Abstract capitolo 19 “Manuale dei contratti pubblici” di L. Carbone, F. Caringella, G. Rovelli
Con l’obiettivo di semplificare il sistema di pre-contenzioso esistente, l’art. 220 del d.lgs. n. 36 del 2023 ha riscritto la disciplina del “parere di precontenzioso” già contenuta nell’art. 211 del d.lgs. n. 50 del 2016, apportando alcune significative modifiche e demandando la disciplina del procedimento per il relativo rilascio a un regolamento ANAC (cfr. la delibera n. 267 del 20 giugno 2023).
È stato innanzitutto chiarito che l’ANAC - di cui il nuovo Codice conferma i poteri di vigilanza e controllo e il ruolo cruciale di organo di supporto delle Stazioni appaltanti (cfr. art. 222) - esprime parere su questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, su richiesta della Stazione appaltante, dell’Ente concedente o di una o più delle altre parti e previo contraddittorio. Il parere di precontenzioso è, dunque, uno strumento dedicato alle Stazioni appaltanti, agli operatori economici nonché alle associazioni di categoria.
Al di là del nomen utilizzato (o meglio, conservato) dal più moderno Legislatore, l’esatta qualificazione dell’istituto non è pacifica. Il “parere”, infatti, presenta caratteri peculiari, solo in parte assimilabili a quelli dei ricorsi gerarchici impropri, a quelli dei giudizi arbitrali e a quelli dei procedimenti di autotutela.
In particolare, sebbene sia stato cancellato il riferimento al suo carattere “vincolante”, il “parere” non può essere assimilato a una semplice opinione. Esso non si limita a individuare un’ipotesi di soluzione di una controversia insorta tra l’Amministrazione e il privato, ma assume le sembianze di un vero e proprio provvedimento decisorio, potenzialmente idoneo a conformare il rapporto giuridico che ne è oggetto e impugnabile dinnanzi al giudice.
Tuttavia, il presupposto volontaristico su cui si basa il parere comporta che la sua efficacia sia circoscritta, sul piano soggettivo, alle parti che lo hanno chiesto. Detta limitazione fa sì che la finalità di deflazione possa essere davvero raggiunta solo nel caso (difficile) dell’accordo integrale tra singolo operatore economico “ricorrente”, Stazione appaltante ed eventuali controinteressati, dal momento che i soggetti rimasti estranei al vincolo consensuale, pur non potendo impugnare un parere che non hanno richiesto e a cui non hanno aderito - che non produce, quindi, ex se effetti diretti nei loro confronti e che non ha efficacia costitutiva di rimozione dell’atto - sono legittimati a impugnare l’atto pregiudizievole con cui l’Amministrazione, nell’adeguarsi al parere medesimo, abbia annullato in autotutela l’atto contestato.
A ben vedere, peraltro, in base alle disposizioni allo stato vigenti, anche per le parti dell’accordo il parere non ha necessariamente carattere vincolante. Ciò si desume dalla previsione dell’obbligo posto in capo alla Stazione appaltante di comunicare, entro quindici giorni, la propria decisione di non conformarsi al parere di precontenzioso, unitamente alle relative motivazioni.
Inoltre, nel caso in cui il parere di precontenzioso si esprima nel senso della legittimità dell’atto contestato, l’operatore economico che lo abbia richiesto (oltreché il terzo che assuma di esserne leso) sarà legittimato a impugnarlo, congiuntamente all’eventuale rifiuto di autotutela a valle.
Il riconoscimento della legittimazione a contestare il parere in capo all’operatore economico che ne abbia accettato la vincolatività potrebbe sembrare contraddittorio rispetto alla ratio stessa dell’istituto, ma è la conseguenza del dato letterale (che prevede, senza limiti, l’impugnabilità del parere), oltreché del principio di indisponibilità dell’interesse legittimo e della scissione – che si verifica negli accordi ex art. 11 della l. n. 241/1990 – tra effetto vincolante di un atto e legittimazione del soggetto vincolato alla sua contestazione ai sensi dell’art. 24 della Costituzione.
Novità di rilievo sono state introdotte dal nuovo Codice anche in relazione al potere di impugnativa dell’ANAC, ispirato alla legittimazione “speciale” dell’Autorità Antitrust, in materia di provvedimenti amministrativi lesivi delle norme a tutela della concorrenza (art. 21-bis, l. n. 287/1990).
L’art. 220, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2023, al pari dell’art. 211 del previgente d.lgs. 50 del 2016, conferisce all’ANAC il potere di agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, adottati da qualsiasi Stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia. Il comma 4 dell’art. 220 rinvia a un regolamento attuativo dell’ANAC l’eventuale individuazione dei casi o delle tipologie di provvedimenti, anche relativi alla fase esecutiva, con riferimento ai quali l’Autorità esercita il potere in questione. Il precedente comma 3 delinea un procedimento prodromico all’esercizio dell’azione in relazione a provvedimenti che l’ANAC ritenga viziati da “gravi violazioni”. Tale procedimento è scandito in fasi, la prima delle quali si conclude con l’adozione da parte di ANAC di un parere motivato che indica i vizi di legittimità riscontrati. Nel caso in cui la stazione appaltante non si conformi a tale parere, l’ANAC avrà facoltà di presentare ricorso al T.A.R.; il giudizio in questione segue il rito speciale di cui all’art. 120 c.p.a..
Le novità apportate dal Codice del 2023 consistono nell’attribuzione all’Autorità del potere di stabilire, con proprio regolamento, il termine massimo - comunque decorrente dall’adozione o dalla pubblicazione dell’atto che contiene la violazione - per emettere il parere, nonché nell’assegnazione alla Stazione appaltante di un termine per conformarsi, che è dimezzato rispetto a quello previsto dall’art. 211 del previgente Codice (non più 60, ma 30 giorni).
Il nuovo Codice ha apportato alcune significative modifiche anche alla disciplina degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (transazione, accordo bonario, arbitrato, collegio consultivo tecnico) in materia di esecuzione di contratti pubblici.
A titolo di esempio, si consideri che, sebbene, in via generale, al fine di avviare il procedimento arbitrale occorra la presentazione di apposita domanda in attuazione di una clausola compromissoria ad hoc, il nuovo art. 213, comma 2, attribuisce alle parti la facoltà di compromettere la lite in arbitrato anche nel corso dell’esecuzione del contratto. Di conseguenza, il ricorso all’arbitrato non dovrebbe restare confinato ai soli casi in cui la clausola compromissoria sia stata inserita nella lex specialis, potendosi optare per l’arbitrato anche successivamente, in costanza del rapporto negoziale, previa ponderata valutazione degli interessi in gioco e delle circostanze del caso concreto, seppure sempre con la preventiva autorizzazione, motivata, da parte dell’organo di governo dell’Amministrazione (art. 213, comma 3).
Inoltre, sicuramente positiva è la scelta di rendere permanente un rimedio - quello del collegio consultivo tecnico (CCT) - introdotto, in via temporanea, dagli artt. 5 e 6 d.l. 16 luglio 2020 n. 76 (c.d. decreto semplificazioni).
I primi commentatori del nuovo Codice ne hanno evidenziato la strumentalità rispetto alla concreta attuazione del principio del risultato, espresso nell’art. 1, rilevando come la possibilità di affidarsi a tecnici autorevoli e specificamene qualificati aiuti a prevenire conflitti e a eseguire le attività nei tempi previsti e a regola d’arte.
In altri termini, la logica conciliativa sottesa all’istituto del CCT è volta a evitare che entrino in crisi la comunicazione e la collaborazione necessarie per salvaguardare l’interesse alla realizzazione dell’opera pubblica (art. 215, comma 2, secondo periodo).
Il CCT è un istituto “ibrido”: per alcuni commentatori, avrebbe funzioni ausiliarie e consultive della Stazione appaltante; per altri, prenderebbe le sembianze di un “organo straordinario” della stessa Stazione appaltante. A ciò si aggiunga che, anche con l’adozione del nuovo Codice, non risultano del tutto dipanati alcuni dubbi in merito ai rapporti tra il CCT e gli altri rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale, così come in ordine ai presupposti per la relativa attivazione, complice la vaghezza della locuzione “dispute tecniche di ogni natura” (art. 215, comma 1). Al riguardo, basti osservare come, per un verso, l’art. 215 ponga in capo al collegio l’onere di assumere comunque la “scelta della migliore soluzione per la celere esecuzione dell’opera a regola d’arte”, svincolando - sotto questo profilo - la decisione dalla domanda delle parti, e lo qualifichi come “attività di mediazione e di conciliazione”, e, per altro verso, l’art. 217 preveda la possibilità che, ricorrendo la volontà delle parti, la pronuncia assuma valore di lodo irrituale ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c..
Una disamina più completa sulla natura di tale istituto potrà essere svolta, nel tempo, alla luce dei dati raccolti dall’apposito Osservatorio permanente, istituito a fini di monitoraggio presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile del 1° febbraio 2022), al quale i Presidenti dei vari Collegi provvederanno a trasmettere tempestivamente gli atti di costituzione e le determinazioni assunte.