Cons. Stato, Sez. V, ordinanza, 18 aprile 2024, n. 3530

1. Il Collegio, quale giudice di ultima istanza, ha ravvisato la necessità di disporre rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla seguente questione pregiudiziale: “se gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 4, Protocollo (...), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo-CEDU, l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a norme interne (artt. 38, comma 1, lett. i, 48 e 75 del D.lgs. n. 163 del 2006) che prevedono l’applicazione dell’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di lavori, altresì a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia o meno risultato aggiudicatario della gara” (1).

 

 

(1)Conformi: ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2033; Consiglio di Stato, Sez. V, 29 marzo 2023, n. 3264; Consiglio di Stato, Sez. V, 6 aprile 2023, n. 3571; Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2023, n. 5618; Consiglio di Stato, Sez. V, 16 giugno 2023,  n. 5950; Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 febbraio 2024, n. 1968; Consiglio di Stato, Sez. V, 18.04.2024, n. 3529; Consiglio di Stato, Sez. V, 18 aprile 2024, n. 3506.

 

Pubblicato il 18/04/2024

N. 03530/2024 REG.PROV.COLL.

N. 05396/2023 REG.RIC.           

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 5396 del 2023, proposto da

Coopservice soc. coop. p.a., in proprio e quale mandataria del RTI costituito con le mandanti Natuna s.r.l. e Alfredo Cecchini s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 63460974E9, 63461039DB, 6346123A5C, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimiliano Brugnoletti, Enzo Perrettini, Pierpaolo Salvatore Pugliano e Antonietta Favale, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Pierpaolo Salvatore Pugliano in Roma, via Giuseppe Gioachino Belli, 60; 

contro

Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

nei confronti

Acciona Facility Service s.a. in proprio e quale mandataria del RTI con Getec Italia s.p.a. (già Antas s.p.a.), Del Bo -società consortile stabile a responsabilità limitata, L'Operosa s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Silvia Marzot, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

Dussmann Service s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luca Raffaello Perfetti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II, n. 4524 del 2023, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Dussmann Service s.r.l., di Consip s.p.a. e del RTI Acciona Facility Services s.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2023 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Tomaselli, in delega dell'Avv. Brugnoletti, Perrettini, Pugliano, Favale, Marzot, Bufardeci, in dichiarata delega dell'Avv. Perfetti, e dello Stato Di Giorgio;

1.-Il R.T.I. con mandataria la Coopservice soc. coop. p.a. ha interposto appello nei confronti della sentenza 14 marzo 2023, n. 4524 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II, che ha respinto il suo ricorso principale e dichiarato improcedibili i motivi aggiunti rispettivamente avverso il provvedimento in data 9 luglio 2021 con cui Consip ne ha disposto l’esclusione dalla procedura aperta e avverso i provvedimenti di aggiudicazione a Dussmann Service s.r.l. dei lotti nn. 4 e 5 e al R.T.I. con mandataria Acciona Facility Service S.A. del lotto n. 3, dichiarando altresì improcedibile il ricorso incidentale del raggruppamento Acciona Facility Service.

Si tratta della procedura di gara aperta indetta in data 31 luglio 2015 da Consip s.p.a. per l’affidamento di servizi integrati, gestionali e operativi, da eseguirsi negli istituti e luoghi di cultura (c.d. “gara musei”), suddivisa in nove lotti geografici; l’appellante ha chiesto di partecipare a cinque lotti (3, 4, 5, 7 e 9), come consentito dal disciplinare di gara. Il raggruppamento Coopservice è risultato primo graduato nei lotti n. 4, come da formale comunicazione, e anche nei lotti 3 e 5, come ha informalmente appreso.

L’impugnato provvedimento di esclusione è motivato con riguardo alla condizione di irregolarità contributiva della FCM Group s.r.l., ausiliaria della mandante Alfredo Cecchini s.r.l., la quale è dunque risultata priva del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 163 del 2006 e ciò ha comportato la escussione delle cauzioni provvisorie rilasciate a garanzia delle offerte per tutti i lotti di partecipazione (per il rilevante importo di euro 3.640.000,00), oltre che la segnalazione all’ANAC (giova precisare che la società FCM Group, a seguito del rigetto dell’istanza di autotutela nei confronti del durc “non regolare” da parte dell’INPS, ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, e ha poi rateizzato il pagamento degli importi dovuti). In particolare, la mandante Alfredo Cecchini s.r.l. si era avvalsa, per dimostrare il possesso del requisito di capacità economica contemplato dall’art. 17.2 del bando, del fatturato specifico posseduto dalla FCM Group s.r.l., quale cessionaria della Edil Impianti s.r.l.

2. - La sintesi dei motivi di ricorso e dello svolgimento del processo può essere letta nella sentenza parziale 18 aprile 2024, n. 3506, con cui sono stati respinti tutti i motivi di appello tranne il terzo (relativo all’incameramento della cauzione provvisoria), il cui esame è stato sospeso in attesa della decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla presente ordinanza di rinvio pregiudiziale.

3. - Il terzo motivo di appello concerne, appunto, l’escussione delle cauzioni provvisorie disposta da Consip per tutti i lotti per i quali il raggruppamento appellante ha presentato domanda di partecipazione. L’appellante ha dedotto la violazione dell’art. 2 del disciplinare (prevedente l’escussione solo allorché emergano condizioni ostative imputabili al concorrente), mentre nel caso di specie si tratta del venire meno di un requisito di ordine generale in capo all’impresa ausiliaria, nonché la violazione dell’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 che contempla l’escussione della garanzia solo nel caso di dichiarazioni mendaci dell’impresa ausiliaria. Critica dunque la statuizione di primo grado secondo cui l’accertata carenza di un requisito di ordine generale di partecipazione in capo all’ausiliaria è comunque imputabile alla sfera giuridica del concorrente secondo il principio “ubi commoda ibi incommoda”. Inoltre, sempre nella prospettazione dell’appellante, l’escussione della cauzione è illegittima nella misura in cui è stata disposta anche per i lotti nei quali il raggruppamento non è risultato aggiudicatario, in violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni (come confermato dal fatto che la sopravvenuta disposizione di cui all’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016 circoscrive l’operatività della cauzione alla sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario). In subordine, chiede il rinvio alla C.G.U.E. onde verificare la compatibilità con i principi europei di libera circolazione e libertà di stabilimento di un sistema (in particolare, desumibile dall’art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006) che ammetta l’automatismo nell’incameramento delle cauzioni provvisorie di un operatore escluso dalla gara e non anche risultato aggiudicatario, senza valutare l’effetto che lo stesso provoca in termini di violazione e compressione del principio di proporzionalità nell’applicazione della sanzione, prospettando il seguente quesito : “se gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 4, Protocollo 7, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo-CEDU, l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a una norma interna (quale contenuta nell’art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006) che preveda l’applicazione dell’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di lavori, altresì a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia o meno risultato aggiudicatario della gara”.

4. - Assume rilevanza ai fini del decidere la questione di interpretazione prima meglio specificata, non essendo fondati i motivi di illegittimità derivata, nonché di violazione dell’art. 2 del disciplinare e dell’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, trovando applicazione nella fattispecie in esame il combinato disposto degli artt. 48 e 75 del predetto testo normativo, per non avere l’operatore economico fornito la prova del possesso dei requisiti di partecipazione richiesti dalla lex specialis, ivi inclusa l’ipotesi del mancato possesso dei requisiti di ordine generale ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 in capo al concorrente non aggiudicatario. 

A questo riguardo, giova brevemente rammentare come la giurisprudenza prevalente, nell’esegesi dell’art. 75, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, abbia affermato che la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria riguarda tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, intendendosi per fatto dell’affidatario qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, dunque non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto dei requisiti generali di cui all’art. 38 dello stesso testo normativo (Cons. Stato, V, 7 novembre 2016, n. 4644). Inoltre Cons. Stato, Ad. plen., 10 dicembre 2014, n. 34 ha ritenuto legittima la clausola della lex specialis (quale è quella prevista all’art. 2 del disciplinare di gara, pagina 19) che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.

5. - La Sezione, rilevando la problematicità di tale approdo interpretativo, ha già rimesso alla C.G.U.E. la questione pregiudiziale circa la compatibilità con il diritto europeo di norme interne che prevedano l’applicazione della sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di servizi o lavori, a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia o meno risultato aggiudicatario dell’affidamento medesimo (tra le varie, Cons. Stato, V, 29 marzo 2023, n. 3264; V, 6 aprile 2023, n. 3571). Il punto critico, dal punto di vista sistematico, è stato infatti ravvisato nella circostanza che l’automatico incameramento della cauzione colorerebbe detta escussione in termini di provvedimento a contenuto sanzionatorio e di natura “penale”, in tale modo ravvisandosi un contrasto degli artt. 48 e 75 del d.lgs. n. 163 del 2006 con gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, l’art. 4, Protocollo 7, della medesima CEDU, l’art. 6 TUE, e con i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 TFUE.

Analoga questione si pone nella fattispecie in esame per il caso in cui il raggruppamento sia mero concorrente e non anche aggiudicatario.

Nella specie, peraltro, ai soli fini dell’escussione della garanzia provvisoria, anche per il caso di esclusione di operatore risultato aggiudicatario, si pone un problema di imputazione, derivando detta esclusione dalla perdita di un requisito di ordine generale di un’impresa ausiliaria (per di più non originaria) della mandante del raggruppamento. Ciò si rileva nella prospettiva della natura “penale” che detta escussione potrebbe assumere, secondo i parametri elaborati dalla giurisprudenza in tema di sanzioni pecuniarie della Corte EDU, la quale ha ritenuto applicabili i c.d. criteri Engel dell’8 giugno 1976, progressivamente affinati (Corte EDU, 4 marzo 2014, n. 18640, Grande Stevens). Ed invero, nella fattispecie controversa, alla stregua di una qualificazione sostanziale, basata sull’afflittività in ragione dell’importo (pari ad euro 3.640.000,00), si può ipotizzare il problema della natura di sanzione penale dell’escussione delle cauzioni provvisorie, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte EDU, con conseguente violazione anche del principio di proporzionalità delle sanzioni. 

6. - Alla luce delle considerazioni esposte, il Collegio ravvisa la necessità, quale giudice di ultima istanza, di disporre rinvio alla C.G.U.E., ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla seguente questione pregiudiziale : “se gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 4, Protocollo 7, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo-CEDU, l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a norme interne (artt. 38, comma 1, lett. i, 48 e 75 del d.lgs. n. 163 del 2006) che prevedono l’applicazione dell’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di lavori, altresì a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia o meno risultato aggiudicatario della gara”.

7. - Il Collegio, tenuto conto delle raccomandazioni della Corte 2012/C 338/01 sulla presentazione di domande pregiudiziali, dispone che alla CGUE sia trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, oltre a copia conforme dell’originale della presente ordinanza, copia dell’intero fascicolo di causa, comprensivo della coeva sentenza non definitiva 18 aprile 2024, n. 3506.

8. - In attesa della pronuncia della Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 79, comma 1, cod. proc. amm., va sospeso il presente giudizio, riservando alla sentenza definitiva ogni ulteriore decisione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, così decide : a) rimette alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale di cui in motivazione; b) dispone che la Segreteria della Sezione trasmetta alla Cancelleria della Corte copia conforme della presente ordinanza, insieme a copia della sentenza parziale, nonché copia integrale del fascicolo di causa; c) dispone, in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la sospensione del presente processo. 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere, Estensore

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

Elena Quadri, Consigliere

 

Guida alla lettura

Il Consiglio di Stato torna nuovamente a confrontarsi con l’istituto della garanzia per la partecipazione alla procedura di gara, comunemente detto cauzione provvisoria.

Merita fin da subito rilevare che l’ordinanza in esame si situa nell’alveo delle varie ordinanze di rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea con cui il Consiglio di Stato ha sollevato la questione di compatibilità con i principi europei di proporzionalità e adeguatezza della misura dell’incameramento della garanzia provvisoria disposto in via automatica, senza avere riguardo al concreto comportamento tenuto dall’operatore economico.

Ebbene, al fine di comprendere in modo compiuto il thema decidendum, occorre illustrare gli elementi in fatto che hanno portato all’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia che si commenta.

Il provvedimento attenzionato trae origine dall’esclusione da una procedura di c.d. “gara musei” aperta, indetta da Consip s.p.a., del RTI Coopservice che aveva partecipato a cinque dei 9 lotti geografici in cui essa era suddivisa (nn. 3, 4, 5, 7 e 9) ed era risultato primo graduato nei lotti nn. 3, 4, 5, mentre i lotti nn. 4 e 5 erano stati aggiudicati a un altro concorrente e il lotto n. 3 a un altro RTI partecipante.

L’esclusione era motivata in ragione della condizione di irregolarità contributiva in cui versava l’ausiliaria della mandante facente parte del RTI Coopservice. Più precisamente, la mandante era risultata priva del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. i) del D.Lgs. n. 163/2006 e per dimostrare il possesso della capacità economica si era avvalsa del fatturato specifico posseduto dall’ausiliaria, quale cessionaria di una società a responsabilità limitata. Così, la mandante era incorsa nella sanzione dell’incameramento delle cauzioni provvisorie rilasciate a garanzia delle offerte per tutti i lotti di partecipazione, oltre che nella segnalazione all’Anac.

Il RTI, concorrente ma non aggiudicatario, impugnava i provvedimenti di esclusione e di aggiudicazione della gara e, rimasto soccombente in primo grado, interponeva appello nei confronti della pronuncia del Tar Lazio 14 marzo 2023, n. 4524.

In tale sede, criticava la statuizione del giudice di prime cure che in ossequio al principio “ubi comoda ibi incomoda” riteneva imputabile, in ogni caso. alla sfera giuridica del concorrente l’accertata carenza di un requisito di ordine generale di partecipazione in capo all’ausiliaria.

Inoltre, deduceva l’illegittimità della disposizione dell’escussione della cauzione anche per i lotti nei quali il raggruppamento non era risultato aggiudicatario in violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni, come confermato dalla sopravvenuta disposizione di cui all’art. 93, comma 6, del D.lgs. n. 50/2016 che limita l’operatività della cauzione alla sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario.

In subordine, chiedeva il rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione Europea onde verificare la compatibilità con i principi europei di libera circolazione e libertà di stabilimento di un sistema, in specie desumibile dall’art. 75 del D.lgs. n. 163/2006, che ammetta l’automatismo nell’incameramento delle cauzioni provvisorie di un operatore escluso dalla gara e non anche risultato aggiudicatario, senza valutare l’effetto che lo stesso provoca in termini di violazione e compressione del principio di proporzionalità nell’applicazione della sanzione, prospettando il seguente quesito: “se gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 4, Protocollo (...), della Convenzione europea dei diritti dell'uomo-CEDU, l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a una norma interna (quale contenuta nell’art. 75 del D.lgs. n. 163 del 2006) che preveda l’applicazione dell’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di lavori, altresì a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia o meno risultato aggiudicatario della gara”.

Con sentenza parziale 18 aprile 2024, n. 3506 il Consiglio di Stato respingeva tutti i motivi di appello, salvo il terzo concernente l’incameramento della cauzione provvisoria per tutti i lotti per i quali il raggruppamento appellante aveva presentato domanda di partecipazione.

L’esame di tale motivo è stato sospeso in attesa della decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea. Con la precisazione che si tratta di sospensione impropria “in senso lato” come precisato dalla pronuncia Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22 marzo 2024, n. 4[1].

Come si è poc’anzi accennato, la questione di interpretazione delle norme eurounitarie prospettata dall’appellante ruota intorno a un tema che è stato già oggetto di vari rinvii pregiudiziali da parte della Sezione.

Brevemente narrati i fatti oggetto della vicenda che occupa, ben si può comprendere come la quaestio iuris sottoposta all’attenzione del Consiglio di Stato e, in ultima istanza, alla Corte di giustizia dell’Unione Europea ruoti intorno all’istituto dell’escussione provvisoria.

La Quinta Sezione si confronta in particolare con sei temi, alcuni già noti, altri nuovi:

  1. L’esatta identificazione delle fattispecie di mancata sottoscrizione del contratto “per fatto dell’affidatario” che ai sensi dell’art. 75, comma 6, D.Lgs. n. 163/2006 originano la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria;
  2. La legittimità della clausola della lex specialis di gara che disponga l’incameramento della cauzione provvisoria ove sia riscontrata la mancanza del possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38, D.lgs. n. 163/2006, anche nei confronti di imprese o RTI concorrenti ma non aggiudicatari dell’affidamento di un contratto pubblico;
  3. L’individuazione del soggetto cui imputare l’accertata carenza di un requisito di ordine generale di partecipazione in capo all’impresa ausiliaria della mandante del RTI;
  4. L’ipotizzabilità della natura di sanzione penale dell’escussione delle cauzioni provvisorie secondo la lettura elaborata dalla Corte EDU, quale conseguenza dell’automatismo nell’incameramento;
  5. La compatibilità con il diritto europeo di un sistema nazionale, in specie desumibile dall’art. 75, D.lgs. n. 163/2006, che ammetta l’automatismo nell’incameramento della cauzione provvisoria di un operatore economico – in particolare un RTI – escluso da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di servizi o lavori, in disparte il fatto che sia o meno risultato aggiudicatario, senza valutare l’effetto provocato dallo stesso in termini di violazione e compressione del principio di proporzionalità nell’applicazione della sanzione.

Preliminarmente, stante la complessità e la rilevanza della questione, si impongono talune riflessioni sull’evoluzione della disciplina dell’istituto della cauzione provvisoria.

L’istituto de quo tra le sue origini nell’ordinamento post-unitario allorquando venne istituito e disciplinato per la prima volta dalla Legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, che nell’art. 332 per i soli appalti di lavori pubblici attribuì all’Amministrazione appaltante la facoltà di indire un nuovo incanto e incamerare le somme depositate «per sicurezza dell’asta» nell’ipotesi in cui il «deliberatorio non sia in misura di stipulare il contratto definitivo nel termine fissato dall’atto di deliberatamento».

Sino agli anni Ottanta del Novecento i contenuti di tale disposizione furono ripresi in varie disposizioni, quali l’art. 2 del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e l’art. 6 della Legge 10 dicembre 1981, n. 741[2].

Con il D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (capitolato generale di appalto) la prestazione della cauzione provvisoria divenne condizione di ammissione alla procedura di gara e l’art. 2 ne disciplinò le modalità di prestazione, imponendo un deposito cauzionale provvisorio in contanti ovvero in titoli del debito pubblico o garantiti dallo Stato presso una sezione della tesoreria provinciale o presso un’azienda di credito prevista dal D.P.R. 22 maggio 1956, n. 635.

La Legge 10 dicembre 1981, n. 741 consentì la prestazione della garanzia provvisoria senza necessariamente il deposito di somme a cauzione, anche mediante una polizza assicurativa o fideiussione bancaria.

Tali modalità di prestazione della garanzia furono avallate dalla normativa successiva.

La cauzione provvisoria venne poi abolita, sia pure per un breve periodo, dall’art. 5 della Legge 8 ottobre 1984, n. 687 che per l’ipotesi di rifiuto dell’aggiudicatario di stipulare il contratto in luogo dell’escussione della cauzione prevedeva la comminatoria di una sanzione da parte del Comitato centrale dell’Albo Nazionale Costruttori.

L’art. 30 della Legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 (c.d. Legge Merloni) reintrodusse la cauzione provvisoria per gli appalti di lavori pubblici sancendo definitivamente il principio che l’offerta deve essere garantita e fissandone la misura nel 2% dell’importo dei lavori da aggiudicare. In particolare, prevedeva che essa “copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’aggiudicatario[3].

Sebbene la cauzione provvisoria a corredo dell’offerta fosse stata imposta ex lege per il settore dei lavori pubblici, analoghe disposizioni legislative non erano rinvenibili per le procedure di gara nei settori delle forniture e dei servizi.

Parte della dottrina aveva ipotizzato che un obbligo generalizzato di prestazione della cauzione provvisoria per la partecipazione alle gare fosse rinvenibile, per tutte le procedure di gara, nella disciplina sulla contabilità generale dello Stato recata dall’art. 83 del Regio Decreto 23 maggio 1924, n. 827 relativo «ai depositi da farsi dai concorrenti alle aste», indipendentemente dalla tipologia di appalto da aggiudicare[4]. Tuttavia, ciò pareva porsi in contrasto con l’art. 83, che non imponeva l’obbligo di richiedere la cauzione e non ne quantificava entità»[5].

Sul piano normativo, in ogni caso, per gli appalti di servizi il D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, pur non prevedendo l’imposizione di una cauzione, indicava al punto 10 del modello allegato, cui i bandi di gara dovevano essere conformi, che «le stazioni appaltanti potessero indicare l’eventuale cauzione da altre forme di garanzie previste dalla legge» attribuendo implicitamente alla stazione appaltante la facoltà di esigere una cauzione provvisoria.

Nell’assenza di una specifica disciplina per gli appalti di fornitura e servizi restava rimesso alla discrezionalità della stazione appaltante l’inserimento nella lex specialis di gara della previsione della necessità di presentare una cauzione provvisoria a garanzia dell’offerta.

L’art. 75 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ha espressamente generalizzato l’obbligo di prestazione della cauzione provvisoria a tutte le tipologie di procedure di gara, siano esse per lavori, servizi o forniture. In particolare, il Codice del 2006 discostandosi dall’impostazione adottata nella disciplina legislativa previgente ha disciplinato il sistema delle garanzie negli appalti pubblici differenziandolo in base alle diverse fasi dell’iter di aggiudicazione e realizzazione, in garanzie provvisorie e definitive[6].

Ha unificato la disciplina della cauzione provvisoria prevedendone l’applicazione generalizzata e ne ha regolamentato in modo organico le modalità di prestazione e l’importo. In definitiva, ha previsto l’obbligo di corredare l’offerta con una garanzia per la mancata sottoscrizione del contratto di importo pari al 2% del prezzo indicato nel bando, da prestare a scelta dell’offerente mediante cauzione (garanzia reale) o fideiussione (garanzie personale), con possibilità di riduzione dell’importo, presenza di una certificazione del sistema di qualità.

Restavano esclusi da tale disciplina generale i settori speciali, di cui alla Parte Terza del Codice, per i quali continuava a mancare una disciplina espressa delle garanzie di offerta e di esecuzione e la cui regolamentazione veniva rimessa alla lex specialis di gara[7]. Era solo prevista la possibilità ai sensi dell’art. 206, comma 3 per gli enti aggiudicatori, nel rispetto del principio di proporzionalità, di applicare altre disposizioni della Parte II del Codice alla cui osservanza non erano obbligati. E fra queste l’art. 75, al rispetto del quale dunque la stazione appaltante poteva discrezionalmente autovincolarsi.

Ancora, restavano escluse dalla specifica disciplina le concessioni di servizi. L’art. 30 del Codice del 2006, infatti, nel regolamentare la materia non aveva previsto l’applicabilità ad esse delle disposizioni del Codice e conseguentemente dell’art. 75. Inoltre, la giurisprudenza aveva escluso l’applicazione analogica delle medesime[8]. Le stazioni appaltanti avevano in ogni caso la possibilità di autovincolarsi all’osservanza delle norme del Codice afferenti alla garanzia provvisoria, fissando precipue condizioni più stringenti per la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni di servizi nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza[9].

La Legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, in attuazione della quale è stato adottato il successivo Codice dei contratti pubblici, per quanto riguarda le garanzie per la gara e l’esecuzione ha contemplato nell’art. 1 comma 1, lett. qq il «riassetto, revisione e semplificazione dei sistemi di garanzia per l’aggiudicazione e l’esecuzione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, al fine di rendere proporzionati e adeguati alla natura delle prestazioni oggetto del contratto e al grado di rischio ad esso connesso … e assicurando comunque l’entrata in vigore della nuova disciplina contestualmente a strumenti attuativi preventivamente concordati con gli istituti bancari e assicurativi che devono assumersi i rischi di impresa».

Stante l’applicabilità ratione temporis alla vicenda in esame della disciplina risalente al 2006, merita limitarsi a rammentare che il Codice dei contratti pubblici del 2016 ha mantenuto distinta la garanzia provvisoria riguardante la stipula (art. 93) da quella riguardante l’esecuzione del contratto (artt. 103 e 104).

Inoltre, ha disciplinato la garanzia riguardante la stipula nell’art. 93, titolato “Garanzie per la partecipazione alla procedura”, definendo espressamente tale tipo di garanzia come «garanzia provvisoria» e si è discostato solo per alcuni tratti, sia pure rilevanti, della disciplina sostanziale posta dall’art. 75 del precedente Codice.

La natura giuridica della garanzia provvisoria, sotto il profilo civilistico, è stata oggetto di accesi dibattiti al tempo della vigenza dell’art. 75 del Codice dei contratti pubblici, che di volta in volta nella ricostruzione dal punto di vista negoziale hanno oscillato tra la caparra penitenziale, la clausola penale e la caparra confirmatoria.

Parte della dottrina l’ha configurata quale caparra penitenziale ai sensi dell’art. 1386 c.c. mettendo in rilievo una funzione di corrispettivo per il recesso da un impegno a contrarre derivante dall’aggiudicazione[10].

Un’altra parte della dottrina e parte della giurisprudenza si sono espresse invece nel senso di qualificare la cauzione provvisoria come clausola penale ex art. 1382 c.c.[11].

Altra parte della giurisprudenza ha evidenziato la natura prettamente sanzionatoria dell’atto di incameramento della garanzia provvisoria[12].

La giurisprudenza prevalente si è orientata nel senso di configurare l’istituto della garanzia provvisoria in termini di caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c. sia perché è finalizzata a confermare la serietà di un impegno da assumere in futuro sia perché tale qualificazione è la più coerente con l’esigenza di non vulnerare l’Amministrazione costringendola a pretendere il maggior danno. Si tratta di una misura di indole patrimoniale, priva di carattere sanzionatorio amministrativo in senso proprio, che costituisce l’automatica conseguenza della violazione di regole e doveri contrattuali espressamente accettati[13].

L’Autorità per la Vigilanza, con la deliberazione 21 luglio 2004, n. 138 ha colto l’aspetto peculiare dell’asimmetria applicativa indicando come l’istituto della caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c. appaia pienamente configurabile nel caso in cui la mancata stipula del contratto di appalto sia dipesa dall’aggiudicatario, disciplinando l’inadempimento del soggetto che presta la garanzia. Tuttavia, altrettanto non può dirsi nell’ipotesi in cui la mancata stipula dipenda dalla stazione appaltante, nel qual caso si applica la specifica normativa di settore che circoscrive le pretese del soggetto.

L’originaria versione dell’art. 93 del Codice dei contratti pubblici del 2016, evidenziando l’esigenza del dolo o colpa grave, aveva introdotto un elemento di colpevolezza che andava al di là dei presupposti dell’inadempimento contrattuale colpevole di non scarsa importanza richiesti per la caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c.. Accentuava dunque fortemente il carattere sanzionatorio della fattispecie e lo avvicinava maggiormente all’istituto della clausola penale, ancorché con caratteri ben più stringenti, quanto alla necessità del profilo soggettivo della colpevolezza, rispetto alla figura ordinaria.

La modifica dell’art. 93, comma 5 intervenuta per effetto del correttivo al Codice del 2016, escludendo la necessità di dolo o colpa grave, ha ricondotto l’istituto nell’alveo qualificatorio della caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c..

Indagata la natura giuridica dell’istituto de quo merita ora soffermarsi sull’ambito di applicazione della cauzione provvisoria, che necessariamente involge considerazioni inerenti alla funzione e alla natura giuridica dell’istituto.

Giova fin da subito evidenziare che nell’arco di tempo intercorso tra la Legge abolitiva del contenzioso amministrativo e, quantomeno, la Legge Merloni è mutata la funzione della cauzione provvisoria: se in passato il suo unico compito era quello di garantire l’Amministrazione per i danni derivanti dalla mancata stipula del contratto da parte dell’aggiudicatario, dagli anni Novanta in poi a tale funzione si è affiancata quella di natura chiaramente afflittiva[14].

La Legge 18 novembre 1998, n. 415, recante “Modifiche alla L. 11 febbraio 1994, n. 109, e ulteriori disposizioni in materia di lavori pubblici” aveva infatti introdotto nell’art. 10 della Legge Merloni il comma 1-quater, in forza del quale l’escussione della cauzione viene comminata alle imprese sorteggiate per la riprova del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa richiesti nel bando, nel caso in cui “tale prova non sia fornita”. Peraltro, questa disposizione prevedeva per tale ipotesi anche la comminatoria di una sanzione pecuniaria da parte dell’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici e della “misura sanzionatoria” della sospensione temporanea dalla partecipazione alle procedure di affidamento da parte del Comitato centrale dell’Albo Nazionale[15].

Nel testo originario del Codice dei contratti pubblici del 2006 quest’ultima previsione è stata ripresa nell’art. 48, mentre quella sull’escussione per mancata stipula del contratto è stata ripresa nell’art. 75.

Sempre in questo testo l’escussione della cauzione viene poi prevista nel comma 3 dell’art. 49 per il caso di “dichiarazioni mendaci” in tema di avvalimento, con un’evidente valenza afflittiva.

Inoltre, anche in questa sede così come nell’art. 10 della Legge Merloni, e, poi, nell’art. 48 del Codice dei contratti pubblici del 2006 si prevede altresì la comminatoria di una sanzione pecuniaria da parte dell’Autorità.

L’ultima tappa del percorso evolutivo è segnata dall’inserimento da parte del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella Legge 11 agosto 2014, n. 114, del comma 2-bis nell’art. 38 del Codice, per cui la cauzione provvisoria “garantisce” il versamento della sanzione pecuniaria comminata per ogni irregolarità inerente alle dichiarazioni previste in questa disposizione.

Al fine di delineare l’ambito di applicazione della garanzia provvisoria pare opportuno prendere le mosse dal tema dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento. Tema, cui il Codice dei contratti pubblici del 2006 dedicava il Capo II della Parte II e precipuamente gli articoli compresi tra il 34 e il 52[16].

Sottesa alle menzionate disposizioni è la ratio ravvisabile nell’esigenza di consentire all’Amministrazione appaltante la verifica del possesso dell’affidabilità morale, della capacità tecnica, organizzativa, economica e finanziaria dei concorrenti.

Tradizionalmente i requisiti di partecipazione sono ripartiti in requisiti soggettivi e requisiti oggettivi.

Sono riconducibili entro il novero dei requisiti soggettivi i criteri di affidabilità morale dei concorrenti. In particolare, l’art. 38, rubricato «Requisiti di ordine generale», reca un’elencazione delle cause ostative alla partecipazione alle gare per l’affidamento di concessioni e di appalti di lavori, servizi e forniture. Ai sensi del comma 2, l’inesistenza di fattispecie impeditive è dichiarata in conformità alle disposizioni del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. I commi successivi disciplinano il regime di prova dei requisiti.

Rientrano nel novero dei requisiti oggettivi, definiti anche requisiti speciali, quelli enucleati dal legislatore negli artt. 41 e 42 afferenti a capacità finanziaria, tecnica e professionale degli operatori[17]. 

Merita soffermarsi ai presenti fini sull’art. 48 del Codice del 2006 rubricato «Controlli sul possesso dei requisiti (art. 10, legge n. 109/1994)», recante previsioni in materia di accertamento dell’effettiva sussistenza in capo all’aggiudicatario dei requisiti di carattere speciale, condizione necessaria per la successiva stipulazione del contratto di appalto[18].

La ratio di tale previsione è rinvenibile nella stabilità all’aggiudicazione.

Il tenore letterale dell’articolo poc’anzi citato consente di evincere come oggetto dei controlli siano esclusivamente i requisiti speciali.

Sono soggette a controlli tutte le procedure per l’affidamento di appalti, sia quelle negoziate sia i dialoghi competitivi, a prescindere dall’importo stimato dell’appalto. Presupposto necessario è che la stazione appaltante abbia previsto nel bando l’ammissione dei concorrenti alla gara con la presentazione di una dichiarazione sostitutiva dell’effettivo possesso di determinati requisiti e livelli minimi. Ai fini del controllo assume rilevanza fondamentale anche l’interrogazione del casellario informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici.

Mediante l’istituto del controllo a campione previsto dall’art. 48 comma 1, da un lato, si favorisce la corretta determinazione della soglia di anomalia, giacché risulterebbe falsata se le imprese non aventi titoli per partecipare alla gara contribuissero alla sua individuazione[19], dall’altro, mediante la cd. logica preventiva gli offerenti sono dissuasi a presentare autocertificazioni false, reticenti o incomplete[20].

La verifica a campione è obbligatoria ed è simile alla verifica a campione sulla veridicità di talune dichiarazioni sostitutive[21]. L’art. 48 è infatti norma speciale, come si evince sia dalle modalità di effettuazione del controllo (la relativa documentazione non è raccolta direttamente dalla stazione appaltante, ma è richiesta al singolo concorrente), sia dal termine breve – peraltro di natura perentoria[22] – di dieci giorni[23]. Il suddetto termine è suscettibile di proroga con atto motivato della stazione appaltante se l’impresa richiedente adduca un motivato impedimento a rispettare detto termine[24].

Nell’ipotesi di mancata produzione della documentazione a comprova ovvero nell’ipotesi di difetto dei requisiti oggetto di dichiarazioni sostitutive si applicano le sanzioni di cui all’48, comma 1: esclusione del concorrente dalla gara ed escussione della relativa cauzione provvisoria e segnalazione del fatto alla relativa Autorità.

Durante la vigenza del Codice dei contratti pubblici del 2006 la portata del controllo sul possesso dei requisiti di cui all’art. 48 era tutt’altro che pacifica. Così come affatto pacifica era la portata applicativa dell’istituto della garanzia provvisoria.

Strettamente collegato al tema poc’anzi esaminato dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento è dunque quello dell’ambito di applicazione dell’escussione della cauzione. Invero, si discuteva vuoi in dottrina vuoi in giurisprudenza se una stazione appaltante potesse disporre l’incameramento della cauzione provvisoria solo nei casi tassativamente previsti nell’art. 48, D.Lgs. n. 163/2006, relativa alla riscontrata carenza dei cd. requisiti speciali, ovvero anche nei casi in cui un’impresa non aggiudicataria abbia omesso o reso in maniera difforme rispetto a quanto prescritto, una o più dichiarazioni sul possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006. Sullo sfondo le problematiche riguardanti la natura giuridica e la funzione della cauzione provvisoria, l’applicabilità dell’art. 48 e la portata dell’art. 75 comma 6 del Codice del 2006.

Si contendevano il campo due orientamenti di segno opposto.

Un primo indirizzo[25], maggiormente restrittivo, valorizzava la funzione sanzionatoria dell’escussione della garanzia provvisoria in caso di mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa richiesti dal bando di gara e, nel contempo, il carattere tassativo delle previsioni sanzionatorie stesse, sostenendo che l’incameramento operasse solo con riferimento alla mancanza del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa. Di tal che, l’art. 48 del Codice dei contratti pubblici del 2006 non poteva essere esteso a ipotesi diverse e precipuamente alle fattispecie di cui all’art. 38 del Codice[26].

Tale orientamento rinveniva il proprio fondamento principalmente nell’argomentazione che ruotava intorno alla littera legis dell’art. 75, comma 6 e dell’art. 48.

Ai sensi dell’art. 75, comma 6 «La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo». È affidataria l’impresa che, definitivamente ammessa alla gara, sia divenuta aggiudicataria e che poi, per fatto proprio, non consenta la stipulazione del contratto. Non è tale quella che, stante il difetto dei requisiti di ordine generale, sia stata esclusa dalla gara[27].

L’art. 48 farebbe riferimento esclusivamente all’assenza dei requisiti di ordine speciale. Anche l’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici ha negato l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 48 alle ipotesi enucleate nell’art. 38 del Codice del 2006. Del resto, opinando diversamente si incorrerebbe in un’indebita interpretazione estensiva, preclusa relativamente alle norme di carattere sanzionatorio. Norme di carattere sanzionatorio, per le quali vige il principio di stretta interpretazione anche in virtù di quanto disposto dalla Legge n. 689/1991, che sottopone le sanzioni amministrative ai principi mutuati dal diritto penale[28].

Un secondo indirizzo, maggiormente estensivo, nel valorizzare la cauzione quale garanzia del rispetto dell’ampio patto d’integrità cui si vincola chi partecipa a gare pubbliche, era orientato nel ritenere che la cauzione provvisoria potesse essere disposta anche in presenza di dichiarazioni non veritiere rese ai sensi dell’art. 38[29].

La Corte costituzionale[30] nel 2010 evidenziò come l’escussione della cauzione e la successiva segnalazione all’Autorità nelle ipotesi di carenza, falsità o mancata dimostrazione della sussistenza dei requisiti di carattere generale fossero conseguenze da accogliere alla luce di un’opzione ermeneutica maggiormente estensiva[31].

Sull’onda di tale orientamento, intervenne la pronuncia 18 marzo 2012, n. 2232 con cui la Sezione III del Consiglio di Stato precisò che «l’escussione della cauzione non presuppone in via esclusiva il fatto dell’aggiudicatario ovvero la falsità delle dichiarazioni concernenti i soli requisiti generali o speciali di partecipazione alla procedura; essa, al contrario, trova spazio applicativo anche quando il concorrente (pur se non aggiudicatario), dichiari il falso in occasione della rappresentazione di elementi costitutivi dell’offerta. Le false dichiarazioni, pertanto, possono avere ad oggetto o i requisiti o le condizioni rilevanti per partecipare alla procedura. Dunque, possono riferirsi a requisiti soggettivi del concorrente o ad elementi oggettivi dell’offerta, ovvero a condizioni imposte dalla stazione appaltante (ad. es. la dichiarazione di presa visione dei luoghi). [...] La cauzione costituisce parte integrante dell’offerta e non mero elemento di corredo della stessa (che la stazione possa liberamente richiedere e quantificare), tanto che l’omessa menzione nella disciplina di gara non ne impedisce l’applicazione avendo, le norme primarie che la prevedono, in parte qua, portata etero integrativa di quest’ultima».

Sul solco tracciato dal secondo indirizzo ermeneutico si pone anche la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2012, secondo la quale la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria discende dall’art. 75, comma 6 del D.Lgs. n. 163/2006 e concerne tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, intendendosi per “fatto dell’affidatario” qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, indi non soltanto il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma altresì il difetto di requisiti generali di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006. Si tratta di un principio oramai acquisito dalla giurisprudenza[32], che negli ultimi tempi si è consolidata su una prospettiva di più ampio respiro.

L’Adunanza Plenaria, con la sentenza 10 dicembre 2014 n. 34, condividendo l’indirizzo esegetico evolutivo, ha risolto la quaestio iuris intorno a cui, ormai da tempo, ruotava il dibattito dottrinale e giurisprudenziale proponendo una soluzione di segno positivo.

Ha accolto il ricorso in appello presentato dal Comune di Erice e ha enunciato il principio di diritto secondo cui «È legittima la clausola, contenuta in atti di indizione di procedure di affidamento di appalti pubblici, che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del Codice di contratti pubblici».

Le conclusioni cui è la pronuncia giunta rappresentano l’esito di un percorso argomentativo alquanto articolato.

L’iter argomentativo prende le mosse dalla considerazione secondo cui era dato rinvenire argomentazioni in tal senso già nelle sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 8/2005 e 8/2012.

Riprendendo taluni contenuti in particolare della sentenza resa dall’Adunanza Plenaria n. 8/2005, il Consiglio di Stato afferma anzitutto che la formulazione degli artt. 48 e 75 del D.Lgs. n. 163/2006 consente di evincere che la cauzione provvisoria “oltre a indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria), svolge (può̀ svolgere) altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti”.

Sostiene, poi, che le illustrate conclusioni risultano altresì giustificate, se non imposte, sia dalla funzione della cauzione provvisoria e dalla previsione del suo incameramento, sia dalla sua natura giuridica.

Quanto al primo profilo, perché la sua escussione “si profila come garanzia del rispetto dell’ampio patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica”, atteso che “la sua finalità è quella di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, di garantire la serietà e l’affidabilità dell’offerta, nonché di escludere da subito i soggetti privi delle richieste qualità volute dal bando ... la presenza di dichiarazioni non corrispondenti al vero altera di per sé la gara quantomeno per un aggravio di lavoro della stazione appaltante, chiamata a vagliare anche concorrenti inidonei o offerte prive di tutte le qualità promesse, con le relative questioni successivamente innescabili”. Di tal che, la cauzione non è un mero elemento di corredo dell’offerta, ma parte integrante della stessa. È una misura autonoma e ulteriore rispetto all’esclusione dalla gara e alla segnalazione all’Autorità di Vigilanza, con cui si anticipa la liquidazione dei danni subiti dall’Amministrazione.

Come precisato dalla Sezione V del Consiglio di Stato  12 maggio 2015, n. 2353, è una conseguenza sanzionatoria del tutto automatica del provvedimento di esclusione, non suscettibile di valutazione discrezionale con riguardo alle ragioni formali e sostanziali poste dall’Amministrazione a giustificazione dell’esclusione stessa.

Quanto al secondo profilo, il Consiglio di Stato affranca l’istituto della cauzione provvisoria dalla clausola penale avente funzione di liquidazione anticipata del danno da inadempimento, equiparandola, quanto alla natura giuridica, alla caparra confirmatoria” perché entrambe sono finalizzate a confermare la serietà di un impegno da assumere in futuro e «coerenti con l’esigenza, rilevante contabilmente, di non vulnerare l’amministrazione costringendola a pretendere il maggior danno». Dal che, desume che la cauzione è “una misura di indole patrimoniale, priva di carattere sanzionatorio amministrativo nel senso proprio, che costituisce l’automatica conseguenza della violazione di regole e doveri contrattuali espressamente accettati”.

Conseguentemente, non possono trovare applicazione due principi sovente evocati nell’orientamento giurisprudenziale non condiviso dall’Adunanza Plenaria: il principio di legalità, perché esso “riguarda le sanzioni in senso proprio e non già le misure di indole patrimoniale liberamente contenute negli atti di indizione, accettate dai concorrenti ... rispondenti all’autonomia patrimoniale delle parti”, e il principio di tassatività, “essendo lo stesso riferibile alle sole cause di esclusione dalla gara ... non già ad altre misure di tipo patrimoniale contenute in clausole degli atti di indizione”. A chi invoca il principio della tassatività delle norme sanzionatorie i giudici amministrativi ricordano che esso, in realtà, concerne le sanzioni in senso proprio e non «le misure di indole patrimoniale liberamente contenute negli atti di indizione, non irragionevoli né illogiche, rispondenti all’autonomia patrimoniale delle parti, non contrarie a norme imperative e agganciate alla ratio delle disposizioni del codice». Inoltre, come precisato da un’altra pronuncia resa dal Consiglio di Stato in composizione Plenaria – 25 febbraio 2014, n. 9  – il principio di tassatività è riferibile solo alle cause di esclusione della gara e non a misure patrimoniali contenute in clausole, relative ai doveri di correttezza contrattuale.

In definitiva, la lettura evolutiva dell’art. 75 nel senso poc’anzi illustrato impone di avere riguardo anche ai concorrenti e non solo all’aggiudicatario e non solo ai requisiti speciali di cui all’art. 48, ma anche ai requisiti generali di cui all’art. 38.

La sentenza n. 34 del 2014 soggiunge che siffatta lettura «è avvalorata anche dalla clausola del comma 3 dell’art. 49 del Codice secondo la quale «sia pure nell’ambito della disciplina dell’avvalimento, ma con valenza sistematica (ai sensi degli articoli 1362 e seguenti codice civile) dal punto di vista interpretativo ... prevede che “nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma restando l’applicazione dell’articolo 38, lettera h, nei confronti dei sottoscrittori, la stazione appaltante esclude il concorrente (non già il solo aggiudicatario) e escute la garanzia”».  

Ancora, è avvalorata per effetto dell’inserimento nell’art. 38 del Codice del comma 2-bis da parte del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella Legge 11 agosto 2014, n. 114, di tal che ogni irregolarità inerente alle dichiarazioni previste in questa disposizione dà luogo all’applicazione «della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria».

Ad avviso del Collegio, dunque, «al di là della irrilevanza ratione temporis ... ciò che rileva per l’interprete, ove mai ve ne fosse bisogno, è la conferma della legittimità (della previsione nei bandi della ‘sanzione’) dell’incameramento della cauzione provvisoria in caso di mancanze relative ai requisiti generali di cui all’art. 38, riferibili a tutti i concorrenti e non al solo aggiudicatario».

Non è tuttavia mancato chi, in dottrina, ha ritenuto non convincenti le riflessioni svolte dall’Adunanza Plenaria su due profili strettamente avvinti l’uno all’altro, ossia la finalità e la natura giuridica dell’istituto de quo[33].

Tali riflessioni, si è osservato, riprendono uno schema concettuale emerso nell’ultimo decennio nel contesto della vicenda dei c.d. patti di integrità o protocolli di legalità.

Come noto, i patti di integrità sono uno strumento pensato durante gli anni Novanta del secolo scorso da parte di un’organizzazione non governativa, Transparency international, al fine di combattere la corruzione nel settore dei contratti delle Pubbliche Amministrazioni. Consiste nella predisposizione di una convenzione con la quale i concorrenti a una gara si impegnano ad adempimenti ulteriori e più stringenti rispetto a quelli previsti ex lege[34].

A far data dallo scorso decennio, stante la gravità del problema della corruzione nel nostro Paese e probabilmente anche l’attrattiva tradizionalmente esercitata da quasi tutti gli strumenti giuridici provenienti dal “diritto sconfinato”[35], i patti di integrità hanno avuto ampia diffusione nella prassi di varie Amministrazioni, con il placet dell’Autorità anticorruzione sin dal 2003 nonché dell’Autorità di Vigilanza sui contratti dal 2012, nella determinazione sul bando-tipo ex art. 64 del Codice dei contratti[36].

La giurisprudenza amministrativa, dapprima, ritenne illegittime le norme della lex specialis di gara che in caso di violazione dei patti di integrità prevedevano l’escussione della cauzione provvisoria. E a tale conclusione pervenne muovendo dall’argomentazione[37] che, stante il “carattere sanzionatorio” della misura, “il relativo potere non può essere esercitato al di fuori dei limiti normativamente stabiliti”. Infatti, la qualificazione in termini sanzionatori di una misura pecuniaria reca con sé l’applicabilità del principio di riserva di legge sancita dall’art. 1 della Legge n. 689/1981, per cui “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione[38].

La pronuncia 8 febbraio 2005, n. 343[39] ha segnato il revirement del Consiglio di Stato. Da quel momento la giurisprudenza amministrativa ha optato per la tesi secondo cui l’escussione della cauzione provvisoria non avrebbe natura sanzionatoria ma rappresenterebbe piuttosto “un onere, consistente nella sottoscrizione per adesione delle regole contenute nel Patto d’integrità, configurandosi l’accettazione delle regole in questo contenute come condizione imprescindibile per poter partecipare alla gara, e contestualmente dei doveri comportamentali, accompagnati dalla previsione di una responsabilità patrimoniale, aggiuntiva alla esclusione della gara, assunti su base pattizia rinvenendosi la loro fonte nel Patto d’integrità accettato dal concorrente con la sottoscrizione”.

Appare dunque chiaro come nel ragionamento seguito dalla giurisprudenza la configurazione pattizia e, dunque, sostanzialmente civilistica delle clausole che contemplano l’escussione della cauzione consenta di ovviare a quella qualificazione sanzionatoria che in passato aveva portato a ritenere illegittime siffatte previsioni[40].

Ebbene, è nota la diffusione in dottrina di una linea di pensiero che risale almeno a Zanobini secondo cui le procedure di gara sono espressione di poteri privati o comunque possono – o potrebbero – essere qualificate in termini privatistici[41].

È altresì nota, tuttavia, la qualificazione pubblicistica delle procedure di affidamento dei contratti in cui è parte l’Amministrazione, che pare sancita positivamente quantomeno dall’art. 2, comma 3 del Codice dei contratti pubblici del 2006, che afferma l’applicabilità anche in questo contesto delle generali norme pubblicistiche sul procedimento amministrativo recate dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241[42]. Di tal che, pare arduo sostenere che le clausole dei bandi di gara che prevedono l’incameramento della cauzione provvisoria al di fuori dei casi stabiliti dalla legge possano considerarsi espressione de “l’autonomia patrimoniale delle parti[43]. Peraltro, va rammentato che quando il legislatore ha voluto fornire un fondamento normativo ai patti di integrità, lo ha fatto senza menzionare la cauzione provvisoria[44]. Il che è avvenuto nell’art. 1, comma 17 della Legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

Ancora, si è criticamente osservato che se si ritiene che l’escussione della cauzione provvisoria disciplinata dagli artt. 48 e 49 del Codice dei contratti pubblici e, dopo il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, anche dall’art. 38, rientri nel novero delle “pene in senso tecnico” di zanobiniana memoria, connotate di finalità afflittive[45], non pare neppure ammissibile che la previsione dell’art. 49 abbia la “valenza sistematica” postulata nella sentenza 10 dicembre 2014, n. 34 resa dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, in guisa da giustificare un qualche tipo di applicazione analogica dell’istituto. Del resto, in forza del richiamato principio di stretta legalità sancito dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689 le previsioni sanzionatorie non possono essere oggetto di applicazione analogica[46].

Alla luce delle suesposte riflessioni, parte della dottrina ha così revocato in dubbio la correttezza delle conclusioni cui la sentenza 10 dicembre 2014, n. 34 è pervenuta[47].

In tale direzione, si è ancora osservato che la natura sanzionatoria dell’istituto de quo è suscettibile di avere conseguenze di non poco momento sulla legittimità delle disposizioni del Codice che impongono l’escussione della cauzione e, al contempo, l’adozione di altre misure afflittive, ossia l’art. 49, ove si prevede anche la comminatoria della sanzione pecuniaria ex art. 6, comma 11, e l’art. 48, ove addirittura viene comminata al contempo l’escussione della cauzione, la sanzione pecuniaria, e la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento.

Ben si potrebbe ipotizzare, infatti, la violazione del principio del ne bis in idem sancito dall’art. 4, comma 1 del Protocollo 7 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, secondo cui “Nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato”.

Invero, a far data dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi del 1976, come noto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha inaugurato una nozione sostanziale di sanzione penale, secondo la quale si considerano di natura penale tutte le sanzioni aventi finalità repressive e punitive, a prescindere dalla qualificazione ricevuta nell’ordinamento nazionale. Inoltre, nell’alveo della nozione sostanziale ben possono ricondursi le misure qualificate dal diritto italiano come sanzioni amministrative[48].

L’applicazione dei menzionati principi unitamente all’applicazione dell’art. 4 del Protocollo 7 comporta che dopo un primo procedimento di natura sostanzialmente penale chiuso con un provvedimento definitivo – non importa se di assoluzione o di condanna – non possa essere iniziato nessun altro procedimento della stessa natura sostanziale. Il che vale anche qualora l’ordinamento statale qualifichi come amministrativo uno dei due procedimenti ovvero li qualifichi come amministrativi entrambi.

Giova ai presenti fini rammentare che, proprio in ossequio ai suddetti principi, la Corte Edu nella sentenza Grande Stevens c. Italia ha ritenuto contraria alla Convenzione l’irrogazione per i medesimi fatti di una sanzione penale e di una sanzione amministrativa pecuniaria[49].

In definitiva, dunque, la pluralità di sanzioni inflitte ai sensi degli artt. 48 e 49 del Codice dei contratti pubblici potrebbe andare incontro alle censure della Corte europea.

Ma non solo: in seguito alle note pronunce nn. 348 e 349 del 2007 in cui la Consulta ha affermato che a mente dell’art. 117, comma 1 Cost. la potestà legislativa dev’essere esercitata anche nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, la violazione delle norme Edu potrebbe tradursi altresì in un’ipotesi di illegittimità costituzionale[50].

Nel quadro normativo, dottrinale e giurisprudenziale che si è tentato di delineare si inserisce l’ordinanza in commento.

Nel proprio percorso argomentativo il Collegio, ben consapevole dell’evoluzione della disciplina dell’istituto della garanzia per la partecipazione alla gara, individua e tenta di sciogliere plurimi nodi interpretativi, la soluzione dei quali porta inevitabilmente a ritenere rilevante, ai fini della definizione del presente giudizio, la questione interpretativa prospettata dall’appellante e a rimetterla alla valutazione della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Volendo ripercorrerli, un primo nodo interpretativo attiene alla questione se la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria includa tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario cui si affianca il tema della portata della locuzione “per fatto dell’affidatario”.

Il Consiglio di Stato nell’affrontare tali interrogativi muove dalla considerazione che nella fattispecie de qua trovano applicazione gli artt. 48 e 75 del D.lgs. n. 163/2006, di tal che devono essere respinti i motivi di illegittimità derivata nonché di violazione dell’art. 2 del disciplinare e dell’art. 49, comma 3, D.lgs. n. 163/2006 dedotti dal RTI escluso. L’operatore economico, infatti, “non ha fornito la prova del possesso dei requisiti di partecipazione richiesti dalla lex specialis, ivi inclusa l’ipotesi del mancato possesso dei requisiti di ordine generale ex art. 38 del D.lgs. n. 163/2006 in capo al concorrente non aggiudicatario”.

La Sezione Quinta rammenta, poi, l’orientamento prevalente della giurisprudenza formatasi nell’esegesi dell’art. 75, comma 6, del D.lgs. n. 163/2006, secondo cui l’escussione della cauzione provvisoria concerne tutte i casi di mancata sottoscrizione del contratto “per fatto dell’affidatario”, laddove per “fatto dell’affidatario” deve intendersi qualsivoglia ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile: non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma altresì il difetto dei requisiti generali di cui all’art. 38 del D.lgs. n. 163/2006.

A tale riguardo merita soffermarsi funditus sul profilo della riconducibilità del fatto all’affidatario.

L’art. 75 contemplava la necessità della sola riconducibilità «al fatto dell’affidatario» senza cenno alcuno a profili di colpa e l’art. 48 in caso di assenza dei requisiti nell’ipotesi di controllo a campione disponeva l’escussione in termini di conseguenza praticamente automatica, senza che potessero rilevare eventuali valutazioni tese a evidenziare la non imputabilità a colpa della violazione che ha dato causa all’esclusione[51].

Sulla portata della locuzione “per fatto dell’affidatario” si contendevano il campo due indirizzi esegetici contrapposti.

Un primo indirizzo, in termini con la natura di caparra confirmatoria, era volto ad attribuire all’espressione «fatto dell’affidatario» una valenza essenzialmente oggettiva. Sicché, accertato il nesso eziologico fra la mancata stipulazione e una condotta attiva o omissiva dell’aggiudicatario, non sarebbe stato necessario accertare l’imputabilità soggettiva della mancata stipulazione.

Un secondo indirizzo, maggiormente in termini con la natura di clausola penale della garanzia, riteneva invece necessario, per giustificare l’incameramento della cauzione, l’esistenza di inadempimento imputabile di un obbligo connotato da una componente soggettiva[52].

La prima tesi era prevalente e, in sostanza, sotto la vigenza del Codice dei contratti pubblici del 2006 la possibilità per la stazione appaltante di far valere la garanzia provvisoria si palesava in termini di imputabilità al concorrente del fatto che comportava la mancata sottoscrizione, con una valutazione che riguardava la riconducibilità della circostanza nella sfera di quest’ultimo, senza la necessità di una preventiva verifica della reale colpevolezza e senza attribuzione alla stazione appaltante di alcuna discrezionalità in merito. Si affermava che l’eventuale incameramento della cauzione presupponeva necessariamente una verifica delle cause che avevano determinato la mancata stipula del contratto e la loro imputabilità all’aggiudicatario quale violazione degli obblighi di diligenza. Tale verifica tuttavia imponeva all’Amministrazione di appurare la sussistenza di un rapporto causale fra il comportamento del concorrente e la mancata sottoscrizione del contratto.

In definitiva, per «fatto dell’affidatario» si intendeva qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile[53], prevedendo che l’incameramento della cauzione provvisoria fosse disposto in ogni caso in cui la mancata sottoscrizione del contratto fosse dipesa da circostanze imputabili all’aggiudicatario[54]. Al riguardo, l’incameramento della garanzia provvisoria non necessitava di una prova di colpa e, d’altro canto, nelle gare pubbliche era considerato una misura di carattere strettamente patrimoniale, senza un carattere sanzionatorio amministrativo nel senso proprio: non aveva infatti né carattere reintegrativo o ripristinatorio di un ordine violato né di punizione per un illecito amministrativo previsto a tutela di un interesse generale[55].

L’espressione massima di tale rigidità emergeva nei casi di difetto dei requisiti dichiarati speciali ex art. 48 e generali ex art. 38, in cui si rilevava che la misura di incameramento della cauzione provvisoria prescritta dall’art. 75, comma 6, D.Lgs. n. 163/2006 costituiva una conseguenza del tutto automatica del provvedimento di esclusione dalla gara e, siccome tale, non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale[56], ma operava in definitiva per tutti i casi rientranti in quell’ambito applicativo, quali le ipotesi di ritiro dell’offerta o rifiuto di stipula dopo l’aggiudicazione.

L’operatività di tale previsione normativa prescindeva infatti da reali valutazioni di colpevolezza o buona fede, non lasciando spazi e margini discrezionali di valutazione alla stazione appaltante e al giudice, né sotto il profilo soggettivo né quantitativo[57].

Dopo l’entrata in vigore del Codice del 2016, l’originaria versione dell’art. 93, comma 6 indicando la necessità di dolo o colpa grave si è “sganciata” del tutto da un mero criterio di imputabilità inteso quale circostanza riconducibile al concorrente, rendendo senza dubbio necessaria una vera e propria valutazione di colpevolezza del comportamento impeditivo della stipula posto in essere dal concorrente.

Sciolto il primo nodo ermeneutico, la Sezione Quinta affronta il secondo tema poc’anzi delineato, che attiene alla legittimità della clausola della lex specialis che contempli l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese mere concorrenti e non anche aggiudicatarie, nell’ipotesi in cui sia stata riscontrata l’assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del D.lgs. n. 163/2006.

A tale riguardo, il Consiglio di Stato rammenta che l’Adunanza Plenaria con la pronuncia 10 dicembre 2014, n. 34, come si è ampiamente illustrato, ha optato per la tesi favorevole alla legittimità di una siffatta clausola della lex specialis, quale è quella prevista all’art. 2 del disciplinare della gara oggetto della vicenda in esame.

Emerge nella vicenda de qua un ulteriore profilo problematico, ossia quello che ruota intorno all’interrogativo se l’automatico incameramento della cauzione involga la qualificazione dell’escussione in termini di provvedimento a contenuto sanzionatorio e di natura “penale”.

A tale proposito, la Sezione ha cura di rammentare che nel pronunciarsi su altre vicende sottoposte al suo vaglio aveva già avuto modo di rilevare il profilo problematico dal punto di vista sistematico di tale approdo interpretativo.

Ebbene, detto profilo problematico si risolve nel fatto che l’automatismo nell’incameramento della cauzione reca con sé la qualificazione dell’escussione in termini di provvedimento a contenuto sanzionatorio e di natura “penale”, portando alla luce un conflitto degli artt. 48 e 75 del D.lgs. n. 163/2006 con gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art. 4, Protocollo 7, della medesima CEDU, l’art. 6 TUE, nonché con i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 TFUE.

Così come ha cura di rammentare di avere, proprio per tali ragioni, già rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale sulla compatibilità con il diritto europeo di norme interne che contemplino l’applicazione della sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di servizi o lavori, a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia risultato aggiudicatario dell’affidamento. Una questione del tutto analoga si pone nella fattispecie de qua nel caso in cui il raggruppamento sia mero concorrente e non anche aggiudicatario.

Nella vicenda de qua al Consiglio di Stato si presenta un ulteriore nodo problematico, che attiene all’individuazione del soggetto cui imputare l’esclusione, ai soli fini dell’escussione della garanzia provvisoria, anche nel caso di esclusione di operatore risultato aggiudicatario, derivante dalla perdita di un requisito di ordine generale di un’impresa ausiliaria – oltretutto non originaria – della mandante del RTI.

Secondo il giudice amministrativo, tanto emerge nella prospettiva della natura “penale” che tale escussione potrebbe assumere, secondo i parametri elaborati dalla giurisprudenza in tema di sanzioni pecuniarie della Corte EDU, la quale ha ritenuto applicabili i c.d. criteri Engel dell’8 giugno 1976, successivamente affinati[58].

A tale riguardo, giova rilevare che la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 4 marzo 2014, causa G.S. ed altri c. Italia si è espressa in ordine alla natura, entità e all’equità delle sanzioni pecuniarie ai fini della loro ascrivibilità alla c.d. materia penale. In particolare, la Corte Europea ha evidenziato come “tenuto conto dell’importo elevato delle sanzioni pecuniarie inflitte e di quelle di cui erano passibili i ricorrenti, [...] le sanzioni in causa rientrino, per la loro severità, nell’ambito della materia penale (si vedano, mutatis mutandis, O., sopra citata, par. 54, e, a contrario, I. c. Portogallo (dec.), n. 43862/98, CEDU 2001 I)”[59].

Tali rilievi sono già stati condivisi dal giudice amministrativo che ha già avuto modo di rilevare, per esempio con la pronuncia sempre della Sezione V, 6 aprile 2023, n. 3571, che la Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione. Sono stati precipuamente individuati tre criteri, costituiti: I) dalla qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, con la puntualizzazione che la stessa non è vincolante quando si accerta la valenza “intrinsecamente penale” della misura; II) dalla natura dell’illecito, desunta dall’ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; III) dal grado di severità della sanzione. [...] L’assegnazione alla “materia penale” di un significato ampio conduce a ritenere che anche il potere amministrativo sanzionatorio deve essere esercitato nel rispetto, non solo delle garanzie dell’equo processo, ma altresì dai principi sanciti dal citato art. 7 Cedu[60].

Ebbene, nella fattispecie de qua, alla stregua di una qualificazione sostanziale fondata sull’afflittività in considerazione dell’importo si può ipotizzare il problema della natura di sanzione penale dell’escussione delle cauzioni provvisorie secondo la lettura fornita dalla Corte EDU, con conseguente violazione anche del principio di proporzionalità delle sanzioni.

Alla luce delle suesposte argomentazioni il Consiglio di Stato, stante la rilevanza, ai fini della decisione della controversia, della questione di compatibilità della predetta normativa con le indicate disposizioni eurounitarie rimette la questione pregiudiziale prospettata dall’appellante alla valutazione della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

 

[1]Che rammenta, fra l’altro, che in ragione dei divieti o limiti all’intervento davanti alla Corte costituzionale, alla CGUE e all’Adunanza Plenaria, nei giudizi in cui sorge una questione già pendente davanti a tali Consessi, alle parti deve essere consentita l’opzione tra l’attesa della definizione della questione, senza poter interloquire innanzi ad essi – nel qual caso è sufficiente la sospensione impropria “in senso lato” – e l’interlocuzione davanti a detti Consessi, per la quale è strumentale una nuova ordinanza di rimessione e la sospensione impropria “in senso stretto” per la rimessione alla Corte costituzionale o alla CGUE, mentre nessuna sospensione occorre in caso di rimessione all’Adunanza Plenaria. Va solo precisato che se una questione, già pendente in Plenaria, viene in rilievo in un giudizio davanti a un Tar, che non può disporre una rimessione per saltum alla Plenaria, alle parti va prospettata la possibilità di una sospensione impropria “in senso lato”, senza che le parti abbiano possibilità di fruire di una rimessione diretta alla Plenaria, in ragione del grado in cui pende la lite. In definitiva, la sospensione impropria “in senso lato” assolve alla medesima finalità della sospensione impropria “in senso stretto”, vale a dire attendere la definizione di una questione che ha portata pregiudiziale anche nel giudizio de quo, sebbene sollevata in un diverso giudizio, e l’opzione tra i due istituti riposa su ragioni di economia processuale e ragionevole durata del processo, e sulle scelte difensive delle parti dei giudizi de quo.

 

 

[2]Si veda A. Cianflone - G. Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, Milano, 2003, 490 ss..

[3]G. Manfredi, L’evoluzione della cauzione provvisoria, tra patti di integrità e sanzioni in Urb. e appalti, 2/2015, 175 e ss..

[4]E. Santoro, Manuale dei contratti pubblici, Rimini, 1999, 389.

[5]P. Grasso, La cauzione provvisoria e definitiva degli appalti pubblici, in Riv. trim. app. 2001, 790.

[6]A. Lupo – S. Mazza, Le garanzie a corredo delle offerte, in F. Saitta (a cura di), Appalti e contratti pubblici, Padova, 2016.

[7]Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 agosto 2009, n. 4903. Nulla disponeva, infatti, in proposito la Parte Terza del Codice dei contratti pubblici e l’art. 206 non rinviava agli articoli 75 e 113 che disciplinavano le garanzie di offerta di esecuzione nei settori ordinari e, nel contempo, stabiliva testualmente che ai settori speciali si applicavano solo le disposizioni dettate per i settori ordinari ed espressamente richiamate e che «Nessun altra norma della parte II, titolo I, si applica alla progettazione e alla realizzazione delle opere appartenenti ai settori speciali».

[8]Consiglio di Stato, Sez. V, 13 luglio 2010, n. 45110.

[9]Autorità per la Vigilanza, deliberazione 18 aprile 2012, n. 44.

[10]Mazzone – Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, Roma 2005, 212.

[11]A. Lupo – S. Mazza, Le garanzie a corredo delle offerte, in F. Saitta (a cura di) Appalti e contratti pubblici, Padova 2016. In giurisprudenza, Consiglio di Stato, Sez. V, 11 dicembre 2007, n. 6362.

[12]Tar Liguria, Genova Sez. II, 30 giugno 2016, n. 756; Tar Lombardia, Milano Sez. III, 18 ottobre 2001, n. 6919.

[13]Consiglio di Stato, Sez. V, 15 aprile 2013, n. 2016; T.r.g.a. Trento, 29 settembre 2014, n. 333; Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10 dicembre 2014, n. 34.

[14]G. Manfredi, L’evoluzione della cauzione provvisoria, tra patti di integrità e sanzioni, in Urb. e appalti, 2/2015, 175 e ss..

[15]Si veda A. Cianflone-G. Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, Milano, 2003, 490 ss..

[16]F. Caringella, M. Giustiniano, Manuale di diritto amministrativo.I contratti pubblici, Dike, 2014; R. Villata, M. Bertolissi, V. Domenichelli, G. Sala, I contratti di lavoro, servizi e forniture, Cedam, 2014; AA.VV., Il precontenzioso e l’attività paragiurisdizionale dell’AVCP, Maggioli Editore, 2014; R. Caranta, I contratti pubblici, Giappichelli, 2012; A. Cianflone, G. Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, Milano, 2003; S. Baccarini, G. Chiné, R. Proietti, Codice dell’appalto pubblico, Giuffrè, 2015; D. Sorace, Amministrazione pubblica dei contratti, Editoriale scientifica, 2013; F. Ferrari, G. Morbidelli, Commentario al codice dei contratti pubblici, EGEA, 2013; V. Cerulli Irelli, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011.

[17]M. Clarich, Commentario al codice dei contratti pubblici, Giappichelli, 2010, 280 ss..

[18]M. Boifava, Controlli sul possesso dei requisiti, in Codice dei contratti pubblici, Giuffrè, 2007.

[19]In senso contrario, R. De Nictolis, Manuale dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, EPC Editore, 2010.

[20]L. Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato, IPSOA, 2013, 726.

[21]M. Antonucci, Le verifiche a campione e la natura dei termini nelle gare d’appalto di opere pubbliche, in Cons. St., 2001, II, 1423 e ss.; R. De Nictolis, Il controllo a campione negli appalti di lavori pubblici, in Urb. e appalti, 2002, II, 129.

[22]Sul punto la giurisprudenza è consolidata. Cfr. ex multis: Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2009, n. 3804.

[23]L. Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato, IPSOA, 2013, 729.

[24] Sul punto la giurisprudenza è consolidata. Cfr ex multis Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3066.

[25]Ex multis: Tar Sicilia, Palermo, Sez. III, 15 novembre 2013, n. 2188; Consiglio di Stato, Sez. V, 11 gennaio 2012 n. 80

[26]Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 agosto 2006, n. 5009. Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 11 gennaio 2012, n. 80 che richiama Consiglio di Stato, Sez. III, 1° marzo 2010, n. 775; cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 agosto 2006, n. 2006.

[27]Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 15 dicembre 2011, n. 2984.

[28]L. Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato, IPSOA, 2013, 730-731.

[29]Consiglio di Stato, Sez. V, 18 aprile 2012, n. 2232.

[30]Corte cost., 17 dicembre 2010, n. 362, in Giur. Cost., 2010, 6, 5104.

[31]L. Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato, IPSOA, 2013, 730-731.

[32]In tal senso, ex multis, Consiglio di Stato, Ad. Plen., 4 ottobre 2005; Consiglio di Stato, Sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5283; Consiglio di Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012, n. 8.

 

[33]Per esempio, G. Manfredi, L’evoluzione della cauzione provvisoria, tra patti di integrità e sanzioni, Nota a Cons. Stato (Ad. Plen.), 10 dicembre 2014, n. 34, in Urb. e appalti, n. 2, 1° febbraio 2015, 171.

[34]Si veda, per tutti, G.M. Racca, La prevenzione e il contrasto alla corruzione nei contratti pubblici, in B. G. Mattarella-M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, 125 ss..

[35]Si veda, M.R. Ferrarese, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Bologna, 2006.

[36]Si tratta rispettivamente della determinazione Anac n. 14/2003 e della determinazione Avcp n. 4/2012, entrambe in www.anticorruzione.it.

[37]Come si legge nella decisione Consiglio di Stato, Sez. V, 28 giugno 2004, n. 4789.

[38]Sull’ambito di applicazione di questo e degli altri principi generali del Capo I della L. n. 689/1981, anche alla luce dell’art. 12 della medesima legge, cfr. C. E. Paliero-A. Travi, Sanzioni amministrative, voce in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, spec. 405 ss.

[39]In Servizi pubbl. e app., 2005, 603, con nota di F.A. Cancilla, I «patti di integrità» nelle procedure di evidenza pubblica: autonomia negoziale o potestà̀ sanzionatoria?

[40]Peraltro, anche l’esigenza di contrastare i pur gravissimi fenomeni corruttivi nel settore dei contratti della Pubblica Amministrazione di per sé non potrebbe giustificare un qualche tipo di interpretazione, al pari di ogni argomentazione “orientata alle conseguenze”. A tale riguardo, si veda, per tutti, L. Mengoni, L’argomentazione orientata alle conseguenze, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 1 ss..

[41]Si veda G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1948, IV, 328, ove afferma che le “restrizioni” legali sulla scelta del contraente “non fanno parte del diritto pubblico, ma costituiscono ... diritto privato speciale”. Nella letteratura successiva si veda, sul punto, almeno M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II, 387 ss., e Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, 463 ss.; cfr. più di recente A. Benedetti, Il Codice dei contratti pubblici e il diritto speciale delle amministrazioni contraenti, in Serv. pubbl. e app., 2006, 543 ss. Sulle vicende, in parte analoghe, della qualificazione dei concorsi pubblici, v., da ultimo, E.N. Fragale, Concorsi pubblici, (in)validità̀ del contratto e concentrazione delle tutele, in Lav. P.A., 2014, 155 ss..

[42]Si veda, per tutti, A. Benedetti, Il Codice dei contratti pubblici e il diritto speciale delle amministrazioni contraenti, in Serv. pubbl. e app., 2006, 543 ss.

e cfr. G. Manfredi, La difficile attuazione del comma 1-bis dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, in Dir. e proc. amm., 2010, 185 ss. Peraltro, ove si ritenga che le procedure di cui trattasi non siano espressione di poteri autoritativi la scelta (cui si correla anche quella di devolvere le procedure di affidamento alla giurisdizione del G.A., ora sancita dall’art. 120 c.p.a) può risultare opinabile, ma non per ciò solo si possono disconoscere le conseguenze del dato normativo.

[43]E’ stato rilevato in dottrina che forse non è casuale che qualche giorno dopo la pubblicazione della sentenza 10 dicembre 2014, n. 34 la IV Sezione, nella sentenza 22 dicembre 2014, n. 6302, abbia giustificato l’interpretazione estensiva delle norme sull’escussione della cauzione provvisoria con un argomento differente da quelli di cui si è avvalsa l’Adunanza Plenaria, sostenendo che questa interpretazione si giustifica in considerazione di “quell’onere di peculiare diligenza e/o buona fede che incombe sul concorrente, e che può ricondursi, in generale, al canone comportamentale di cui all’art. 1337 cod. civ.” (G. Manfredi, L’evoluzione della cauzione provvisoria, tra patti di integrità e sanzioni in Urb. e appalti, 2/2015, 175 e ss.).

[44]Sulle norme della L. n. 190 in tema di patti di integrità si veda S. Foà, Le novità̀ della legge anticorruzione, in Urb. e app., n. 2, 1° febbraio 2015, 301 ss..

[45]Secondo la nota definizione di sanzione amministrativa proposta da G. Zanobini, in Le sanzioni amministrative, Torino, 1924.

[46]Si veda, ex plurimis, Cass. civ., Sez. III, 30 giugno 2006, n. 15088; Cass. civ., Sez. I, 8 agosto 2003, n. 11954.

[47]Così, ad esempio, G. Manfredi, L’evoluzione della cauzione provvisoria, tra patti di integrità e sanzioni in Urb. e appalti, 2/2015, 175 e ss..

[48]Sull’argomento di veda lo studio di F. Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2014, e la dottrina e la giurisprudenza ivi citate. Peraltro, l’empirismo della Cedu rischia di mettere in crisi altresì le sistemazioni di taluni istituti del nostro ordinamento, tra cui ovviamente quella delle sanzioni amministrative: sul punto cfr., più recentemente, P. Cerbo, Le ragioni di una questione definitoria: la controversa nozione di sanzione amministrativa, in corso di pubblicazione, in Giur. cost. 2014, 3607 ss.

[49]Cfr. G.M. Flick-V. Napoleoni, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto? Materia penale”, doppio processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte Edu 4 marzo 2014 sul market abuse, in associazione dei costituzionalisti.it, F. Viganò, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell’art. 50 della Carta?, in penalecontemporaneo.it: ivi anche la relazione n. 35 del 2014 dell’Ufficio Massimario della Corte di Cassazione, interamente dedicata alle possibili ricadute della sentenza Grande Stevens nel nostro ordinamento.

[50]F. Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2014, 14 ss..

[51]Consiglio di Stato, Ad. Plen., 29 febbraio 2016, n. 5.

[52]In tal senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 11 dicembre 2007, n. 6362.

[53]Anac, parere 25 novembre 2015, n. 206; Consiglio di Stato, Sez. III, 29 luglio 2015, n. 3749.

[54]Consiglio di Stato, Sez. III, 29 luglio 2015, n. 3749; Consiglio di Stato, Sez. V, 31 agosto 2016, n. 3746.

[55]Consiglio di Stato, Sez. III, 29 luglio 2015, n. 3749.

[56]Per i requisiti di cui all’art. 38 si veda Consiglio di Stato, Sez. V, 13 giugno 2016, n. 2531.

[57]Tar Lazio, Roma Sez. II, 8 giugno 2016, n. 6607; Consiglio di Stato, Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 694.

 

[58]Corte EDU, 4 marzo 2014, n. 18640, G.S..

[59]Cfr. par. 99 della sentenza G.S.; cfr. anche sentenza E. e altri c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976; nonché sentenza Z., 10 febbraio 2009 e CGUE, G. Sezione, sentenza 5 giugno 2012, C-489/10).

[60]Consiglio di Stato, sez. VI, ordinanze 20 ottobre 2014, n. 5167, 9 ottobre 2014, n. 5030, 9 luglio 2014, nn. 3496, 3497,3498 e 3499.