TAR Lazio, Roma sez. IV, 1 luglio 2024 n. 13225

Ora, è noto che ad avviso della giurisprudenza, in relazione alla disciplina di cui all’art. 76, comma 2 del (previgente) d.lgs. 50/2016, “quanto all’esatto computo dei termini decadenziali va rilevato in generale che: a) il termine di trenta giorni per impugnare l'aggiudicazione decorre dalla data della sua comunicazione o pubblicazione sull'albo pretorio on line della stazione appaltante; b) considerata la “dilazione temporale” di 15 giorni, praticata sulla base della presentazione di una istanza di accesso agli atti, è consentita la notifica del ricorso entro 45 giorni dalla pubblicazione dell'aggiudicazione” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 8 novembre 2023, n. 9599); e ciò in linea con le statuizioni dell’Adunanza plenaria 2 luglio 2020, n. 12. (…)

Nondimeno, la disciplina della procedura odiernamente controversa ha previsto che “il disciplinare di gara (…) costituisce parte integrante e sostanziale del bando di gara (…) con cui è stata indetta la presente procedura, alla quale è applicabile il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (…), salvo nelle parti in cui è ancora applicabile il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ai sensi dell’articolo 225 del Codice dei Contratti” (art. 1 del disciplinare di gara).

Proprio in tema di accesso agli atti, il nuovo codice ha introdotto una disposizione inedita, l’art. 35, che al comma 1 prevede che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano in modalità digitale l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme, ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”.

Di conseguenza, nella specie non è applicabile l’art. 76, comma 2 del (previgente) d.lgs. 50/2016 (“su richiesta scritta dell'offerente e del candidato interessato, l'amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta”), disposizione abrogata dal nuovo codice dei contratti pubblici: il che rende, parimenti, inapplicabile il peculiare termine di proroga del termine impugnatorio elaborato dalla giurisprudenza, nei termini sopra indicati.

 

Pubblicato il 01/07/2024

N. 13225/2024 REG.PROV.COLL.

N. 06598/2024 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 6598 del 2024, proposto da 
Socotec Italia s.r.l., in relazione alla procedura CIG A024E132A7, rappresentata e difesa dagli avvocati Marialaura Borrillo, Filippo Arena, Elena Mastrocinque, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 

contro

Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Ispra Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Invitalia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Marcello Collevecchio, Chiara Petrucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 

nei confronti

Next Geosolutions Europe S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Antonio Caputo, Adele Divoto, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Antonio Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114; 
Fugro Italy S.p.A., non costituito in giudizio; 

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. 0153814 del 24.4.2024, con cui l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – Invitalia S.p.A. ha disposto l’aggiudicazione della procedura di gara aperta per l’affidamento del “servizio di mappatura di habitat marini di acque profonde di interesse conservazionistico presenti sui monti sottomarini e sugli affioramenti rocciosi circalitorali e batiali” (CIG: A024E132A7) in favore di Next Geosolutions Europe S.p.A., pubblicato sulla piattaforma telematica di e-procurement di Invitalia (InGaTe) in data 29.4.2023; della proposta di aggiudicazione formulata dal RUP di Invitalia S.p.A.; del verbale della commissione giudicatrice n. 2 del 27.2.2024; del verbale n. 3 del 7.3.2024 in cui la commissione giudicatrice ha attribuito i punteggi tecnici; del verbale n. 4 del 7.3.2024 in cui la commissione giudicatrice ha attribuito i punteggi economici e stilato la graduatoria; del verbale n. 5 del 26.3.2024 avente ad oggetto la verifica delle dichiarazioni e dei documenti contenuti nella documentazione amministrativa dei concorrenti collocatisi primo e secondo in graduatoria; del verbale n. 6 dell’11.4.2024 con cui il RUP ha confermato la graduatoria; del disciplinare di gara.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, di Ispra Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, di Next Geosolutions Europe S.p.A. e di Invitalia S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2024 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La società Socotec Italia s.r.l., in proprio e in qualità di mandataria del costituendo raggruppamento con la mandante Consorzio 3AS, ha impugnato e chiesto l’annullamento del provvedimento prot. n. 0153814 del 24.4.2024, con cui l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – Invitalia S.p.A. ha disposto l’aggiudicazione della procedura di gara aperta per l’affidamento del “servizio di mappatura di habitat marini di acque profonde di interesse conservazionistico presenti sui monti sottomarini e sugli affioramenti rocciosi circalitorali e batiali” (CIG: A024E132A7) in favore di Next Geosolutions Europe S.p.A., pubblicato sulla piattaforma telematica di e-procurement di Invitalia (InGaTe) in data 29.4.2023; della proposta di aggiudicazione formulata dal RUP di Invitalia S.p.A.; del verbale della commissione giudicatrice n. 2 del 27.2.2024; del verbale n. 3 del 7.3.2024 in cui la commissione giudicatrice ha attribuito i punteggi tecnici; del verbale n. 4 del 7.3.2024 in cui la commissione giudicatrice ha attribuito i punteggi economici e stilato la graduatoria; del verbale n. 5 del 26.3.2024 avente ad oggetto la verifica delle dichiarazioni e dei documenti contenuti nella documentazione amministrativa dei concorrenti collocatisi primo e secondo in graduatoria; del verbale n. 6 dell’11.4.2024 con cui il RUP ha confermato la graduatoria; del disciplinare di gara.

Ha, inoltre, chiesto la declaratoria di inefficacia del contratto di appalto, ove stipulato, con subentro nel medesimo rapporto, nonché il risarcimento per equivalente monetario dei danni derivanti dagli atti impugnati.

La procedura oggetto del contendere, avente un importo complessivo pari ad €. 43.371.772,42 (oltre IVA e oneri di legge se dovuti), di cui € 39.042,25 di oneri non ribassabili, è stata regolata dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, fondato sulla applicazione di 90/100 per l’offerta tecnica (da assegnare sulla base di quattro criteri, ulteriormente suddivisi in subcriteri e subpunteggi) e 10/100 per l’offerta economica; in esito alle operazioni di gara è risultata prima la società Next Geosolutions Europe S.p.A. con punti 71,710 (punti 65,165 per l’offerta tecnica + punti 4,545 per l’offerta economica a fronte di un ribasso del 2%), mentre secondo si è classificato il RTI Fugro Italiy S.p.A. (mandataria), con Fugro Germany Marine GMBH e CNR (mandanti), il quale ha ottenuto 71,483 punti (64,665 + 6,811 a fronte di un ribasso del 3%) e terzo si è classificato il RTI ricorrente composto dalle società Socotec Italia s.r.l. (mandataria) con Consorzio 3AS (mandante) e le consorziate 3TI Progetti Italia – Ingegneria Integrata S.p.A. e Speri società di ingegneria e di architettura S.p.A., il quale ha ottenuto 68,490 punti (58,490 + 10 a fronte di un ribasso del 4,40%).

A fondamento del ricorso ha dedotto i seguenti motivi:

1°) violazione dell’art. 66 del d.lgs. 36/2023 e degli artt. 36 e 37 dell’allegato II.12; degli artt. 7, 8 e 19 del disciplinare di gara (mancato possesso dei requisiti di idoneità professionale, sub specie assenza di un direttore tecnico con funzioni di collaborazione e controllo delle prestazioni svolte dai professionisti incaricati di svolgere i “servizi tecnici”). 

In prima battuta, la ricorrente ha evidenziato che “i “servizi tecnici” messi a gara possono essere realizzati unicamente da uno dei soggetti elencati nell’art. 66 del d.lgs. n. 36/2023, tra i quali le società di ingegneria e i soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura, che, a pena di esclusione, devono disporre di almeno un direttore tecnico, che sia laureato in ingegneria, architettura ovvero in una disciplina tecnica attinente alla tipologia dei servizi tecnici da prestare, abilitato all’esercizio della professione da almeno 10 anni, iscritto, al momento dell’assunzione dell’incarico, al relativo albo professionale, oltre che essere in regola con gli obblighi contributivi, assicurativi e di aggiornamento professionale” (cfr. pag. 10).

Ha lamentato, in particolare, che “Next, pur avendo nella domanda di partecipazione dichiarato di svolgere personalmente i “servizi tecnici” – avendo, viceversa, dichiarato di volere subappaltare unicamente le prestazioni (per una quota pari al 3%) rientranti nella categoria dei “servizi” – e di possedere rispetto ai suddetti “servizi tecnici” “i requisiti di idoneità professionale di cui rispettivamente agli articoli 34, 35, 36, 37 e 38 dell’Allegato II.12” (…), invero, non ha dimostrato di (né risulta) esserne in possesso. In particolare, Next non risulta disporre di un direttore tecnico, che, come ricordato, è un ruolo che può essere assunto solo da un ingegnere o architetto o laureato in una disciplina tecnica attinente all’attività prevalente svolta dalla società, abilitato all’esercizio della professione da almeno 10 anni nonché iscritto, al momento dell’assunzione dell’incarico, al relativo albo professionale” (cfr. pag. 11).

2°) Violazione dell’art. 8 del disciplinare di gara sotto diverso; eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto (assenza in capo ai professionisti indicati nel gruppo di lavoro proposto dall’aggiudicatario dei requisiti minimi richiesti). 

La ricorrente ha soggiunto che “l’aggiudicatario, oltre che per la mancanza della figura del direttore tecnico, avrebbe altresì dovuto essere escluso dalla procedura per non avere lo stesso presentato, nel termine fissato per la presentazione delle offerte, un gruppo di lavoro composto da un numero adeguato di professionisti e tutti in possesso dei requisiti minimi richiesti per ogni profilo” (cfr. pag. 12); e ciò nel senso che “per il profilo “Data Processing/CAD Engineer”, Michail Drakakis, in quanto dipendente della controllata Phoenix Offshore S.r.l., dichiarando che il professionista è iscritto all’Ordine degli ingegneri di Napoli dal 1995. Medesima affermazione è contenuta nel curriculum vitae del suddetto professionista, prodotto da Next all’atto della presentazione della domanda di partecipazione” (cfr. pag. 14): un professionista che oltre ad essere dipendente di una società consorziata, risulterebbe “sospeso a partire dal 1.7.2021 (…), con conseguente impossibilità di esercitare la relativa professione e, dunque, svolgere i servizi richiesti. E ciò l’aggiudicatario ha omesso di dichiarare, influenzando l’esito della procedura” (cfr. pag. 14).

3°) Violazione dell’art. 66 del d.lgs. 36/2023; degli artt. 36 e 37 dell’allegato II.12; degli artt. 7, 8 e 19 del disciplinare di gara (mancato possesso dei requisiti di idoneità professionale, sub specie di assenza di un direttore tecnico con funzioni di collaborazione e controllo delle prestazioni svolte dai professionisti incaricati di svolgere i “servizi tecnici”). 

La ricorrente ha, poi, contestato la posizione del secondo in graduatoria, deducendo che tale concorrente “si è presentato sotto forma di costituendo raggruppamento temporaneo, prevedendo (…) che le prestazioni consistenti nell’esecuzione di indagini, rilievi e campionamenti, vale a dire i “servizi” ex art. 3.1.1 del disciplinare, sarebbero state svolte, in misura diversa, da tutti e tre gli operatori economici partecipanti al raggruppamento medesimo, laddove il soggetto deputato a svolgere i “servizi tecnici” sarebbe stato esclusivamente e direttamente il CNR”; un assunto, tuttavia, contestato in ragione del fatto che le mandanti e la stessa mandataria non avrebbero barrato la casella “dichiara: (per i professionisti singoli o associati, le società di professionisti, le società di ingegneria, gli altri soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura ed i consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria e di G.E.I.E) di possedere i requisiti di idoneità professionale di cui rispettivamente agli articoli 34, 35, 36, 37 e 38 dell’Allegato II.12”; cioè, in sostanza, avrebbero ammesso il mancato possesso del requisito relativi ai servizi tecnici.

Ha, in particolare, stigmatizzato che “il CNR non risulta disporre, ai sensi dell’art. 37 dell’Allegato II.12 più volte citato, di un direttore tecnico, che sia ingegnere o architetto o laureato in una disciplina tecnica attinente all’attività prevalente svolta dall’ente, abilitato all’esercizio della professione da almeno 10 anni e iscritto, al momento dell’assunzione dell’incarico, al relativo albo professionale, nonché in regola con gli obblighi contributivi, assicurativi e di aggiornamento professionale; in effetti il CNR non risulta avere un direttore tecnico tout court” (cfr. pag. 15).

Una lacuna che riguarderebbe anche gli altri componenti del RTI secondo graduato.

4°) Violazione dell’art. 66, comma 2 del d.lgs. 36/2023; degli artt. 36 e 37 dell’allegato II.12; eccesso di potere per contraddittorietà. 

La ricorrente ha, infine, evidenziato una contraddizione presente nella formulazione del disciplinare di gara, segnatamente che “l’art. 7.2, invece, pur individuando correttamente rispetto a ciascun soggetto elencato il corrispondente articolo dell’Allegato al Codice citato (…) alle lett.re c), e) e g) riproduce sempre l’espressione “Si precisa che le società di professionisti devono rispettare le condizioni di partecipazione […]” sebbene le citate lettere si riferiscano, rispettivamente, alle società di ingegneria, agli altri soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura, e ai consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria” (cfr. pag. 17).

Si sono costituiti in giudizio la società Next Geosolutions Europe S.p.A. (19.6.2024), il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica unitamente all’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (20.6.2024) e la società Invitalia (20.6.2024), tutti chiedendo il rigetto del ricorso ed anche l’inammissibilità del medesimo per difetto d’interesse.

All’udienza in Camera di Consiglio del 26 giugno 2024 il Collegio ha indicato alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3 c.p.a., la questione della possibile irricevibilità del ricorso, avvisandole della possibilità di definizione della controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a. e la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è irricevibile, è inammissibile per difetto d’interesse ed anche infondato, per i seguenti motivi.

Quanto al profilo della rituale proposizione, occorre considerare che, come ammesso dalla ricorrente, “con provvedimento prot. n. 0153814 del 24.4.2024 (…), pubblicato sulla piattaforma telematica di e-procurement della Centrale di Committenza (…) in data 29.4.2023 [ 29.4.2024 ndr ], il Responsabile Investimenti Pubblici di Invitalia approvava quindi la proposta di aggiudicazione del servizio di mappatura messo a gara in favore di Next formulata dal Responsabile Unico del Progetto”; e, come pure espresso dalla ricorrente, “solo in data 20.5.2024 (…), e a seguito di istanza di accesso agli atti formulata da Socotec (…), Invitalia rendeva disponibile sulla piattaforma telematica InGaTe copia della documentazione tecnica, amministrativa ed economica presentata da Next e dal R.T. Fugro ai fini della partecipazione alla procedura di gara” (cfr. pag. 5).

Ora, è noto che ad avviso della giurisprudenza, in relazione alla disciplina di cui all’art. 76, comma 2 del (previgente) d.lgs. 50/2016, “quanto all’esatto computo dei termini decadenziali va rilevato in generale che: a) il termine di trenta giorni per impugnare l'aggiudicazione decorre dalla data della sua comunicazione o pubblicazione sull'albo pretorio on line della stazione appaltante; b) considerata la “dilazione temporale” di 15 giorni, praticata sulla base della presentazione di una istanza di accesso agli atti, è consentita la notifica del ricorso entro 45 giorni dalla pubblicazione dell'aggiudicazione” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 8 novembre 2023, n. 9599); e ciò in linea con le statuizioni dell’Adunanza plenaria 2 luglio 2020, n. 12.

Non a caso, tale pronuncia – che, ove accreditata ai fini del decidere, comporterebbe la rituale proposizione del ricorso – ha riguardato una procedura di evidenza pubblica regolata (a differenza della procedura oggetto del contendere) dal previgente codice.

Nondimeno, la disciplina della procedura odiernamente controversa ha previsto che “il disciplinare di gara (…) costituisce parte integrante e sostanziale del bando di gara (…) con cui è stata indetta la presente procedura, alla quale è applicabile il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (…), salvo nelle parti in cui è ancora applicabile il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ai sensi dell’articolo 225 del Codice dei Contratti” (art. 1 del disciplinare di gara).

Proprio in tema di accesso agli atti, il nuovo codice ha introdotto una disposizione inedita, l’art. 35, che al comma 1 prevede che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano in modalità digitale l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme, ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”.

Di conseguenza, nella specie non è applicabile l’art. 76, comma 2 del (previgente) d.lgs. 50/2016 (“su richiesta scritta dell'offerente e del candidato interessato, l'amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta”), disposizione abrogata dal nuovo codice dei contratti pubblici: il che rende, parimenti, inapplicabile il peculiare termine di proroga del termine impugnatorio elaborato dalla giurisprudenza, nei termini sopra indicati.

Nella specie, l’istanza di accesso ai documenti è stata presentata dalla ricorrente in data 30.4.2024 (cioè il giorno successivo alla pubblicazione della graduatoria sulla piattaforma di gara) e la stazione appaltante ha riscontrato tale istanza in data 20.5.2024, cioè, comunque, abbondantemente entro la scadenza (29.5.2024) del termine impugnatorio di 30 giorni dalla comunicazione ai sensi dell’art. 90 del d.lgs. 36/2023 (e non ai sensi dell’art. 76 del d.lgs. 50/2016) sulla propria piattaforma telematica.

Ma il ricorso è stato, però, notificato in data 14.6.2024: si tratterebbe di un ricorso tempestivo sotto il vigore del previgente codice dei contratti, ma sotto il vigore del vigente d.lgs. 36/2023 è da ritenere tardivo.

Il ricorso è, inoltre, inammissibile per difetto d’interesse.

L’art. 3 del disciplinare ha previsto che “l’appalto ha per oggetto l’affidamento congiunto di “servizi” e “servizi tecnici” per la mappatura e la caratterizzazione di habitat marini di acque profonde di interesse conservazionistico presenti sui monti sottomarini e sugli affioramenti rocciosi circalitorali e batiali, (di seguito indicato come “servizio di mappatura”), negli intervalli di profondità compresi tra 150 e 2000 m, mediante rilievi geofisici, idrografici, campionamenti fisici, chimici, biologici ed indagini video da effettuare con strumentazione idonea: MBES, SBP, per acque medio-profonde e profonde, correntometri/ADCP e ROV dotati di sistemi fotogrammetrici (laser e/o ottici) e sonde CTD, così come descritto nel Capitolato Tecnico (in seguito, “Capitolato”) sub Allegato n. 2 al presente Disciplinare”.

Il disciplinare, per quanto riguarda i “servizi”, ha previsto all’art. 7.1 che “sono ammessi a partecipare alla presente gara, purché in possesso dei requisiti indicati nel presente documento, tutti i soggetti indicati nell’articolo 65, co. 2, del Codice dei Contratti”, tra i quali, anche i “R.T.I. costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b), c) e d)”, cioè, in pratica, i RTI composti da imprenditori individuali e da consorzi.

Il successivo art. 7.2, relativo ai “servizi tecnici”, ha previsto che “sono ammessi a partecipare purché in possesso dei requisiti previsti nel presente documento, tutti i soggetti indicati all’articolo 66 del Codice dei Contratti”, riferendosi, dunque, alle società di ingegneria ed ai soggetti abilitati a offrire ai sensi della citata disposizione codicistica servizi di ingegneria e di architettura.

La ricorrente ha prospettato una esclusività della qualificazione professionale, tale – a suo dire – da predefinire in modo tassativo la natura della compagine dei possibili concorrenti.

Ma tale prospettazione, ad avviso del Collegio, è da respingere anzitutto in ragione della piana previsione di cui all’art. 1, lett. l) dell’allegato I.1, in cui si definisce “operatore economico” “qualsiasi persona o ente, anche senza scopo di lucro, che, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura pubblica o privata, può offrire sul mercato, in forza del diritto nazionale, prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a quelli oggetto della procedura di evidenza pubblica”.

Il tutto conformemente alla previsione di cui all’art. 65, comma 1 del d.lgs. 36/2023, secondo cui “sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici gli operatori economici di cui all’articolo 1, lettera l) dell’allegato I.1, nonché gli operatori economici stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi”: una disposizione che, come si legge nella relazione al nuovo codice dei contratti, “contiene un richiamo alla definizione di operatore economico contenuta nell’art. 1, lett. l), dell’allegato I.1, dove viene sancito il principio di neutralità delle forme giuridiche, oltre che agli operatori economici stabiliti in altri Stati membri”.

Una neutralità che, nella specie, trova conferma nella previsione di cui all’art. 8.2.2. del disciplinare, rubricato appunto “servizi tecnici”, in cui si è previsto che “a pena di esclusione, l’operatore economico, in funzione della sua natura, dovrà possedere i sottoindicati requisiti: a) per i professionisti singoli o associati, le società di professionisti, le società di ingegneria, gli altri soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura e i consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria e di G.E.I.E., i requisiti di idoneità professionale di cui rispettivamente agli articoli 34, 35, 36, 37 e 38 dell’Allegato II.12”.

Cosicché, la previsione di cui all’art. 36 dell’allegato II.12 (“ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria di cui all’articolo 66 del codice, i soggetti di cui al comma 1, lettera c) del predetto articolo”, vale a dire, dunque, le società di ingegneria, “sono tenuti a disporre di almeno un direttore tecnico con funzioni di collaborazione alla definizione degli indirizzi strategici del soggetto cui fa capo, di collaborazione e controllo delle prestazioni svolte dai tecnici incaricati delle progettazioni”) non può, certo, esorbitare dal proprio ambito di applicazione soggettiva.

Sulla scorta di tale, lineare, lettura della legge di gara il secondo graduato è da ritenere pienamente legittimato a partecipare alla gara: il che determina l’inammissibilità del ricorso per non avere la ricorrente allegato la prova di resistenza imprescindibile per sostanziare il proprio interesse al ricorso, cioè l’illegittimità del divario di punteggio tra le offerte tecniche del secondo e del terzo graduato (64,665 – 58,490 = 6,175 punti).

La neutralità dell’art. 8.2.2 del disciplinare, di cui più sopra si è detto, è, inoltre, comprovata dalla previsione secondo cui “il numero minimo di unità che dovranno comporre il gruppo di lavoro è pari a 5. Il numero stimato di unità per ciascuna prestazione è indicato all’interno della Tabella n. 5 che segue. Si precisa che non è necessaria la coincidenza tra il numero minimo di unità che dovranno comporre il gruppo di lavoro (sopraindicato) e il numero risultante dalla somma delle unità stimate per ciascuna prestazione”.

È, perciò, in funzione della verifica circa la legittima composizione del gruppo di lavoro che si sostanzia la legittimità dell’offerta dei concorrenti in gara: fermo restando quanto rilevato circa l’inesistenza di un obbligo generalizzato di indicazione del direttore tecnico (che pertiene alle società di ingegneria), occorre evidenziare che la citata previsione è da rapportare a quanto stabilito dall’art. 3.1.1 del disciplinare, ove si è previsto che “più in particolare, ai sensi dell’articolo 113, co. 1, del Codice dei Contratti, l’Appaltatore, al fine di garantire l’efficace e tempestiva esecuzione del servizio nel rispetto delle tempistiche previste, dovrà mettere a disposizione un gruppo di lavoro”.

L’art. 113 del d.lgs. 36/2023, rubricato “requisiti per l’esecuzione dell’appalto”, prevede che “le stazioni appaltanti possono richiedere requisiti particolari per l'esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto europeo e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, innovazione e siano precisati nel bando di gara, o nell'invito in caso di procedure senza bando o nel capitolato d'oneri. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali” (comma 1), soggiungendo che “in sede di offerta gli operatori economici dichiarano di accettare i requisiti particolari nell'ipotesi in cui risulteranno aggiudicatari” (comma 1).

Si tratta, con tutta evidenza, di un requisito di esecuzione e non di un requisito di partecipazione.

Sul punto, la giurisprudenza ha elaborato la nozione di “requisiti di esecuzione” per designare mezzi (strumenti, beni, attrezzature) necessari all’esecuzione della prestazione promessa alla stazione appaltante, con la precisazione che la disponibilità degli stessi è richiesta al concorrente, non al momento di presentazione dell’offerta – ciò che varrebbe a distinguerli dai “requisiti di partecipazione”– , ma al momento dell’esecuzione o, per meglio dire, della stipulazione del contratto, che non sarebbe possibile ove se ne constati la mancanza, per cui potrebbero essere definiti come “condizione” per la stipulazione del contratto d’appalto (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 settembre 2020, n. 5734; id., sez. V, 30 settembre 2020, n. 5740; id., sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1071).

Pertanto, “quand’anche si giunga a qualificare un dato elemento dell’offerta come “requisito di esecuzione”, è indispensabile che il concorrente, che ne sia sprovvisto, dia comunque prova di poterne acquisire la disponibilità in fase di esecuzione del contratto (o, meglio, della sua stipulazione). Solo a questa condizione, d’altronde, l’offerta può stimarsi realmente seria ed attendibile; potendo, altrimenti, ciascun operatore dichiarare al rialzo sugli altri la disponibilità di mezzi e strumenti (sia pur, per così dire, esecutivi), accaparrandosi in questo modo un più alto punteggio, salvo poi non esserne realmente in grado di impiegarli, con grave pregiudizio all’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, ove la stazione appaltante si vedesse costretta alla revoca dell’aggiudicazione” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 18 dicembre 2020, n. 8159).

Sotto tale profilo, la ricorrente non ha confutato che la prima in graduatoria disponga, nel proprio organico, di un project manager del gruppo di lavoro, ing. Amoroso, che, come persuasivamente opposto da Invitalia, risulta “iscritto all’Albo degli Ingegneri di Napoli dal 26.1.2005, risulta in possesso dei requisiti richiesti dall’articolo 36, co. 2 dell’allegato II.12 al Codice dei contratti per ricoprire il ruolo di direttore tecnico”.

In conclusione, il ricorso è irricevibile, inammissibile e infondato nel merito, nei sensi espressi in motivazione.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate in €. 1.500, oltre accessori, che la ricorrente dovrà corrispondere sia alla società Invitalia S.p.A., sia al Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica unitamente all’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, sia alla società Next Geosolutions Europe S.p.A. (totale 4.500,00, oltre accessori).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile, inammissibile e, nel merito, lo respinge, nei sensi espressi in motivazione.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in €. 1.500, oltre accessori, in favore sia della società Invitalia S.p.A., sia del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica unitamente all’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, sia della società Next Geosolutions Europe S.p.A.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente

Angelo Fanizza, Consigliere, Estensore

Giuseppe Grauso, Referendario

 

Guida alla lettura

La sentenza del TAR Lazio costituisce una delle prime applicazioni dei riflessi dell’abrogazione dell’art. 76, comma 2 del d.lgs. n. 50/16 ad opera del d.lgs. n. 36/23 nonché delle nuove modalità di digitalizzazione dell’accesso agli atti ex art 35 e 36 in materia di computo del termine di decadenza.

 L’art. 35, comma 1, cit., secondo cui:  “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano in modalità digitale l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme, ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33rende inapplicabile l’art. 76, comma 2 del (previgente) d.lgs. n. 50/2016 (“su richiesta scritta dell'offerente e del candidato interessato, l'amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta”), sulla base del quale era stato ricostruito dalla giurisprudenza il peculiare termine di proroga di 45 giorni dalla comunicazione o pubblicazione degli atti di gara sull’albo pretorio online

Tale abrogazione implica che, se l’istanza di accesso è formulata dall’operatore tempestivamente e la P.A. evade la stessa entro il termine canonico di 30 giorni dalla pubblicazione degli atti di gara ovvero dalla comunicazione ex art. 120, comma 2 c.p.a.,  il ricorso che sia notificato dopo i 30 giorni ed entro il termine di 45 giorni è irrituale.

La irricevibilità si giustifica in ragione del fatto che l’operatore ha conseguito la conoscenza effettiva dei profili di doglianza già prima del decorso del termine di trenta giorni e non ricorre alcuna ragione per attivare l’operatività del termine dilatorio di 45 giorni, elaborato in sede giurisprudenziale.  

La sentenza si mostra pienamente coerente con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, secondo cui i termini imposti per proporre i ricorsi avverso gli atti delle procedure di affidamento cominciano a decorrere solo quando il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto fonte di lesione.

La sentenza in commento costituisce una delle prime applicazioni delle novità introdotte dal nuovo Codice Appalti in punto di digitalizzazione dell’accesso ed impone un inquadramento della questione del termine di impugnazione degli atti di gara in materia di appalti.

Il termine di impugnazione degli atti di gara in materia di appalti non ha connotazione univoca.

In base all’art.120 c.p.a. esso è di 30 giorni e decorre dalla comunicazione o dalla pubblicazione degli atti di gara, ma solo se i motivi di censura da azionare in giudizio emergano in modo oggettivo già in quel momento. Infatti, secondo le coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte di Giustizia, il dies a quo della decorrenza deve essere rappresentato dal momento di conoscenza effettiva dei motivi di illegittimità. La prassi dei ricorsi al buio, resa possibile in base all’art 41, comma 2  c.p.a., non è ammissibile in materia di appalti. Secondo tale norma, per granitica giurisprudenza, il termine di decadenza deve decorrere dalla conoscenza del provvedimento, intesa come percezione della lesione. Di conseguenza, il privato, che si senta leso da un provvedimento del cui supporto motivazionale non abbia completa conoscenza, è tenuto ad impugnare al buio, onde interrompere il termine decadenziale. Emersi, poi, i motivi di censura a seguito dell’acquisizione della documentazione e degli atti del procedimento attraverso l’accesso, gli stessi saranno azionati con l’istituto dei motivi aggiunti propri o impropri.

Tale sistema processuale non opera in materia di appalti poiché la sua attuazione implica una vulnerazione del diritto alla difesa, rappresentata dalla necessità di instaurare il processo tempestivamente per non perdere il diritto di azione, senza avere una prospettazione orientativa dell’esito del ricorso, acquisibile solo con la conoscenza completa dell’atto, dei sui allegati e del suo supporto motivazionale.

In materia di appalti la prassi di ricorsi al buio è stata stigmatizzata dalla giurisprudenza comunitaria, ancorché essa sia volta alla tutela della certezza dei rapporti giuridici.

In chiave critica, anche la dottrina italiana aveva colto nella prassi di ricorso al buio una disarmonia tra il piano sostanziale, costituito dalla titolarità diritto alla motivazione e il diritto all’accesso, e il piano processuale, connotato dalla decadenza e dall’attivazione tempestiva del processo a pena della perdita del diritto di azione. Più in particolare, si osserva che il privato pur vantando sul piano sostanziale il diritto a rilievo costituzionale della motivazione e dell’accesso, deve impugnare sulla base della sola percezione della lesione.

La giurisprudenza italiana ha cercato un punto di equilibrio tra i due interessi che vengono in collisione nella fattispecie. Da un lato, assume rilievo l’interesse dell’operatore ad essere tutelato dalla prassi di ricorso al buio, interesse tanto più apprezzabile se si considera non solo la piena esplicazione del diritto alla difesa che ne consegue, ma anche il profilo economico, che implica il carico di costi del contributo unificato senza avere una prospettazione minima dell’esito del processo. Tale interesse viene efficacemente salvaguardato dalla coincidenza del dies a quo con la conoscenza effettiva dei motivi di doglianza. Tuttavia, esso confligge con l’interesse alla certezza delle relazioni giuridiche, che verrebbe fustigato se si consentisse una dilazione sine die del termine di decadenza, rimessa alla discrezionalità del privato nella formulazione dell’istanza di accesso. Più in particolare, se si facesse decorrere il termine di impugnazione dal momento dell’ostensione della documentazione attinente all’offerta e non pubblicata, resa a valle dell’istanza, formulata cronologicamente a discrezione del privato, la stazione appaltante sarebbe indefinitivamente esposta ad azioni giurisdizionali.

La giurisprudenza ha ritenuto di trovare un punto di equilibrio nel combinato disposto degli artt. 29 e 76, comma 2, cit.. Dalle due norme è stato possibile evincere che, per i soli profili di censura non deducibili dalla comunicazione o pubblicazione degli atti di gara, il termine decadenziale è di 45 giorni, dilazionato di 15 giorni. Quest’ultimo corrisponde al lasso temporale che in base all’ art 76, comma 2, cit. la stazione appaltante deve osservare per evadere l’istanza ostensiva. Tuttavia, la condizione necessaria per giovare della dilazione è costituita dalla formulazione dell’istanza di accesso da parte dell’operatore nel termine di 15 giorni, decorrenti dalla pubblicazione degli atti di gara ovvero dalla comunicazione. Qualora, invece, il privato non sia stato diligente nella formulazione di una tempestiva istanza, giammai saranno decurtati i giorni di delibazione o di indugio, impiegati per formulare l’istanza di accesso agli atti.

Risulta evidente che secondo tale prospettazione, riconducibile alla Adunanza Plenaria n. 2/2020, il termine di impugnazione in materia di appalti non solo non è univoco, dipendendo dalla evincibilità o meno dei profili di doglianza dalla pubblicazione degli atti di gara sulla piattaforma online, ma si presta ad essere declinato in ben quattro ipotesi.

Rileva, in primo luogo, il termine canonico di 30 giorni, se i vizi sono già ricavabili oggettivamente dalla comunicazione o pubblicazione degli atti di gara. Rileva, altresì, il termine dilazionato di 35 giorni, per i soli vizi non conoscibili attraverso la modalità ordinaria di comunicazione o pubblicazione. Secondo la giurisprudenza consolidata, da tale termine non può decurtarsi il lasso temporale di delibazione, impiegato dall’operatore per effettuare la scelta di accedere agli atti. Il descritto termine dilazionato di 45 giorni è quasi utopistico nella sua integrazione, perché presuppone la solerzia del privato nel formulare l’istanza di accesso entro i 15 giorni dalla pubblicazione nonché la ritualità dell’evasione dell’istanza da parte della stazione appaltante. Per tale ragione, viene in considerazione un ulteriore termine, che decorre se il privato formula un’istanza tardiva e non si giova della dilazione temporale dei 15 giorni. Sempre sul piano patologico, viene in rilievo il termine indefinito, decorrente dalla conoscenza effettiva dei profili di legittimità, che viene ad integrarsi quando la pubblica amministrazione assuma contegni dilatori ed ostruzionistici nell’evadere l’istanza di accesso.

Orbene, è sorta in giurisprudenza una questione della quale è doveroso prendere atto se non altro ai fini del riscontro del suo tramonto ad opera del nuovo codice dei contratti pubblici.

È stato segnalato che in caso di formulazione tardiva dell’istanza di accesso da parte del privato oltre il termine di 15 giorni dalla pubblicazione/comunicazione degli atti di gara viene a profilarsi una lesione del diritto alla difesa. La ragione del vulnus risiederebbe nella equiparazione della conoscenza effettiva con la conoscenza eventuale dei profili di censura. Infatti, il privato che non formula domanda ostensiva entro i 15 giorni soggiace al termine canonico dei 30 giorni dalla pubblicazione, anche se di fatto non ha acquisito conoscenza dei motivi di doglianza, salvo esperire i motivi aggiunti in seconda battuta.

Sul punto dottrina e giurisprudenza hanno assunto posizioni discordanti.

Secondo la dottrina, la equiparazione della conoscenza effettuale alla conoscenza potenziale si risolve in una compressione del diritto alla difesa in violazione del principio di proporzionalità nel suo terzo step. Si osserva, infatti, che la negligenza dell’operatore economico viene colpita con una misura afflittiva in luogo di una, pur praticabile, misura meno penalizzante, rappresentata dalla condanna alle spese.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha, invece, individuato una compatibilità della equiparazione tra conoscenze effettive e conoscenza potenziale con l’orientamento della Corte di Giustizia. Infatti, il decorso del termine dalla conoscenza effettiva intanto può operare ed essere invocato dal privato in quanto egli abbia assunto un atteggiamento collaborativo, che si condensa nella formulazione tempestiva dell’istanza di accesso. Più l’istanza sarà tempestiva, più l’operatore avrà tempo per impostare un ricorso consapevole.

Su tale impianto si innesta il nuovo codice degli appalti.

In base all’art. 35, d.lgs. n. 36/2023 le stazioni appaltanti assicurano l’accesso alle procedure di affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici in modalità digitale sia ai sensi dell’accesso civico generalizzato sia ai sensi dell’accesso difensivo.

Più in particolare, l’art. 36, comma 1, in via innovativa, dispone la diretta messa disposizione in piattaforma digitale e-procurement dell’offerta dell’aggiudicataria (insieme a tutti i verbali di gara e gli atti dati informazioni presupposti all’aggiudicazione), resa disponibile a tutti i candidati. Sotto tale aspetto, la Relazione Illustrativa al nuovo Codice degli appalti, sintomaticamente qualifica l’offerta selezionata all’esito di una procedura di gara, quale bene di interesse pubblico in quanto, rispetto alla collettività, essa è l’offerta che l’amministrazione si impegna realizzare e a pagare con i soldi pubblici. Per tale ragione deve essere conosciuta da tutti i cittadini e, a maggior ragione, dai partecipanti alla procedura onde tutelare i propri interessi.

In correlazione con il profilo processuale, invece, il comma 2 dell’art. 36 riporta la novità rappresentata dalla messa disposizione reciproca a favore dei quattro soggetti collocatisi in graduatoria dopo l’aggiudicatario, delle offerte e di tutti i documenti riferiti alle singole offerte, al fine di orientarsi immediatamente sul se impugnare o meno gli atti di gara.

Alla luce di tali novità la questione del termine di impugnazione merita di essere riformulata tenendo conto di alcuni punti fondamentali.

In primo luogo l’abrogazione dell’art. 76, comma 2, cit. costituisce il crollo dell’impalcatura su cui si è retta la ricostruzione giurisprudenziale del termine dilatorio di 45 giorni, quale comprensivo dei 15 giorni. In secondo luogo è inverosimile che, ad oggi, si profili la necessità di dilazionare il termine di 30 giorni per garantire la conoscenza effettiva, stante il ricorso dei seguenti elementi: i) l’apprensione diretta dei dati da parte dell’operatore economico; ii) la pubblicazione sulla piattaforma e procurement dell’offerta dell’aggiudicataria; iii) la messa disposizione a favore di quattro operatori collocati utilmente in graduatoria dopo l’aggiudicatario di tutti i dati inerenti all’offerta; iv) la maggiore speditezza della procedura di ostensione .

Sul piano dommatico le novità segnalate determinano il tramonto del dibattito sull’equiparazione tra conoscenze effettive e conoscenza potenziale dei motivi di doglianza,  per il semplice fatto che con la digitalizzazione dell’accesso, la conoscenza quale dies a quo del termine del ricorso non può non essere una conoscenza effettiva.

In ultima analisi, la sentenza in commento si ispira ad una logica di risultato: non ha senso attendere la maturazione del termine dilatorio e fustigare in tal modo l’interesse alla certezza dei rapporti giuridici, se l’operatore ha acquisito la conoscenza mediante l’accesso agli atti. L’inutile attesa nella istaurazione del processo denota un comportamento non collaborativo e non meritevole di ricevibilità processuale.