.

La possibilità di ampliare la partecipazione alle gare pubbliche, tuttavia, non è attuata solamente attraverso la previsione, all’interno della lex specialis di gara, di requisiti attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto.

Essa è attuata anche con la possibilità di partecipare mediante aggregazioni fra più operatori economici. Fra questi, vi sono i consorzi stabili, la cui disciplina è prevista dall’art. 65, comma 2, lett. d, del D.lgs. n. 36/2023, e i cui requisiti sono:

  1. il requisito numerico, ossia la presenza di un numero minimo di tre consorziati;
  2. il requisito teleologico[2], ossia l’obiettivo di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici;
  3. il requisito temporale, ossia la volontà di operare per un periodo non inferiore a cinque anni;
  4. il requisito strutturale, ossia la sussistenza di una comune struttura di impresa.

Per costante giurisprudenza, i consorzi stabili sono definiti come soggetti dotati di un’autonomia giuridica ed economica, trattandosi, infatti, di una stabile struttura di impresa collettiva che “rimane distinta e autonoma rispetto alle aziende dei singoli imprenditori[3] ed è strutturata, come una vera e propria azienda, in modo da poter eseguire anche in proprio la commessa pubblica. Ciò, al punto da ammetterne la possibilità di ricorrere allo strumento del cumulo alla rinfusa[4].

Quanto sopra risulta tanto confermato se si riflette anche sul fatto che la natura dei consorzi stabili possa essere accertata in concreto e sulla base di una “ricostruzione sostanzialistica” in caso di mancata indicazione della medesima da parte del consorzio[5].

2. Il generale divieto di partecipazione a più consorzi stabili previsto dall’art. 36 del D.lgs. n. 163/2006

La natura dei consorzi stabili quali operatori economici dotati di autonomia giuridica (ed economica) distinta rispetto alle imprese consorziate, aveva condotto la disciplina previgente a introdurre alcune restrizioni. Ciò era avvenuto già mediante la c.d Legge Merloni[6].

Alla stregua della c.d. Legge Merloni, il D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 prevedeva, all’art. 36, comma 5, un duplice divieto.

Da un lato, era previsto il divieto di partecipazione dei consorzi strabili e delle singole consorziate alla medesima procedura di gara (con relativa applicazione dell’art. 353 del c.p. in materia di Turbata libertà degli incanti ed effetto escludente).

Dall’altro lato, era previsto un generale divieto di partecipazione a più di un consorzio stabile. Norma che, sotto un primo versante, non specificava gli effetti derivanti dalla violazione del precetto de quo e, sotto altro e secondo versante, sembrava esulare dalla normativa della contrattualistica pubblica, stricto sensu considerata.

Per quanto riguarda gli effetti derivanti dalla partecipazione da parte di un operatore economico a più di un consorzio stabile, diverse potevano essere le interpretazioni, più o meno, sostenibili. In particolare:

  1. secondo una prima angolazione di interpretazione letterale, poteva ritenersi che la plurima partecipazione a consorzi stabili potesse determinare l’esclusione del singolo consorziato, alla stregua del periodo precedente di cui all’art. 36, comma 5;
  2. sotto altra e diversa angolazione, sembrava potersi sussumere l’ipotesi di plurima partecipazione alla fattispecie di cui all’art. 353 del c.p.

Così, infatti, recitava il Consiglio di Stato, pur non essendo a tal uopo la sede più opportuna, nel 2012: “Ne consegue che, a parte il caso di violazione del divieto di plurima partecipazione (astrattamente ricompresa nella fattispecie penale indicata), è sufficiente, come avvenuto nel caso in esame, l’omissione della dichiarazione sulle consorziate per determinare l’esclusione dalla procedura[7];

  1. secondo un’ulteriore angolazione, poteva sostenersi, a monte, un obbligo dichiarativo di cui l’operatore risultava onerato e riguardante: (a) la partecipazione alla procedura di gara sia come impresa singola che come consorziata ad altro consorzio stabile ivi partecipante; (b) il rispetto del divieto di partecipazione plurima. L’obbligo dichiarativo veniva, infatti, ricollegato da una parte della giurisprudenza, anche in base all’eventuale richiamo ad opera della lex specialis di gara della norma di cui all’art. 36, comma 5, del D.lgs. n. 163/2006[8].

 

3. La mancata riproduzione del divieto nella normativa sopravvenuta

La figura giuridica dei consorzi stabili nella galassia della contrattualistica pubblica non ha goduto di stabilità nel tempo. Basti pensare alla norma di interpretazione autentica introdotta dall’art. 225, comma 13, del D.lgs. n. 36/2023, con riferimento all’art. 47 del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 in materia di cumulo alla rinfusa.

Se il mutamento della base normativa spesso genera incertezze, il D.lgs. n. 50/2016 non aveva replicato un simile divieto di partecipazione a più consorzi stabili, con ciò eliminando parte dei dubbi legati alla sussistenza di tale divieto e, soprattutto, ai suoi effetti.

L’art. 217 del D.lgs. n. 50/2016, prevedeva infatti l’abrogazione totale del D.lgs. n. 163/2006.

A tali conclusioni abrogative, infatti, era inoltre giunta una parte della giurisprudenza che affermava a chiare lettere l’insussistenza del divieto di cui trattasi.

Fra le sentenze, ad esempio si cita il Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 6 giugno 2022, n. 1844, confermato dal Cons. Giust. Amm. per la Regione Siciliana, 22 dicembre 2022, n. 1297, che ha espressamente ribadito l’abrogazione del citato divieto intervenuto ai sensi dell’art. 217 del D.lgs. n. 50/2016[9].

Secondo l’interpretazione del giudice di secondo grado siciliano, il divieto di partecipazione plurima non sarebbe più compatibile con la legislazione (pro tempore) vigente. Già la giurisprudenza europea aveva avuto modo di stabilire l’illegittimità di cause escludenti di consorzi le cui consorziate prendessero parte alla medesima procedura di gara[10]. Un divieto, per di più avente una portata più ampia, e oltreconfine rispetto alla disciplina della contrattualistica pubblica.

A quanto sopra, si aggiunga che l’avvento del D.lgs. n. 36/2023, in linea con quanto già disposto con il previgente impianto codicistico, non ha replicato un divieto avente una simile portata.

4. Il comunicato del Presidente dell’ANAC

A generare i dubbi sulla possibilità di partecipazione plurima ha, tuttavia, pensato l’Autorità Nazionale Anticorruzione. Il recente comunicato del Presidente ANAC, reso pubblico lo scorso 31 gennaio 2024, ha – in estrema sintesi – considerato che l’art. 36, comma 5, del D.lgs. n. 163/2006 sia transitato di Codice in Codice, fino ad arrivare alla sua permanente e odierna vigenza.

Tale Autorità ha stabilito che, nonostante il nuovo Codice non preveda un divieto dello stesso tenore della disposizione di cui all’art. 36, co. 5, del c.d. Codice de Lise, esso debba comunque “considerarsi permanente”.

Fra le ragioni che l’ANAC ha addotto al fine di motivare l’interpretazione restrittiva vi è in primo luogo la mancata adozione del regolamento governativo di cui all’art. 100, comma 4, del Nuovo Codice in materia di requisiti di ordine generale. Tale regolamento, una volta adottato, avrebbe dovuto disciplinare i requisiti di capacità tecnica e finanziaria anche dei consorzi stabili. Tale regolamento è richiamato infatti dall’art. 67, co. 2, e dal successivo co. 8, che stabilisce che fino alla data di entrata in vigore di detto regolamento “gli atti adottati dall’ANAC restano efficaci”. Alla luce di ciò, l’ANAC ritiene che siano ancora efficaci i Comunicati del Presidente, fra cui quello del 31 maggio 2016 in cui “è ribadito il divieto di partecipazione a più consorzi stabili”.

Pertanto, senza considerare l’effettivo dato normativo sopravvenuto (i.e., il D.lgs. n. 36/2023), il divieto di partecipazione plurima sarebbe di per sé sostenibile in virtù (o a causa) di una sorta di ultrattività di quanto regolato e statuito dall’ANAC nel tempo.

A tali argomentazioni, inoltre, se ne aggiungono di ulteriori.

Il Comunicato ANAC, infatti, adduce principi relativi alla natura giuridica dei consorzi stabili. Natura che sarebbe, in re ipsa, inconciliabile con la possibilità di partecipare a più consorzi stabili.

Fra questi, si possono citare, l’inconciliabilità della multi-partecipazione con il requisito teleologico e temporale, ossia l’impegno delle imprese consorziate di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per un periodo di tempo non inferiore al quinquennio. Ne desume l’ANAC che “appare quindi difficile concepire che tale vincolo (stabile, continuativo e afferente alla totalità delle risorse umane e strumentali dell’impresa), possa essere istituito in favore di più entità, senza che ciò ne pregiudichi l’effettività” (cfr. pag. 3 del comunicato ANAC). Diversamente, si andrebbe a svilire proprio l’elemento della stabilità che contraddistingue questa tipologia di consorzi.

Inoltre, l’adesione di un’impresa a più consorzi stabili determinerebbe una eccessiva spendita dei requisiti di partecipazione e qualificazione da parte di più soggetti ove, oltre al consorzio stabile e all’impresa consorziata, possano essere utilizzati i medesimi requisiti per partecipare ad un altro consorzio stabile.

Alla luce di quanto sopra, nonostante il divieto non sia replicato nel D.lgs. n. 36/2023, l’ANAC “ritiene che il divieto in questione debba considerarsi permanente”, in considerazione delle ragioni normative e di merito sopra evidenziate (cfr. pag. 2 del comunicato ANAC).

Ciò comporta una serie di dubbi applicativi in quanto, nonostante il comunicato dell’ANAC non debba considerarsi come cogente, assume certamente un effetto persuasivo e interpretativo cui potrebbe ricorrersi, ad esempio, sia in sede amministrativa che in sede pretoria[11].

4.1 La possibile “permanenza” del divieto in ambito civilistico e contrattuale

Oltre a quanto stabilito sul versante pubblicistico dall’ANAC, il divieto di partecipazione in più consorzi stabili potrebbe essere ritenuto, di fatto, come ancora applicabile sul versante civilistico.

Non di rado, infatti, anche sulla scorta di quanto legislativamente previsto nel 2006, gli atti costitutivi e gli statuti di consorzi stabili hanno previsto regole limitative in capo alle imprese aderenti.

Fra tali meccanismi limitativi, ad esempio, si possono citare:

  1. divieti tout court tali per cui gli operatori economici parti di un consorzio non possono partecipare in organizzazioni equipollenti e che, avendo il medesimo scopo perseguito, si pongano in diretta concorrenza con il consorzio cui originariamente si faceva parte;
  2. obblighi di autorizzazione da parte degli organi deliberativi del consorzio stabile, anche, eventualmente, mediante la votazione a maggioranza qualificata;
  3. obblighi di mera comunicazione-notizia, al fine di rendere edotto il consorzio di potenziali azioni delle imprese aderenti che si potessero porre in diretta concorrenza con il consorzio medesimo.

Le garanzie adottate in sede contrattuale/civilistica da parte di un consorzio si pongono tuttavia su di un piano diverso e distinto rispetto a quello pubblicistico che potrebbe, invece, condurre a sanzioni quali l’esclusione dalla gara d’appalto o la dichiarazione, in sede di gara, di partecipazione o meno a più consorzi stabili.

5. La tassatività delle cause di esclusione come faro interpretativo dirimente

I nodi generati dalle argomentazioni sostenute dall’ANAC nel comunicato del 31 gennaio 2024 potrebbero essere sciolti, tuttavia, attraverso un inquadramento sistematico delle disposizioni di cui al Nuovo Codice.

Infatti, l’articolo 10 del D.lgs. n. 36/2023 ha espressamente sancito la tassatività delle cause di esclusione in sede di gara pur non essendo quest’ultima imposta dalla Legge delega 21 giugno 2022, n. 78[12].

Il passo ulteriore percorso dal legislatore avrebbe dovuto evitare la sostenibilità di tesi suggestive che, ad ogni buon conto, contrastano con il dato normativo e gettano un’ombra di incertezza sulle modalità partecipative alle gare pubbliche.

Tra l’altro, la tesi della eccessiva spendita dei requisiti da parte di imprese che intendano aderire a più di un consorzio stabile si pone in una chiave intrinsecamente distonica rispetto: (i) alla giurisprudenza che, proprio in riferimento ai consorzi stabili, ne ha ammesso il cumulo alla rinfusa (sia in chiave ‘ascendente’ che ‘discendente’); (ii) allo stesso comunicato dell’ANAC che, solo dopo molteplici interventi giurisprudenziali, ha finalmente ammesso l’istituto del cumulo alla rinfusa, come interpretato dai tribunali amministrativi, a cui si era originariamente (e sistematicamente) opposta.

Dovrebbe pertanto prevalere l’indirizzo di quella giurisprudenza amministrativa secondo la quale “non possono farsi rivivere limiti di partecipazione e cause automatiche di esclusione dalle procedure pubbliche che si porrebbero in contrasto con il diritto dell’Unione europea[13] nonché con il nuovo impianto evidenziale legislativamente previsto. Ma a tale ipotetica (e auspicabile) prevalenza argomentativa, solo la prassi saprà dare una risposta certa.


[1] Ne è prova il primo considerando della Direttiva 2014/24/UE, ove si afferma che “L’aggiudicazione degli appalti pubblici da o per conto di autorità degli Stati membri deve rispettare i principi del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici con valore superiore a una certa soglia è opportuno elaborare disposizioni per coordinare le procedure nazionali di aggiudicazione degli appalti in modo da garantire che a tali principi sia dato effetto pratico e che gli appalti pubblici siano aperti alla concorrenza”.

[2] Sul requisito teleologico si veda anche Cons. St., Sez. V, 4 marzo 2024, n. 2118 nella parte in cui si afferma che “teleologico, costituito dalla sua astratta idoneità a realizzare un’autonoma struttura di impresa, capace di eseguire, anche in proprio, ovvero senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali consorziate, le prestazioni previste nel contratto”.

[3] Tar Campania, Napoli, Sez. I, 22 novembre 2023, n. 6867.

[4] Da ultimo, Cons. St., Sez. VII, 11 aprile 2024, n. 3332. Si veda anche Cons. St., Sez. V, 29 settembre 2023, n. 8592 che ha affermato che i consorzi stabili rappresentano una figura giuridica a metà strada tra le associazioni temporanee di imprese e gli organismi societari risultanti da operazioni di fusione. Inoltre, il rapporto che si instaura fra consorzi stabili e le singole imprese consorziate che ne rimangono giuridicamente distinte, non è configurabile alla stregua di un rapporto di mandato.

L’evidente elemento discretivo fra consorzi stabili e imprese consorziate trova inoltre cittadinanza nella comune struttura di impresa, che viene istituita al fine di perseguire l’obiettivo di operare in modo congiunto in un dato arco temporale, almeno quinquennale (così Cons. St., Sez. V, n. 8592/2023, Cons. St., Sez. V, 27 novembre 2023, n. 10144, nonché Cons. St., Ad. Plen., 18 marzo 2021, n. 5).

[5] L’accertamento della natura del consorzio può infatti avvenire in concreto anche in sede giurisdizionale. Si veda, sul punto, Cons. St., Sez. V, 28 maggio 2024, n. 4761. Sulla verifica dei requisiti secondo una ricostruzione sostanzialistica, si veda anche Tar Campania, Salerno, Sez. I, 12 marzo 2024, n. 639.

[6] L’art. 17 della Legge 11 febbraio 1994, n. 109, con riferimento alle prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, prevedeva la figura giuridica dei consorzi stabili. In particolare, la lett. g-bis, prevedeva, analogamente al successivo Codice del 2006, “È vietata la partecipazione a più di un consorzio stabile”.

[7] Cons. St., Sez. V, 2 ottobre 2012, n. 5171.

[8] Cfr. sul punto Tar Sicilia, Catania, Sez. IV, 13 dicembre 2010, n. 4716; richiamata dal Tar Molise, Campobasso, Sez. I, 16 novembre 2011, n. 743.

[9]Osserva il Collegio che tale tema risulta, ormai, irrilevante posto che è indubbio che il divieto contenuto all’art. 36, comma 5, d.lgs. n. 163/2006 non sia più vigente neanche per i consorzi stabili”.

[10] Si v. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, C-376/78, causa Serrantoni, secondo cui osta alla normativa europea una disposizione che vieti la compartecipazione simultanea alla medesima procedura di gara da parte di un consorzio e, correlativamente, delle sue consorziate. Sarebbe, infatti, illegittimo presumere un’interferenza reciproca tale da ‘danneggiare’ la competizione nell’ambito della procedura evidenziale.

[11] Cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. III, 17 maggio 2024, n. 9871 che ha richiamato il comunicato ANAC per interpretare la portata dell’art. 225 del Nuovo Codice in materia di cumulo alla rinfusa specificamente applicato agli appalti di lavori.

[12] Si noti sul punto che anche la Legge delega al Codice, del 21 giugno 2022, n. 78 non imponeva una tassatività a tutti i costi delle cause di esclusione (cfr. art. 1, comma 2, lett. n, ove si prevede che “la razionalizzazione e semplificazione delle cause di esclusione, al fine di rendere le regole di partecipazione chiare e certe, individuando le fattispecie che configurano l’illecito professionale di cui all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014”). Tuttavia, la tesi della tassatività delle cause di esclusione era stata originariamente prevista in sede pretoria.

[13]Cons. Giust. Amm. per la Regione Siciliana n. 1297/2022.