TAR Umbria, sez. I, 20 maggio 2024, n. 374

Non può essere accolta, per difetto dei presupposti, la domanda di indebito arricchimento, ex art. 2041 c.c., proposta dall’operatore economico aggiudicatario di un appalto di servizi, nei confronti della stazione appaltante, che sia fondata sulla tesi secondo cui l’Amministrazione avrebbe conseguito un risparmio di spesa, derivante dal diniego di riconoscimento economico della revisione dei prezzi, nonostante le prestazioni contrattuali regolarmente svolte dal medesimo operatore, in conformità agli standards organizzativi e gestionali imposti dalla normativa di settore; e ciò sul rilievo che, nella fattispecie:

a) non si ravvisa un arricchimento dell’Amministrazione correlato al depauperamento dell’aggiudicatario istante, in quanto gli aumenti dei costi del lavoro, se hanno senz’altro inciso sul bilancio della società interessata, non hanno tuttavia arricchito l’Amministrazione che ha sempre pagato il medesimo corrispettivo contrattuale, seppure incrementato dell’indice FOI, senza nessun effettivo incremento delle proprie disponibilità;

b) è decisiva la riscontrata presenza di una giusta causa per tali aumenti, ovvero la presenza di tabelle ministeriali che periodicamente incrementano i costi del lavoro in maniera costante rispetto all’inflazione, trattandosi di circostanze che rientrano nella normale alea del contratto e che in ultima analisi non possono ritenersi imprevedibili né ingiustificate;

c) il contratto d’appalto prevede che “il corrispettivo dell’appalto non varia nei casi in cui l’importo delle rette dovesse essere incrementato per disposizione regionale e di legge o per qualsiasi altro motivo”, escludendo quindi incrementi contrattuali in dipendenza di costi imposti, tra le altre cose, da disposizioni imperative.

A fortiori dunque, eventuali incrementi di costi basati su dette causali non possono ritenersi ingiustificati né fondare il diritto all’indennizzo dell’appaltatrice.

N. 00374/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00496/2022 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 496 del 2022, proposto da
Polis Societa' Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Porpora, Marco Costantini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Azienda Pubblica di Servizi alla persona "Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Rampini, Simona Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Rampini in Perugia, piazza Piccinino n. 9;

Per la condanna

dell’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona "Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi" al pagamento della somma complessiva di € 624.751,08= ovvero della diversa somma ritenuta di giustizia, per il mancato adeguamento dei corrispettivi contrattuali e la conseguente mancata corresponsione degli incrementi dei corrispettivi con riferimento agli aumentati costi del lavoro desunti dalle tabelle ministeriali;

nonché, in subordine, per la condanna dell’Ente al pagamento della medesima somma quale ingiustificato arricchimento in danno della ricorrente;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Pubblica di Servizi alla persona "Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi";

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO

1. La Cooperativa Polis, all’esito di due procedure di gara consecutivamente indette ai sensi del D.Lgs. 163/2006, si è aggiudicata la gestione dei servizi di assistenza alla persona nella residenza protetta sita nel Comune di Todi e gestita dall’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona (ASP) “Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi” ed ha eseguito integralmente i due servizi: in particolare il primo contratto aveva riguardato il periodo dal 1° giugno 2009 al 31 maggio 2012 (poi prorogato sino al 1° luglio 2015) mentre il secondo il periodo dal 2 luglio 2015 al 1° luglio 2020.

Con atto di citazione notificato in data 11 febbraio 2021 Polis ha convenuto in giudizio l’ASP avanti al Tribunale Civile di Spoleto, chiedendo l’accertamento di plurimi inadempimenti contrattuali della parte pubblica- riferiti sia al contratto del 2009 che a quello del 2015 - ed inoltre la condanna dell’Azienda al pagamento della complessiva somma di € 1.070.075,80= iva compresa, a titolo di mancato pagamento degli adeguamenti dei corrispettivi minimi contrattuali per l’incremento del costo del lavoro desunti dalle tabelle ministeriali, nonché di ulteriori prestazioni svolte e non retribuite. In linea istruttoria la ricorrente ha chiesto l’ammissione dell’interrogatorio formale del legale rappresentante dell’Ente, e della prova per testi sulle medesime circostanze; inoltre ha fatto istanza di l’ordine di esibizione delle scritture contabili e delle schede di bilancio dell’ASP, oltre ai flussi di pagamento tra ASL Umbria e ASP, ed infine per l’espletamento di CTU contabile.

2. Il Tribunale di Spoleto con sentenza parziale n. 713 pubblicata il 10 dicembre 2021 ha dichiarato il parziale difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario limitatamente alle domande in materia di revisione dei prezzi per mancato adeguamento dei minimi retributivi, ed ha confermato la propria giurisdizione in ordine alle ulteriori domande proposte da Polis, richiamando l’orientamento giurisprudenziale per cui in materia di revisione prezzi sussiste la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo quando nel contratto di appalto non sia contenuta alcuna clausola di revisione, ovvero allorché detta clausola lasci integra la discrezionalità dell’ente nell’adeguamento dei corrispettivi contrattuali; al contrario la controversia sarà devoluta al Giudice ordinario solo se la clausola di revisione prezzi vincola l’Amministrazione all’applicazione di criteri automatici per la liquidazione. Nel caso di specie, osserva il Tribunale, “con il primo contratto di appalto, ossia quello del 05/06/2009 le parti non hanno sottoscritto alcuna clausola di revisione del prezzo dell'appalto; con il secondo contratto, ossia quello del 02/07/2015 le parti hanno previsto una clausola di revisione all'art. 9, con la quale è stato richiamato l'art. 115 codice contratti pubblici vigente ratione temporis, che prevedeva la necessità di un'istruttoria della p.a. per la revisione, ovvero prevedeva - per il caso di mancata pubblicazione da parte dell'Istat dei dati relativi all'andamento dei prezzi di beni e servizi- un altro criterio di revisione discrezionale.”

3. Polis ha dunque riassunto il giudizio avanti a questo T.A.R. con atto notificato in data 9 settembre 2022, limitatamente però alle pretese relative al primo contratto di appalto, stipulato il 1° giugno 2009 e poi proseguito in regime di proroga fino al 1° luglio 2015 - dovendo ritenersi dunque rinunciata ogni pretesa creditoria relativa al contratto successivamente stipulato e vigente fino al 1° luglio 2020. In riferimento a tale rapporto, la cooperativa sostiene che l’obbligo di adeguamento dei corrispettivi dell’appalto deriverebbe:

- dalle previsioni di cui agli artt. 7, 86, 87 e 115 del D.lgs. 163/06;

- dagli artt. 1 e 3 del contratto;

- dalla normativa regionale (D.G.R. n. 847/2009 e D.G.R. n. 215/2015), nonché, da ultimo, dal Decreto Direttoriale del Ministero del lavoro n. 7 del 17.2.2020, che disciplinano i corrispettivi dei contratti d’appalto individuando uno specifico tariffario per i costi del lavoro.

In subordine Polis domanda le medesime somme all’Ente a titolo di arricchimento senza causa, giacché quest’ultimo avrebbe goduto di un risparmio di spesa a fronte delle prestazioni svolte dalla ricorrente in conformità agli standards organizzativi e gestionali imposti dalla normativa. Inoltre sono state riproposte le istanze istruttorie di cui al ricorso introduttivo.

4. Si  costituita in giudizio l’ASP, eccependo preliminarmente l’irricevibilità del ricorso per tardività della riassunzione del processo a seguito della declaratoria del difetto di giurisdizione parziale, applicandosi a tali controversie il rito abbreviato ex art. 119 cod. proc. amm.; la domanda di pagamento degli incrementi contrattuali sarebbe peraltro inammissibile perché la questione della revisione prezzi in merito al contratto del 2009 era già stata decisa con Deliberazione del C.d.A. dell’Ente - mai impugnata da Polis - n. 130 del 2 agosto 2010, con la quale era stata stabilita la revisione del corrispettivo di appalto di cui al contratto del 5 giugno 2009 sulla base dell’incremento dell’indice ISTAT, allora determinato nella misura dello 0,7%, con decorrenza dal 1° giugno 2020. Con riferimento al periodo precedente (1° giugno 2009-31 maggio 2010) la domanda di accertamento dell’inadempimento contrattuale sarebbe parimenti inammissibile perché la ricorrente avrebbe rinunciato ad ogni pretesa con la sottoscrizione della transazione dell’8 luglio 2010.

4.1. Nel merito, comunque, le pretese creditorie di Polis sarebbero prescritte perché la prima richiesta di pagamento risulterebbe essere quella formulata con nota del 26 febbraio 2019, ampiamente oltre il prescritto termine quinquennale.

4.2. Inoltre il ricorso sarebbe comunque infondato perché il meccanismo di revisione prezzi disegnato dall’art. 115 del Codice Appalti del 2006 non è automatico, bensì affidato ad apposita istruttoria della stazione appaltante, ed anche ove si riconoscesse l’adeguamento prezzi, ciò non potrebbe mai eccedere la misura dell’incremento secondo l’indice Istat- FOI (indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati), già corrisposto nel rapporto in contestazione.

4.3. Infine l’Azienda pubblica, con riferimento alla domanda subordinata di ingiustificato arricchimento, ne eccepisce il difetto di giurisdizione, l’inammissibilità per genericità e comunque l’infondatezza, a mente della previsione dell’art. 8 del contratto di appalto, che escluderebbe la variazione del corrispettivo in casi siffatti.

5. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie e repliche. Alla pubblica udienza del 9 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. In Iiimine litis devono essere disattese le istanze istruttorie di parte attrice. A mente dell’art. 63 comma 5 cod. proc. amm. l’interrogatorio formale è inammissibile nel processo amministrativo, mentre le altre richieste di prova appaiono irrilevanti essendo il presente giudizio suscettibile di essere definito allo stato degli atti.

7. Non può essere condivisa l’eccezione di irricevibilità del ricorso, in quanto la presente controversia non può ritenersi assoggettata al rito abbreviato di cui all’art. 119, comma 1, lett. a) cod. proc. amm., che è espressamente riservato ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture; nel caso de quo la fase di evidenza pubblica si è ampiamente conclusa, vertendo la controversia su contestazioni relative alla revisione dei corrispettivi contrattuali, quindi in fase esecutiva, cui deve ritenersi estraneo il richiamato rito abbreviato (cfr. Cons. Stato, sez. II, 09 novembre 2020, n. 6884). L’atto di riassunzione è stato regolarmente notificato l’8 settembre 2022, nel termine di 3 mesi decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza del tribunale di Spoleto, non notificata e dunque divenuta irrevocabile il 10 giugno 2022.

8. La domanda di pagamento dei corrispettivi contrattuali incrementati dei maggiori costi del lavoro in riferimento al contratto stipulato il 1° giugno 2009 è inammissibile per omessa impugnazione della Delibera del C.d.A. dell’Ente n. 130 del 2 agosto 2010.

8.1. Deve premettersi che in tema di revisione dei prezzi d’appalto non opera alcun meccanismo automatico, ma, come previsto dall’art. 115 del Codice vigente ratione temporis, sussiste discrezionalità dell’Amministrazione nell’apprezzamento dei relativi presupposti, specie allorchè non vi sia una espressa previsione nel contratto di appalto. “La qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, comporta che il privato contraente potrà avvalersi solo dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell'interesse legittimo. Ne deriva che sarà sempre necessaria l'attivazione - su istanza di parte - di un procedimento amministrativo nel quale l'Amministrazione dovrà svolgere l'attività istruttoria volta all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell'adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l'importo. In caso di inerzia da parte della stazione appaltante, a fronte della specifica richiesta dell'appaltatore, quest'ultimo potrà impugnare il silenzio inadempimento prestato dall'Amministrazione, ma non potrà demandare in via diretta al giudice l'accertamento del diritto, non potendo questi sostituirsi all'amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa” (Cons. Stato, sez. V, 06 settembre 2022, n. 7756).

8.2. In effetti in mancanza di apposita clausola di revisione prezzi nel contratto d’appalto, Polis ha diffidato l’ASP già il 23 settembre 2009, chiedendo specificamente l’adeguamento del corrispettivo dell’appalto “sulla base delle Tabelle Ministeriali per il costo del lavoro delle Cooperative sociali”. L’Ente significava che la richiesta sarebbe stata istruita dai competenti uffici ai sensi dell’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, e chiedeva apposito parere all’Autorità di Vigilanza per i Contratti pubblici, reso il 21 luglio 2010: l’Autorità precisava che la revisione dei prezzi avrebbe dovuto essere calcolata, previa istruttoria da parte del dirigente responsabile, sulla base dell’indice FOI elaborato dall’ISTAT. Quindi l’ASP procedeva in tal senso e adottava la Deliberazione del C.d.A. n. 130 del 2 agosto 2010, comunicata alla ricorrente via fax il 4 agosto successivo, con la quale stabiliva la revisione del corrispettivo di appalto nella misura dello 0,7%, corrispondente al FOI allora vigente. Polis contestava tale determinazione con note rispettivamente del 23 settembre e del 26 ottobre 2010 (con le quali invitava espressamente l’Amministrazione a revocare la suddetta determinazione, e trasmetteva per il pagamento all’Azienda le fatture con gli importi maggiorati in misura maggiore rispetto all’indice FOI) ma ometteva di impugnare ritualmente al T.A.R. la Delibera del C.d.A. n. 130/2020, quale provvedimento autoritativo della stazione appaltante, nella parte in cui implicitamente negava a Polis gli incrementi contrattuali calcolati sulla base delle tabelle del Ministero del Lavoro, i cui aumenti erano superiori rispetto all’indice FOI. Tale omessa impugnativa, come condivisibilmente sostenuto dalla difesa dell’Ente, rende inammissibile l’odierna richiesta di pagamento limitatamente al periodo 01 giugno 2010 - 1 luglio 2015, perché l’Amministrazione si era già determinata in maniera definitiva con atto non tempestivamente gravato.

Sul punto non può essere condiviso l’argomento di parte ricorrente secondo cui ogni successiva contestazione anche stragiudiziale dell’appaltatrice avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a riaprire il relativo procedimento, perchè tale incombente sussiste sicuramente allorchè l’Ente non si sia ancora pronunciato (tanto è vero che in caso di inerzia è senz’altro esperibile l’azione avverso il silenzio inadempimento), ma, una volta che l’Amministrazione abbia deciso, se la relativa determinazione non viene impugnata, il suo contenuto può eventualmente essere rimesso in discussione solo sulla base di sopravvenienze, mai allegate da Polis.

9. Anche la pretesa relativa agli adeguamenti contrattuali di cui al periodo antecedente del medesimo contratto (1° giugno 2009 - 1° giugno 2010) è inammissibile, sebbene per diverso motivo. Per dirimere le controversie inerenti i pagamenti relativi alla prima parte del contratto (in cui, come esposto, non si era ancora dato seguito alla richiesta di revisione prezzi) le parti in data 8 luglio 2010 avevano stipulato apposito atto di transazione con il quale Polis ha prestato “rinuncia ad ogni azione e pretesa in relazione all’intercorso rapporto contrattuale e con particolare riferimento, tra l’altro, alla richiesta di revisione dei prezzi presentate per il periodo 1.6.2009-31.5.2010”.

Parte ricorrente ritiene la questione priva di rilievo perché nei conteggi indicati nel ricorso in riassunzione sono inserite solo fatture successive al giugno 2010, quindi le domande di pagamento relative agli importi precedenti dovrebbero intendersi implicitamente rinunciate nella presente fase di giudizio; tuttavia nelle fatture allegate quale documento 13 sono presenti altre quattro fatture di epoca precedente, per cui è opportuno dichiarare espressamente l’inammissibilità di tale domanda, sia che tale domanda sia preclusa dalla precedente transazione, sia che debba ritenersi rinunciata a seguito della riassunzione della presente fase processuale.

10. Dunque la domanda di pagamento degli incrementi contrattuali a titolo di aumentati costi del lavoro è inammissibile per l’intero periodo del contratto di appalto di interesse nel presente giudizio. Tuttavia, è necessario comunque delibare la domanda nel merito in ragione dell’avvenuta proposizione altresì della domanda subordinata di ingiustificato arricchimento, i cui presupposti sono inevitabilmente connessi con quelli della domanda principale. In altri termini, al fine di acclarare l’esistenza di un effettivo arricchimento senza causa in capo all’Azienda pubblica, è necessario analizzare i presupposti, l’origine e l’effettiva sussistenza di tale eventuale arricchimento, ovvero se l’indennizzabilità di quest’ultimo debba escludersi per l’esistenza di una causa legittima.

11. Innanzitutto deve essere disattesa l’eccezione di intervenuta prescrizione del credito per revisione prezzi: emerge infatti dalla corposa produzione documentale di parte attrice che la ricorrente ha ripetutamente messo in mora l’Azienda in merito al pagamento degli incrementi contrattuali sin dal 2010, sia contestando – seppure in mancanza di rituale impugnazione, come esposto - la scelta dell’Ente di applicare il coefficiente di aumento limitato al solo indice Istat-FOI, sia inviando costantemente fatture di pagamento con gli importi maggiorati di cui alle tabelle ministeriali, che venivano partitamente contestate e stralciate dall’ASP per quella parte; concluso il rapporto, Polis aveva continuato a richiedere all’Azienda le somme non corrisposte in almeno due occasioni, il 22 marzo 2016 e il 21 dicembre 2018, allorché inviava apposite pec. Dunque il credito è in astratto validamente esigibile, essendo stata ritualmente interrotta la prescrizione del diritto alla revisione prezzi, che è di 5 anni (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 03 aprile 2023, n. 825).

12. Anche ipotizzando che la domanda di pagamento degli importi a titolo di revisione prezzi non fosse preclusa e quindi inammissibile per i motivi di cui ai paragrafi 7, 8 e 9, mancano in radice i presupposti di accoglibilità della pretesa.

12.1. Sotto tale profilo si deve chiarire che il meccanismo di revisione dei corrispettivi contrattuali di appalto, sia pur in presenza di una clausola che la preveda specificamente, non vale a sancire un'ipotesi di deroga generalizzata ed automatica al principio di immutabilità della pattuizione contrattuale e di vincolatività dei relativi effetti, ma predispone unicamente un meccanismo di gestione delle sopravvenienze idonee ad incidere in modo significativo sull'originario equilibrio contrattuale. In particolare, il meccanismo della revisione prezzi ai sensi dell'art. 115 del d.lgs. 163/06, è stato introdotto in riferimento al genus dei contratti di durata per adeguare il corrispettivo contrattualmente previsto all'andamento generale dei prezzi, al fine di salvaguardare, da un lato, l'equilibrio economico delle prestazioni a fronte di modifiche dei costi, durante l'arco temporale del rapporto, che potrebbero pregiudicare il livello qualitativo delle prestazioni o compromettere il regolare adempimento delle controprestazioni e, dall'altro, di tutelare la stazione appaltante da una lievitazione incontrollata dei corrispettivi, tale da sconvolgere il quadro finanziario originario del contratto (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2096, ma anche T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 1 agosto 2023, n. 12968, e T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 7 luglio 2021, n. 211).

Riguardo alla misura del compenso revisionale, a fronte della mancata pubblicazione da parte dell'Istituto Nazionale di Statistica dei dati relativi ai beni e servizi acquisiti dalle stazioni appaltanti, la revisione dei prezzi deve essere calcolata utilizzando l'indice medio del paniere di variazione dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati (c.d. indice FOI) pubblicato ogni mese dall'ISTAT medesimo, quale parametro generale di riferimento, atteso che l'appaltatore solo in casi eccezionali può affermare il suo diritto ad un maggior compenso revisionale fondato su criteri differenti, ma in ogni caso sempre tale da non superare i valori che potrebbe conseguire utilizzando i suddetti parametri. “Tale indice costituisce, invero, il limite massimo oltre il quale l'operatore economico che ha eseguito il contratto non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, salvo circostanze eccezionali che devono essere provate dallo stesso” (Cons. Stato n. 2096/2023, cit.).

12.2. Infatti l’ASP del tutto correttamente, sulla scorta di un parere conforme dell’Autorità di Vigilanza, aveva deliberato di riconoscere a Polis – sia pur in assenza di espressa clausola contrattuale e quindi nel pieno rispetto del valore eterointegrativo dell’art. 115 del vecchio Codice rispetto al contenuto del contratto di appalto – proprio l’incremento del corrispettivo contrattuale derivante dagli aumenti rilevati dall’Istat dell’indice FOI e tale identico criterio era stato inserito nel successivo contratto di appalto tra Polis e l’ASP, stipulato nel 2015, che non è più oggetto di giudizio. Come più volte chiarito, Polis si era limitata a contestare l’applicabilità del suddetto criterio senza tuttavia mai dimostrarne l’eccezionalità o l’imprevedibilità e senza eccepire, comunque, l’eventuale sproporzione degli aumenti di cui alle tabelle ministeriali rispetto a quelli dell’indice FOI: ciò esclude in radice - a parte l’inammissibilità di tali domande, come sopra chiarito - l’accoglibilità della domanda di pagamento di tali incrementi.

12.3. Del resto, proprio con specifico riferimento alla revisione prezzi in dipendenza dell’aumento dei costi del lavoro è stato chiarito che tali poste subiscono in genere aumenti in linea con l'ordinario sviluppo delle dinamiche salariali, che tendono principalmente a recuperare la perdita del potere di acquisto delle retribuzioni, trattandosi, in sostanza, di lievitazioni di carattere non eccezionale e, quindi, ampiamente prevedibili da parte di ciascun operatore economico, con la conseguenza che, nella fattispecie, non può essere invocato il diritto ad un maggior compenso revisionale fondato su criteri differenti rispetto al parametro guida dell'indice FOI (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 11 marzo 2024, n.688, Cons. Stato, Sez. III, 5 novembre 2018 n. 6237, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 23 settembre 2014 n. 2328). Non spettava, dunque neppure in astratto la richiesta revisione prezzi in misura maggiore a quella concretamente accordata.

13. Quanto infine all’actio de in rem verso, proposta dalla ricorrente in via subordinata, sebbene pacificamente devoluta alla giurisdizione di questo Tribunale - proprio perché suscettibile di esame solo subordinatamente a quella principale che il Tribunale di Spoleto ha rimesso a questo Collegio - non è meritevole di accoglimento.

13.1. In disparte la questione sull’inammissibilità della stessa per genericità, la stessa appare carente in radice dei necessari presupposti: innanzitutto non si ravvisa un arricchimento dell’ASP correlato al depauperamento della ricorrente, in quanto gli aumenti dei costi del lavoro se hanno senz’altro inciso sul bilancio di Polis non hanno neppure arricchito l’Azienda che ha sempre corrisposto il medesimo corrispettivo contrattuale, seppure incrementato dell’indice FOI, senza nessun effettivo incremento delle proprie disponibilità.

13.2. In seconda battuta è decisiva la riscontrata presenza di una giusta causa per tali aumenti, ovvero la presenza di tabelle ministeriali che periodicamente incrementano i costi del lavoro in maniera costante rispetto all’inflazione: trattasi, come già chiarito, di circostanze che rientrano nella normale alea del contratto e che in ultima analisi non possono ritenersi imprevedibili né ingiustificate.

Inoltre, all’art. 8 del contratto d’appalto sottoscritto dalla ricorrente si prevede che “il corrispettivo dell’appalto non varia nei casi in cui l’importo delle rette dovesse essere incrementato per disposizione regionale e di legge o per qualsiasi altro motivo”, escludendo quindi incrementi contrattuali in dipendenza di costi imposti, tra le altre cose, da disposizioni imperative. A fortiori dunque, eventuali incrementi di costi basati su dette causali non possono ritenersi ingiustificati né fondare il diritto all’indennizzo dell’appaltatrice.

14. Il ricorso deve dunque essere in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto. Tuttavia si ravvisano giustificati motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede: dichiara il ricorso in parte inammissibile e per la restante parte lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:

Pierfrancesco Ungari, Presidente

Daniela Carrarelli, Primo Referendario

Elena Daniele, Referendario, Estensore

 

Guida alla lettura

La sentenza n. 374/2024 del TAR Umbria esamina il rapporto tra il diniego di riconoscimento della revisione dei prezzi e il conseguente “risparmio” di spesa ottenuto dalla P.A. in virtù proprio di tale diniego. In particolare, i giudici hanno deciso il ricorso proposto dall’aggiudicataria di un appalto di servizi che – vistasi rifiutare la richiesta di revisione dei prezzi – ha agito a norma dell’art. 2041 c.c. nei confronti della Stazione appaltante.   

Nel caso di specie, una cooperativa si è aggiudicata due distinte procedure di gara, entrambe indette sotto la vigenza del d.lgs. 163/2006, per la “gestione dei servizi di assistenza alla persona” all’interno di alcune residenze protette del Comune di Todi (PG).

     Durante l’esecuzione del servizio, l’aggiudicataria ha diffidato l’Amministrazione ad adeguare il corrispettivo dell’appalto in applicazione delle “Tabelle Ministeriali per il costo del lavoro delle Cooperative sociali”. L’Amministrazione ha istruito tale la richiesta seguendo la disciplina dell’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, chiedendo apposito parere all’Autorità di Vigilanza per i Contratti pubblici. L’Autorità ha precisato che la revisione dei prezzi doveva calcolarsi sulla base dell’indice FOI elaborato dall’ISTAT e non sulla base delle tabelle ministeriali richiamate dalla aggiudicataria.

     L’Amministrazione ha proceduto in tal senso e ha adottato la deliberazione n. 130 del 2 agosto 2010, comunicata alla ricorrente via fax il 4 agosto successivo, con la quale ha stabilito la revisione del corrispettivo di appalto nella misura dello 0,7%, corrispondente appunto all’indice FOI.

     L’aggiudicataria, inizialmente, ha contestato tale determinazione (ritenendo eccessivamente bassa la rivalutazione individuata dall’Amministrazione sulla base dell’indice FOI) soltanto in via stragiudiziale, senza proporre alcuna azione in sede giurisdizionale.

Solo nel 2021, la medesima aggiudicataria ha convenuto l’Amministrazione davanti al Tribunale di Spoleto chiedendo l’accertamento di numerosi inadempimenti contrattuali della parte pubblica, nonché la condanna dell’Amministrazione stessa al pagamento della somma di € 1.070.075,80 a titolo di mancato pagamento degli adeguamenti dei corrispettivi minimi contrattuali per l’incremento del costo del lavoro.

Il Tribunale di Spoleto ha dichiarato il parziale difetto di giurisdizione del giudice ordinario in riferimento alla domanda di revisione dei prezzi, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in materia di revisione dei prezzila giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in conformità alla previsione di cui all'articolo 133, comma 1, lettera e), n. 2), cod. proc. amm. sussiste nell'ipotesi in cui il contenuto della clausola implichi la permanenza di una posizione di potere in capo all'Amministrazione committente, attribuendo a quest'ultima uno spettro di valutazione discrezionale nel disporre la revisione; mentre, nella contraria ipotesi in cui la clausola individui puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza di tale obbligo ad un diritto soggettivo dell'appaltatore, il quale fa valere una mera pretesa di adempimento contrattuale, come tale ricadente nell'ambito della giurisdizione ordinaria (cfr. Cons. Stato, III, 2022, n. 5651/2022, che richiama Cass. civ., SS.UU., ord. n. 35952/2021)”.

Nella fattispecie in esame, il primo contratto stipulato tra l’aggiudicataria e l’amministrazione non prevedeva alcuna clausola di revisione del prezzo dell’appalto; mentre nel secondo contratto di appalto le parti, pur avendo inserito una clausola che richiamava l’art. 115 del d.lgs. 163/2006 (applicabile ratione temporis), hanno subordinato la revisione del prezzo dell’appalto alla preventiva istruttoria da parte dell’Amministrazione. Pertanto, posto che entrambi i contratti non contenevano alcun meccanismo “obbligatorio” di rivalutazione, la giurisdizione sulla domanda di revisione dei prezzi spetta al Giudice amministrativo.

A seguito di tale diniego parziale di giurisdizione l’aggiudicataria ha quindi riassunto il giudizio davanti al TAR Umbria, chiedendo il pagamento delle somme in questione (ossia, i corrispettivi contrattuali incrementati dei maggiori costi del lavoro):

- in via principale, a titolo di revisione dei prezzi poiché secondo la ricorrente l’adeguamento dell’importo contrattuale sarebbe un “meccanismo automatico”, a norma dell’art. 115 del d.lgs. 163/2006;

- e, in subordine, a titolo di arricchimento senza causa, a norma dell’art. 2041 c.c., in quanto l’Amministrazione avrebbe goduto di un risparmio di spesa in danno della medesima ricorrente.

Il TAR Umbria – dopo aver ribadito che, a norma dell’art. 115 del d.lgs. 163/2006, in materia di revisione dei prezzi non esiste alcun meccanismo automatico, ma l’Amministrazione deve valutare la sussistenza dei presupposti per procedere con l’adeguamento del corrispettivo contrattuale – ha dichiarato inammissibile la prima domanda della ricorrente per omessa immediata impugnazione della delibera con cui l’Amministrazione ha stabilito di rivedere l’importo contrattuale sulla base non già delle tabelle ministeriali citate dall’aggiudicataria, bensì dell’indice FOI.

Ferma tale inammissibilità, il TAR ha comunque esaminato nel merito la richiesta di revisione dei prezzi, e ciò in quanto i presupposti di tale domanda sono connessi a quelli della domanda di ingiustificato arricchimento proposta in via subordinata dalla ricorrente.

Al riguardo i giudici hanno innanzitutto ribadito che la revisione dei prezzi non comporta una deroga generalizzata è automatica al principio di immutabilità della pattuizione contrattuale, ma consente unicamente di far fronte alle sopravvenienze idonee a incidere in modo significativo sull’originario equilibrio contrattuale.

In merito alla quantificazione della revisione dei prezzi i giudici confermano l’operato dell’Amministrazione, che ha preso come riferimento l’indice FOI. E ciò in quanto – come stabilito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 2096/2023 – “tale indice costituisce, invero, il limite massimo oltre il quale l’operatore economico che ha eseguito il contratto non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, salvo circostanze eccezionali che devono essere provate dallo stesso”.

Nel caso di specie, l’aggiudicataria si è limitata a contestare (per di più solo in via stragiudiziale) l’applicabilità dell’indice FOI e a chiedere la revisione dell’importo contrattuale sulla base delle tabelle ministeriali recanti il costo del lavoro nelle cooperative sociali, senza dimostrare la sussistenza di alcuna circostanza eccezionale a sostegno di tale richiesta. Inoltre, secondo il TAR è noto che l’aumento dei costi del lavoro costituisce una “lievitazione” dei costi di carattere non eccezionale e quindi ampiamente prevedibile da parte di ciascun operatore economico (come affermato anche dal TAR Milano, sez. I, con la sentenza 11 marzo 2024, n. 688).

Di conseguenza – ad avviso dei giudici – risulta infondata la domanda della ricorrente volta ad ottenere la revisione dei prezzi sulla base di criteri differenti rispetto all’indice FOI.

Quanto alla domanda di arricchimento senza causa il TAR passa in rassegna l’esame dei presupposti dell’azione individuati dalla consolidata giurisprudenza (si ricordi che “affinché si verifichi l’ipotesi dell’ingiustificato arricchimento senza causa, contro il quale è concesso il rimedio di cui all’art. 2041 cod. civ., è necessario il concorso simultaneo di due elementi: - l’arricchimento di un soggetto e la diminuzione patrimoniale a carico di un altro soggetto, provocati da un unico fatto costitutivo e, dunque, legati da nesso causale diretto; - e la mancanza di una causa giustificatrice dello spostamento di ricchezza verificatosi”, così Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2023, n. 7503).

In merito al primo requisito, i giudici osservano che nella fattispecie in esame gli aumenti dei costi del lavoro che hanno certamente inciso sul bilancio dell’aggiudicataria ma non hanno prodotto un conseguente arricchimento della Stazione appaltante, la quale ha continuato a corrispondere all’aggiudicataria il corrispettivo contrattuale senza nessun incremento delle sue disponibilità. Pertanto non è possibile ritenere che si sia verificato un indebito arricchimento in favore parte pubblica e in danno dell’operatore economico aggiudicatario.

Quanto poi al secondo requisito, il TAR evidenzia che nel caso di specie l’aumento dei costi del lavoro risulta giustificato dall’esistenza di tabelle ministeriali che periodicamente incrementano i costi del lavoro in maniera costante rispetto all’inflazione per riequilibrare i compensi dei lavoratori. Ne deriva che tali maggiori costi per l’operatore economico rientrano nella normale alea del contratto e non possono ritenersi privi di giustificazione.