CGARS, sez. giur., 29 luglio 2024, n. 598

L’azione risarcitoria non esaurisce lo strumentario giuridico approntato dall’ordinamento per reintegrare la sfera patrimoniale incisa dall’atto illegittimo, potendo il concorrente pretermesso – che avrebbe avuto titolo all’affidamento e all’esecuzione del contratto di appalto – agire in giudizio per ottenere, quanto meno nei limiti previsti dall’azione residuale di cui all’art. 2041 c.c. (o, altrimenti, ex artt. 2033 e ss. c.c.), che il vantaggio economico ottenuto dall’affidatario del contratto, e nei fatti tradottosi in uno spostamento di ricchezza senza idonea causa, venga riverso a chi ha subìto un impoverimento in conseguenza dell’illegittimo operato della stazione appaltante – ovvero, com’è accaduto nella specie, dell’interinale efficacia di una pronuncia giurisdizionale successivamente riformata in appello – almeno nella misura in cui la parte non è riuscita a ottenere quelle utilità a cui, in virtù della definitiva decisione del giudice amministrativo sull’atto, avrebbe avuto certamente titolo.


Pubblicato il 29/07/2024

N. 00598/2024REG.PROV.COLL.

N. 01162/2019 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1162 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Lucchetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Domenico Pitruzzella in Palermo, via Nunzio Morello 40;

contro

Comune di Caltanissetta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Scuderi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

I.G.M. Rifiuti Industriali S.r.l., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) n. 1963 del 29 luglio 2019, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caltanissetta;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2024 il Cons. Giuseppe Chinè e uditi per le parti gli avvocati come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con un primo ricorso dinanzi al TAR Sicilia, iscritto al R.G. n. 1544/2018, l’odierna appellante ha promosso un’azione risarcitoria contro il Comune di Caltanissetta, al fine di ottenere il ristoro del danno asseritamente patito a causa della mancata aggiudicazione dell’appalto del “servizio di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento e servizi di igiene ambientale dell'ARO di Caltanissetta nelle more dell'attuazione del Piano di intervento Durata anni uno rinnovabile per mesi sei”, del quale era risultata aggiudicataria.

2. La ricorrente ha esposto:

- a seguito del ricorso promosso dall’appellata IGM Rifiuti Industriali S.r.l., il TAR Sicilia, con sentenza n. 1210/2017, aveva annullato l’aggiudicazione disposta in favore dell’odierna appellante; e che, con sentenza n. 575/2017, il C.G.A.R.S., parzialmente riformando la sentenza di primo grado, aveva respinto il ricorso di IGM e ritenuto salva l’aggiudicazione originariamente disposta in favore di -OMISSIS-;

- nonostante l’odierna appellante avesse preannunciato l’intenzione di proporre appello avverso tale sentenza, il Comune procedeva con la nuova aggiudicazione in favore IGM, con determinazione n. 164 del 29 maggio 2017, comunicata alla -OMISSIS- in data 30 maggio;

- il C.G.A.R.S., con la sentenza n. 575/2017, pubblicata in data 28 dicembre 2017, accoglieva l’appello di -OMISSIS-, confermando la legittimità dell’aggiudicazione in favore della appellante.

Ha pertanto sostenuto di avere diritto al risarcimento dei danni causati dalla mancata aggiudicazione dell’appalto suindicato, sussistendone tutti i presupposti, anche in considerazione del carattere non pienamente satisfattivo del subentro, che avrebbe a oggetto solo gli ultimi quattro mesi di esecuzione; nonché della natura oggettiva della responsabilità dell’Amministrazione nella materia degli appalti pubblici.

Per quanto attiene alla quantificazione del danno, ha chiesto, oltre al danno da mancata aggiudicazione – individuabile in base all’utile – anche il danno c.d. curriculare, da valutare in via equitativa, nonché il rimborso dei costi sostenuti per pagamento del contributo unificato; con maggiorazione della somma da liquidare a titolo di interessi e rivalutazione monetaria.

3. Con un secondo ricorso dinanzi al medesimo TAR Sicilia, iscritto al R.G. n. 1674/2018, l’odierna appellante ha impugnato:

1) la determina iscritta al n. 72 del 9 luglio 2018 del Comune di Caltanissetta relativa alla procedura negoziata avente ad oggetto “servizi di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento e servizi igiene ambientale dell'aro di Caltanissetta nelle more dell'attuazione del piano di intervento – durata anni uno rinnovabile per mesi sei – C.I.G. 68311993BF”;

2) la comunicazione con nota prot. n. 71697/2018 del 20 luglio 2018 del Comune di Caltanissetta, con la quale veniva comunicato l'avvio del procedimento per l'emanazione della D. D. di revoca della D.D. n. 88 del 6 febbraio 2017 di aggiudicazione del “servizio di raccolta, trasposto dei RSU, spazzamento e servizi di igiene ambientale dell'Aro di Caltanissetta nelle more dell'attuazione del Piano di intervento della durata di anni uno rinnovabile per mesi sei”.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, ha inoltre impugnato:

a) il provvedimento del Comune di Caltanissetta, Direzione Lavori Pubblici – LL.PP. – SUAP – Manutenzioni determinazione n. 352 del 16 settembre 2018 avente ad oggetto “servizi di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento e servizi igiene ambientale dell'aro di Caltanissetta nelle more dell'attuazione del piano di intervento – durata anni uno rinnovabile per mesi sei – C.I.G. 68311993BF” con la quale l'Amministrazione comunale ha revocato la Determina Dirigenziale n. 88 del 6 febbraio 2017 di aggiudicazione del predetto appalto alla costituenda ATI “-OMISSIS- – Ecoburgus S.r.l.”;

b) la nota prot. n. 82451 del 29 agosto 2018 della III Direzione della medesima Amministrazione comunale, non formalmente comunicata alla ricorrente.

4. Con il secondo atto di gravame, l’odierna appellante ha esposto:

- la complessiva iniziativa assunta dal Comune con gli atti gravati è strumentale a precludere alla ricorrente il conseguimento del risarcimento del danno da mancata aggiudicazione dell’appalto per l’esecuzione del servizio per un periodo non superiore a diciotto mesi; aggiudicazione che non potrebbe più essere disposta in favore della stessa ricorrente, in quanto il servizio è stato già svolto;

- tale gara, inizialmente affidata all’ATI -OMISSIS- e Ecoburgus S.r.l. con determinazione n. 88 del 6 febbraio 2017, era stata impugnata da IGM con ricorso accolto dal TAR Sicilia con la sentenza n. 1210/2017, depositata in data 8 maggio 2017;

- nonostante fosse stata preannunciata l’intenzione di proporre appello avverso tale sentenza, il Comune procedeva con la nuova aggiudicazione in favore IGM, con determinazione n. 164 del 29 maggio 2017, comunicata in data 30 maggio;

- il C.G.A.R.S., con la sentenza n. 575/2017, pubblicata in data 28 dicembre 2017, accoglieva l’appello di -OMISSIS-, confermando la legittimità dell’aggiudicazione in favore di quest’ultima;

- nel frattempo il Comune di Caltanissetta procedeva ad avviare una seconda gara per l’aggiudicazione per sette anni dello stesso servizio, giunta all’individuazione dell’aggiudicatario; e, ciononostante, con gli atti gravati, ha ritenuto di potere affidare alla ricorrente l’iniziale contratto relativo alla c.d. gara ponte, per diciotto mesi, negando, in concreto, tale risultato in quanto la ricorrente risultava attinta da informativa antimafia interdittiva emessa in data 22 gennaio 2018 dalla Prefettura di Fermo, in sostituzione di una precedente informativa oggetto di impugnazione davanti al T.A.R. Marche;

- impugnata anche la nuova informativa interdittiva, il T.A.R. Marche accoglieva la domanda cautelare con ordinanza n. 122/2018, pubblicata in data 14 giugno 2018, e con successiva ordinanza n. 137/2018, pubblicata in data 5 luglio 2018, confermava le misure cautelari, consentendo per detta via alla ricorrente di partecipare a nuove gare;

- il Comune di Caltanissetta, con determinazione n. 72 del 9 luglio 2018, riteneva di non potere aggiudicare alla predetta ricorrente la gara “ponte”, in quanto sussistevano circostanze ostative all’aggiudicazione, avviando contestualmente il procedimento di revoca della determinazione n. 88/2017, con la quale, a suo tempo, l’Ente locale aveva aggiudicato il servizio per diciotto mesi;

- avverso tale comunicazione la odierna appellante aveva presentato invano le proprie deduzioni.

5. Tutto ciò premesso, l’odierna appellante ha dedotto dinanzi al TAR le seguenti censure:

1) Violazione di legge in relazione all’art.1 della L. n. 241/90 e s.m.i. nonché all’art. 97 Cost. ed altresì eccesso di potere nelle figure sintomatiche della contraddittorietà tra provvedimenti nonché della diseconomicità della azione amministrativa ed ulteriore violazione di legge in relazione agli artt. 1 e segg. del D.Lgs. n. 50/16 e s.m.i. con riguardo all’assunto provvedimentale circa la facoltà della p.a. procedente di offrire in aggiudicazione un contratto per un periodo complessivo di diciotto mesi – allorquando (a) tale aggiudicazione è stata superata da apposita altra procedura indetta e relativo altro provvedimento di aggiudicazione del servizio per sette anni ad altro e diverso operatore economico, nonché (b) il periodo di servizio originariamente previsto e pari a diciotto mesi risulta già esaurito e la sua eventuale nuova aggiudicazione non può che essere effettuata in esito ad apposita nuova procedura di gara e relativa aggiudicazione del contratto – ed ancora violazione di legge in relazione all’art. 3 della L. n. 241/90 e s.m.i. e contestuale eccesso di potere per difetto di istruttoria nonché di motivazione finale del provvedimento e, infine, ulteriore eccesso di potere nella figura dello sviamento con riguardo alla prospettata offerta di stipula del contratto c.d. “ponte” per i complessivi diciotto mesi di servizio allorquando è già stata aggiudicata la successiva gara “definitiva” per sette anni di servizio da svolgere, in quanto la prospettata stipula dell’originario contratto per il periodo “ponte” è rimasta preclusa dall’avvio, da parte del Comune, della procedura per l’affidamento del servizio per sette anni, giunto alla fase dell’aggiudicazione; e tale servizio per diciotto mesi è stato integralmente eseguito da altro operatore economico, sicché l’aggiudicazione sarebbe relativa a un nuovo e ulteriore contratto, antieconomico rispetto all’intervenuta aggiudicazione della gara settennale;

2) in via subordinata rispetto al motivo sub 1), Violazione o falsa applicazione dell’art. 21-septies della L. n. 241/90 quanto alla nullità del provvedimento amministrativo adottato in contrasto con le pronunce cautelari emesse dal T.A.R. Marche, in quanto l’efficacia dell’informativa interdittiva è stata sospesa per effetto di tali misure cautelari.

Ha, quindi, chiesto, previa concessione della misura cautelare, la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente sottoscritto tra il Comune e il raggruppamento tra la IGM Rifiuti Industriali S.r.l., la Iseda S.r.l. e la Sea S.r.l., se e in quanto tale sottoscrizione costituisca fatto impeditivo rispetto alla pretesa risarcitoria azionata con il ricorso R.G. n. 1544/2018.

In via subordinata, ha chiesto di conseguire l’aggiudicazione e il contratto, ai sensi dell’art. 124 c.p.a., solo se entrambi possano costituire idoneo presupposto per l’accoglimento della pretesa risarcitoria; ha chiesto, infine, il risarcimento del danno causato dalla mancata aggiudicazione dell’appalto, “quantificato in misura non inferiore all’utile di impresa calcolato sull’importo base d’asta, al netto degli oneri di sicurezza e del ribasso offerto dalla ricorrente, maggiorato di un ulteriore importo che tenga conto del c.d. danno curriculare e del danno emergente”.

Ha, altresì, chiesto la riunione al ricorso R.G. n. 1544/2018; il tutto, con vittoria di spese.

6. Con successivo ricorso per motivi aggiunti l’odierna appellante ha inoltre impugnato il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione definitiva a suo tempo disposta in proprio favore, deducendo il vizio di invalidità derivata rispetto agli atti impugnati con il ricorso introduttivo e riproducendo la dedotta violazione dell’art. 21-septies della l. n. 241/199; articolando, inoltre, l’autonoma censura di violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241/90 e s.m.i. nonché eccesso di potere nella figura sintomatica del difetto di attività istruttoria e difetto di motivazione.

Ha in particolare sostenuto la ricorrente che l’Amministrazione avrebbe confermato l’intendimento di revocare l’originaria aggiudicazione al solo fine di precluderle il risarcimento del danno per la mancata esecuzione dell’appalto c.d. ponte; e il provvedimento di revoca nulla deduce sulle osservazioni prodotte dalla ricorrente in data 30 luglio 2018.

7. Con la sentenza n. 1963 del 29 luglio 2019 il TAR Sicilia ha riunito i predetti ricorsi e li ha entrambi respinti, in quanto infondati, compensando le spese di lite.

8. Con l’atto di appello in epigrafe, la -OMISSIS- censura la decisione di prime cure, articolando i seguenti motivi:

I) Erroneità della sentenza di primo grado nel primo capo impugnato; violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 30 c.p.a. e dei principi giurisprudenziali in tema di risarcimento del danno in caso di già avvenuta declaratoria di illegittimità degli atti legittimanti la richiesta; erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ritiene non sussistente perché non provato negli elementi individuati dalla giurisprudenza, in particolare il nesso di causalità tra attività della P.A. e danno senza considerare la specificità della fattispecie concreta, in cui il danno è prodotto dalla mancata aggiudicazione dell’appalto da parte del Comune di Caltanissetta, mancata aggiudicazione riconosciuta illegittima dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con la sentenza n. 575/2017 passata in giudicato;

II) Erroneità della sentenza di primo grado nel secondo capo impugnato nel quale, decidendo sul ricorso n. 1674/18, rigetta il primo motivo di ricorso per violazione di legge (1) in relazione all’art. 1 della legge n. 241/90 e s.m.i. nonché dell’art. 97 Cost. ed altresì eccesso di potere nelle figure sintomatiche della contraddittorietà tra provvedimenti nonché della diseconomicità della azione amministrativa ed ulteriore violazione di legge (2) in relazione agli artt. 1 e segg. del d. lgs. n. 50/16 e s.m.i. con riguardo all’assunto provvedimentale circa la facoltà della p.a. procedente di offrire in aggiudicazione un contratto per un periodo complessivo di diciotto mesi – allorquando (a) tale aggiudicazione è stata superata da apposita altra procedura indetta e relativo altro provvedimento di aggiudicazione del servizio per sette anni ad altro e diverso operatore economico nonché (b) il periodo di servizio originariamente previsto e pari a diciotto mesi risulta già esaurito e la sua eventuale nuova aggiudicazione non può che essere effettuata in esito ad apposita nuova procedura di gara e relativa aggiudicazione del contratto – ed ancora (e) violazione di legge in relazione all’art. 3 della legge n. 241/90 e s.m.i. e contestuale eccesso di potere nel difetto di istruttoria nonché di motivazione finale del provvedimento ed infine (4) ulteriore eccesso di potere nella figura dello sviamento con riguardo alla prospettata offerta di stipula del contratto c.d. ponte per i complessivi diciotto mesi di servizio allorquando è stata aggiudicata la successiva gara definitiva per sette anni di servizio da svolgere; richiesta di riforma e conseguente modifica nel senso dell’accertamento e declaratoria della sussistenza dei vizi denunciati ai fini dell’annullamento degli atti impugnati;

III) Erroneità della sentenza di primo grado nel terzo capo impugnato nel quale, decidendo sul ricorso n. 1674/18, rigetta il secondo motivo di ricorso per violazione o falsa applicazione dell’art. 21-septies della legge n. 241/90 e ss.mm.ii. quanto alla nullità del provvedimento amministrativo adottato in contrasto con le pronunce cautelari emesse dal TAR Marche, altresì erroneamente affermando che il Comune sarebbe venuto a conoscenza di queste ultime soltanto dopo l’adozione della revoca dell’aggiudicazione; richiesta di riforma nel senso della dichiarazione di nullità degli atti adottati in violazione del disposto cautelare rappresentato dalle ordinanze pronunciate dal TAR Marche;

IV) Erroneità della sentenza di primo grado nel quarto capo impugnato in cui rigetta il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti, di nullità derivata, rinviando alle motivazioni con le quali ha rigettato il ricorso introduttivo:

IV.1) per violazione di legge (1) in relazione all’art. 1 della legge n. 241/90 e s.m.i. nonché all’art. 97 Cost. ed altresì eccesso di potere nelle figure sintomatiche della contraddittorietà tra provvedimenti nonché della diseconomicità della azione amministrativa ed ulteriore violazione di legge (2) in relazione agli artt. 1 e segg. del d. lgs. n. 50/16 e s.m.i. con riguardo all’assunto provvedimentale circa la facoltà della p.a. procedente di offrire in aggiudicazione un contratto per un periodo complessivo di diciotto mesi – allorquando (a) tale aggiudicazione è stata superata da apposita altra procedura indetta e relativo altro provvedimento di aggiudicazione del servizio per sette anni ad altro e diverso operatore economico nonché (b) il periodo di servizio originariamente previsto e pari a diciotto mesi risulta già esaurito e la sua eventuale nuova aggiudicazione non può essere effettuata in esito ad apposita nuova procedura di gara e relativa aggiudicazione del contratto – ed ancora (3) violazione di legge in relazione all’art. 3 della legge n. 241/90 e s.m.i. e contestuale eccesso di potere nel difetto di istruttoria nonché di motivazione finale del provvedimento ed infine (4) ulteriore eccesso di potere nella figura dello sviamento con riguardo alla prospettata offerta di stipula del contratto c.d. ponte per i complessivi diciotto mesi di servizio allorquando è già stata aggiudicata la successiva gara definitiva per sette anni di servizio da svolgere;

IV.2) per violazione o falsa applicazione dell’art. 21-septies della legge n. 241/90 e ss.mm.ii. quanto alla nullità del provvedimento amministrativo adottato in contrasto con le pronunce cautelari emesse dal TAR Marche, altresì erroneamente affermando che il Comune sarebbe venuto a conoscenza di queste ultime soltanto dopo l’adozione della revoca della aggiudicazione;

richiesta di riforma e conseguente modifica nel senso dell’accertamento e declaratoria della sussistenza dei vizi denunciati ai fini dell’annullamento degli atti impugnati;

V) Erroneità della sentenza di primo grado nel quinto capo impugnato, con cui il TAR Palermo rigetta il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti con riferimento alla seconda censura, rinviando alla motivazione già spiegata per il rigetto del corrispondente secondo motivo del ricorso introduttivo n. 1674/18, per violazione o falsa applicazione dell’art. 21-septies della legge n. 241/90 e ss.mm.ii. quanto alla nullità del provvedimento amministrativo adottato in contrasto con le pronunce cautelari emesse dal TAR Marche, altresì erroneamente affermando che il Comune sarebbe venuto a conoscenza di queste ultime soltanto dopo l’adozione della revoca della aggiudicazione; travisamento dei dati desumibili dai documenti in atti; richiesta di riforma nel senso della dichiarazione di nullità degli atti adottati in violazione del disposto cautelare rappresentato dalle ordinanze pronunciate dal TAR Marche;

VI) Erroneità della sentenza anche nel sesto capo impugnato, con cui il TAR Palermo ha rigettato anche la seconda censura articolata nel ricorso per motivi aggiunti, per violazione di legge e per falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 e s.m.i. – Eccesso di potere nella figura sintomatica del difetto di attività istruttoria nonché del difetto di motivazione; richiesta di riforma della sentenza impugnata nel senso dell’accoglimento della censura e del conseguente annullamento degli atti impugnati.

9. Si è costituito per resistere al gravame il Comune di Caltanissetta con atto depositato in data 10 dicembre 2019; successivamente, ha articolato le proprie difese con memoria depositata in data 3 marzo 2020 e ha replicato alle tesi di parte appellante con ulteriore memoria depositata il 7 marzo 2020.

10. Parte appellante ha depositato scritti difensivi per illustrare le proprie tesi e replicare alle tesi avversarie rispettivamente in data 3 e 7 marzo 2020.

11. In seguito al deposito di ulteriori scritti difensivi delle parti recanti anche motivata istanza di rinvio della trattazione del gravame, con le ordinanze n. 252 del 28 febbraio 2022 e n. 1184 del 21 novembre 2022 questo Consiglio di Giustizia Amministrativa ha rinviato la trattazione della causa, da ultimo alla udienza pubblica del 3 maggio 2023.

12. Alla predetta udienza pubblica, in accoglimento di ulteriore istanza di parte appellante depositata il 24 aprile 2023, la causa è stata rinviata a data da destinarsi.

13. In prossimità della udienza pubblica del 7 febbraio 2024, parte appellante, segnatamente in data 22 gennaio 2024, ha depositato ulteriore memoria difensiva per rassegnare le proprie conclusioni.

14. Alla udienza pubblica del 7 febbraio 2024 la causa è stata quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

15. Con il primo motivo parte appellante denuncia l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto non provati i presupposti costitutivi dell’azione risarcitoria, in quanto il lamentato danno da mancata aggiudicazione, nella prospettazione dell’appellante, era nel caso di specie “una conseguenza diretta ed immediata, non bisognevole di alcuna ulteriore prova da parte del danneggiato”.

In sintesi, per l’appellante, avendo la sentenza di questo Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 575 del 28 dicembre 2017 accertato l’illegittimità della esclusione dalla gara della -OMISSIS-, originaria aggiudicataria, è sorto “un diritto della ricorrente al risarcimento del danno subito a cagione della <<sottrazione>> dell’appalto che era essa a dover eseguire” (pag. 15 appello).

15.1. Lo scrutinio del motivo impone una sintetica ricostruzione della vicenda controversa, nei suoi fatti più rilevanti, alla luce degli atti di causa.

15.2. Con determina dirigenziale n. 88 del 6 febbraio 2017 l’appalto indetto dal Comune di Caltanissetta per l’affidamento del “servizio di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento e servizi di igiene ambientale dell'ARO di Caltanissetta nelle more dell'attuazione del Piano di intervento Durata anni uno rinnovabile per mesi sei”, è stato aggiudicato alla odierna appellante.

A seguito del ricorso promosso dall’appellata IGM Rifiuti Industriali S.r.l., il TAR Sicilia, con la sentenza n. 1210 del 2017, ha annullato detta aggiudicazione e deciso che il Comune “…una volta eseguiti i controlli con esito positivo, disporrà l’aggiudicazione in favore della ricorrente, unica concorrente rimasta in gara…”.

Tale sentenza, appellata dalla originaria aggiudicataria, è stata riformata da questo Consiglio di Giustizia Amministrativa con la decisione n. 575 del 28 dicembre 2017, la quale ha ritenuto infondato il ricorso di primo grado.

Quando ancora l’appello non era stato formalmente proposto (la notifica dell’atto di gravame viene eseguita dall’appellante in data 7 giugno 2017), l’Amministrazione, in esecuzione della sentenza di primo grado, dopo avere eseguito le verifiche di rito, ha aggiudicato la gara alla società risultata vincitrice nel contenzioso dinanzi al TAR, con la determina dirigenziale n. 640 del 29 maggio 2017.

Prima della nuova aggiudicazione della gara, la -OMISSIS- ha comunicato all’Amministrazione, via PEC, in data 17 maggio 2017, che avrebbe provveduto ad impugnare la sentenza del TAR n. 1210 del 2017, rappresentando l’opportunità di un differimento della seduta pubblica di gara già convocata dalla stazione appaltante per il 19 maggio 2017.

Tale comunicazione non è stata positivamente riscontrata, tant’è che proprio nella seduta pubblica del 19 maggio 2017 si provvedeva alla nuova aggiudicazione in favore della seconda classificata.

Proposto l’atto di appello con richiesta di misura cautelare da parte della -OMISSIS-, quest’ultima, alla camera di consiglio del 31 luglio 2017, ha rinunciato alla domanda interinale.

Pertanto, l’Amministrazione ha provveduto alla consegna dell’appalto alla nuova aggiudicataria, senza peraltro costituirsi nel pendente giudizio di appello.

Intervenuta la pubblicazione della sentenza di appello n. 575 del 28 dicembre 2017, l’appellante ha omesso di comunicare tale decisione alla Amministrazione, come si è già evidenziato non costituita nel giudizio di secondo grado.

Dopo la pubblicazione della sentenza n. 575 del 2017, la stazione appaltante ha attivato le verifiche ex art. 32, comma 7, del d. lgs. n. 50 del 2016 finalizzate all’affidamento del contratto alla originaria aggiudicataria, acquisendo le informative ostative dei Prefetti di Fermo (MC) e di Macerata, rispettivamente prot. 2071 del 22 gennaio 2018 (trasmessa all’ANAC in data 22 gennaio 2018, prot. 2119) e prot. 22689 del 19 giugno 2018 (acquista al protocollo dell’Amministrazione in data 22 giugno 2018, n. 60507).

In virtù di dette informative emesse a carico della -OMISSIS- è originato l’avvio da parte dell’Amministrazione – in data 20 luglio 2018 - di un procedimento di revoca dell’aggiudicazione a suo tempo disposta con la determina dirigenziale n. 88 del 2017.

Con la determina del RUP n. 72 del 9 luglio 2018 si era comunque preso atto della impossibilità di aggiudicazione del servizio in favore della odierna appellante giacché “si mantengono le circostanze ostative all’aggiudicazione de qua attestate dal Prefetto di Fermo (MC) con nota trasmessa all’ANAC con nota prot. 2119 del 22/01/2018 e dal Prefetto di Macerata (MC) trasmessa con prot. 22689 del 19/06/2018 e acquisita al protocollo di questo Ente in data 22/06/2018 al n. 60507”.

Nell’ambito del procedimento di revoca dell’originaria aggiudicazione, segnatamente in data 30 luglio 2018, l’odierna appellante ha comunicato all’Amministrazione che erano intervenute ordinanze cautelari, rispettivamente del TAR Marche (segnatamente n. 122 del 2018 e n. 137 del 2018) e del TAR Campania (n. 1011 del 2018 e n. 1012 del 2018) recanti la sospensione interinale degli effetti della informativa interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Fermo in data 22 gennaio 2018 e che, pertanto, non sussistevano ragioni ostative all’affidamento dell’appalto nei propri confronti.

Con la sentenza n. 2017 del 13 aprile 2019 il TAR Marche, pronunciando nel merito del gravame proposto avverso la informativa interdittiva del Prefetto di Fermo del 22 gennaio 2018, ha poi respinto il gravame e confermato la legittimità del provvedimento prefettizio.

Prima della conclusione del procedimento avviato per la revoca della aggiudicazione disposta con la determina dirigenziale n. 88 del 2017, e segnatamente in data 26 luglio 2018, l’odierna appellante ha proposto dinanzi al TAR Sicilia la domanda di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione (RG 1544 del 2018), respinta con la sentenza oggetto di impugnazione nel presente giudizio.

Con la determina dirigenziale n. 352 del 16 settembre 2018 l’Amministrazione ha infine revocato l’originaria aggiudicazione disposta con determina n. 88 del 6 febbraio 2017.

15.3. Ciò premesso in fatto, l’azione risarcitoria proposta da parte appellante risulta essere stata respinta dal TAR sulla base del seguente percorso logico – argomentativo:

- per consolidata giurisprudenza il danneggiato che agisca per il risarcimento dei danni dinanzi al giudice amministrativo ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria in ossequio all’art. 2697 c.c.;

- tale prova non è stata raggiunta quanto al nesso di causalità tra l’attività posta in essere dall’Amministrazione e il danno asseritamente subito, in quanto: a) la stazione appaltante era tenuta a dare esecuzione alla sentenza del TAR n. 1210 del 2017; b) l’appello avverso tale sentenza è stato notificato (i.e. ricevuto) dalla stazione appaltante soltanto in data 13 giugno 2017; c) alla camera di consiglio dinanzi al C.G.A.R.S. del 31 luglio 2017 parte appellante ha rinunciato alla proposta istanza cautelare, così escludendo ogni possibilità di ottenere la sospensione interinale dell’efficacia della sentenza appellata; d) in conseguenza di detta rinuncia, e in ossequio alla sentenza n. 1210 del 2017, la stazione appaltante, dal 1° settembre 2017, ha consegnato il servizio in via d’urgenza alla I.G.M. Rifiuti Industriali S.r.l.; e) la sentenza di secondo grado n. 575 del 28 dicembre 2017, recante riforma di quella del TAR, non è stata dall’appellante comunicata all’Amministrazione (quest’ultima non era costituita nel relativo giudizio); f) nel periodo immediatamente precedente e successivo alla pubblicazione della sentenza di appello n. 575 del 2017 al -OMISSIS- è stata destinataria di informative interdittive antimafia, di talché nel periodo immediatamente successivo alla predetta pubblicazione non vi erano più le condizioni perché potesse subentrare all’aggiudicatario affidatario del servizio.

15.4. Rileva il Collegio che il motivo di appello non riesce a scalfire il suesposto, condivisibile, percorso logico – argomentativo del giudice di primo grado.

15.5. Per indirizzo giurisprudenziale ormai sedimentato (cfr. Ad. Pl. 23 aprile 2021, n. 7), “Il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità dell'amministrazione per l'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito. Anche in un'organizzazione dei pubblici poteri improntata al buon andamento, in cui si afferma il modello dell'amministrazione <<di prestazione>>, quest'ultima mantiene rispetto al privato la posizione di supremazia necessaria a perseguire <<i fini determinati dalla legge>> (art. 1, comma 1, della L. n. 241 del 1990), con atti di carattere autoritativo in grado di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del privato. Nel rapporto amministrativo contraddistinto dalla ora descritta asimmetria delle posizioni si manifesta ad un tempo l'essenza dell'ordinamento giuridico di diritto amministrativo e allo stesso tempo si creano le condizioni perché la pubblica amministrazione -per ragioni storiche, sistematiche e normative- non possa essere assimilata al <<debitore>> obbligato per contratto ad <<adempiere>> in modo esatto nei confronti del privato.

Nel descritto quadro l'esercizio della funzione pubblica, manifestatosi tanto con l'emanazione di atti illegittimi quanto con un'inerzia colpevole, può quindi essere fonte di responsabilità sulla base del principio generale neminem laedere: con la normativa sopra richiamata il legislatore ha progressivamente esteso ai casi di illegittimo esercizio del potere pubblico la tutela risarcitoria disciplinata dall'art. 2043 del codice civile - in cui è affermato un principio generale dell'ordinamento - secondo cui <<qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno>>".

Di qui il principio di diritto, autorevolmente enunciato dall’Adunanza Plenaria ex art. 99, comma 1, c.p.a., che “la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell'art. 2056 cod. civ. - da ritenere espressione di un principio generale dell'ordinamento- i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell'evitabilità con l'ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.; e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall'art. 1225 cod. civ.”.

15.6. Ne consegue, come indefettibile corollario, e su di un piano generale, che è esclusivo onere del danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria come elencati nella disposizione dell’art. 2043 c.c., utilizzando eventualmente, secondo le vigenti previsioni codicistiche anche le prove presuntive, senza che vi sia però spazio per dare ingresso ad automatismi di sorta tra l’accertamento dell’illegittimità dell’atto e le sue conseguenze risarcitorie, come quelli cui sembra fare riferimento parte appellante nell’articolare la doglianza.

15.7. Mettendo a fuoco ulteriormente il motivo di gravame, risulta nella specie per tabulas che l’Amministrazione ha puntualmente dato esecuzione a una sentenza del TAR (la n. 1210 del 2017) prima della sua riforma da parte di questo Consiglio di Giustizia Amministrativa, e ciò è già sufficiente a escludere, oltre al nesso di causalità come correttamente statuito con la sentenza oggetto di gravame, anche qualsiasi profilo di colpa in capo all’appellata; nonché, in via dirimente, lo stesso elemento (oggettivo) della fattispecie aquiliana costituito dalla c.d. ingiustizia del danno (che, per qualificarsi come ingiusto, dev’essere prodotto, al contempo, non iure e altresì contra ius), giacché qui suo iure utitur neminem laedet e dunque chiunque eserciti una propria legittima facoltà (nella specie, quella di effettuare la riaggiudicazione della gara secondo quanto vincolativamente espresso dalla sentenza di primo grado, a prescindere dal fatto che essa sia o meno condivisa dalla stazione appaltante, che in effetti l’aveva subita avendo essa annullato l’originaria aggiudicazione) agisce “iure”, ossia nell’esercizio di una legittima facoltà riconosciutagli dall’ordinamento (feci, sed iure feci), ciò che è di per sé sufficiente a impedire, nei sensi predetti, il perfezionamento della fattispecie aquiliana e, con esso, il sorgere dell’obbligazione risarcitoria.

In proposito deve osservarsi che, poiché l’ingiustizia del danno extracontrattuale costituisce uno degli elementi oggettivi della fattispecie aquiliana, l’imperfezione strutturale di essa già nei suoi profili oggettivi esclude in radice ogni possibile rilevanza dell’assunto, di matrice europea (C.G.U.E.), che nella materia dei contratti pubblici il risarcimento del danno è dovuto dalle stazioni appaltanti indipendentemente dalla sussistenza dell’elemento soggettivo (ordinariamente integrato da dolo o colpa, fino al limite della c.d. culpa levis); giacché allo scrutinio di quest’ultimo neppure è dato pervenire ove (come in questo caso) la fattispecie sia imperfetta già nei suoi elementi oggettivi (l’atto, il danno, il nesso causale tra essi, nonché l’ingiustizia del danno, di cui s’è detto).

La sequenza cronologica degli eventi in cui si dipana la complessa vicenda controversa evidenzia dunque che il danno asseritamente subìto dall’appellante, originaria aggiudicataria della gara, e che quest’ultima espressamente qualifica come danno “da mancata aggiudicazione” (in virtù della originaria legittima aggiudicazione disposta con provvedimento dirigenziale n. 88 del 6 febbraio 2017), non discende da una condotta illecita o da un provvedimento illegittimo della stazione appaltante, bensì risulta conseguenza immediata e diretta dell’avvenuta esecuzione, imposta dalla legge (o, comunque, da essa quantomeno immediatamente consentita), di una decisione giurisdizionale di primo grado, la cui efficacia non è stata interinalmente sospesa, come sarebbe potuto avvenire nell’ambito del giudizio di secondo grado poi conclusosi con la sentenza C.G.A.R.S. n. 575 del 2017, anche a causa della scelta processuale della odierna appellante di rinunciare all’istanza cautelare inizialmente proposta con l’atto di appello.

E invero:

- l’appello avverso la sentenza n. 1210 del 2017 è stato notificato (i.e. ricevuto) dalla stazione appaltante soltanto in data 13 giugno 2017 (spedito per la notifica a mezzo posta in data 7 giugno 2017);

- prima della predetta notifica, parte appellante si era limitata a preannunciare alla stazione appaltante, con nota in data 17 maggio 2017, che era intenzionata a impugnare la sentenza n. 1210 del 2017, proponendo contestualmente istanza cautelare di sospensione dell’efficacia, rappresentando l’opportunità di un differimento della seduta pubblica di gara già convocata per il 19 maggio 2017;

- la predetta comunicazione, di per sé, non poteva certamente, nel quadro normativo vigente, imporre alla stazione appaltante di sospendere il procedimento avviato per dare compiuta esecuzione alla sentenza esecutiva del TAR, tenuto conto che l’eventuale sospensione dell’efficacia di una sentenza di primo grado può essere disposta soltanto dal giudice di appello ai sensi dell’art. 98 c.p.a. (e, nel caso di specie, parte appellante, pur avendo inizialmente proposto l’istanza cautelare, vi ha poi rinunciato, impedendo, con tale scelta processuale, il pronunciamento da parte del C.G.A.R.S.); e che, in difetto di essa, la sospensione dell’iter procedimentale per autonoma scelta dell’amministrazione può esporre quest’ultima, e i suoi funzionari, a conseguenze anche gravi in relazione all’ingiustificata dilatazione temporale nello svolgimento dell’attività amministrativa;

- anche dopo la pubblicazione della sentenza di secondo grado, recante riforma della sentenza n. 1210 del 2017, parte appellante ha omesso di comunicare o notificare la predetta sentenza alla stazione appaltante, la quale, pur intimata, non si era costituita nel giudizio di appello, non permettendo, in virtù di detta omissione, la sua immediata conoscenza da parte del soggetto deputato a darvi esecuzione (ove ancora possibile);

- in ogni caso, alla data di pubblicazione della sentenza di appello, come peraltro riconosciuto dalla stessa appellante (pag. 18 appello), la -OMISSIS- era stata già attinta da informativa interdittiva antimafia del Prefetto di Fermo (segnatamente dall’informativa prot. 31838 del 27 novembre 2017, cui ha fatto seguito la prot. 2071 del 22 gennaio 2018), di talché non poteva essere più disposto nei suoi confronti alcun affidamento, né tanto meno, come dedotto dall’appellante, stipulato il contratto di appalto;

- l’ordinanza cautelare resa dal TAR Marche in data 14 giugno 2018 (n. 122), recante sospensione interinale degli effetti della informativa interdittiva prefettizia del 22 gennaio 2018, espressamente richiamata nell’atto di appello, è stata comunicata alla stazione appaltante soltanto in data 30 luglio 2018, in sede di controdeduzioni procedimentali nel procedimento avviato per la revoca dell’originaria aggiudicazione, ma a detta data il contratto stipulato con la I.G.M. Rifiuti Industriali S.r.l. era già venuto a scadenza naturale, rendendo non più praticabile la sostituzione dell’appaltatore.

15.7. Acquisita la infondatezza del primo motivo di appello, in virtù della assenza dei presupposti costitutivi (anche oggettivi) dell’invocata fattispecie risarcitoria, il Collegio non intende esimersi dall’affrontare il tema, che la controversia chiaramente sottende (sebbene non risultino sul punto proposte specifiche domande da parte dell’appellante), dei rimedi approntati dall’ordinamento a fronte di spostamenti patrimoniali non connotati da illiceità – in quanto non verificatisi in conseguenza di fatti illeciti lesivi di posizioni giuridiche soggettive altrui – bensì esclusivamente da assenza di causa.

Riprendendo e sviluppando argomenti già spesi da questo Consiglio di Giustizia Amministrativa nella sentenza n. 600 del 21 luglio 2008, osserva il Collegio che l’ordinamento appronta uno specifico armamentario giuridico, enunciando le norme e i principi sulla restituzione dell’indebito (art. 2033 c.c.) e sull’arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.), per il caso in cui un’impresa, sulla base di un affidamento contrattuale, all’epoca dell’esecuzione pienamente efficace, abbia eseguito il contratto, percependo il relativo corrispettivo, quando si accerti, all’esito di uno specifico contenzioso giurisdizionale, che l’affidamento sarebbe invece spettato ad altra impresa, la quale, pertanto, risulti essere l’unica legittimata a stipulare il contratto e a eseguire il lavoro o il servizio.

In una situazione di tal fatta, è infatti evidente che l’impresa esecutrice del contratto sulla base di un titolo pro tempore pienamente efficace, all’esito della decisione della causa risulterà avere eseguito il lavoro o il servizio sine titulo, nel senso che quel lavoro o quel servizio avrebbe dovuto essere eseguito da altra impresa, segnatamente da quella che è uscita vittoriosa nel contenzioso giurisdizionale, alla quale sarebbero spettati tutti i vantaggi derivanti dal contratto, sia quelli prettamente economici (i.e. utile d’impresa), sia quelli concernenti l’esperienza professionale e, più in generale, la qualificazione in funzione delle future gare.

Con riferimento a dette fattispecie, la Sezione, nella richiamata sentenza n. 600 del 2008, ha indicato la strada per l’eventuale ripetibilità dell’utile di impresa percepito dall’esecutore del contratto “o da parte dell’amministrazione (ex art. 2033 c.c.), ovvero (ma, in questo caso, ex art. 2041 c.c.) direttamente dalla parte che, in esito al giudicato definitivo, sia risultata quella legittimata a conseguire l’aggiudicazione e, come tale, l’unica avente titolo a svolgere il lavoro o il servizio (in fatto svolto, nelle more del giudizio, da un altro soggetto, che, civilisticamente, potest capere sed non potest retinere, avendo eseguito l’appalto sine titulo; nel senso, più precisamente, che ciò è avvenuto in base a un titolo bensì provvisoriamente efficace, ma infine caducato retroattivamente dal giudicato di merito)”.

E, invero, ha rammentato la Sezione che “[p]er il principio generale di causalità di ogni spostamento patrimoniale, positivamente espresso negli artt. 2033 e ss. e 2041 e ss. cod. civ. – che postula una iusta causa per ogni pagamento effettuato e perciò, in difetto di essa, un’obbligazione restitutoria dell’accipiens per tutto ciò che abbia indebitamente ricevuto – dovrebbe opinarsi che chi abbia di fatto svolto l’appalto, ma sine titulo (nel senso predetto), non possa conservare il guadagno conseguito”: nell’assunto, evidentemente implicito, che la mera conclusione del contratto che sia conseguita a un procedimento di scelta del contraente solo interinalmente efficace, ma infine rivelatosi illegittimo, sia a sua volta derivativamente viziata e perciò ex se inidonea a giustificare definitivamente, sul piano causale, l’attribuzione patrimoniale integrale al contraente “sbagliato”.

15.8. Focalizzando l’attenzione sul rimedio di cui all’art. 2041 c.c., la massima corrente è nel senso che “Ai sensi dell'art. 2041 c.c., chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Costituiscono elementi costitutivi di tale fattispecie l'arricchimento a favore di un soggetto, l'impoverimento subito da un altro soggetto, il nesso di correlazione tra i predetti due requisiti, l'assenza di una giusta causa dell'arricchimento, la mancanza di qualsiasi altra azione in favore dell'impoverito per ottenere la reintegrazione patrimoniale” (cfr. ex multis, Cass. 24 settembre 2015, n. 18878; nonché, da ultima, Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2023, n. 33954, sui presupposti dell’azione).

L'arricchimento senza causa sussiste quando tra due soggetti si verifica, senza alcuna giustificazione giuridica, uno spostamento patrimoniale tale che uno subisca pregiudizio e l'altro si arricchisca; l'azione generale di arricchimento, prevista dall’art. 2041 c.c., è un'azione generale e sussidiaria: è generale perché esperibile in una serie indeterminata di casi; è sussidiaria, ai sensi dell’art. 2042 c.c., perché può essere proposta solo quando il danneggiato non possa esercitare alcun'altra azione, basata su un contratto, su un fatto illecito o su altro atto o fatto produttivo dell'obbligazione restitutoria o risarcitoria: art. 2042 cod. civ. (cfr. Cass. S.U. 3 ottobre 2002, n. 14215, e Cass., S.U., n. 33954/2023, cit.).

Trattasi della sussunzione, nel diritto positivo vigente, del principio romanistico nemo lucupletari potest cum aliena iactura.

Indagando i rapporti tra l’azione di arricchimento senza causa e quella risarcitoria, si è autorevolmente chiarito (cfr. Cass. S.U. 10 settembre 2009, n. 19448) che “La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di risarcimento danni da responsabilità aquiliana non sono intercambiabili, non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, ma riguardano diritti per la cui individuazione è indispensabile il riferimento ai rispettivi fatti costitutivi, che divergono tra loro, identificando due diverse entità. Nell’azione generale di arricchimento la causa dello spostamento patrimoniale non deve essere qualificabile come antigiuridica, in quanto si entrerebbe allora nel campo dei fatti illeciti. Il termine <<danno>> di cui all’art. 2041 c.c. non va perciò letto nel senso di lesione antigiuridica, ma in quello di semplice diminuzione patrimoniale. Anche il petitum è diverso, trattandosi nel caso dell’art. 2041 c.c. dell’indennizzo ragguagliato alla minor somma tra l’arricchimento ed il depauperamento e, nell’azione di responsabilià aquiliana, nel risarcimento dell’intero danno subito dal danneggiato; inoltre, si tratta di crediti eterodeterminati, per la cui individuazione è cioè necessario fare riferimento al fatto costitutivo della pretesa, che identifica la <<causa pretendi>> tra le diverse possibili”.

15.9. Acquisita la ontologica diversità delle azioni di risarcimento del danno e di pagamento dell’indennizzo per arricchimento senza causa, e ribadito che nella presente controversia non risultano proposte da parte dell’odierno appellante domande ai sensi dell’art. 2041 c.c. (il che non permette ovviamente al Collegio di affrontare lo specifico thema decidendum), vi è soltanto spazio per evidenziare, su di un piano generale e di sistema, che il vigente codice del processo amministrativo di cui al d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104 contiene specifiche disposizioni il cui perimetro applicativo, ancora non adeguatamente esplorato nell’elaborazione giurisprudenziale, pone all’interprete, su basi decisamente innovative rispetto al passato, il quesito in ordine alla spettanza della giurisdizione su eventuali domande di ripetizione dell’indebito o di arricchimento senza causa nelle controversie inerenti alle “particolari materie” devolute per legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ossequio all’art. 103 della Costituzione.

Ci si riferisce anzitutto all’art. 30, comma 1, c.p.a. che, riferendosi all’azione di condanna genericamente intesa (e dunque, verosimilmente, non solo a quella risarcitoria), stabilisce che può essere proposta “contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma

Del pari significativo è l’art. 41, comma 2, ultimo periodo, c.p.a., in base al quale “[q]ualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo, ai sensi dell’articolo 102 del codice di procedura civile; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell’articolo 49”.

Disposizione, quest’ultima, che richiamando espressamente la disciplina processuale del litisconsorzio necessario di cui all’art. 102 c.p.c., impone al ricorrente che proponga dinanzi al giudice amministrativo l’azione di condanna, genericamente intesa (e, come accennato, non necessariamente solo quella al risarcimento del danno), di evocare tutti gli “eventuali beneficiari dell’atto illegittimo”, ovvero coloro che dall’atto illegittimo hanno ottenuto vantaggi, anche economicamente valutabili. Ove ciò non fosse fatto, il giudice amministrativo dovrebbe ordinare l’integrazione del contraddittorio (con successiva ed eventuale declaratoria di improcedibilità, ove l’integrazione non fosse eseguita).

Ne discende, con assoluta evidenza, che il codice di rito, con riferimento alle azioni di condanna, intende garantire la partecipazione al giudizio amministrativo dei controinteressati che abbiano beneficiato dell’atto illegittimo (onde impedire che il giudicato sulla legittimità dell’atto lesivo si formi diversamente in sede annullatoria e in sede risarcitoria, quand’anche non vi sia identità soggettiva tra esse); e tra questi possono essere annoverati coloro che in virtù di quest’ultimo abbiano ottenuto vantaggi economicamente valutabili, come utili di impresa non spettanti in quanto percepiti nell’ambito di un contratto il cui affidamento, per quanto accertato infine nella competente sede giurisdizionale, avrebbe dovuto essere legittimamente disposto in favore del ricorrente (o, comunque, di una parte diversa da quella che fattualmente lo ottenne).

Tale garanzia di partecipazione al giudizio sembra trovare la propria specifica ratio proprio nell’esigenza processuale che il giudicato formatosi sulla azione di condanna possa fare stato anche nei confronti di chi si è avvantaggiato dell’atto illegittimo; nei confronti del quale, quindi, il ricorrente potrebbe proporre –già nel medesimo processo, ovvero anche in separata sede – le pertinenti domande dirette al riequilibrio dello spostamento patrimoniale: tra cui, segnatamente, quelle al pagamento di un indennizzo avente a oggetto prioritariamente l’attribuzione dell’utile di impresa da parte dell’esecutore materiale del contratto all’avente diritto pretermesso, al quale ultimo sarebbe spettato ove l’accertamento della illegittimità dell’affidamento contrattuale fosse intervenuta in tempo utile e comunque prima della integrale esecuzione del contratto (o, nei casi di cui all’art. 125 c.p.a., della sua soggettiva irretrattabilità ex lege).

In altri termini, fermo restando il diritto dell’esecutore del contratto alla definitiva copertura dei costi effettivamente sostenuti per lo svolgimento del lavoro o del servizio (attribuzione patrimoniale che trova la propria iusta causa nel fatto stesso del relativo svolgimento da parte dell’accipiens), risulta evidente che l’attribuzione di una utilità eccedente detto costo, all’esito del giudizio in ordine alla illegittimità dell’affidamento, non trovando alcuna giustificazione causale (tale non ritenendosi poter essere un contratto interinalmente concluso con un soggetto diverso da quello risultato infine legittimato dall’esito secundum legem del procedimento di evidenza pubblica per la scelta, appunto, del legittimo contraente), consente l’attivazione dei rimedi approntati dall’ordinamento per rimuovere arricchimenti ingiustificati nei rapporti tra affidatario originario del contratto e avente diritto all’affidamento, anche con l’eventuale intermediazione della pubblica amministrazione appaltante ove quest’ultima avesse in concreto ottenuto la restituzione dell’utile di impresa dall’esecutore materiale della commessa (a mezzo dell’esperimento, appunto, della condictio indebiti, per la parte del compenso che si assume non dovuta: e salvo poi a valutarsi – ciò che però qui non rileva, né dunque occorre approfondire – se essa possa essere surrogatoriamente esperita dall’avente diritto al contratto direttamente verso il contrattualizzato senza titolo, utendo iuribus della stazione appaltante e dunque nel contraddittorio di entrambi).

15.10. Le riflessioni che precedono, sebbene non strettamente inerenti all’odierno thema decidendum in virtù della mancata proposizione della relativa e necessaria domanda della parte pretermessa, assumono significatività perché danno conto della tendenziale assenza di aree grigie nel vigente sistema di tutela dei diritti e degli interessi legittimi, in quanto – in relazione a fattispecie controverse come quella oggetto del presente vaglio giurisdizionale – l’azione risarcitoria non esaurisce lo strumentario giuridico approntato dall’ordinamento per reintegrare la sfera patrimoniale incisa dall’atto illegittimo, potendo il concorrente pretermesso – che avrebbe avuto titolo all’affidamento e all’esecuzione del contratto di appalto – agire in giudizio per ottenere, quanto meno nei limiti previsti dall’azione residuale di cui all’art. 2041 c.c. (o, altrimenti, ex artt. 2033 e ss. c.c.), che il vantaggio economico ottenuto dall’affidatario del contratto, e nei fatti tradottosi in uno spostamento di ricchezza senza idonea causa, venga riverso a chi ha subìto un impoverimento in conseguenza dell’illegittimo operato della stazione appaltante – ovvero, com’è accaduto nella specie, dell’interinale efficacia di una pronuncia giurisdizionale successivamente riformata in appello – almeno nella misura in cui la parte non è riuscita a ottenere quelle utilità a cui, in virtù della definitiva decisione del giudice amministrativo sull’atto, avrebbe avuto certamente titolo.

Temi, tutti quelli accennati, che tuttavia non constano essere stati finora particolarmente arati dalla giurisprudenza: verosimilmente per una diffusa ritrosia delle parti private (i cui moventi economici, almeno parzialmente, si possono anche intuire) nel devolverli alla relativa cognizione.

16. Passando allo scrutinio degli altri motivi di appello, con il secondo motivo parte appellante censura il capo della sentenza di primo grado recante reiezione della doglianza di eccesso di potere per sviamento mossa nei confronti della determinazione del RUP n. 72 del 9 luglio 2018, con la quale:

a) si è preso atto della sentenza del C.G.A.R.S. n. 575 del 2017 favorevole alla odierna appellante;

b) si è constatata la presenza di informative interdittive comunicate dal Prefetto di Fermo e dal Prefetto di Macerata, in conseguenza delle quali “il servizio in questione non può essere aggiudicato alla costituenda -OMISSIS-.”.

16.1. Il motivo si palesa privo di pregio.

16.2. Come condivisibilmente statuito dal giudice di prime cure, alla data del provvedimento del RUP il c.d. contratto “ponte”, nel quale doveva subentrare l’odierna appellante in virtù della sentenza ad essa favorevole n. 575 del 2017, non era stato ancora completamente eseguito, tenuto conto della sua scadenza annuale e della possibilità, poi concretamente verificatasi, di proroga per ulteriori sei mesi.

Né di alcun rilievo è la circostanza, dedotta a più riprese dall’appellante, che prima dell’avvio del contratto “ponte” la stazione appaltante aveva già aggiudicato l’appalto di servizi per sette anni, giacché l’odierna appellante aveva originariamente ottenuto l’aggiudicazione del contratto “ponte” e certamente non poteva vantare alcun titolo, neppure in virtù della sentenza n. 575 del 2017, all’affidamento del contratto settennale.

16.3. A ciò deve essere aggiunto che il provvedimento del RUP risulta adottato in data 9 luglio 2018 poiché la stazione appaltante, alla quale la sentenza n. 575 del 2017 non è stata tempestivamente comunicata dalla odierna appellante, ha svolto le obbligatorie verifiche di cui all’art. 32, comma 7, del d. lgs. n. 50 del 2016, pervenendo, anche all’esito di specifiche interlocuzioni con le Prefetture di Fermo e Macerata (cfr. nota prot. 59336 del 18.06.2018), all’accertamento di cause ostative all’aggiudicazione del contratto “ponte” in virtù delle più volte menzionate informative interdittive. Pertanto, nessun intento strumentale della stazione appaltante può essere desunto dagli atti, dovendosi piuttosto rimarcare, come ha fatto puntualmente il giudice di primo grado, che l’appellante avrebbe potuto, a tutela dei propri interessi, comunicare tempestivamente all’Amministrazione la sentenza n. 575 del 2017 al fine di fare avviare senza indugio il procedimento per il subentro nel contratto “ponte”.

17. Del pari privo di pregio si palesa il terzo motivo con il quale parte appellante contesta la decisione di primo grado nella parte in cui: a) non ha accertato la nullità ex art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 della determinazione n. 72 del 9 luglio 2018, e del successivo provvedimento n. 352 del 16 settembre 2018 recante revoca dell’originaria aggiudicazione del 6 febbraio 2017, per contrasto con le ordinanze cautelari del TAR Marche (nn. 122 del 2018 e 137 del 2018) di sospensione dell’efficacia delle informative interdittive prefettizie; b) non ha accertato che nella stessa motivazione della determinazione n. 72 del 2018 si evidenzia come il Prefetto di Fermo, con nota in data 1° marzo 2018, ha trasmesso l’ordinanza del TAR Marche n. 52 del 2018, motivata con riferimento al requisito del periculum in mora e, pertanto, favorevole per l’originaria aggiudicataria.

17.1. Quanto alla denunciata nullità ex art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, ad avviso dell’appellante discendente dal contrasto tra i provvedimenti impugnati e il “giudicato cautelare” formatosi sulle ordinanze del TAR Marche (v. atto di appello, pag. 33), la giurisprudenza amministrativa di ultimo grado (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2019, n. 4461; Id., 29 agosto 2018, n. 5084), anche di questa Sezione (cfr. C.G.A.R.S. 6 marzo 2023, n. 191) chiamata a pronunciarsi sulla configurabilità di un giudicato cautelare in senso proprio rispetto a quello formatosi sulle sentenze che definiscono il giudizio, ha escluso in radice tale possibilità, evidenziando:

a) le ordinanze cautelari, in quanto prive di contenuto definitivamente decisorio, sono per loro intrinseca natura insuscettibili di passare in giudicato, analogamente ai provvedimenti istruttori, interlocutori o di rinvio al ruolo ordinario (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2015, n. 2847);

b) ed invero, un provvedimento cautelare di sospensione dell'esecuzione di un atto amministrativo non fa venire meno l'atto sospeso e nemmeno la sua validità, né esercita una funzione ripristinatoria della situazione precedente, ma soltanto impedisce temporaneamente, e con efficacia ex nunc, la possibilità di portare l'atto ad ulteriore esecuzione e, per questo, è inevitabilmente connesso alla conclusione del giudizio. Peraltro, il provvedimento cautelare è emanato “con riserva” di accertamento della fondatezza nel merito, onde evitare che la pendenza del giudizio vada a danno dell’attore risultato vittorioso all’esito del giudizio, ed è dunque interinalmente subordinato alla verifica definitiva della fondatezza delle tesi del ricorrente. Tuttavia gli effetti di carattere sostanziale conseguono solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole al ricorrente, che è la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l'atto con effetti permanenti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 giugno 2016, n. 2448);

c) il suindicato principio trova indiretta conferma nell'art. 92, comma 5, seconda parte, c.p.a. che, sia pure al diverso fine della definizione della competenza del giudice amministrativo adito, ha espressamente, escluso la natura di decisione implicita delle ordinanze istruttorie o interlocutorie di cui all'art. 36, comma 1, c.p.a. e di quelle che disattendono l'istanza cautelare (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1554);

d) ne discende come corollario che se il provvedimento cautelare è, per sua natura, un provvedimento interinale che subisce le sorti del giudizio nel cui ambito è emanato, la sua efficacia viene necessariamente meno: a seguito di una pronuncia di rigetto del giudizio; nel caso di successiva ordinanza di revoca del provvedimento cautelare “melius re perpensa”; per la sopravvenienza di situazioni incompatibili con il mantenimento degli effetti della sospensione; in conseguenza di qualunque vicenda processuale abbia effetti estintivi sul processo cautelare o sull’intero giudizio;

e) dal punto di vista sistematico la inconfigurabilità di un “giudicato cautelare” è direttamente dimostrata anche dall'art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, il quale sanziona con la nullità solo ed esclusivamente l'atto che viola, o elude, il giudicato su di una sentenza e non anche di una pronuncia giudiziale che non abbia ancora il carattere della definitività come quella che dispone misure cautelari; è allora evidente l’assoluta impossibilità di sostenere l’equivalenza sul piano degli effetti tra il “giudicato” in senso proprio e un (inesistente, perché dogmaticamente non configurabile) “giudicato cautelare” (così, Cons. Stato n. 4461 del 2019);

e) a tale conclusione non osta la considerazione della lettera c) dell'art. 114, comma 4, c.p.a. per cui, in caso di accoglimento del ricorso per l’ottemperanza, il giudice ha il potere di “pronunciare l'inefficacia degli atti emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti”, giacché, sul piano dell’interpretazione letterale, è invero significativo evidenziare che, non a caso, lo stesso c.p.a. utilizza l’espressione per cui il giudice può “… pronunciare l'inefficacia degli atti emessi”, essendo evidente che in tali casi si tratta di esercitare un potere al fine di ripristinare gli effetti di una eventuale ordinanza cautelare seguita da una successiva sentenza conforme (così, C.G.A.R.S. n. 191 del 2023);

f) ancora sul piano sistematico, è stato evidenziato che il sistema della nullità amministrativa si distingue dall’archetipo di matrice civilistica di cui all’art.1418 c.c., in quanto risulta invertito il rapporto tra la categoria della nullità e quella dell'annullabilità: nel diritto amministrativo l’annullabilità per l’illegittimità dell’atto costituisce la forma generale di invalidità, mentre le nullità, con riferimento alle singole categorie indicate dalla legge, devono essere intese come ipotesi di invalidità dell’atto tassative e residuali (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957); ciò perché l’esigenza di certezza dell'azione amministrativa mal si concilia con la possibilità che questa possa restare esposta a impugnative non assoggettate a termini certi, e brevi, di decadenza o prescrizione. Per cui, in considerazione del loro carattere pubblicistico, le norme riguardanti la nullità dell'azione amministrativa, come tali, sono sempre di stretta interpretazione.

La giurisprudenza amministrativa, sulla base delle considerazioni sopra esposte, è quindi pervenuta alla conclusione, qui condivisa dal Collegio, che deve essere escluso, tenuto conto della già ricordata tassatività della formulazione dell'art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, che un atto amministrativo adottato in violazione di un'ordinanza cautelare del giudice amministrativo possa essere dichiarato nullo, in quanto la nullità presuppone un contrasto con sentenze formalmente passate in giudicato, e non semplicemente il contrasto con una decisione cautelare priva dell’efficacia di cosa giudicata.

17.2. Quanto al profilo di censura riferito alla omessa valutazione da parte della stazione appaltante della ordinanza del TAR Marche n. 52 del 2018, esso si palesa inammissibile ex art. 104, comma 1, c.p.a. perché proposto per la prima volta in appello. Di tale doglianza non vi è infatti traccia nell’ambito del secondo motivo del ricorso introduttivo di primo grado (RG 1674/2018).

Secondo la costante giurisprudenza in materia (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 15 novembre 2023, n. 9781), nel processo amministrativo, il divieto di motivi nuovi in appello costituisce la logica conseguenza dell'onere di specificità di quelli di impugnazione, in primo grado, del provvedimento amministrativo, e più in generale dell'onere di specificazione della domanda da parte di chi agisce in giudizio. Esso è pertanto riferibile soltanto al ricorrente e non anche all’amministrazione resistente. Ed infatti, l'amministrazione intimata, ovvero chiunque sia convenuto in giudizio, come non ha onere di specificare le difese, così nel caso di soccombenza può proporre appello contro la sentenza adducendo qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge, tra cui il divieto di eccezioni proprie in appello ex art. 104 c.p.a.) che ritenga utile per dimostrare l'infondatezza della domanda dell'attore o ricorrente accolta dal giudice di primo grado (cfr. Cons. Stato, sez. III, 11 luglio 2022, n. 5796; Id., sez. II, 24 novembre 2020, n. 7354, C.G.A.R.S. 8 gennaio 2020, n. 20).

17.3. In aggiunta alle conclusioni che precedono, osserva il Collegio, a ulteriore conferma della correttezza della conclusione raggiunta dal giudicante di prime cure in ordine al punto controverso, che alla data di adozione del provvedimento del RUP n. 72 del 2018 la stazione appaltante non era a conoscenza delle ordinanze cautelari del TAR Marche espressamente richiamate nel secondo motivo del ricorso introduttivo (segnatamente le nn. 122 del 14 giugno 2018 e 137 del 25 luglio 2018), né tanto meno delle ordinanze cautelari del TAR Campania nn. 1011 e 1012 del 12 luglio 2018. E ciò per la ovvia considerazione che l’ordinanza n. 122 del 14 giugno 2018 non era stata tempestivamente comunicata alla stazione appaltante (la comunicazione è avvenuta soltanto in data 30 luglio 2018), mentre le altre ordinanze sono state pubblicate in epoca successiva alla adozione del provvedimento contestato dall’odierna appellante.

17.4. Quanto, infine, all’argomento speso dall’appellante per sostenere l’irrilevanza ai fini della decisione del proposto gravame della sentenza del TAR Marche n. 207 del 13 aprile 2019, recante reiezione del ricorso proposto avverso l’informativa interdittiva del 22 gennaio 2018, esso non assume qui valenza decisiva, tenuto conto di quanto già sopra evidenziato in ordine alla cornice normativa e giurisprudenziale vigente nel momento di adozione della determinazione n. 72 del 2018.

18. L’accertata infondatezza delle doglianze proposte con il secondo e terzo motivo di appello impone la reiezione anche del quarto e quinto motivo.

Ed invero, con questi ultimi motivi parte appellante ripropone nel presente giudizio le censure di invalidità derivata mosse con i motivi aggiunti avverso il provvedimento n. 352 del 16 settembre 2018, recante revoca della aggiudicazione disposta con la determina dirigenziale n. 88 del 6 febbraio 2017.

18.1. La integrale reiezione del secondo e terzo motivo di appello – peraltro integralmente richiamati per relationem da parte appellante in sede di formulazione del quarto e quinto motivo – non può che condurre al rigetto anche delle predette doglianze riferite al provvedimento n. 352 del 2018.

19. Del pari privo di pregio si palesa il sesto e ultimo motivo di appello, con il quale parte appellante ripropone la seconda doglianza formulata con i motivi aggiunti dinanzi al TAR (RG 1674/2018).

Deduce, in particolare, l’appellante che il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione del 16 settembre 2018 sarebbe affetto da violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, nonché da eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.

19.1. Il motivo non riesce a scalfire il condivisibile percorso logico argomentativo seguito dal giudice di prime cure, in base al quale:

- l’interesse del ricorrente, sotteso alla doglianza, è di natura esclusivamente risarcitoria;

- l’accertata infondatezza della domanda risarcitoria compiuta in sede di scrutinio del ricorso RG 1544/2018 “rende superfluo l’accertamento, a tali fini, dell’illegittimità del provvedimento gravato con i motivi aggiunti”;

- pur a volere prescindere dalla conclusione suindicata, la condotta processuale della ricorrente – che ha proposto ricorso giurisdizionale avverso la determinazione n. 72 del 9 luglio 2018 soltanto il 19 settembre 2018, ha poi chiesto rinvio all’udienza del 9 ottobre 2018 per proporre motivi aggiunti anziché ivi insistere per la concessione di una misura cautelare, e ha successivamente rinunciato alla domanda cautelare alla camera di consiglio del 6 novembre 2018 – non ha in concreto permesso un sindacato giudiziale finalizzato alla richiesta concessione della tutela cautelare e, quindi, al subentro della ricorrente nel contratto “ponte”, prorogato, a decorrere dal 1° settembre 2018, per ulteriori sei mesi;

- ed invero, “proprio la prospettata insussistenza delle presunte condizioni ostative (id est: la sospensione degli effetti dell’informativa interdittiva) avrebbe dovuto indurre la ricorrente a insistere per la concessione della tutela cautelare”.

Nel provvedimento gravato con i motivi aggiunti è infatti chiaramente precisato che “il contratto in questione aveva una durata di 1 anno eventualmente prorogabile di 6 mesi e che lo stesso al momento ha esaurito, di fatto, la sua naturale durata, rimanendo soltanto un breve periodo necessario alla consegna del Servizio al nuovo Gestore affidatario della gara relativa alla gestione di durata settenale”.

19.2. Quanto, infine, alla censura concernente l’art. 32, comma 10, del decreto legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazione, dalla legge n. 114 del 2014, essa appare fuori asse rispetto al perimetro dell’odierno giudizio, in quanto le conclusioni già sopra raggiunte dal Collegio in ordine al subentro nel contratto “ponte” non permettono di assecondare la tesi dell’odierna appellante, in base alla quale – ove la stazione appaltante avesse permesso il tempestivo subentro – il contratto, “in quel momento entrato nel suo patrimonio, sarebbe stato inserito, come tutti gli altri in corso di esecuzione, nella gestione dei commissari a nomina prefettizia”.

Per confutare la censura è in questa sede sufficiente rilevare che le doglianze mosse nei confronti dell’operato del Comune di Caltanissetta, che non avrebbe permesso il subentro nel contratto “ponte”, si sono rivelate prive di fondamento, anche tenuto conto del contegno serbato dall’odierna appellante sia in sede procedimentale, sia in quella successiva processuale.

Ne consegue che nessun rilievo può essere in questa sede mosso all’Amministrazione per la mancata attrazione del contratto “ponte” al perimetro del commissariamento di cui all’art. 32, comma 10, del decreto legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, anche considerato che la misura del commissariamento può riguardare “l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto ovvero dell’accordo contrattuale, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici”, e pertanto presuppone l’avvenuta stipula di un contratto da parte del soggetto attinto da informativa interdittiva antimafia, circostanza nel caso controverso non verificatasi.

20. In conclusione, l’accertata infondatezza di tutti i motivi di gravame impone l’integrale reiezione dell’appello.

21. La complessità e obiettiva novità di talune delle questioni controverse giustifica la integrale compensazione delle spese del grado tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte appellante.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco, Presidente

Michele Pizzi, Consigliere

Giuseppe Chinè, Consigliere, Estensore

Antonino Caleca, Consigliere

Paola La Ganga, Consigliere

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia n. 598 dello scorso 29 luglio 2024 la Corte di Giustizia per la Regione Sicilia si è soffermata sui rimedi che l’ordinamento prevede per la reintegrazione della sfera patrimoniale incisa dall’atto illegittimo.

Dopo aver ribadito quanto sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 23 aprile 2021, n. 7) in materia di risarcimento del danno, in specie con riguardo agli elementi costitutivi dello stesso, discendenti dalla qualificazione in termini di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già da inadempimento contrattuale, il Collegio ha affrontato il tema dei rimedi approntati dall’ordinamento a fronte di spostamenti patrimoniali non connotati da illiceità bensì, esclusivamente, da assenza di causa.

Procediamo con ordine.

Come preannunciato, la Corte, primariamente, si è soffermata sulla corretta perimetrazione nonché sugli elementi costitutivi propri dell’azione risarcitoria avverso una P.A., in tal modo finendo per ritenere infondato il primo motivo di appello avanzato.

Al riguardo, si afferma che, per indirizzo giurisprudenziale ormai sedimentato (Cons. Stato, Ad. Plen., 23 aprile 2021, cit.): “Il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità dell'amministrazione per l'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito. Anche in un'organizzazione dei pubblici poteri improntata al buon andamento, in cui si afferma il modello dell'amministrazione <<di prestazione>>, quest'ultima mantiene rispetto al privato la posizione di supremazia necessaria a perseguire <<i fini determinati dalla legge>> (art. 1, comma 1, della L. n. 241 del 1990), con atti di carattere autoritativo in grado di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del privato. Nel rapporto amministrativo contraddistinto dalla ora descritta asimmetria delle posizioni si manifesta ad un tempo l'essenza dell'ordinamento giuridico di diritto amministrativo e allo stesso tempo si creano le condizioni perché la pubblica amministrazione -per ragioni storiche, sistematiche e normative- non possa essere assimilata al <<debitore>> obbligato per contratto ad <<adempiere>> in modo esatto nei confronti del privato. Nel descritto quadro l'esercizio della funzione pubblica, manifestatosi tanto con l'emanazione di atti illegittimi quanto con un'inerzia colpevole, può quindi essere fonte di responsabilità sulla base del principio generale neminem laedere: con la normativa sopra richiamata il legislatore ha progressivamente esteso ai casi di illegittimo esercizio del potere pubblico la tutela risarcitoria disciplinata dall'art. 2043 del codice civile - in cui è affermato un principio generale dell'ordinamento - secondo cui <<qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno>>”. Di qui il principio di diritto autorevolmente enunciato dall’Adunanza Plenaria n. 7/2021, per cui: “La responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell'art. 2056 cod. civ. - da ritenere espressione di un principio generale dell'ordinamento - i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell'evitabilità con l'ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.; e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall'art. 1225 cod. civ.”.

Indefettibile corollario di quanto sopra è che è esclusivo onere del danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria come elencati nella disposizione dell’art. 2043 c.c., utilizzando, eventualmente, secondo le vigenti previsioni codicistiche, anche le prove presuntive, senza che vi sia spazio, però, ad automatismi di sorta tra l’accertamento dell’illegittimità dell’atto e le sue conseguenze risarcitorie, come quelli cui sembra fare riferimento parte appellante nell’articolare la doglianza.

Tanto posto in termini generali, i Giudici siciliani ritengono assolutamente non provati nel caso oggetto di giudizio gli elementi costitutivi idonei a determinare una responsabilità ex art. 2043 c.c. della P.A.; nel dettaglio risulterebbero del tutto “inesistenti” il nesso di causalità (considerando che l’Amministrazione ha puntualmente dato esecuzione a una sentenza del TAR - la n. 1210 del 2017 - prima della sua riforma da parte di questo Consiglio di Giustizia Amministrativa), qualsiasi profilo di colpa in capo all’appellata nonché, in via dirimente, lo stesso elemento (oggettivo) della fattispecie aquiliana costituito dalla c.d. ingiustizia del danno (che, per qualificarsi come ‘ingiusto’, dev’essere prodotto, al contempo, non iure e altresì contra ius), giacché nella specie, quella di effettuare la riaggiudicazione della gara secondo quanto vincolativamente espresso dalla sentenza di primo grado costituisce esercizio di una legittima (e dunque iure) facoltà riconosciutagli dall’ordinamento.

Acquisita la infondatezza del primo motivo di appello, il Collegio affronta l’ulteriore tema, che la controversia chiaramente sottende (sebbene non risultino sul punto proposte specifiche domande da parte dell’appellante), dei rimedi approntati dall’ordinamento a fronte di spostamenti patrimoniali non connotati da illiceità – in quanto non verificatisi in conseguenza di fatti illeciti lesivi di posizioni giuridiche soggettive altrui – bensì esclusivamente da assenza di causa.

Riprendendo e sviluppando argomenti già spesi dallo stesso Consiglio di Giustizia Amministrativa nella sentenza n. 600 del 21 luglio 2008, si osserva che l’ordinamento individua uno specifico armamentario giuridico, enunciando le norme e i principi sulla restituzione dell’indebito (art. 2033 c.c.) e sull’arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.), per il caso in cui un’impresa, sulla base di un affidamento contrattuale, all’epoca dell’esecuzione pienamente efficace, abbia eseguito il contratto, percependo il relativo corrispettivo, quando si accerti, all’esito di uno specifico contenzioso giurisdizionale, che l’affidamento sarebbe invece spettato ad altra impresa, la quale, pertanto, risulti essere l’unica legittimata a stipulare il contratto e a eseguire il lavoro o il servizio.

In una situazione di tal fatta, è infatti evidente che l’impresa esecutrice del contratto sulla base di un titolo pro tempore pienamente efficace, all’esito della decisione della causa, risulterà avere eseguito il lavoro o il servizio sine titulo, nel senso che quel lavoro o quel servizio avrebbe dovuto essere eseguito da altra impresa, segnatamente da quella che è uscita vittoriosa nel contenzioso giurisdizionale, alla quale sarebbero spettati tutti i vantaggi derivanti dal contratto, sia quelli prettamente economici (i.e. utile d’impresa) sia quelli concernenti l’esperienza professionale e, più in generale, la qualificazione in funzione delle future gare.

Con riferimento a dette fattispecie, la Sezione, nella richiamata sentenza n. 600 del 2008, ha indicato la strada per l’eventuale ripetibilità dell’utile di impresa percepito dall’esecutore del contratto “o da parte dell’amministrazione (ex art. 2033 c.c.), ovvero (ma, in questo caso, ex art. 2041 c.c.) direttamente dalla parte che, in esito al giudicato definitivo, sia risultata quella legittimata a conseguire l’aggiudicazione e, come tale, l’unica avente titolo a svolgere il lavoro o il servizio (in fatto svolto, nelle more del giudizio, da un altro soggetto, che, civilisticamente, potest capere sed non potest retinere, avendo eseguito l’appalto sine titulo; nel senso, più precisamente, che ciò è avvenuto in base a un titolo provvisoriamente efficace, ma infine caducato retroattivamente dal giudicato di merito)”.

Focalizzando l’attenzione sul rimedio di cui all’art. 2041 c.c., la massima corrente è nel senso che: “Ai sensi dell'art. 2041 c.c., chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Costituiscono elementi costitutivi di tale fattispecie l'arricchimento a favore di un soggetto, l'impoverimento subito da un altro soggetto, il nesso di correlazione tra i predetti due requisiti, l'assenza di una giusta causa dell'arricchimento, la mancanza di qualsiasi altra azione in favore dell'impoverito per ottenere la reintegrazione patrimoniale” (cfr. da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 5 dicembre 2023, n. 33954, sui presupposti dell’azione).

Indagando i rapporti tra l’azione di arricchimento senza causa e quella risarcitoria, si è autorevolmente chiarito (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 10 settembre 2009, n. 19448) che: “La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di risarcimento danni da responsabilità aquiliana non sono intercambiabili, non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, ma riguardano diritti per la cui individuazione è indispensabile il riferimento ai rispettivi fatti costitutivi, che divergono tra loro, identificando due diverse entità. Nell’azione generale di arricchimento la causa dello spostamento patrimoniale non deve essere qualificabile come antigiuridica, in quanto si entrerebbe allora nel campo dei fatti illeciti. Il termine <<danno>> di cui all’art. 2041 c.c. non va perciò letto nel senso di lesione antigiuridica, ma in quello di semplice diminuzione patrimoniale. Anche il petitum è diverso, trattandosi nel caso dell’art. 2041 c.c. dell’indennizzo ragguagliato alla minor somma tra l’arricchimento ed il depauperamento e, nell’azione di responsabilità aquiliana, nel risarcimento dell’intero danno subito dal danneggiato; inoltre, si tratta di crediti eterodeterminati, per la cui individuazione è cioè necessario fare riferimento al fatto costitutivo della pretesa, che identifica la <<causa pretendi>> tra le diverse possibili”.

Acquisita la ontologica diversità delle azioni di risarcimento del danno e di pagamento dell’indennizzo per arricchimento senza causa, e ribadito che nella controversia oggetto di analisi non risultano proposte da parte dell’appellante domande ai sensi dell’art. 2041 c.c. (il che non permette ovviamente al Collegio di affrontare lo specifico thema decidendum), la Corte rileva che vi è soltanto spazio per evidenziare, su di un piano generale e di sistema, che il vigente codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 contiene specifiche disposizioni il cui perimetro applicativo, ancora non adeguatamente esplorato nell’elaborazione giurisprudenziale, pone all’interprete, su basi decisamente innovative rispetto al passato, il quesito in ordine alla spettanza della giurisdizione su eventuali domande di ripetizione dell’indebito o di arricchimento senza causa nelle controversie inerenti alle “particolari materie” devolute per legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ossequio all’art. 103 della Costituzione.

Ci si riferisce anzitutto all’art. 30, comma 1, c.p.a. che, riferendosi all’azione di condanna genericamente intesa (e dunque, verosimilmente, non solo a quella risarcitoria), stabilisce che può essere proposta “contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma

Del pari significativo è l’art. 41, comma 2, ultimo periodo, c.p.a., in base al quale “[q]ualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo, ai sensi dell’articolo 102 del codice di procedura civile; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell’articolo 49”. Disposizione, quest’ultima, che richiamando espressamente la disciplina processuale del litisconsorzio necessario di cui all’art. 102 c.p.c., impone al ricorrente che proponga dinanzi al giudice amministrativo l’azione di condanna, genericamente intesa (e, come accennato, non necessariamente solo quella al risarcimento del danno), di evocare tutti gli “eventuali beneficiari dell’atto illegittimo”, ovvero coloro che dall’atto illegittimo hanno ottenuto vantaggi, anche economicamente valutabili. Ove ciò non fosse fatto, il giudice amministrativo dovrebbe ordinare l’integrazione del contraddittorio (con successiva ed eventuale declaratoria di improcedibilità, ove l’integrazione non fosse eseguita).

Ne discende, con assoluta evidenza, che il codice di rito, con riferimento alle azioni di condanna, intende garantire la partecipazione al giudizio amministrativo dei controinteressati che abbiano beneficiato dell’atto illegittimo (onde impedire che il giudicato sulla legittimità dell’atto lesivo si formi diversamente in sede annullatoria e in sede risarcitoria, quand’anche non vi sia identità soggettiva tra esse); e tra questi possono essere annoverati coloro che in virtù di quest’ultimo abbiano ottenuto vantaggi economicamente valutabili, come utili di impresa non spettanti in quanto percepiti nell’ambito di un contratto il cui affidamento, per quanto accertato infine nella competente sede giurisdizionale, avrebbe dovuto essere legittimamente disposto in favore del ricorrente (o, comunque, di una parte diversa da quella che fattualmente lo ottenne).

Tale garanzia di partecipazione al giudizio sembra trovare la propria specifica ratio proprio nell’esigenza processuale che il giudicato formatosi sulla azione di condanna possa fare stato anche nei confronti di chi si è avvantaggiato dell’atto illegittimo; nei confronti del quale, quindi, il ricorrente potrebbe proporre –già nel medesimo processo, ovvero anche in separata sede – le pertinenti domande dirette al riequilibrio dello spostamento patrimoniale: tra cui, segnatamente, quelle al pagamento di un indennizzo avente a oggetto prioritariamente l’attribuzione dell’utile di impresa da parte dell’esecutore materiale del contratto all’avente diritto pretermesso, al quale ultimo sarebbe spettato ove l’accertamento della illegittimità dell’affidamento contrattuale fosse intervenuta in tempo utile e comunque prima della integrale esecuzione del contratto (o, nei casi di cui all’art. 125 c.p.a., della sua soggettiva irretrattabilità ex lege).

In altri termini, il massimo Consesso della giustizia amministrativa siciliana afferma che: “Fermo restando il diritto dell’esecutore del contratto alla definitiva copertura dei costi effettivamente sostenuti per lo svolgimento del lavoro o del servizio (attribuzione patrimoniale che trova la propria iusta causa nel fatto stesso del relativo svolgimento da parte dell’accipiens), risulta evidente che l’attribuzione di una utilità eccedente detto costo, all’esito del giudizio in ordine alla illegittimità dell’affidamento, non trovando alcuna giustificazione causale (tale non ritenendosi poter essere un contratto interinalmente concluso con un soggetto diverso da quello risultato infine legittimato dall’esito secundum legem del procedimento di evidenza pubblica per la scelta, appunto, del legittimo contraente), consente l’attivazione dei rimedi approntati dall’ordinamento per rimuovere arricchimenti ingiustificati nei rapporti tra affidatario originario del contratto e avente diritto all’affidamento, anche con l’eventuale intermediazione della pubblica amministrazione appaltante ove quest’ultima avesse in concreto ottenuto la restituzione dell’utile di impresa dall’esecutore materiale della commessa (a mezzo dell’esperimento, appunto, della condicio indebiti, per la parte del compenso che si assume non dovuta: e salvo poi a valutarsi – ciò che però qui non rileva, né dunque occorre approfondire – se essa possa essere surrogatoriamente esperita dall’avente diritto al contratto direttamente verso il contrattualizzato senza titolo, utendo iuribus della stazione appaltante e dunque nel contraddittorio di entrambi).”.

Le riflessioni avanzate dalla Corte, sebbene non strettamente inerenti all’odierno thema decidendum in virtù della mancata proposizione della relativa e necessaria domanda della parte pretermessa, assumono significatività perché danno conto della tendenziale assenza di aree grigie nel vigente sistema di tutela dei diritti e degli interessi legittimi, in quanto – in relazione a fattispecie controverse come quella oggetto del presente vaglio giurisdizionale – l’azione risarcitoria non esaurisce lo strumentario giuridico approntato dall’ordinamento per reintegrare la sfera patrimoniale incisa dall’atto illegittimo, potendo il concorrente pretermesso – che avrebbe avuto titolo all’affidamento e all’esecuzione del contratto di appalto – agire in giudizio per ottenere, quanto meno nei limiti previsti dall’azione residuale di cui all’art. 2041 c.c. (o, altrimenti, ex artt. 2033 e ss. c.c.), che il vantaggio economico ottenuto dall’affidatario del contratto, e nei fatti tradottosi in uno spostamento di ricchezza senza idonea causa, venga riverso a chi ha subìto un impoverimento in conseguenza dell’illegittimo operato della stazione appaltante – ovvero, com’è accaduto nella specie, dell’interinale efficacia di una pronuncia giurisdizionale successivamente riformata in appello – almeno nella misura in cui la parte non è riuscita a ottenere quelle utilità a cui, in virtù della definitiva decisione del giudice amministrativo sull’atto, avrebbe avuto certamente titolo.