Cons. Stato, Sez. VI, 4 giugno 2024, n. 4996.

Come chiarito da questo Consiglio di Stato (sez. III, 15.11.2023 n. 9812 e 26.03.2024 n. 286), anche se il “principio del risultato” è stato reso solo di recente esplicito dal nuovo Codice dei contratti pubblici del 2023, tale principio era già “immanente” al sistema della c.d. amministrazione di risultato (ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, già prima dell’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del d.lgs. n. 36 del 2023). Di conseguenza, il risultato può essere adottato dal Giudice quale criterio orientativo anche per i casi in cui debba essere risolto il dubbio sulla sorte di procedure ad evidenza pubblica non rette dal d.lgs. n. 36/2023 (Cons. Stato, sez. V, 27.02.2024 n. 1924). L’amministrazione, pertanto, deve tendere al miglior risultato possibile, in “difesa” dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura ad evidenza pubblica, trattandosi, come ha autorevolmente insegnato la predetta giurisprudenza “di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire (…) e che esclude che l’azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell’obiettivo finale (…).”

“Ne deriva che quando l’area di servizio interessa una Provincia che viene irradiata da un impianto che si trova in altra regione; comunque deve essere raggiunta, al fine del godimento della misura economica in questione, una intesa con la società che detiene il canale per l’area di copertura della Provincia nella diversa regione.”


 

Pubblicato il 04/06/2024

N. 04996/2024REG.PROV.COLL.

N. 06383/2021 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6383 del 2021, proposto da
Sacchi Lorenzo in qualità di curatore del fallimento Telestudio Modena S.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Corrado Orienti e Maria Elena Maratia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico - Dipartimento delle Comunicazioni, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Emmeciuno S.r.l., Bravo Produzioni Televisive S.r.l. in Liquidazione, Gruppo Europeo di Telecomunicazioni S.r.l. - in Breve G.E.T. S.r.l. in Liquidazione, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 239/2021, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il Cons. Thomas Mathà e udito per la parte appellante l’avvocato Corrado Orienti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Oggetto di questa controversia è la negata attribuzione di misure economiche compensative per il rilascio volontario delle frequenze televisive di banda 790-862 Mhz per la Regione Piemonte ai sensi del Decreto Ministeriale 23 gennaio 2012, all’esito della procedura ad evidenza pubblica che richiedeva la presentazione di rispettive domande da parte di operatori del settore.

2. Le rispettive norme procedurali prevedevano che i soggetti nelle domande di partecipazione dovessero, a pena d’esclusione, includere diverse specifiche dichiarazioni ed alcuni documenti. Tra i documenti da allegare risultava, giusto l’articolo 4 comma 2 punto 3 del citato D.M., la copia dell’intesa in forma di atto pubblico o scrittura privata a firma autenticata con la ripartizione percentuale tra i componenti della misura economica.

3. La Società Telestudio Modena s.r.l. partecipava alla procedura e presentava una domanda al competente Ministero per lo Sviluppo Economico con riferimento alla frequenza tecnica digitale “Canale 68 UHF” che, invece, escludeva tale domanda con provvedimento del 3.8.2012 in quanto inidonea. Il Ministero motivava tale rigetto sostenendo che la frequenza nell’ambito della Regione Piemonte era utilizzata da più soggetti nell’area ed era necessaria la firma di un’intesa con tutti gli operatori, che invece mancava. Si trattava della società GET con sede in Lombardia, titolare del diritto d’uso della frequenza in Piemonte, con impianti aventi sede in Lombardia ma irradianti in Piemonte.

4. La Società riteneva invece di avere diritto alla misura compensativa denegata dall’amministrazione in quanto aveva acquisito la frequenza dalla Mass Media s.r.l. mediante atto di cessione di ramo d’azienda e aveva stipulato un’intesa (allegandola alla domanda di partecipazione) con le altre emittenti aventi sede nella Regione Piemonte Emmeciuno e Teleliguria, proponendo dinanzi al TAR del Lazio ricorso avverso l’esclusione sub R.G. 10560/2012.

5. Resisteva il Ministero, specificando che la Società non aveva diritto al riconoscimento delle misure economiche compensative per il volontario rilascio della frequenza in questione.

6. Il TAR adito, con la sentenza n. 239/2021, respingeva la domanda della ricorrente accertando che la limitazione dell’intesa ai soli soggetti aventi sede ed operanti nel territorio di un’unica Regione non era ravvisabile dal decreto ministeriale del 23 gennaio 2012, in quanto la Regione non era presa in considerazione dalla norma regolamentare quale ambito amministrativo di riferimento della sede dei soggetti che devono stipulare un’intesa, bensì, sotto un profilo tecnico, quale spazio fisico il cui etere viene illuminato dal segnalale irradiato da determinate emittenti, quale che sia la rispettiva sede. Secondo il primo giudice il rilascio volontario e la conseguente compensazione poteva, secondo la ratio del decreto, aver luogo solo di fronte ad un’intesa che garantiva la dismissione dell’intera frequenza. Secondo il TAR la censura dell’omessa comunicazione dei motivi ostativi di rigetto della istanza era infondata in quanto si era in presenza di una delle cause di esclusione come definita dal bando che non comportava alcuna discrezionalità da parte del MISE, con la conseguente natura vincolata dell’esclusione. Il primo giudice respingeva anche la censura riguardante l’ipotesi di mancata retrocessione delle frequenze, non contemplato dalla normativa in materia. Il TAR riteneva infondato anche il motivo che denunziava l’incompetenza del funzionario sottoscrittore della nota impugnata in quanto si trattava di un dirigente munito di delega.

7. Contro tale sentenza ha proposto impugnazione la curatela fallimentare di Telestudio Modena s.r.l., con appello contenente tre ordini di censure:

7.1 “I. ERRORE NEL GIUDIZIO PER ERRONEA VALUTAZIONE IN FATTO E DIRITTO, INGIUSTIZIA DELLA PRONUNCIA, OMESSA VALUTAZIONE CON RIFERIMENTO AL II MOTIVO DI RICORSO, CON CUI IN PRIMO GRADO SI SONO SOLLEVATI I VIZI DI VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 1, 3, 7 E SS., E 10 BIS DELLA L. N. 241/1990, VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 42, COMMA 2, DEL D. LGS. N. 177/2005, DELL’ART. 12, COMMA 4, E DELL’ART. 23 DELLA L. N. 112/2004, DELL’ART. 1, COMMI 8-13 BIS, DELLA L. N. 220/2010, DEL D.M. 23 GENNAIO 2012 DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, DI CONCERTO CON IL MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCEDIMENTO, VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI EGUAGLIANZA, BUON ANDAMENTO E IMPARZIALITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA, DIFETTO D’ISTRUTTORIA, ILLOGICITÀ E CONTRADDITTORIETÀ MANIFESTE, MOTIVAZIONE APPARENTE, DISPARITÀ DI TRATTAMENTO.

Secondo la tesi della curatela appellante, il silenzio della norma farebbe nascere la necessità di procedere ad un’interpretazione che escluderebbe il coinvolgimento di un impianto gestito da un’impresa che ha sede in un’altra regione rispetto alla quale si chiede la dismissione. Proprio perché come sostenuto dal Tar il territorio regionale si potrebbe solo intendere come spazio fisico il cui etere viene illuminato dal segnale irradiato, non si potrebbe invece pretendere la conclusione di un’intesa che impegni un operatore allo spegnimento di un impianto che illumina l’etere di altra regione. Il provvedimento di esclusione per la mancanza di intesa con operatore con sede e irradiazione in altra regione sarebbe dunque illogico, parziale, discriminatorio e sproporzionato, oltre che incoerente con le norme primarie. Errata sarebbe anche la decisione del TAR in merito alla natura vincolante del provvedimento di esclusione, in quanto l’apporto partecipativo del privato sarebbe stato proprio necessario alla luce del caso peculiare di una fattispecie non prevista dalla norma del bando.

7.2 “II. ERRORE NEL GIUDIZIO PER ERRONEA VALUTAZIONE IN FATTO E DIRITTO, INGIUSTIZIA DELLA PRONUNCIA, OMESSA VALUTAZIONE CON RIFERIMENTO AL III MOTIVO DI RICORSO, CON CUI IN PRIMO GRADO SI SONO SOLLEVATI IN SUBORDINE IN RELAZIONE AL D.M. DEL 23 GENNAIO 2012 I VIZI DI VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 1, COMMI 8-13 BIS, DELLA L. N. 220/2010, DEGLI ARTT. 1, 3 E 7 E SS. DELLA L. N. 241/1990, DEGLI ARTT. 11, 12, 27 E SS. DEL D. DGS N. 259/2003 (NEL TESTO PRECEDENTE LA NOVELLA DI GIUGNO 2012), ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCEDIMENTO, SVIAMENTO DAL FINE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA E/O ISTRUTTORIA APPARENTE, MANIFESTA INGIUSTIZIA, VIOLAZIONE DEI PRINCIPI IN MATERIA DI PARTECIPAZIONE.

La curatela deduce che sarebbe da accertare l’illegittimità del provvedimento per violazione e falsa applicazione delle previsioni di cui alla legge n. 220/2010 che ha introdotto la procedura di retrocessione volontaria delle frequenze. Il TAR si sarebbe limitato a rilevare che la legge n. 220 del 2010 non contemplerebbe l’ipotesi di mancata retrocessione delle frequenze e che la ratio della normativa era liberazione integrale e non parziale. Tale assunto sarebbe erroneo. La liberazione delle frequenze della banda 790-862 Mhz sarebbe finalizzata alla attribuzione delle medesime per servizi di comunicazione elettronica mobile in banda larga, e non, come accertato dal TAR, al digitale terrestre, come sarebbe erroneo ritenere che la ratio della norma fosse esclusivamente la liberazione integrale di dette frequenze. La legge n. 220/2010 non porrebbe alcun limite alla possibilità di accettare domande di retrocessione. La previsione restrittiva di cui all’art. 2, comma 1 lettera b), inserita nel D.M. in data 23 gennaio 2012 sarebbe invece contraddittoria, illogica, discriminatoria, sproporzionata rispetto al fine perseguito dalla norma di rango primaria ed affetta da vizi di eccesso di formazione secondaria rispetto a tale norma primaria.

7.3 “III. ERRORE NEL GIUDIZIO PER ERRONEA VALUTAZIONE IN FATTO E DIRITTO, INGIUSTIZIA DELLA PRONUNCIA, OMESSA VALUTAZIONE CON RIFERIMENTO AL I MOTIVO DI RICORSO, CON CUI IN PRIMO GRADO SI SONO SOLLEVATI I VIZI DI NULLITÀ O IN SUBORDINE, ANNULLABILITÀ PER INCOMPETENZA DEL SOTTOSCRITTORE DEL PROVVEDIMENTO PROT. N. 62026, DATATO 3 AGOSTO 2012, VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL DECRETO DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO IN DATA 7 MAGGIO 2009, ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO E PER TRAVISAMENTO.

Il TAR avrebbe ritenuto infondato l’ultimo motivo del ricorso di primo grado, rilevando che l’atto fosse stato “firmato dal Dirigente del Dipartimento delle comunicazioni - della Divisione III - della DGSCER del MISE, struttura competente nella materia 19 oggetto del provvedimento, da soggetto perfettamente identificato (dott. Francesco Saverio Leone, come ivi si legge), munito della delega del Direttore generale della medesima Direzione”. L’atto sarebbe però privo dei riferimenti necessari ad individuare il soggetto delegato alla firma e la sussistenza del presupposto atto di delega.

8. Il Ministero appellato ha resistito, con atto di costituzione depositato il 19.7.2021, chiedendo il rigetto dell’appello.

9. Con ordinanza n. 1097 del 2.2.2024 la Sezione ha – considerato che l’appellante impugnava anche il capo della sentenza che aveva rigettato il motivo del ricorso di primo grado con cui si lamentava il difetto di competenza dell’organo che aveva adottato il provvedimento impugnato, ma che tale delega non risultava presente agli atti del giudizio e che quindi era necessario acquisirla – ordinato all’amministrazione appellata di produrre il rispettivo documento.

10. A tale incombente istruttorio il Ministero ha dato riscontro con nota e documenti depositati il 13.2.2024.

11. All’udienza del giorno 23 maggio 2024, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

12. Preliminarmente, in base alla dimostrazione della delega al soggetto firmatario del provvedimento gravato (Alessandro Caroselli) da parte del direttore generale del Ministero (Francesco Saverio Leone del 31.7.2012 prot. 61217) è smentito per tabulas il terzo motivo dell’appello che viene pure riconosciuto dall’appellante nella memoria del 20.4.2024.

13. Nel merito l’appello è infondato, non convincendo neanche il primo e secondo motivo, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente.

14. La normativa di riferimento, attinente a ciò che riguarda il presente giudizio, è la seguente:

a) l’art. 2 del DM del 23 gennaio 2012 dispone che:

1. I soggetti legittimamente abilitati alla trasmissione radiotelevisiva in ambito locale – cui sia stato attribuito in qualità di operatore di rete il diritto d'uso di frequenze in tecnica digitale nelle regioni indicate nella citata Tabella A e già digitalizzate alla data di entrata in vigore della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e successive modificazioni e integrazioni – a seguito del volontario rilascio delle frequenze oggetto del diritto d'uso, possono partecipare alla procedura di attribuzione di una misura economica di natura compensativa, di cui al comma 2 e seguenti, se:

a) Operatori di rete in possesso di diritto d'uso in ambito regionale la cui frequenza assegnata in via provvisoria possa essere utilizzata sull'arco di copertura dell'intera regione;

b) Operatori di rete in possesso di diritto d'uso in ambito pluriprovinciale, provinciale o limitati all’area di servizio di singoli impianti che, tramite costituzione di una intesa, chiedano il volontario rilascio di una medesima frequenza, assegnata in via provvisoria, in modo che la sommatoria delle loro coperture sia equivalente all’arco di copertura dell’intera regione.” (omissis)

b) l’art. 4 del medesimo D.M. stabilisce invece:

Alla domanda devono essere accluse, a pensa di esclusione: 1. copia del documento di riconoscimento del legale rappresentante; 2. dichiarazione di volontario rilascio della/e frequenza/e oggetto del diritto d’uso, con contestuale disattivazione di tutti gli impianti coinvolti, e per cui si presenta domanda secondo il presente decreto; 3. nell’ipotesi di cui all’art. 2 comma 1, lett. b) copia dell’intesa, in forma di atto pubblico e scrittura privata autenticata, tra gli operatori di rete, contenente la ripartizione percentuale tra i componenti della misura compensativa per cui si presenta la domanda.” (omissis)

15. Il provvedimento di esclusione della domanda presentata da parte della Società e riguardante il riconoscimento della misura economica compensativa con riferimento al canale 68, utilizzata da più operatori, è stato motivato dalla mancanza di un’intesa di cui all’art. 4 comma del decreto. La partecipazione della società al bando in qualità di titolare di diritto d’uso, ma in assenza di intesa con gli altri esercenti la medesima frequenza (anche se operanti in altra Regione), secondo il Ministero, non poteva quindi dar luogo ad una misura economica compensativa. L’utilizzo della frequenza da parte di più operatori richiederebbe per espressa disposizione normativa la formazione di una intesa tra i vari operatori di rete trasmittenti in una medesima Regione indipendentemente dall’ubicazione degli impianti in altra Regione con contestuale formulazione della domanda che tenda all’attribuzione della misura compensativa per “volontario rilascio di una medesima frequenza”.

16. Come chiarito da questo Consiglio di Stato (sez. III, 15.11.2023 n. 9812 e 26.03.2024 n. 286), anche se il “principio del risultato” è stato reso solo di recente esplicito dal nuovo Codice dei contratti pubblici del 2023, tale principio era già “immanente” al sistema della c.d. amministrazione di risultato (ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, già prima dell’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del d.lgs. n. 36 del 2023). Di conseguenza, il risultato può essere adottato dal Giudice quale criterio orientativo anche per i casi in cui debba essere risolto il dubbio sulla sorte di procedure ad evidenza pubblica non rette dal d.lgs. n. 36/2023 (Cons. Stato, sez. V, 27.02.2024 n. 1924). L’amministrazione, pertanto, deve tendere al miglior risultato possibile, in “difesa” dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura ad evidenza pubblica, trattandosi, come ha autorevolmente insegnato la predetta giurisprudenza “di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire (…) e che esclude che l’azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell’obiettivo finale (…).” Detto principio, nel caso che occupa la sezione, è l’esigenza di privilegiare l’effettivo e tempestivo conseguimento degli obiettivi dell’azione pubblica, prendendo in considerazione i fattori sostanziali dell’attività amministrativa, escludendo che la stessa sia vanificata. La prevalenza per gli aspetti sostanziali, rispetto a quelli puramente formali, nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica, è stata riconosciuta in più occasioni dalla giurisprudenza, anche prima del d.lgs. n. 36/2023. Per il Giudice Amministrativo il principio del risultato rappresenta il criterio interpretativo a cui ricorrere per risolvere i casi di contrasto tra il “dato formale” del pedissequo rispetto del bando e il “dato sostanziale” della idoneità delle partecipazioni dell’operatore economico (e dunque dell’interesse sostanziale dell’amministrazione alla spedita realizzazione del bene pubblico, che nel caso di specie risulta essere la transizione digitale, anche se la lex specialis non ha disciplinato tutti gli aspetti possibili sulla localizzazione degli impianti, ma è chiaro che l’obiettivo principale è lo spegnimento delle frequenze e la loro liberazione). Il principio del risultato non deve tuttavia essere posto in chiave antagonista rispetto al principio di legalità. Al contrario, come chiarito dalla terza Sezione (Cons. Stato, sez. III, 26.03.2024 n. 2866), “il valore del risultato «concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e dunque ad “ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo”, facendo “transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili”.

17. Ciò premesso, il Ministero aveva escluso la società dal beneficio della misura economica compensativa in quanto il rilascio del canale 68 non aveva compreso nell’intesa anche la società GET, titolare del diritto d’uso per la provincia di Novara, quindi irradiante anche in Piemonte, ma operante dalla Lombardia conducendo ad un rilascio solo parziale della frequenza che avrebbe continuato ad essere occupata nella Regione Piemonte dall’impianto gestito dalla Lombardia.

18. L’articolo 2 del DM precedentemente illustrato prevede il volontario rilascio di frequenze in ambito regionale e stabilisce che gli operatori di rete con diritto d’uso sulla medesima frequenza in ambito pluriprovinciale, provinciale o limitati all’area di servizio di singoli impianti devono costituire un'intesa e chiedere il volontario rilascio di una medesima frequenza in modo che la sommatoria delle loro coperture sia equivalente all'arco di copertura dell'intera regione.

19. Nel caso che ci occupa il diritto d'uso del canale 68 Uhf era stato assegnato per la provincia di Novara alla società Gruppo Europeo di Telecomunicazioni (GET) e quindi, per poter dismettere volontariamente tale frequenza, Telestudio Modena avrebbe dovuto costituire un’intesa con le società Teleliguria, Emmeciuno ed anche GET. In assenza di detta intesa non può dirsi soddisfatto il requisito del cui all'art. 2 in quanto la sommatoria delle coperture non è equivalente all'arco di copertura dell'intera regione Piemonte, mancando la copertura del canale 68 Uhf nella provincia di Novara.

20. Va sottolineato che – al contrario di quanto afferma l’appellante – il decreto fa espressamente riferimento agli operatori di rete in possesso di diritto d’uso della frequenza “regionale, pluriprovinciale, provinciale” ed alla gestione di un impianto ma avendo riguardo non alla ubicazione degli impianti ma alla loro capacità trasmissiva. Il diritto d’uso viene rilasciato dal Ministero per ciascuna area tecnica in cui è stato diviso il territorio nazionale in sede di switch-off. Il diritto d'uso sul canale 68 Uhf nella provincia di Novara era stato assegnato alla società GET in sede di switch-off dell'area tecnica 3 corrispondente alle province di Alessandria, Asti, Biella, Novara, Verbano Cusio-Ossola, Vercelli, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza e della Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, Piacenza e Parma, per l'emittente Più Blu Lombardia. Essendo oggetto della procedura di cui al decreto 23.1.2012 il volontario rilascio delle frequenze individuate nel diritto d'uso, non rileva il luogo in cui sono ubicati gli impianti, ma l’area di irradiazione. Il principio del risultato, come appena ricordato, nel caso di specie comporta che l’amministrazione è tenuta a considerare tutte le frequenze assegnate, e non solo parti di esse, altrimenti dovrebbe comunque indennizzare la parziale liberazione, ma non ottenendo il risultato finale, ovvero la completa liberazione delle frequenze, necessarie al passaggio tecnologico.

21. Ne deriva che quando l’area di servizio interessa una Provincia che viene irradiata da un impianto che si trova in altra regione; comunque deve essere raggiunta, al fine del godimento della misura economica in questione, una intesa con la società che detiene il canale per l’area di copertura della Provincia nella diversa regione. Da ciò non discende che GET debba spegnere il proprio impianto in Lombardia, ma è necessario ottenere l’intesa per limitare lo spegnimento per la provincia piemontese interessata (Novara), dovendo comprendere nella intesa anche la società che dovrebbe dismettere la frequenza nell’area provinciale di interesse, potendo continuare a trasmettere con l’impianto nelle altre province che ricadono in altra Regione.

22. La ratio della norma che permette misure compensative per lo spegnimento è che nella stessa regione e sulla medesima frequenza venga assegnato un diritto d'uso a diversi operatori, allora era necessario procedere alla realizzazione di un'intesa tra tutte le emittenti, altrimenti non si poteva raggiungere, sommando le coperture di rete, l’arco di copertura della Regione Piemonte. Alla luce di tale considerazione va confermata la decisione del TAR che non era necessario il dialogo partecipativo previsto dall’art. 10-bis della legge n. 241/1990, stante l’assenza di qualsiasi discrezionalità da parte del Ministero in caso di un requisito mancante e richiesto a pena di esclusione dal decreto.

23. Per quanto riguarda il secondo motivo, sfugge al Collegio l’irrazionalità della decisione del giudice di prime cure laddove ha (ad avviso della Sezione correttamente) chiarito che non si possa accertare l’illegittimità del provvedimento per violazione della legge n. 220 del 2010, stante l’obiettivo centrale della normativa alla liberazione integrale delle frequenze. Secondo l’appellante, invece, la legge n. 220/2010 non porrebbe alcun limite alla possibilità di accettare domande di retrocessione e pertanto la previsione restrittiva del D.M. 2012 sarebbe contraddittoria e discriminatoria in quanto anche la liberazione parziale sarebbe di interesse dell’amministrazione. Ma tale tesi non è supportata da alcun altro elemento, se non da affermazioni generiche, e quindi è inammissibile. Risulta al contrario (doc. 1 di primo grado del MISE) che in evidente sintonia con la ratio della legge n. 220/2010, il decreto 23 gennaio 2012 ha voluto (e dovuto) ottenere la liberazione delle frequenze in banda 790-862 Mhz (le frequenze dal canale 61 al canale 69) entro la data del 31.12.2012 (previsto espressamente dall’art. 1 co. 8 dalla legge n. 220/2010), e risulta che le frequenze siano state consegnate agli operatori mobili aggiudicatari della rispettiva gara ad evidenza pubblica.

24. In conclusione, quindi, l’appello va disatteso.

25. La particolarità del caso deciso, su cui non risultano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere, Estensore

 

Guida alla lettura

La sentenza che ci occupa riveste una certa rilevanza, non tanto per la fattispecie concreta che va a regolamentare, quanto, piuttosto, per l’applicazione che fa, in un ambito settoriale diverso da quello dei contratti pubblici, del principio del risultato, fissato dall’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023, in materia di contratti pubblici.

Il Consiglio di Stato, infatti, adotta, ai fini della soluzione della particolare controversia sottoposta al suo esame, il principio del risultato, affermando esplicitamente che, seppur positivizzato per la prima volta nel nuovo Codice dei contratti pubblici, esso era già “immanente” al sistema della c.d. amministrazione di risultato, riconducibile all’art. 97 Cost e quindi al principio di buon andamento dell’attività amministrativa.

Il nuovo Codice dedica, differentemente dai precedenti, una parte introduttiva alla codificazione dei principi generali, che riguardano l’intera materia dei contratti pubblici.

L’intenzione del Legislatore, secondo quanto evidenziato nella Relazione Illustrativa, è quella di formare un sistema normativo in cui le cui norme di dettaglio, seppur puntuali, possano essere completate dai principi generali, tra loro reciprocamente bilanciati, così da creare la regola del caso concreto, evitando l’applicazione rigida e dettagliata delle norme, foriera di ritardi e di inefficienze della P.A..

Attraverso la codificazione dei principi - che il Legislatore suddivide in superprincipi (art. 1-3) e principi generali (art. 5-11), stabilendo all’art. 4 che questi ultimi vanno interpretati alla luce dei primi tre - si è inteso stabilire che la concorrenza non è il fine ultimo della normativa, ma rappresenta il mezzo, lo strumento, attraverso il quale realizzare quello che è invece il vero obiettivo da conseguire, cioè l’aggiudicazione e l’esecuzione dell’appalto, nel preminente interesse pubblico.

Al contempo, il Legislatore ha voluto, con il principio della fiducia e quello della buona fede e affidamento, incoraggiare i poteri di iniziativa delle Stazioni Appaltanti e degli Enti concedenti, così da attenuare, se non eliminare, la cd. “burocrazia difensiva”.

La sentenza, laddove afferma che: “Anche se il “principio del risultato” è stato reso solo di recente esplicito dal nuovo Codice dei contratti pubblici del 2023… era già “immanente” al sistema della c.d. amministrazione di risultato (ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, già prima dell’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del d.lgs. n. 36 del 2023), conferma la portata generale del principio del risultato,  fissato dal Codice dei Contratti pubblici, la cui applicazione travalica l’ambito nel quale è previsto, per coinvolgere tutta l’attività amministrativa, sia quando la P.A. agisce quale soggetto pubblico sia quando agisce in veste privatistica.

Il principio del risultato diventa - quindi - uno dei parametri di risoluzione delle incertezze interpretative e dei conflitti tra i potenziali interessi in gioco, che inevitabilmente emergono nell’attuazione dell’azione amministrativa.

Il Consiglio di Stato, nella fattispecie posta al suo esame, evidenzia così come il principio del risultato comporti che: “L’amministrazione è tenuta a considerare tutte le frequenze assegnate, e non solo parti di esse, altrimenti dovrebbe comunque indennizzare la parziale liberazione, ma non ottenendo il risultato finale, ovvero la completa liberazione delle frequenze, necessarie al passaggio tecnologico”.