Cons. Stato, Sez. IV, 9 aprile 2024, n. 3234

È integrata una causa d’esclusione per difetto dei requisiti generali di partecipazione in caso di violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali.

La pendenza di un contenzioso amministrativo (sino alla decisione di rigetto), così come di un contenzioso giudiziario (fino al passaggio in giudicato della sentenza) impedisce il rilascio di Durc negativo.

 

Pubblicato il 09/04/2024

N. 03234/2024REG.PROV.COLL.

N. 08033/2023 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 8033 del 2023, proposto da
Club Scherma Torino a.s.d., in proprio e quale capogruppo di costituenda Ati con Nova Sport Torino a.s.d. e Ca.Gi. s.s.d. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 8912466F98, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Vecchione e Riccardo Vecchione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

 

contro

Comune di Torino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Colarizi e Mariamichaela Li Volti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Massimo Colarizi in Roma, via Giovanni Antonelli, 49;
Ca.Gi. s.s.d. a r.l., Associazione Sport4friends a.s.d., New Country a.s.d., Ginnastica Victoria Torino s.r.l., Accademia Scherma Augusta Taurinorum s.s.d. a r.l., non costituite in giudizio;

 

nei confronti

Scherma Italia s.s.d. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Silvia Taccoli e Luigi M. Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

 

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 00701/2023, resa tra le parti

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Torino e della Scherma Italia s.s.d. a r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120 Cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Vecchione, Giannotti in delega di Li Volti e Taccoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In relazione alla procedura indetta dal Comune di Torino giusta d.d. del 1° ottobre 2021, con disciplinare e capitolato pubblicati il 4 ottobre 2021, per l’affidamento della concessione in gestione sociale dell’impianto sportivo comunale “Villa Glicini”, l’Ati capeggiata dal Club Scherma Torino a.s.d. (e avente fra le mandanti la Ca.Gi. s.s.d. a r.l.) risultava aggiudicataria giusta d.d. del 22 aprile 2022.

Con la successiva d.d. del 10 ottobre 2022, la stazione appaltante revocava tuttavia l’aggiudicazione e incamerava la prestata cauzione provvisoria in ragione della situazione d’irregolarità contributiva riscontrata in capo alla mandante Ca.Gi.

Avverso il provvedimento proponeva un primo ricorso davanti al Tribunale amministrativo per il Piemonte il Club Scherma (sub r.g. n. 1096/2022) deducendo, in sintesi, che la certificazione Inps/Inail richiamata dall’amministrazione ai fini della disposta revoca si limitava a dar conto di una pendenza in essere, ma non dava prova di un definitivo accertamento in danno della Ca.Gi., tanto che quest’ultima era stata ammessa a un piano di rateizzazione già prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande alla gara, e aveva successivamente ottenuto Durc positivo, rispetto al quale non può rilevare il precedente Durc negativo, relativo in parte proprio a contributi oggetto di rateazione, e comunque superato dal successivo Durc positivo. Analogo ricorso proponeva la mandante Ca.Gi. (sub r.g. n. 1111/2022), impugnando anche il suddetto Durc negativo, e deducendo, fra l’altro, che l’intero importo recato da tale Durc risultava conteggiato nei piani di rateizzazione concessi, e l’accertamento negativo era dovuto solo al ritardo nel pagamento di alcune rate, poi integralmente sanato; allo stesso modo, difettava il necessario requisito della gravità della violazione previsto dall’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016.

2. Il Tribunale amministrativo adito, nella resistenza del Comune di Torino e della controinteressata Scherma Italia s.s.d. a r.l., destinataria frattanto della proposta di aggiudicazione, previa riunione respingeva entrambi i ricorsi.

Per quanto di rilievo, il giudice di primo grado riteneva che la presenza di un Durc irregolare vincolasse ex se l’amministrazione ad adottare un provvedimento d’esclusione, e del resto, nella specie, effettivamente la situazione d’irregolarità era ravvisabile, atteso che, seppure al tempo della domanda la Ca.Gi. aveva presentato istanza di rateizzazione, successivamente era incorsa nel ritardo del pagamento di relative rate: di qui la situazione d’irregolarità, non superabile peraltro attraverso successivo Durc regolare, stante la vigenza del principio di necessaria continuità dei requisiti.

Peraltro il Durc negativo recava importo molto superiore a quello del debito rateizzato, e in parte lo stesso era riferibile a debiti estranei all’istanza di rateizzazione (la Ca.Gi. era risultata, in specie, morosa tanto in relazione al piano rateale, quanto su debiti non oggetto di rateizzazione).

Di qui la legittimità e sufficiente motivazione della revoca dell’aggiudicazione, bastando ai fini della stessa le risultanze di un Durc negativo.

Né peraltro il Durc negativo, conoscibile incidentalmente dal giudice amministrativo, era stato nella specie dettagliatamente censurato dalla Ca.Gi., che anzi ammetteva di essere in ritardo nel pagamento di alcune rate del piano di dilazione, nonché di alcuni contributi dovuti.

3. Avverso la sentenza ha proposto appello il Club Scherma Torino deducendo: error in iudicando per violazione di legge ed errata applicazione di legge con riferimento all’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016; mancata rilevazione dell’eccesso di potere sotto il profilo della carenza assoluta dei presupposti; violazione di legge con riferimento agli artt. 3 e 10 l. n. 241 del 1990, n. 241, anche come mancata statuizione dell’eccesso di potere sotto il profilo della carenza assoluta dell’istruttoria e della motivazione, dell’eccesso di potere sotto il profilo della irragionevolezza e della mancanza di proporzionalità; dell’eccesso di potere per violazione del principio generale del favor partecipationis, nonché per ingiustizia grave e manifesta.

4. Resistono al gravame il Comune di Torino e la Scherma Italia, chiedendone la reiezione.

5. All’udienza pubblica del 21 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione d’improcedibilità dell’appello sollevata dai resistenti in ragione del fatto che il 23 gennaio 2023 è stata disposta l’aggiudicazione della procedura in favore della controinteressata, e il provvedimento non ha formato oggetto d’impugnazione, sicché sarebbe venuto meno l’interesse al ricorso del Club Scherma avverso il provvedimento di esclusione gravato.

1.1. L’eccezione non è condivisibile, atteso che il provvedimento impugnato reca anche la statuizione d’incameramento della cauzione provvisoria in conseguenza della disposta esclusione.

Tale capo provvedimentale ha formato oggetto di espressa impugnazione da parte della ricorrente, la quale chiaramente ne conserva l’interesse.

In tale contesto, l’accertamento di legittimità della disposta esclusione assume ben rilievo ai fini (specifici) della determinazione di incameramento della garanzia; in tale prospettiva, l’appello è dunque procedibile, nei limiti suindicati (i.e., accertamento della legittimità dell’esclusione per l’eventuale annullamento del disposto incameramento della cauzione), non essendovi invece più interesse per l’appellante all’impugnazione della disposta esclusione in sé, il cui eventuale annullamento avrebbe efficacia meramente viziante e non caducante rispetto alla (ormai inoppugnabile) aggiudicazione (inter multis, Cons. Stato, V, 24 maggio 2022, n. 4124 e richiami ivi; 25 agosto 2023, n. 7946 e richiami ivi; III, 24 marzo 2021, n. 2501).

2. Può prescindersi dall’esame delle altre eccezioni preliminari sollevate dai resistenti - salvo quanto di seguito esposto in relazione ai singoli profili di doglianza - stante l’assorbente rigetto nel merito dell’appello.

3. Con unico articolato motivo di gravame, l’appellante si duole dell’errore commesso dal giudice di primo grado nel trascurare che difettava, nella specie, il requisito della definitività dell’accertamento contributivo, necessario ai fini dell’integrazione della causa escludente ex art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016.

In particolare, la Ca.Gi. non aveva ricevuto alcun atto di accertamento che cristallizzasse la pretesa contributiva, né la definitività dell’accertamento può essere decisa dall’ente previdenziale mediante l’adozione del Durc, bensì deriva ex se dalla ricorrenza degli elementi previsti dalla legge, e in specie dalla scadenza dei termini d’impugnazione degli atti d’accertamento.

In tale contesto, anche gli avvisi di regolarizzazione sono stati immediatamente evasi dall’interessata, e dunque non sono mai divenuti definitivi.

A ben vedere, nella specie la Ca.Gi. era solo in ritardo nel pagamento di una rata del piano dilatorio ottenuto nell’ottobre 2021, che comunque non è stato mai dichiarato decaduto, sicché il successivo tempestivo pagamento del debito, anteriormente alla disposta revoca dell’aggiudicazione, ben valeva a escludere qualsivoglia ragione espulsiva, anche alla luce di quanto previsto dall’ultimo periodo dell’art. 80, comma 4, cit., con principio applicabile anche successivamente al termine di presentazione dell’offerte.

La stessa Ca.Gi. ha del resto col proprio ricorso evidenziato i profili d’illegittimità del Durc negativo, nella misura in cui lo stesso indicava debiti non ancora scaduti, sicché l’importo effettivamente dovuto era pari a € 15.884,36; in tale contesto la mandante, ricevuto l’invito alla regolarizzazione, aveva provveduto al pagamento di quanto effettivamente dovuto.

Parimenti il Tar sarebbe incorso in errore nel confondere l’invito alla regolarizzazione con un formale atto di accertamento destinato a diventare definitivo e inoppugnabile, nonché nel sostituirsi all’Inps in ordine all’apprezzamento dei profili di gravità, in specie sminuendo immotivatamente la serietà dell’impegno della Ca.Gi.

L’appellante deduce poi l’ultrapetizione della reiezione della domanda risarcitoria, che il Club Scherma si era solo riservato di formulare, e non aveva poi effettivamente proposto.

Ancora, nel dar conto del ricorso proposto dalla Ca.Gi., l’appellante ribadisce l’illegittimità del Durc, in quanto inclusivo di debiti contributivi non ancora maturati poiché facenti parte di un piano di rateizzazione mai revocato; e d’altra parte, in quanto impugnato, il suddetto Durc non era idoneo a fondare una violazione contributiva a carattere definitivo.

Il Tar parimenti sarebbe incorso in errore nell’affermare che il piano di rateizzazione era stato presumibilmente revocato, ciò che non corrisponde al vero, atteso che alcuna revoca in tal senso risulta o è documentata.

3.1. Il motivo non è condivisibile.

3.1.1. Sulla base delle risultanze in atti emerge come sia stato adottato nei confronti della mandante Ca.Gi. un Durc negativo per l’importo di complessivi € 23.380,69, successivo a corrispondente invito alla regolarizzazione dell’8 agosto 2022.

Come emerge da tale ultimo invito, l’irregolarità contributiva indicata atteneva, per una quota, all’inadempimento di una rata (i.e., marzo 2022) di pregressi piani di rateazione accolti dall’Inps il 5 ottobre 2021, per la restante quota a inadempimenti contributivi relativi al periodo novembre 2021-maggio 2022.

Solo il 12 settembre 2022, a fronte di successivo (e aggiornato) invito alla regolarizzazione, la Ca.Gi. sanava la propria posizione contributiva.

Tanto premesso in fatto, le doglianze sollevate dall’appellante non sono condivisibili.

3.1.2. L’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, nella versione ratione temporis applicabile alla fattispecie (considerato che le modifiche introdotte dall’art. 10, comma 1, lett. c), n. 2, l. n. 238 del 2021 si applicavano, a tenore del comma 5 della medesima disposizione, «alle procedure i cui bandi o avvisi con i quali si indice una gara [fossero stati] pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della [medesima] legge […]», e cioè successivamente al 1° febbraio 2022) prevede che «Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. […] Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale. Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo. Il presente comma non si applica quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l’estinzione, il pagamento o l’impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande».

A tenore di tale disposizione, dunque, è integrata una causa d’esclusione per difetto dei requisiti generali di partecipazione in caso di «violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali».

Deduce al riguardo l’appellante che le violazioni contestate al Club Scherma non fossero “definitivamente accertate”, in quanto non sorrette da atto amministrativo definitivo o sentenza passata in giudicato.

L’assunto non è condivisibile.

3.1.2.1. L’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, seppur nella vigenza del precedente decreto legislativo n. 163 del 2006, ha chiarito che la (grave) violazione contributiva può ben ritenersi “definitivamente accertata” in funzione delle risultanze del Durc, stante il regime speciale cui lo stesso è soggetto.

A tal fine, si è posto in risalto che “Dopo il d.m. del 2007 [i.e., d.m. 24 ottobre 2007, in materia di Documento unico di regolarità contributiva], si può affermare che il d.u.r.c. attesta solo le irregolarità contributive <<definitivamente accertate>>, e solo quelle che superano una <<soglia di gravità>>, fissata autonomamente dal citato d.m.” (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2012, n. 8); ciò in quanto, fra l’altro, “b) la pendenza di qualsivoglia contenzioso amministrativo impedisce di ritenere il soggetto in posizione irregolare; fino alla decisione che respinge il ricorso, può essere dichiarata la regolarità contributiva (art. 8, comma 2, lett. a), d.m. citato)” (Cons. Stato, Ad. plen., n. 8 del 2012, cit.; cfr. peraltro, al riguardo, anche l’art. 8, comma 2, lett. b), d.m. cit.).

In tali termini è stata dunque delineata la “nozione di ‘definitivo accertamento’”, assurta a “diritto vivente di cui è certamente espressione la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2012” (Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 2016, n. 5 e 6).

Va osservato al riguardo come previsioni di analogo significato siano contenute nell’attuale decreto ministeriale in materia di Durc (i.e., d.m. 30 gennaio 2015), il cui art. 3, comma 2, stabilisce che “La regolarità sussiste comunque in caso di: […] d) crediti in fase amministrativa in pendenza di contenzioso amministrativo sino alla decisione che respinge il ricorso; e) crediti in fase amministrativa in pendenza di contenzioso giudiziario sino al passaggio in giudicato della sentenza, salva l’ipotesi cui all’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46”.

In tale prospettiva, la pendenza di un contenzioso amministrativo (sino alla decisione di rigetto), così come di un contenzioso giudiziario (fino al passaggio in giudicato della sentenza) impedisce il rilascio di Durc negativo.

Alla luce di ciò, il Durc negativo - nel suddetto contesto normativo - ha insito un apprezzamento di definitività dell’accertamento, giacché come posto in risalto, la pendenza di vicende amministrative o giudiziarie idonee ad escluderla vale di per sé quale ragione impeditiva al rilascio di Durc sfavorevole (cfr., peraltro, anche la successiva lett. f), relativa alla fase di riscossione, in base alla quale per i “crediti affidati per il recupero agli Agenti della riscossione” il Durc è positivo nel caso “sia stata disposta la sospensione della cartella di pagamento o dell’avviso di addebito a seguito di ricorso giudiziario”); né rileva, in senso contrario, il richiamo all’art. 8 d.m. 30 gennaio 2015, che riguarda specificamente “le violazioni di natura previdenziale ed in materia di tutela delle condizioni di lavoro individuate nell’allegato A” (relativo appunto alle “disposizioni in materia di tutela delle condizioni di lavoro di cui all’articolo 8 la cui violazione è causa ostativa alla regolarità”) agli specifici fini del “godimento di benefici normativi e contributivi”, in relazione all’art. 1, comma 1175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, individuando così un regime di ulteriori “cause ostative alla regolarità”, ferma restando la disciplina generale sui contributi in sé, in termini di “Requisiti di regolarità” (art. 3) e loro “Assenza” (art. 4).

In tale prospettiva, è stato posto in risalto che “la mera presenza di un DURC negativo, al momento della partecipazione alla gara, obbliga l’amministrazione appaltante a escludere dalla procedura l’impresa interessata, senza che essa possa sindacarne il contenuto ed effettuare apprezzamenti in ordine [non solo alla gravità degli inadempimenti, ma anche] alla definitività dell’accertamento previdenziale (Cons. Stato, V, 5 febbraio 2018 n. 716; 17 maggio 2013, n. 2682; V, 26 giugno 2012, n. 3738, VI, 15 settembre 2017 n. 4349)” (Cons. Stato, V, 9 febbraio 2019, n. 1141; 5 febbraio 2018, n. 716).

Non è ostativo a tale conclusione, nel contesto normativo su richiamato, il tenore dell’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, terzo periodo («Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione»), che - declinato nello specifico contesto dei contributi previdenziali, distinto da quello propriamente tributario - si pone in termini non distonici rispetto all’attitudine probatoria del Durc al riguardo, considerato appunto che la regolarità è sempre riconosciuta laddove vi siano, in relazione al credito, procedimenti contenziosi in sede amministrativa o giudiziale (di cui qui, del resto, l’appellante non fornisce evidenza) che ne impediscano appunto la definitività (cfr. peraltro, al riguardo, il caso di cui a Cons. Stato, V, 2 febbraio 2023, n. 1165, in cui si richiama tra l’altro espressamente “la regola della necessaria continuità della condizione di regolarità contributiva degli operatori economici partecipanti alle gare. L’impresa che partecipa alla procedura deve possedere, per tutta la sua durata senza una soluzione di continuità, il requisito della regolarità contributiva (Consiglio di Stato, sez. V, 16 novembre 2018, n. 6463). Si tratta di una regola che non è mutata con il mutare della formulazione dell’art. 80 comma 4 del d.lgs. 50 del 2016”).

Né vale il richiamare, in tale contesto, l’ultimo periodo della disposizione, che prevede una causa d’inoperatività della ragione espulsiva in caso di pagamento o relativo impegno anteriore al termine di scadenza delle domande: da un lato, infatti (per ciò che riguarda la dilazione di pagamento), la fattispecie qui all’esame si pone in una fase successiva, e cioè posteriore al piano di rateizzazione, il cui inadempimento è stato appunto contestato all’interessata; dall’altro, v’è una parte del debito che prescinde da tale dilazione e che ha causale (contributiva) autonoma.

Allo stesso modo, non può rilevare, in tale contesto, il pagamento frattanto intervenuto da parte della Ca.Gi.: anche qui, infatti, da un lato, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, il termine ultimo per la sanatoria della posizione dell’impresa (coincidente con quello per la presentazione delle domande di partecipazione alla gara) non ammette deroghe o equipollenti in altre fasi, nelle quali - a differenza di quanto avviene in caso di adempimento del debito o relativo impegno prima della scadenza del suddetto termine - non sarebbe assicurata la continuità nel possesso dei requisiti, verificandosene una lacuna (ciò tanto più in un settore in cui alcun self cleaning è ammesso rispetto a illeciti contributivi e fiscali: cfr. l’art. 80, comma 7 e 8, d.lgs. n. 50 del 2016; cfr. anche, in generale, l’art. 57, par. 6, dir. n. 2014/24/UE, e oggi l’art. 96, comma 2, d.lgs. n. 36 del 2023); dall’altro non è ammissibile la regolarizzazione postuma della posizione previdenziale, peraltro qui - come già evidenziato - esorbitante, per una quota, dal piano di rateizzazione (Cons. Stato, V, 30 giugno 2023, n. 6409; già Cons. Stato, Ad. plen., n. 5, 6 e 10 del 2006, cit.; in tema, cfr. anche Cgue, 10 novembre 2016, in causa C-199/15).

Non sono qui conducenti, poi, le doglianze inerenti al contenuto del Durc in sé, rispetto alle quali - anche al di là delle sollevate eccezioni di novità, non avendo l’appellante proposto in primo grado alcuna impugnativa al riguardo - non risultano dettagliate né circostanziate le ragioni d’illegittimità, né comunque, a fronte di rilievi solo parziali, inerenti al minor importo che sarebbe stato dovuto dalla Ca.Gi., v’è evidenza di vizi tali da travolgere l’intero Durc o escludere per tal via una grave (oltreché definitivamente accertata) irregolarità contributiva (su cui cfr. peraltro l’art. 3, comma 3, d.m. 30 gennaio 2015, che ritiene rilevanti ai fini dell’irregolarità omissioni contributive superiori a € 150,00, comprensivi di eventuali accessori di legge).

Allo stesso modo, come già anticipato, nel muovere le critiche al Durc non è fornita evidenza di contenziosi amministrativi o giudiziali sul credito tali da richiedere una valutazione di regolarità contributiva.

Prive di rilievo ai fini della riforma della sentenza sono infine le doglianze avverso l’affermata reiezione della domanda risarcitoria, atteso che la sentenza ha chiaramente statuito in dispositivo il rigetto dei “ricorsi”, e il fatto che ivi non fosse stata formulata alcuna richiesta risarcitoria ha valore ex se prevalente rispetto all’erronea indicazione (che è qui sufficiente emendare con mera correzione motivazionale) circa la reiezione di una (inesistente) domanda risarcitoria.

4. In conclusione, per le suesposte ragioni, l’appello va respinto.

4.1. La peculiarità della fattispecie e la complessità di alcune delle questioni trattate giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge;

Compensa integralmente le spese di lite fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l’intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere, Estensore

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

 

Guida alla lettura

            La decisione in esposizione ha anticipato di pochi giorni il recentissimo approdo dell’Adunanza Plenaria dei giudici di Palazzo Spada (sentenza n. 7/2024), con cui il massimo consesso di ultima istanza dello Stato italiano della giustizia amministrativa ha confermato, in tema di documento unico di regolarità contributiva negativo (DURC), l’orientamento che riposa sulla posizione di causa legittima d’esclusione, per difetto dei requisiti generali di partecipazione alle gare pubbliche di appalto, in caso di sua irregolarità non contestata in sede giurisdizionale o coperta da cosa giudicata.

Con tale impostazione esegetica, infatti, il giudice amministrativo di secondo grado ha intrinsecamente valorizzato, a monte del portato motivazionale, la tutela del bene della vita sicurezza sociale, in ordine al principio di fiducia posto, invece, a valle delle procedure di appalto pubbliche, che devono essere permeate dalla massima competitività declinata nella concorrenza, in una prospettiva del rapporto giuridico pubblico tra cittadino ed amministrazione trasparente, alla luce dei canoni di buona fede e di collaborazione altresì incisi nell’art. 1, co. 2-bis, della legge n. 241/1990.

            Sulla base di tale premessa, pertanto, è preliminarmente doveroso osservare che le attività amministrative concernenti il DURC, che sono state oggetto di accertamento nel contenzioso in questione, sono disciplinate dall’ordinamento giuridico nazionale con il Decreto interministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali concertato con il Ministero della semplificazione e la pubblica amministrazione del 30/01/2015.

            In tale ambito, si rileva che la verifica di regolarità contributiva dei datori di lavoro/operatori economici presso le Istituzioni italiane designate dall’autorità competente (Regolamenti CEE n. 1408/1971, in parte abrogato dal Regolamento CE n. 883/2004, e n. 574/1972 – Regolamenti CE n. 987/2009 e n. 988/2009) nella materia degli appalti pubblici è orientata a tutelare, in via diretta, la concorrenza; ed in via relativa/mediana anche la stabilità economico-finanziaria della zona euro-unitaria (Corte Costituzionale sentenze nn. 425/2004 e 29/2023), in relazione al rapporto assiologico di relazione che intercorre tra i criteri di welfare state e di well being dei consociati, poiché per il suo tramite si custodiscono i valori irrefutabili dell’uomo di libertà di circolazione e di stabilimento (art. 16 Cost.), oltre che di equilibrio dei bilanci e di sostenibilità del debito pubblico (att. 81, 97, 117, co. 2 e 3, e 119 Cost.).

            Sennonché, affinché possa essere saggiata con sobrietà la soluzione raggiunta dal giudicante nel caso concreto, con la dovuta indulgenza e nella persuasione dei limiti sintetici di esposizione in divenire, si è dell’avviso, oltre modo, di doversi soffermarsi brevemente, per la delicatezza e la complessità dei valori attinti, sulla peculiare cornice normativa non solo euro-unitaria e nazionale ma anche internazionale, che la presidia.

In particolare, perché la materia dei versamenti dei contributi previdenziali, che è stata oggetto di delibazione giurisdizionale, per il tramite del DURC, mette in osmosi i diritti dell’uomo di libertà di circolazione, di stabilimento nel mercato interno dell’Unione europea e di equilibrio dei bilanci dei suoi Stati membri, in ragione dei seguenti quattro principi fondamentali di rilievo euro-unitario, che sono sintomatici dei fini di tutela dell’unità economica dell’Unione europea stessa: a. parità di trattamento; b. cumulo dei periodi di lavoro; c. unica legge applicabile; d. esportabilità.

Tuttavia, tale rapporto di osmosi dei diversi valori primari in gioco, nella sua apparente eccentricità, è ricondotto ad unità a livello di ordinamento europeo, per la prevista parità di trattamento sia per i lavoratori subordinati sia per quelli autonomi (si veda quanto è previsto anche dal Regolamento UE n. 1231/2010, per i lavoratori transfrontalieri), dall’art. 48 TFUE (ex art. 42 TCE), il quale disciplina la fattispecie del cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni, oltre che  per il loro calcolo e del pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri della medesima Unione europea.

Viceversa, per l’ordinamento domestico, l’istituto del diritto soggettivo facoltativo di cumulo gratuito in illustrazione è stato recepito nell’art. 1, co. 239 e ss, della legge n. 228/2012, in ossequio anche ai principi di diritto internazionale enucleabili dagli artt. 17 recante “Diritto di proprietà” e 34 rubricato “Sicurezza sociale e assistenza sociale” della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed in aggiunta alle previsioni scolpite nell’art. 1, § 1, del primo protocollo addizionale alla CEDU denominato “Protezione della proprietà”, come interpretato dalla Grande Camera della Corte EDU di Strasburgo al § 54 della decisione del caso Stec e altri contro il Regno Unito del 06/07/2005, in cui si afferma: “(…). Tuttavia, quando uno Stato contraente adotta una legislazione che prevede l’erogazione automatica di una prestazione sociale – indipendentemente dal previo versamento o meno di contributi – tale legislazione è da ritenersi suscettibile di generare un interesse patrimoniale rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 per le persone in possesso dei requisiti da essa previsti. (…)”.

A margine di questa rappresentazione esteriormente ultronea rispetto al caso deciso dal Consiglio di Stato in trattazione non può, comunque, sottacersi anche delle ulteriori tutele previste dal Regolamento n. 31 (CEE) 11 (CEEA) relativo allo statuto dei funzionari ed al regime applicabile agli agenti della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’Energia Atomica, che consentono ai lavoratori delle pubbliche amministrazioni italiane collocati fuori ruolo ex artt. 1, 2 e 6 della legge n. 1114/1962, per assumere un impiego temporaneo presso le Istituzioni dell’Unione europea, di decidere, una sola volta, di trasferire tutta la contribuzione previdenziale versata presso lo Stato di appartenenza o presso l’Istituzione previdenziale europea e prima dell’emissione dell’atto di liquidazione del relativo trattamento previdenziale, così come precisato nondimeno dall’Inps con la circolare n. 7/2022.

Né che la tematica in dissertazione trova presidio pure nei principi internazionali di sicurezza sociale previsti dall’art. 22 della Dichiarazione universale dei diritti umani, i quali, ancorché non assurgano a valore normativo di precetti, sono ormai considerati, dal punto di vista sostanziale, come principi generali del diritto internazionale e come tali vincolanti per tutti i soggetti di tale ordinamento.

Non a caso, invero e facendo un esplicito riferimento all’alleanza militare intergovernativa occidentale più interessata dalle recenti tensioni belliche attualmente in atto nel nucleo centrale del territorio del Vecchio Continente, il preambolo del Trattato Nord Atlantico (The North Atlantic Treaty Organization - NATO) asserisce che gli Stati aderenti affermano la loro fede negli scopi e nei principi dello Statuto delle Nazioni Unite (United Nations/Organizzazione delle Nazioni Unite - ONU).

Conseguentemente, le NATO Civilian Regulations, che trovano attuazione anche nei confronti dei citati lavoratori delle pubbliche amministrazioni italiane impiegati a cosiddetto status internazionale presso le Agenzie NATO, ai sensi degli artt. 1, 2 e 6 della legge n. 1114/1962, in relazione a quanto è previsto dagli artt. 11 e 117, co. 1, Cost., disciplinano la fattispecie del Pension Schemes al Chapter XV ed all’Annex IV, unitamente alla competenza a conoscere, in sede di ricorso, da parte del NATO Administrative Tribunal (art. 62 e ss delle NATO Civilian Regulations), presidiando anch’esse, a livello internazionale, il bene giuridico del diritto universale dell’uomo alla sicurezza sociale enucleabile dal più volte richiamato art. 22 della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Ebbene, dall’apparente prolissa ed imprescindibile ma, ad ogni modo, forzata trattazione che precede, è agevole intuire perché la nozione di definitivo accertamento contributivo emergente dal DURC negativo (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenze nn. 5 e 6 del 2016), per il regime speciale di certificazione o di attestazione facente prova fino a querela di falso, a cui lo stesso è soggetto (art. 2700 c.c.), è ritenuta dall’attuale e condiviso orientamento ermeneutico della giustizia amministrativa un requisito ostativo alla partecipazione alle gare pubbliche dell’operatore economico inadempiente con l’Ente impositore, perché la base imponibile dei contributi previdenziali è riconducibile a quella delle imposte sui redditi ex d.P.R. n. 917/1986 (ex plurimis Corte di cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 16811/2023); e tale da integrare, come nel caso delibato dal giudice di seconde cure in esame, la causa escludente ex art. 80, co. 4, d.lgs. n. 50/2016 ratione temporis applicabile, atteso che lo stesso recide il rapporto giuridico pubblico di reciproca fiducia, come precipitato del principio di accesso al mercato puntualmente previsto, in sede interpretativa ed applicativa dal terzo codice dei contratti pubblici agli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 36/2023 e quale risultante nel tempo, però, della stratificazione storica delle tesi che premiano l’affidabilità dell’imprenditore, che anela l’aggiudicazione di un contratto pubblico passivo per l’amministrazione.

Per le surriferite ragioni, accertato in sede giurisdizionale che le critiche della parte ricorrente al DURC negativo impugnato non avevano fornito l’evidenza di contenziosi amministrativi o giudiziali sul credito, tali da richiedere una valutazione giurisdizionale di regolarità contributiva, il Collegio giudicante ha respinto nel merito il ricorso in appello compensando le spese di lite, tenuto conto della peculiarità della fattispecie e della complessità di alcune delle questioni trattate.