Cons. Stato, Sez. IV, 3 settembre 2024, n. 7361

La qualificazione giuridica operata dal T.a.r. del potere esercitato dalla stazione appaltante è condivisa dal Collegio. Non viene infatti in rilievo un potere di rivalutazione dell’interesse pubblico originario o di fatti e interessi sopravvenuti bensì di accertamento del possesso dei requisiti di partecipazione che, in caso di esito negativo, impedisce al provvedimento di aggiudicazione adottato, già perfetto negli elementi costitutivi della fattispecie sebbene inefficace, di produrre effetti.

Così ricostruita la natura e la finalità del potere esercitato – che non è dunque volto alla ponderazione di interessi pubblici e privati, come accade nelle ipotesi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, bensì all’accertamento del possesso dei requisiti prescritti dalla legge per l’efficacia della aggiudicazione – ne discende che merita di essere condivisa anche l’ulteriore affermazione del T.a.r. secondo cui lo stesso avrebbe natura vincolata.

Ferma la necessaria valutazione discrezionale della stazione appaltante, il grave illecito professionale ricomprende ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica di natura civile, penale o amministrativa e non prevede un numero chiuso di gravi illeciti professionali.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1533 del 2020, proposto dalla società -OMISSIS- S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG (...), rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Maria Caianiello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via E. Q. Visconti n.11;

contro

Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato William Esposito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2024 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con decreto del Provveditore Interregionale per le OO.PP. Campania-Puglia-Molise-Basilicata n. 495 del 14 ottobre 2019 n. 23329 la -OMISSIS- s.p.a. veniva dichiarata aggiudicataria della procedura di gara per l'affidamento triennale del servizio di smaltimento del multimateriale identificato con codice CER 15.01.06 proveniente dall'attività di raccolta differenziata dei rifiuti relativamente al Comune di -OMISSIS-.

2. Successivamente, il predetto Comune, nelle more della stipula del contratto, essendo venuto a conoscenza da organi di stampa dell'adozione di una misura interdittiva all'esercizio dell'attività di impresa nei confronti del precedente amministratore ed assumendo si fosse pertanto verificata una sopravvenuta perdita dei requisiti di cui all'art. 80, quinto comma, lettera c) del D.Lgs. n. 50 del 2016, ossia la commissione di un grave illecito professionale, con determina dirigenziale n. 135 del 23 dicembre 2019 disponeva la revoca dell'aggiudicazione in quanto "nel caso di specie, il provvedimento adottato dal Tribunale di Napoli Nord, recante interdittiva ai sensi dell'art. 290 c.p.p., fa riferimento a gravi indizi di colpevolezza, per avere l'impresa, in aperta violazione di specifiche disposizioni impartite dall'autorità amministrativa, riguardanti le modalità di stoccaggio e trattamento dei rifiuti, cagionato il 25.07.2018, un incendio di vaste proporzioni e di notevole durata, arrecando immissioni nocive in atmosfera, da cui sono derivati disagio ed allarme sanitario per le comunità dei paesi adiacenti e limitrofi al luogo dell'incidente, come anche ampiamente testimoniato dai mezzi di informazione locali e nazionali".

3. La determina veniva impugnata con ricorso al T.a.r. per la Campania che, con sentenza n. -OMISSIS-, respingeva il ricorso per le seguenti motivazioni:

- l'impugnata determina n. 135 del 23 dicembre 2019 deve essere qualificata, non già come manifestazione del potere di revoca ai sensi dell'art. 21 - quinquies della L. n. 241 del 1990, quanto come provvedimento di decadenza dalla posizione di aggiudicatario della società ricorrente, fondato esclusivamente sul presupposto della "sopravvenuta carenza dei requisiti soggettivi di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50 del 2016", integrando piuttosto una vincolante fattispecie decadenziale, nel cui ambito non sono configurabili quei presupposti di esercizio del potere di secondo grado (sopravvenienza di elementi di fatto o di interesse pubblico o la rivalutazione dell'interesse originario) di cui la società ricorrente lamenta l'assenza nella fattispecie in scrutinio;

- quanto alla doglianza afferente alla non riconducibilità del rilevato grave illecito professionale ad una vicenda di esecuzione di un contratto pubblico, l'attuale configurazione della disposizione di cui all'art. 80, comma 5, lettera c) del D.Lgs. 15 aprile 2016, n. 16, non impone che il fatto costitutivo dell'illecito debba essere necessariamente riconducibile ad un rapporto contrattuale con un soggetto pubblico, ben potendo derivare da fatti di natura organizzativa o dallo svolgimento di altre tipologie di attività comunque imputabili al concorrente, anche riferibili a rapporti contrattuali di natura privata;

- riteneva infine ragionevole la decisione della stazione appaltante di qualificare come grave illecito professionale la vicenda che aveva condotto all'applicazione della misura interdittiva, emergendo gravi responsabilità dell'impresa, ed in particolare dell'intera struttura organizzativa, sia tecnica che

gestionale.

4. Avverso tale sentenza ha interposto appello la -OMISSIS- s.p.a. per chiederne la riforma in quanto errata in diritto.

5. Si è costituito in giudizio il Comune di -OMISSIS- per resistere all'appello, concludendo per la sua reiezione nel merito.

6. Con ordinanza n. -OMISSIS- è stata respinta la domanda di sospensione degli effetti della sentenza appellata con la seguente motivazione: "Ritenuto che le ragioni indicate dall'Amministrazione per l'adozione del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione appaiono giustificate soprattutto con riferimento alle gravi disfunzioni dell'apparato organizzativo dell'impresa ed alle misure interdittive adottate dal Tribunale di Napoli;…..".

7. Alla udienza pubblica del 15 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie conclusive con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive.

8. Tanto premesso, con un unico complesso motivo di censura la appellante ha dedotto: "error in judicando in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 50 del 2016 smi - violazione della L. n. 241 del 1990 smi smi - eccesso di potere - inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto - sviamento - illogicità manifesta - violazione del giusto procedimento - difetto di istruttoria e di motivazione - inesistenza dei presupposti".

Lamenta, in particolare, la erroneità della sentenza sulla scorta delle seguenti deduzioni difensive:

a) il primo giudicante avrebbe erroneamente dichiarato l'automatismo tra il presunto illecito e la carenza di affidabilità dell'operatore economico laddove nel caso di specie il giudizio sulla affidabilità sarebbe connotato da ampia discrezionalità;

b) avrebbe omesso di considerare la persistenza dei requisiti soggettivi richiesti per la partecipazione alla gara di cui è causa, atteso che durante la procedura di aggiudicazione ancora non era intervenuta la misura interdittiva adottata dal Tribunale di Napoli Nord nei confronti del Sig. -OMISSIS-, mentre successivamente, quest'ultimo, quale amministratore delegato dell'impresa, era stato sostituito con altro soggetto; inoltre nel periodo intercorrente tra il passaggio in decisione del ricorso (28 gennaio 2020) e la pubblicazione della sentenza appellata (3 febbraio 2020), il Tribunale del Riesame di Napoli, investito dell'impugnazione della misura interdittiva adottata dal Tribunale di Napoli Nord nei confronti del Sig. -OMISSIS-, ex art. 290 c.p.p., depositava, in data 31.01.2020, dispositivo di revoca della misura cautelare, con riserva di successivo deposito della motivazione;

c) i requisiti soggettivi di partecipazione sussisterebbero anche in capo alla società in quanto in possesso di Autorizzazione Integrata Ambientale, e, comunque, in procinto di conseguire l'AUA, che le consentirebbe di operare su un quantitativo di rifiuti cinque volte superiore al volume attuale;

d) in ogni caso le contestazioni mosse dalla stazione appaltante non integrerebbero la figura di "illecito professionale" tale da provocare la revoca dell'aggiudicazione, non avendo alcun collegamento con vicende contrattuali pregresse, né potendo assumerne i contorni;

e) ribadisce di essere estranea ai fatti delittuosi contestati, che non possono riferirsi né al -OMISSIS-, né all'impresa, atteso che l'incendio divampato presso la propria struttura sarebbe stato cagionato da terzi;

f) sottolinea che la stazione appaltante era già a conoscenza dell'episodio da cui muovono le censurate contestazioni al momento dell'aggiudicazione, ribadendo, ancora una volta che tali circostanze sarebbero ininfluenti ai fini dell'affidabilità dell'impresa ex art. 80 del D.Lgs. n. 50 del 2016;

g) ribadisce la insussistenza, nel caso di specie, dei presupposti previsti dall'art. 21 - quinquies della L. n. 241 del 1990 per disporre la revoca dell'aggiudicazione.

9. Le richiamate argomentazioni sono tutte infondate per le seguenti motivazioni che seguono un diverso ordine di esposizione ritenuto dal Collegio più efficace.

9.1. La qualificazione giuridica operata dal T.a.r. del potere esercitato dalla stazione appaltante è condivisa dal Collegio. Non viene infatti in rilievo un potere di rivalutazione dell'interesse pubblico originario o di fatti e interessi sopravvenuti bensì di accertamento del possesso dei requisiti di partecipazione che, in caso di esito negativo, impedisce al provvedimento di aggiudicazione adottato, già perfetto negli elementi costitutivi della fattispecie sebbene inefficace, di produrre effetti.

Si tratta, in definitiva, di un provvedimento ascrivibile al genus della revoca-decadenza (termine coniato dalla giurisprudenza per descrivere l'estinzione del rapporto concessorio conseguente alla "revoca" del provvedimento, in ipotesi di inadempimento della convenzione accessiva) con il quale viene rimosso il provvedimento di aggiudicazione, formalmente adottato sebbene inefficace, una volta accertata la carenza dei presupposti di legge richiesti per la sua efficacia.

Una tale ricostruzione della fattispecie scaturisce dal chiaro disposto dell'art. 32, commi 6 e 7 del D.Lgs. n. 50 del 2016 a mente dei quali: "6. L'aggiudicazione non equivale ad accettazione dell'offerta. L'offerta dell'aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 8. 7. L'aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti.".

Ne discende che le censure relative alla insussistenza dei presupposti di esercizio del potere ai sensi dell'art. 21 - quinquies della L. n. 241 del 1990 sono tutte infondate in quanto inconferenti rispetto ai caratteri del potere esercitato.

Così ricostruita la natura e la finalità del potere esercitato - che non è dunque volto alla ponderazione di interessi pubblici e privati, come accade nelle ipotesi dell'art. 21 - quinquies della L. n. 241 del 1990, bensì all'accertamento del possesso dei requisiti prescritti dalla legge per l'efficacia della aggiudicazione - ne discende che merita di essere condivisa anche l'ulteriore affermazione del T.a.r. secondo cui lo stesso avrebbe natura vincolata.

Tale conclusione è contestata dall'appellante che fa leva sulla indeterminatezza del concetto di "grave illecito professionale" rimesso, a suo dire, ad un apprezzamento discrezionale della stazione appaltante.

Premesso che la questione appare irrilevante ai fini del decidere, la tesi propugnata è comunque infondata poiché il concetto di "grave illecito professionale" è in realtà un "concetto giuridico indeterminato", una fattispecie aperta che consente di sussumere nella stessa una casistica non determinata a priori, ma, a rigore, non implica esercizio di un potere discrezionale in senso proprio, inteso come ponderazione comparativa di interessi.

Che il procedimento di sussunzione del fatto nella fattispecie attenga alla interpretazione della norma piuttosto che alla discrezionalità amministrativa è questione di teoria generale controversa che non richiede di essere approfondita in questa sede.

Rileva, piuttosto, che si tratta, in ogni caso, di un procedimento logico di sussunzione e non di ponderazione comparativa di interessi, come nell'art. 21 - quinquies, e soprattutto la circostanza che, allorquando la stazione appaltante abbia ritenuto sussistente, in concreto, una simile fattispecie, il provvedimento di revoca-decadenza dell'aggiudicazione è atto sicuramente vincolato - come confermato dall'incipit dell'art. 80, comma 1 ("Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni…") e in questo senso deve essere intesa l'affermazione del T.a.r..

Merita pertanto conferma il passaggio motivazionale della sentenza dove si afferma che "l'impugnata Det. n. 135 del 23 dicembre 2019 deve essere qualificata, non già come manifestazione del potere di revoca, quanto come provvedimento di decadenza dalla posizione di aggiudicatario da parte della società ricorrente; invero, nonostante l'amministrazione avesse fatto espresso richiamo all'istituto della revoca, in realtà il provvedimento impugnato è fondato esclusivamente sul presupposto della "sopravvenuta carenza dei requisiti soggettivi di cui all'art.80, 5 comma, lett.c) D.Lgs. n. 50 del 2016", integrando piuttosto una vincolante fattispecie decadenziale, nel cui ambito non sono configurabili quei presupposti di esercizio del potere di secondo grado di cui la società ricorrente lamenta l'assenza nella fattispecie in scrutinio".

9.2) L'appellante lamenta che il grave illecito professionale dovrebbe comunque essere riconducibile ad accadimenti o condotte occorsi nell'ambito dell'esecuzione di contratti. Il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere tale collegamento irrilevante o comunque nel ritenere rilevanti anche accadimenti occorsi nella esecuzione di contratti privati.

Il motivo è infondato poiché l'art. 50, lettera c) - nella riformulazione introdotta dall'art. 5 del D.L. n. 135 del 2018, convertito nella L. n. 12 del 2019 - ("la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità;") non richiede un siffatto collegamento che caratterizza invece la distinta ipotesi di cui alla lettera c) ter secondo cui le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni "l'operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa;".

A maggior ragione non rileva che la condotta sintomatica sia emersa nell'ambito dell'esecuzione di un contratto pubblico piuttosto che privato.

E' stato infatti chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio che la nozione di grave illecito professionale di cui alla citata disposizione, "ferma la necessaria valutazione discrezionale della stazione appaltante, ricomprende ogni condotta, collegata all'esercizio dell'attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica di natura civile, penale o amministrativa e non prevede un numero chiuso di gravi illeciti professionali" (cfr. altresì Consiglio di Stato, sez. IV, 16 gennaio 2023, n. 503).

Deve pertanto essere corretta la motivazione del T.a.r. (che invece afferma la necessità della genesi contrattuale della condotta sintomatica dell'illecito professionale, a prescindere dalla natura pubblica o privata del contratto) nella parte in cui ha ritenuto che: "l'attuale configurazione della disposizione di cui all'art. 80, comma 5, lettera c) del D.Lgs. 15 aprile 2016, n. 16, non impone affatto che il fatto costitutivo dell'illecito debba essere forzatamente riconducibile ad un rapporto contrattuale con una soggetto pubblico, ben potendo derivare da fatti di natura organizzativa o dallo svolgimento di altre tipologie di attività comunque imputabili al concorrente, fossero anche riferibili a rapporti contrattuali di natura privata; ciò è possibile inferire dal tenore della norma in argomento secondo cui va disposta l'esclusione del concorrente ove "…c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità"; nessuna limitazione tipologia esiste in merito alla individuazione dell'illecito professionale che così il legislatore intende rimettere al prudente apprezzamento della stazione appaltante (T.A.R. Lazio Roma , sez. III , 14 agosto 2019 n. 10533); d'altra parte una simile lettura della norma, soffrirebbe dell'obiezione per cui ciò che conta è l'affidabilità del concorrente come impresa in sé, connotazione che ben potrebbe essere messa in discussione da fatti ed evenienze di origine differente dall'area di esecuzione di un contratto pubblico".

9.3) Deduce l'appellante che, nel caso in questione, a differenza di quanto sostenuto dal T.a.r., non sarebbero venuti meno i requisiti c.d. soggettivi di partecipazione dal momento che gli stessi erano presenti al momento di presentazione della domanda, in quanto il vecchio amministratore non era stato ancora interdetto e, ancora sussistenti, al momento dell'adozione della revoca, attesa la sostituzione dell'amministratore con altro soggetto idoneo a ricoprire l'incarico.

La tesi per cui i requisiti soggettivi di partecipazione non sarebbero venuti meno, stante la intervenuta sostituzione dell'amministratore al momento della adozione del provvedimento di revoca-decadenza è infondata poiché nel caso di specie la condotta che integra il grave illecito professionale è stata ascritta dal provvedimento impugnato all' "operatore economico" e non al legale rappresentante, in linea con quanto previsto dall'art. 80, comma 1, lett. c) ("la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità").

L'illecito professionale resta dunque fermo nonostante la sostituzione del legale rappresentante.

La stessa misura interdittiva è stata applicata al signor -OMISSIS- nella sua qualità di legale rappresentante della -OMISSIS- s.p.a. sicchè le condotte omissive contestate sono in realtà tutte riferibili all'operato economico in forza del c.d. rapporto organico.

Non rileva la misura interdittiva in sè e per sè, quanto i fatti materiali enunciati a fondamento della stessa, ritenuti sintomatici di una condotta negligente ed imperita nella gestione della fase di stoccaggio, riferibile direttamente all'operatore economico.

Le Linee Guida ANAC n. 6 di attuazione del D.Lgs. n. 50 del 2016 (approvate con deliberazione 16 novembre 2016, n°1293) al 3.1 ribadiscono quest'ultimo principio affermando che "I gravi illeciti professionali assumono rilevanza ai fini dell'esclusione dalla gara quando sono riferiti direttamente all'operatore economico o ai soggetti individuati dall'art. 80, comma 3, del Codice".

Ne discende la irrilevanza della disciplina di cui all'art. 80, comma 3 del D.Lgs. n. 50 del 2016 invocata dall'appellante che disciplina le ipotesi in cui la sentenza di condanna, il decreto penale o la misura interdittiva a carico delle persone fisiche preposte agli organi di governo di imprese o società possa ritenersi idonea a comportare l'esclusione dell'operatore economico, poiché nella specie vengono in rilievo fatti riferibili direttamente alla compagine societaria ed alla sua organizzazione interna, accertati nell'ambito del procedimento penale avviato, successivamente conosciuti e valutati dalla stazione appaltante attraverso la motivazione della misura cautelare, le cui risultanze possono pacificamente essere utilizzate dall'autorità amministrativa nell'ambito dei propri poteri di verifica, alla stregua di prove c.d. atipiche.

La giurisprudenza di questo Consiglio ha chiarito che "l'art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 50 del 2016 riserva all'amministrazione un ampio potere discrezionale anche nell'individuazione degli strumenti probatori della specifica causa di esclusione rilevata" (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2726 del 15 marzo 2023).

Inoltre non rileva che il provvedimento interdittivo adottato dal Tribunale di Napoli Nord sia stato successivamente revocato dal Tribunale del Riesame atteso che la misura si fonda sulla accertata insussistenza delle esigenze cautelari e non già in conseguenza di una diversa interpretazione dei fatti di causa, come ricostruiti dall'ordinanza adottata il 30.11.2019.

9.4) Da altre angolazione l'appellante evidenzia il persistere dei requisiti soggettivi di partecipazione in capo alla società in quanto in possesso della Autorizzazione Integrata Ambientale, e, comunque, in procinto di conseguire l'AUA.

Il motivo è infondato poiché il possesso delle autorizzazioni amministrative necessarie all'esercizio dell'attività d'impresa non esclude che l'operatore economico possa rendersi responsabile di gravi illeciti professionali, come accaduto nel caso di specie in conseguenza della violazione di specifiche prescrizioni imposte dalle autorità di controllo circa le modalità dello stoccaggio dei rifiuti.

9.5) L'appellante lamenta infine che i fatti contestati non integrerebbero un grave illecito professionale e comunque non sarebbero tali da rendere dubbia la propria affidabilità, anche perché l'incendio non sarebbe stato causato dalla società.

Il motivo è infondato dovendosi concordare con il giudizio espresso dal T.a.r. "di non manifesta irragionevolezza della valutazione in proposito compiuta dalla stazione appaltante" per avere l'appellante violato specifiche disposizioni amministrative, riguardanti le modalità di stoccaggio e trattamento dei rifiuti, cagionando un vasto e persistente incendio, con produzione di immissioni nocive in atmosfera, anche a danno delle popolazioni limitrofe (si rinvia sul punto alle motivazioni della misura interdittiva ed a quella del Tribunale del riesame che conferma la dinamica dei fatti, in un contesto di negligenza ed imperizia organizzativa).

E' vero che anche il Tribunale del riesame, nel confermare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, ha escluso che l'incendio sia stato direttamente causato dall'appellante (non potendosi escludere una ipotesi di autocombustione) ma è altrettanto vero che anche il predetto giudice ha confermato l'ipotesi del concorso mediante condotta omissiva dell'appellante per avere omesso di adottare cautele generiche e soprattutto di attuare le prescrizioni impartite dalla autorità di controllo in ordine alla quantità massima di rifiuti da stoccare, identificata dal perito della Procura come una delle cause che ha reso possibile il propagarsi violento dell'incendio (cfr. ultimo paragrafo p. 3 ordinanza di riesame del 24 febbraio 2020); tali omissioni restano come fatto storico e non possono ritenersi superate dal successivo provvedimento di dissequestro dell'area oggetto dell'episodio incendiario e dalla conseguente autorizzazione inerente alla ripresa dell'attività né tanto meno dal decreto di revisione dell'AIA (cfr. D.Dirig. n. 69 del 12 marzo 2020) che conferma piuttosto, nelle prescrizioni impartite, l'esistenza di criticità non secondarie nella gestione dell'impianto di stoccaggio, come evidenziato anche dal Comune appellato nella memoria conclusiva depositata il 15 gennaio 2024.

In particolare si richiamano, a conferma, le seguenti prescrizioni contenute nel decreto di revisione dell'AIA del 12 marzo 2020:

n. 10 "che la Società assolva tutti gli adempimenti in tema di prevenzione incendi ed, entro sei mesi dalla data del presente provvedimento, adegui l'impianto al progetto autorizzato in Conferenza di Servizi, ai sensi della DGR 223/2019, dandone comunicazione, mediante perizia giurata a firma di tecnico abilitato, a questa UOD, all'ARPAC, al Comune di Caivano (NA) e alla Città Metropolitana di Napoli. In merito non potranno essere concesse proroghe e l'inadempimento alla presente prescrizione, entro i termini previsti, comporta la revoca dell'autorizzazione senza ulteriore preavviso;

La società dovrà attenersi tassativamente alle quantità di rifiuti massime stoccabili e/o trattabili nell'impianto, eventualmente prescritte dai VV.FF. e dalla succitata D.G.R. 223/2019, anche qualora queste ultime risultassero inferiori a quelle autorizzate con il presente provvedimento;";

n. 13 "…fino all'adeguamento dell'intero impianto al progetto approvato con il presente provvedimento e alle linee guida regionali di cui alla DGR 223/2019, il piazzale sottoposto a sequestro dall'autorità giudiziaria, in seguito all'incendio del 25/07/2018, non potrà essere utilizzato e i quantitativi trattati e stoccati non potranno essere superiori a quelli previsti nel decreto con cui la Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Napoli Nord ha disposto il dissequestro dell'impianto. Tale provvedimento è stato acquisito con nota prot. (...) del 11/10/2018 e questa UOD ne ha preso atto con nota prot. (...) del 15/10/2018".

Lo stesso provvedimento di revoca del sequestro preventivo adottato in data 7 ottobre 2019 dà atto del venir meno delle esigenze cautelari in relazione ai rischi connessi alla contaminazione dell'area in conseguenza della combustione dei rifiuti ma ribadisce anche la necessità del rispetto delle prescrizioni da adottarsi nell'ambito dei procedimenti amministrativi in corso, a cominciare dal riesame dell'AIA.

I precedenti giurisprudenziali richiamati dall'appellante con la memoria conclusiva del 12 gennaio 2024, punti II.1 e II.2, non mutano le coordinate ermeneutiche esposte e le conclusioni cui è pervenuto il Collegio, in quanto riferiti a cause di esclusione diverse da quella di cui all'art. 80, comma 1, lett. c) e come tali non pertinenti.

Quanto alla allegazione per cui "la vicenda dell'incendio" era già conosciuta dalla stazione appaltante al momento dell'aggiudicazione, si tratta di affermazione generica poiché non chiarisce in che termini fosse nota ed in particolare se il Comune avesse già avuto notizia della applicazione della misura interdittiva al legale rappresentante della società.

10. Alla luce delle motivazioni che precedono l'appello deve pertanto essere respinto.

11. Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la società appellante alla rifusione in favore del Comune di -OMISSIS- delle spese del grado che liquida in euro 5.000,00 oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il signor -OMISSIS-.

 

Guida alla lettura

Con pronuncia n. 7361 dello scorso 3 settembre, la IV Sezione del Consiglio di Stato si è occupata della natura del potere della P.A. in caso di revoca dell’aggiudicazione per grave illecito professionale e di taluni elementi definitori di quest’ultimo.

Nella specie, il provvedimento di revoca veniva impugnato dinnanzi al Tar Campania eccependo, come primo motivo, il difetto dei presupposti prescritti dall’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 che disciplina l’istituto della revoca in autotutela, ossia la sopravvenienza di elementi di fatto o di interesse pubblico ovvero la rivalutazione dell’interesse originario. Il ricorso veniva respinto e la decisione del Tar veniva appellata dinnanzi al Consiglio di Stato.

Ebbene, il massimo Consesso della giustizia amministrativa nella sentenza in esame accoglie la qualificazione giuridica operata dal Tar che, nel caso di specie, riconduce il potere esercitato dalla P.A. non all’istituto dell’autotutela di cui all’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, bensì alle ipotesi di c.d. revoca/decadenza dell’aggiudicazione per difetto dei requisiti di partecipazione che impediscono al provvedimento di aggiudicazione adottato, già perfetto negli elementi costitutivi della fattispecie sebbene inefficace, di produrre effetti.

Dunque, il Consiglio di Stato ribadisce che, a fronte della sopravvenuta carenza dei requisiti di partecipazione alla gara, la Stazione Appaltante non esercita il potere di revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, bensì adotta un provvedimento di decadenza dalla posizione di aggiudicatario, fondato esclusivamente sul presupposto della «sopravvenuta carenza dei requisiti soggettivi di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del d. lgs. n. 50/2016», integrando una vincolante fattispecie decadenziale, nel cui ambito non sono configurabili quei presupposti di esercizio del potere di secondo grado (sopravvenienza di elementi di fatto o di interesse pubblico o la rivalutazione dell’interesse originario) di cui la società ricorrente lamenta l’assenza nella fattispecie in scrutinio.

In tale sede viene, pertanto, posta in evidenza la differente natura dei due poteri testé menzionati: l’uno di carattere discrezionale, l’altro vincolato. Specificamente, nelle ipotesi disciplinate dall’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1991 si assiste all’esercizio di un potere discrezionale volto alla ponderazione di interessi pubblici e privati, nell’ipotesi di revoca/decadenza per sopravvenuta carenza dei requisiti di partecipazione si è di fronte ad un potere di natura vincolata volto all’accertamento del possesso dei requisiti prescritti dalla legge per l’efficacia della aggiudicazione.

Del resto, come afferma la Corte nella sentenza in esame, “una tale ricostruzione della fattispecie scaturisce dal chiaro disposto dell’art. 32, commi 6 e 7 del d. lgs. n. 50 del 2016 a mente dei quali: ‘6. L’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta. L’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 8. 7. L’aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti.’.

Inoltre, la teoria secondo cui il provvedimento di revoca-decadenza dell’aggiudicazione per difetto dei requisiti di partecipazione sia atto sicuramente vincolato trova conferma nell’incipit dell’art. 80, comma 1, d.lgs. n. 36/2024 (“Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni”)

Tanto premesso in ordine alla natura del potere di revoca/decadenza dell’aggiudicazione per difetto dei requisiti di partecipazione, si deve evidenziare che la sentenza in analisi affronta un altro aspetto di interesse, ossia il contesto in cui deve essere stato commesso il grave illecito professionale rilevante ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d. lgs. n. 50/2016.

Precisamente, l’appellante censura il Tar nella parte in cui ha ritenuto rilevanti anche i gravi illeciti professionali occorsi nell’esecuzione di contratti privati e afferma che i gravi illeciti professionali debbano essere riconducibili a una vicenda di esecuzione di un contratto pubblico.

Orbene, sul punto il Consiglio di Stato respinge tale doglianza, confermando in parte quanto statuito dal Tar ossia che: “L’attuale configurazione della disposizione di cui all’art. 80, comma 5, lettera c) del d.lgs. 15 aprile 2016 n. 50, non impone che il fatto costitutivo dell’illecito debba essere necessariamente riconducibile ad un rapporto contrattuale con un soggetto pubblico, ben potendo derivare da fatti di natura organizzativa o dallo svolgimento di altre tipologie di attività comunque imputabili al concorrente, anche riferibili a rapporti contrattuali di natura privata”.

A rigore, il Collegio amplia la suesposta nozione di grave illecito professionale conferita dal Tar, poiché sconfessa la necessità della genesi contrattuale della condotta sintomatica dell’illecito professionale ed accoglie la definizione fatta propria dalla giurisprudenza dominante, secondo cui: “Ferma la necessaria valutazione discrezionale della stazione appaltante, il grave illecito professionale ricomprende ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica di natura civile, penale o amministrativa e non prevede un numero chiuso di gravi illeciti professionali” (cfr. altresì Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2023, n. 503).

La Sezione ha – così – concluso che il ricorso vada respinto.