Cons. Stato, Sez. V, 7 marzo 2024, n. 2229.
In tema di partecipazione alle gare di appalto, deve ritenersi che, anche allorquando non abbia partecipato alla procedura di gara, l’operatore economico può impugnare direttamente le clausole del bando assumendone l’immediato carattere escludente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5370 del 2023, proposto da
V.A.R. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 94172608CA, 94172765FF, 941729018E, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Goria e Simona Elena Viscio, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Roberto Maria Izzo in Roma, via Monte Santo 68;
contro
Start Romagna S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Giuseppe Caia, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
nei confronti
Maresca e Fiorentino S.p.A., Euro Diesel Service S.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Flavio Barigelletti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna (Sezione Prima), 8 maggio 2023, n. 276;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Start Romagna S.p.A., di Maresca e Fiorentino s.p.a. e di Euro Diesel Service S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2023 il Consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli Avvocati Goria, Caia e Gambini, in delega dell’Avv. Barigelletti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. È controversa la legittimità della procedura aperta di gara telematica indetta da Start Romagna S.p.A. con bando pubblicato il 3 ottobre 2022 per l’affidamento dell’appalto di fornitura di ricambi autobus per mezzi Iveco/Irisbus, IIA e Man suddivisa in 3 lotti, per il periodo di un anno (rinnovabile per un ulteriore anno), con importo a base d’asta di 2.640.000 euro, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
2. In particolare, la società V.A.R. s.r.l. ha appellato la sentenza indicata in epigrafe con cui il T.A.R. Emilia Romagna - sede di Bologna ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso introduttivo proposto dalla predetta società per l’annullamento degli atti indittivi (delibera del Consiglio di Amministrazione di Start Romagna S.p.A. n. 10 del 31.8.2022) e della legge di gara (bando, capitolato e disciplinare, impugnati limitatamente alle parti censurate nei motivi dedotti), così come il primo e il secondo ricorso per motivi aggiunti contenenti esclusivamente censure in via derivata avverso, rispettivamente, i chiarimenti forniti dalla stazione appaltante sulle parti della lex specialis contestate e il sopravvenuto provvedimento di esclusione dalla gara della ricorrente, nonché i provvedimenti di aggiudicazione dei Lotti 1 e 2 a favore delle ditte controinteressate Maresca & Fiorentino S.p.A. e Euro Diesel Service S.r.l., condannando altresì la soccombente alla rifusione delle spese di giudizio.
3. Il Tribunale amministrativo ha disatteso i tre motivi di gravame con cui la ricorrente Var (la quale ha poi partecipato alla procedura venendone però esclusa per mancata allegazione della documentazione tecnica relativa ai ricambi offerti prescritta dal capitolato) ha lamentato l’impossibilità di partecipare utilmente alla gara stante la presenza di clausole escludenti nella lex specialis, avanzando le seguenti censure:
I) Violazione degli artt. 101-102-106 del TFUE e dei principi di libera concorrenza e pari accesso al mercato. Violazione dell’art.60 della Direttiva 2014/25/UE, dell’art.68 del D.lgs. 50/2016. Violazione del Regolamento (CE) n.1400/2002 e del Regolamento (UE) n.461/2010, nonché degli orientamenti Aggiuntivi (2010/C 138/05) della Commissione. Violazione del Regolamento (UE) 2018/858 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018;
II) Violazione dell’art.60 della Direttiva 2014/25/UE e dell’art.68 D.lgs. 50/2016 sotto diverso profilo. Violazione dei principi della giurisprudenza in materia;
III) Eccesso di potere per perplessità, genericità ed irrazionalità dei criteri di valutazione. Contraddittorietà. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. Violazione del divieto di commistione tra componenti tecniche ed economiche delle offerte.
3.1. Nello specifico, con tali doglianze si contestavano sia le modalità con cui il capitolato ammetteva le concorrenti a dare la prova dell’equivalenza dei ricambi offerti agli originali per asserito contrasto con la Direttiva 2014/25/UE appalti, con la normativa di settore comunitaria e con i principi affermati in materia dalla Corte di Giustizia (da ultimo, con la sentenza depositata in data 27 ottobre 2022 resa nelle cause riunite C-68/21 e C-84/21) sia la scelta della stazione appaltante di verificare l’equivalenza non già in sede di presentazione dell’offerta ma soltanto a valle della procedura di gara ovvero prima della stipulazione del contratto, nonché l’illegittimità di alcuni criteri di valutazione dell’offerta per l’indebita commistione di aspetti tecnici ed economici.
3.2. La sentenza di prime cure non ha condiviso le censure formulate, ritenendo che:
- le clausole impugnate non fossero immediatamente escludenti e impeditive della partecipazione alla gara e che la stazione appaltante avesse legittimamente richiesto ai concorrenti le necessarie certificazioni comprovanti l’adeguamento obbligatorio alla normativa di settore (la prescritta certificazione di omologazione o conformità proveniente dal costruttore del veicolo e/o da un organismo terzo) per finalità di tutela della sicurezza del trasporto pubblico dei passeggeri;
- alcun pregiudizio potrebbe derivare alla ricorrente dall’esame della certificazione di equivalenza e di omologazione del ricambio equivalente a valle dell’aggiudicazione ovvero prima della stipulazione del contratto anziché, come preteso, in sede di presentazione dell’offerta, stante la piena legittimità degli oneri documentali imposti dal Capitolato;
- parimenti inammissibile per difetto di interesse sarebbe, infine, la doglianza inerente ai criteri di valutazione per l’attribuzione del punteggio tecnico trattandosi di contestazioni tipicamente riguardanti il segmento procedimentale della valutazione delle offerte da formularsi eventualmente in seguito all’aggiudicazione, come affermato da consolidato orientamento giurisprudenziale.
4. L’appellante, ritenendo la sentenza errata, ne ha chiesto l’integrale riforma, con accoglimento del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti, reiterando le censure e le domande proposte in primo grado inclusa la declaratoria di inefficacia dei contratti medio tempore stipulati con gli aggiudicatari.
4.1. Ha quindi riproposto ex art. 101 comma 2 c.p.a i motivi e le domande non esaminate in primo grado, reiterando l’istanza di disporre una verificazione o una consulenza tecnica ex art. 66 e 67 c.p.a. per valutare se siano attuabili gli obblighi documentali prescritti dalla legge di gara.
4.2. Si sono costituite in resistenza, come già nel giudizio di primo grado, sia la stazione appaltante che le ditte controinteressate, eccependo l’inammissibilità per carenza di interesse nonché per difetto di specificità dei motivi di impugnazione contro i capi della sentenza gravata ex art. 101, comma 1, c.p.a. e argomentando comunque l’infondatezza del gravame.
4.3. Nella memoria in vista della fase cautelare la difesa di Start Romagna S.p.A. ha fatto rilevare che, a seguito della sentenza di prime cure, sono stati stipulati in data 12 maggio 2023 i relativi contratti con gli aggiudicatari per entrambi i lotti e la fornitura è in corso di esecuzione.
4.4. All’esito della camera di consiglio del 13 luglio 2023, su concorde richiesta delle parti, è stato disposto l’abbinamento al merito dell’istanza cautelare.
4.5. In prossimità dell’udienza pubblica di discussione le parti hanno depositato memorie e documentazione, insistendo per l’accoglimento delle rispettive conclusioni.
4.6. Con memoria di replica l’appellante ha insistito per l’accoglimento del gravame ribadendo che l’autorità di omologazione non può certificare l’equivalenza ai ricambi originali ma solo la conformità alle disposizioni amministrative e tecniche pertinenti e che non tutti i componenti di un veicolo sono soggetti ad omologazione, sicché la stazione appaltante avrebbe dovuto preventivamente indicarli. In data 21 settembre 2023, V.A.R. S.r.l. ha altresì depositato documentazione a supporto delle sue tesi che proverebbe l’inattendibilità degli obblighi previsti dalla legge di gara.
4.7. Le resistenti stazione appaltante e controinteressate hanno invece sostenuto che la richiesta al partecipante alla gara della certificazione di conformità o della specifica omologazione del ricambio da parte della legge di gara non è lesiva né compromette il principio di libera concorrenza.
4.8. Hanno, inoltre, eccepito l’inammissibilità ex art. 104 c.p.a. per novità e tardività della documentazione prodotta dall’appellante il 21 settembre 2023, argomentandone comunque l’irrilevanza ai fini della decisione, sia perché non riguardante la gara di appalto oggetto di impugnazione sia perché essa farebbe in taluni casi riferimento a una normativa tecnica (il decreto ministeriale n. 277 del 2 maggio 2021) non pertinente alla presente fattispecie; ne hanno chiesto, pertanto, l’espunzione dagli atti di causa.
4.9. Alla pubblica udienza del 12 ottobre 2023, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. Con l’appello proposto V.A.R. contesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso di prime cure e dei motivi aggiunti, sostenendo che erronee e prive di adeguata motivazione sarebbero le conclusioni cui il primo giudice è pervenuto, stante la natura meramente esemplificativa e non esaustiva della casistica di clausole immediatamente escludenti richiamata dalla sentenza appellata.
5.1. In particolare, l’appellante deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo, le clausole di lex specialis impugnate col ricorso avrebbero natura escludente in quanto le certificazioni e le dichiarazioni previste dall’art. 1.4 del Capitolato per i ricambi equivalenti e di primo impianto (ex art. 5, terzo capoverso, del Capitolato) sarebbero documenti, per un verso, non ottenibili e, per altro verso, da richiedersi, secondo la lex specialis, a soggetti non legittimati a rilasciarli o in palese conflitto di interessi con le imprese concorrenti.
5.2. Infatti, secondo l’appellante, poiché non tutti i componenti di un veicolo sono soggetti ad omologazione, ma solo quelli il cui pertinente atto normativo lo prevede espressamente, come chiarito dalla citata sentenza della Corte di Giustizia del 27 ottobre 2022, non sarebbe stato possibile ottenere l’omologazione per la gran parte dei componenti oggetto di gara.
Inoltre, il T.A.R. non avrebbe considerato che la procedura di omologazione di sistemi, componenti o entità tecniche indipendenti, quando richiesta da un atto normativo contenuto nell’Allegato II del Regolamento UE cit., è la medesima, per contenuti e varietà di accertamenti, sia per i ricambi originali che per quelli equivalenti, e che l’attività di “controllo” prevista dalla legge di gara (volta a verificare che la progettazione e la costruzione del componente sia stata effettuata con riguardo alla funzione svolta dal ricambio originale e che il ricambio fornito sia pienamente rispondente agli aggiornamenti o ai richiami produttivi messi in atto dal costruttore del mezzo) non rientra tra le funzioni e i compiti dell’Autorità di omologazione; quest’ultima, per quanto qui interessa, verifica solo la rispondenza di un componente “alle disposizioni amministrative e alle prescrizioni tecniche pertinenti”, ma non la conformità a un altro prodotto, non potendo, quindi, nemmeno garantire quanto richiesto dall’art. 1.4. del Capitolato.
5.3. Sarebbero altresì erronee le argomentazioni della sentenza che hanno fatto leva sulla possibilità contemplata in via alternativa dalla lex specialis di richiedere una “certificazione di conformità” del ricambio equivalente al costruttore del mezzo: ciò in quanto non compete a quest’ultimo rilasciare la “specifica omologazione” dei ricambi – di cui, sovente, egli non è neanche il reale fabbricante- e, peraltro lo stesso non vi sarebbe neanche obbligato, trattandosi in effetti del principale concorrente del fornitore e produttore dei ricambi equivalenti (i.e. del partecipante alla odierna gara); richiedere poi che sia il costruttore del mezzo a garantire, mediante la predetta certificazione, quanto indicato dal capitolato sarebbe oltremodo lesivo della concorrenza in quanto implicherebbe la divulgazione del know aziendale del produttore del ricambio equivalente a un concorrente del medesimo.
5.4. Né sarebbe percorribile l’ulteriore opzione prevista dal più volte citato art. 1.4) del Capitolato, consistente in una certificazione di conformità o in una specifica omologazione rilasciata “da laboratori prove certificati secondo la ISO 45000”: questi ultimi sarebbero, infatti, privi dei poteri certificativi previsti dalla lex specialis, non potendo rilasciare, al pari del costruttore del mezzo, alcuna “omologazione” ai sensi del Regolamento UE cit. e non essendo neanche deputati a certificare l’equivalenza dei ricambi offerti agli originali, dato che l’attività svolta dai medesimi si estrinseca esclusivamente nel raffronto di un prodotto con le specifiche o norme tecniche.
5.5. In tale quadro anche le previsioni normative richiamate dal giudice di prime cure (l’art.62 della Direttiva 2014/25 UE, l’art.86 D.lgs. n. 50/2016 e l’Allegato XVII) sarebbero, dunque, del tutto fuori centro rispetto alla fattispecie: le certificazioni che detti laboratori prove potrebbero rilasciare comunque non risponderebbero, per finalità e contenuti, alle prescrizioni della lex specialis.
5.6. Né giustificherebbe le certificazioni richieste dalla disciplina di gara la necessità di adeguamento alla normativa speciale vigente in materia per finalità di tutela della pubblica sicurezza del trasporto passeggeri, come ritenuto dal primo giudice.
5.6.1. Si tratterebbe, infatti, di affermazione del tutto generica e comunque non condivisibile.
A tutto voler concedere, la stazione appaltante avrebbe dovuto specificare, in riferimento ai mezzi in dotazione e ai ricambi oggetto di gara, quali parti accessorie e componenti fossero eventualmente in grado di comportare un grave rischio per la sicurezza dei veicoli, chiedendo solo in relazione ad esse, per l’immissione sul mercato e la messa in circolazione, l’autorizzazione dell’Autorità di omologazione a norma dell’articolo 56 del Regolamento 2018/858.
5.7. Pertanto, per la società appellante le previsioni impugnate non potevano che avere carattere “immediatamente escludente”, avendole precluso la partecipazione alla gara o, comunque, giustificando una prognosi, con carattere di ragionevole certezza, di esito infausto della sua eventuale partecipazione.
5.7.1. Né potrebbe poi trarsi alcun indizio della portata non escludente degli atti di gara ai fini della legittimazione e dell’interesse dell’operatore economico alla loro immediata impugnativa dalla avvenuta partecipazione dell’appellante alla procedura di gara; tant’è che Var ne è stata in effetti esclusa proprio per non aver prodotto l’autocertificazione, attestante il possesso delle certificazioni/omologazioni, richiesta dall’art.1.4 del Capitolato.
5.7.2. La gravata esclusione sarebbe, ad ogni modo, illegittima in quanto, alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria, le “certificazioni di conformità/equivalenza” dei ricambi offerti, di cui V.A.R. aveva auto dichiarato il possesso ex art.1.4 del Capitolato in qualità di fabbricante/produttore dei medesimi, costituirebbero mezzo di prova adeguato ai sensi dell’art.68 D.lgs. n. 50/2016, in quanto idonee a garantire che gli stessi ricambi possedevano le “qualità” richieste dal Capitolato.
5.8. L’appellante ha poi contestato la statuizione di inammissibilità per difetto di interesse del secondo motivo di ricorso con il quale si lamentava il contrasto della lex specialis con l’art. 68 D.lgs. 50/2016, come costantemente interpretato dalla giurisprudenza euro unitaria e nazionale, per aver differito la prova dell’equivalenza a una fase successiva alla presentazione dell’offerta.
Var ha, quindi, ribadito, anche con riguardo a tale doglianza, il proprio interesse strumentale alla riedizione della gara a fronte della illegittimità degli oneri documentali imposti dalla lex specialis.
5.9. L’appellante ha, infine, sostenuto l’erroneità della inammissibilità per carenza di interesse del primo e del secondo ricorso per motivi aggiunti avverso l’esclusione dalla procedura e l’aggiudicazione alle controinteressate, a suo dire viziate, in via derivata, per gli stessi vizi che inficiano la lex specialis della procedura di gara.
6. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalle controinteressate perché l’appello non è fondato.
7. Occorre, innanzitutto, richiamare, ai fini della decisione, i principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza della Sezione VI depositata in data 27 ottobre 2022, resa nelle cause riunite C-68/21 e C-84/21 su questioni analoghe a quelle controverse in giudizio, concernenti l’obbligatorietà dell’omologazione e il modo con cui una lex specialis consente ai concorrenti di provare la “equivalenza” dei prodotti offerti nell’ambito di una gara di appalto pubblico di fornitura di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico.
7.1. In particolare, la Corte di Giustizia si è pronunciata sulle questioni pregiudiziali rimesse ex art. 267 TFUE dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. V, ord. n. 7964/2020) nei seguenti termini:
“1) L’articolo 10, paragrafo 2, l’articolo 19, paragrafo 1, e l’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (direttiva quadro), devono essere interpretati nel senso che: essi ostano a che un’amministrazione aggiudicatrice possa accettare, nell’ambito di una gara d’appalto avente ad oggetto la fornitura di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, un’offerta con cui vengono proposti componenti rientranti in un tipo di componente contemplato dagli atti normativi di cui all’allegato IV alla direttiva 2007/46, non accompagnata da un certificato che attesti l’omologazione di tale tipo di componente né da informazioni sull’effettiva esistenza di tale omologazione, a condizione che tali atti normativi prevedano una siffatta omologazione.
2) Gli articoli 60 e 62 della direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, devono essere interpretati nel senso che: alla luce della definizione del termine «costruttore» di cui all’articolo 3, punto 27, della direttiva 2007/46, essi ostano a che un ente aggiudicatore, nell’ambito di una gara d’appalto avente ad oggetto la fornitura di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, possa accettare, come prova dell’equivalenza dei componenti contemplati dagli atti normativi di cui all’allegato IV alla direttiva 2007/46 e proposti dall’offerente, una dichiarazione di equivalenza rilasciata dall’offerente stesso, quando quest’ultimo non può essere considerato come il costruttore di tali componenti.”.
7.2. Come chiarito dalle decisioni di questa Sezione, nell’ambito dei giudizi di appello che hanno dato luogo al rinvio pregiudiziale e concernenti anch’essi, come detto, impugnative di gare d’appalto aventi ad oggetto la fornitura di ricambi equivalenti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2023 n. 7727; Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2023, n. 7502), la Corte di Giustizia ha statuito che l’obiettivo principale della legislazione in materia di omologazione dei veicoli «è assicurare che i veicoli nuovi, i componenti e le entità tecniche immessi in commercio forniscano un elevato livello di sicurezza e di protezione dell’ambiente» (paragrafo 75), per cui “tali componenti possono essere venduti o messi in circolazione (…) solo se sono stati oggetto di una siffatta omologazione” (par. 77).
7.2.1. Per quanto qui di interesse, la Corte di Giustizia ha poi evidenziato che le nozioni di «omologazione» e di «equivalenza» hanno contenuti diversi: l’una certifica, a seguito dei controlli appropriati effettuati dalle autorità competenti, che “un tipo di componente è conforme alle prescrizioni della direttiva 2007/46, comprese le prescrizioni tecniche contenute negli atti normativi di cui all’allegato IV a tale direttiva”; l’altra attesta che un componente “abbia le stesse qualità di un altro componente, a prescindere dal fatto che quest’ultimo sia stato o meno omologato”.
Pertanto, le relative prove, di omologazione e di equivalenza, non sono “intercambiabili”: sicché, per i componenti per cui la Direttiva comunitaria 2007/46 prevede l’omologazione ai fini della vendita e messa in circolazione, “la prova dell’avvenuta omologazione non può essere sostituita da una dichiarazione di equivalenza resa dall’offerente” (par. 78 e 84 della sentenza).
7.2.2. Secondo quanto statuito dalla Corte di Giustizia tali conclusioni, sulla necessità di omologazione e sulle modalità con cui può essere fornita dai concorrenti la prova di equivalenza dei prodotti offerti, non confliggono né con i principi di parità di trattamento e di imparzialità, di libera concorrenza e di buon andamento dell’amministrazione, né con le disposizioni di cui alla Direttiva 2014/25 che agli articoli 60 e 62 consentono di fornire la prova di equivalenza alle specifiche tecniche previste dai bandi di gara con qualsiasi mezzo adeguato, onde assicurare una maggiore apertura degli appalti pubblici alla concorrenza, nel rispetto tuttavia - conformemente al considerando 56 della medesima direttiva - dei requisiti imperativi imposti da altre norme del diritto dell’Unione, tra cui, per quanto di interesse, quelle in materia di sicurezza e protezione ambientale.
La Corte di Giustizia ha, pertanto, statuito che “al fine di ottemperare ai requisiti imperativi stabiliti dalla direttiva 2007/46 [che delinea il quadro normativo di riferimento in materia di omologazione dei veicoli, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli n.d.r.], poiché i componenti sono soggetti a un obbligo di omologazione, possono essere considerati equivalenti ai sensi dei termini delle suddette gare d’appalto solo i componenti che siano stati oggetto di una siffatta omologazione e che, quindi, possano essere commercializzati” (par. 93).
7.2.3. Quanto al soggetto che può attestare validamente l’equivalenza delle componenti di ricambio offerte (i.e. in modo tale da consentire all’ente aggiudicatore «di procedere effettivamente a una valutazione proficua dell’offerta per determinare se quest’ultima sia conforme alle specifiche tecniche oggetto del bando di gara») questi non può che essere il costruttore di tale componente, non potendo costituire un mezzo di prova appropriato, nell’ambito di un bando di gara come quello per cui è causa, una dichiarazione di equivalenza proveniente da un rivenditore o da un commerciante (v. par. 106-107 della menzionata decisione della Corte di Giustizia).
Al riguardo la Corte di Giustizia ha altresì precisato che «il fatto che un offerente produca pezzi di ricambio diversi da quelli oggetto della gara d’appalto in questione, che sia iscritto a una camera di commercio o che la sua attività sia stata oggetto di una certificazione di qualità, è irrilevante al fine di determinare se tale offerente possa essere considerato il costruttore dei componenti che propone nella sua offerta» (par. 108).
7.3. Dei sopra riportati principi, così come di quelli in materia di legittimazione alla immediata impugnativa di clausole del bando, ha fatto corretta applicazione la sentenza appellata.
7.4. Come noto, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (ex multis Consiglio di Stato, Ad. Plen. 26 aprile 2018, n. 4; sez. V, 23 agosto 2019, n. 5789; id. 18 luglio 2019, n. 5057; id. 8 marzo 2019, n. 1736), anche allorquando non abbia partecipato alla procedura di gara l’operatore economico può impugnare direttamente le clausole del bando assumendone l’immediato carattere escludente.
7.4.1. Tra queste ultime la giurisprudenza colloca, in via esemplificativa:
a) clausole impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati ai fini della partecipazione (Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671);
b) regole procedurali che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. Stato, Ad. Plen. 7 aprile 2001, n. 3);
c)disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293);
e) clausole impositive di obblighi contra ius (Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate;
g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421).
7.4.2. A tale proposito la giurisprudenza ha chiarito che si tratta di “ipotesi tutte accomunate dal fatto di impedire in modo macroscopico, ovvero di rendere estremamente ed inutilmente difficoltoso ad un operatore economico di formulare un’offerta corretta, adeguata e consapevole, configurandosi pertanto come una concreta ed effettiva lesione dell’interesse legittimo dell’impresa a concorrere con gli altri operatori per l’aggiudicazione di una commessa pubblica” (cfr. tra le molte Consiglio di Stato, sez. III, 11 marzo 2021, n. 2093; Consiglio di Stato, sez. III, 28 settembre 2020 n. 5708).
Caratteristica comune di tali ipotesi di eccezione - che pur sempre vanno correlate alla condizione soggettiva dell’interesse legittimo che si assume leso, pena l’ammettere in capo a un’impresa un’inammissibile azione “nell’interesse della legge”, cioè di diritto oggettivo - è la loro attitudine ad impedire, con immediata e oggettiva evidenza, a un normale operatore economico di formulare un’offerta corretta, ossia - in ultima analisi - di presentare la domanda di partecipazione (Cons. Stato, sez. V, 18 marzo 2019, n. 1736).
In altri termini, la legittimazione a impugnare immediatamente clausole del bando sussiste solo quando tali clausole siano effettivamente “escludenti”, precludendo all’operatore del settore con assoluta certezza la partecipazione alla gara (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4).
7.5. Tali non sono, tuttavia, le clausole del bando censurate con il ricorso di prime cure.
7.5.1. Come sopra detto, secondo la società appellante l’effetto immediatamente escludente sarebbe determinato principalmente dalle previsioni del Capitolato secondo cui la prova dell’equivalenza deve essere fornita dal concorrente “mediante, alternativamente, una certificazione di conformità o una specifica omologazione del ricambio proveniente dal Costruttore del veicolo e/o da ente omologatore e/o da laboratori prove certificati secondo la ISO 45000” e, in seconda battuta, da quella previsione della lex specialis di gara che riconosce al concorrente che intende fornire ricambi equivalenti la possibilità di produrre, all’atto della presentazione dell’offerta, una “autocertificazione che attesti che tutti i detti ricambi sono dotati della prevista documentazione a comprova dell’equivalenza”.
7.5.2. Ritiene invece il Collegio che nel caso in esame non si verta in ipotesi di clausole di natura escludente, tali da impedire l’utile partecipazione alla procedura dell’odierna appellante, sì da legittimarla alla immediata impugnazione della legge di gara.
7.6. Importa premettere che l’art. 1.3. del Capitolato tecnico definiva i “ricambi originali” (forniti direttamente dal costruttore), “di primo impianto” (aventi qualità equivalenti ai componenti utilizzati per l’assemblaggio dei veicoli Iveco e costruiti conformemente alle specifiche tecniche e alle norme e standard di produzione del costruttore del veicolo), ed “equivalenti” (di qualità equivalente ai ricambi originali o di primo impianto).
Inoltre, tale disposizione del Capitolato chiariva in cosa dovesse necessariamente estrinsecarsi la nozione di equivalenza: “perfetta intercambiabilità del componente senza dover ricorrere ad alcun adattamento”, “caratteristiche prestazionali atte ad assicurare una regolare funzionalità e sicurezza dello stesso complesso tecnico, nonché una almeno pari durata di esercizio”, “produzione di autocertificazione contenente le pro ve di un laboratorio certificato che attesti l’equivalenza”.
Si precisava ulteriormente che, ai sensi dei Regolamenti comunitari e delle disposizioni di legge in vigore, tali ricambi possono essere fabbricati da qualunque impresa possa certificare, in qualunque momento, nel rispetto delle norme tecniche vigenti, che la qualità dei pezzi di ricambio prodotti corrisponde a quella dei componenti originali usati per l’assemblaggio degli autoveicoli in questione e che, in ogni caso, possa garantire e certificare la sussistenza dei seguenti requisiti: “1. Processo di progettazione, processo tecnologico produttivo, controllo di qualità alla produzione e distribuzione, uguali o equivalenti a quella del ricambio originale; 2. Stesse caratteristiche geometriche dell’originale; 3. Caratteristiche prestazionali funzionali alla destinazione d’uso, almeno uguali a quelle dell’originale; 4. Materiali costruttivi del ricambio aventi qualità funzionali alla destinazione d’uso almeno uguali rispetto a quelle dei materiali costruttivi dei ricambi originali”.
7.6.2. Tanto premesso, le previsioni direttamente impugnate col ricorso introduttivo sono quelle di cui al punto 1.4. del Capitolato rubricato “certificazioni e dichiarazioni”, in base alle quali, testualmente, “nel caso di fornitura di ricambio equivalente il Fornitore deve essere munito di una certificazione di conformità o di una specifica omologazione del ricambio fornito dal Costruttore e/o da ente omologatore e/o da laboratori prove certificati secondo la ISO 45000 in cui viene garantito:
a) che la progettazione e costruzione del componente è stata effettuata con riguardo alla funzione svolta dal ricambio originale;
b) che la filiera logistica secondo la quale il ricambio viene custodito/trasportato/fornito è idonea al suo corretto handling e conservazione nel tempo con garanzia di mantenimento delle prestazioni attese”;
c) che il ricambio fornito è pienamente rispondente a tutti gli eventuali più recenti aggiornamenti e/o richiami produttivi che il Costruttore abbia messo in atto nel corso del tempo per ovviare a difettosità riscontrate.
Il partecipante all’atto dell’offerta dovrà produrre una autocertificazione su carta intestata della ditta che attesti che “tutti i ricambi equivalenti” offerti in gara possiedano tutte le certificazioni indicate nel presente paragrafo del capitolato”.
7.6.3. La stazione appaltante ha quindi richiesto al fornitore aggiudicatario “comunque prima della stipula contrattuale” di presentare tutte le certificazioni e specifiche omologazioni per ogni “singolo ricambio offerto di natura equivalente”, nonché “documentazione comprovante l’effettiva equivalenza funzionale dei ricambi …relativi in particolare ad entità che garantiscono la sicurezza del veicolo”, elencandoli puntualmente per tipologia.
7.7. Orbene, dalle richiamate previsioni della legge di gara si evince che se, per un verso, la stazione appaltante, oltre alla dichiarazione di equivalenza rilasciata dal produttore del ricambio e indicata all’ art. 1.3 del Capitolato Tecnico sotto la definizione “Ricambi Equivalenti”, nel caso di fornitura dei ricambi equivalenti ha richiesto, all’ art. 1.4 del medesimo Capitolato Tecnico, una ulteriore certificazione di conformità o una specifica omologazione del ricambio, per altro verso quest’ultima certificazione (che, come si è detto, è cosa diversa dalla dichiarazione di equivalenza) non dovesse provenire soltanto dal costruttore del mezzo, potendo essere rilasciata anche da organismi e soggetti terzi quali l’“ente omologatore” o “laboratori prove certificati”.
7.7.1. La lex specialis non era, dunque, restrittiva della platea dei partecipanti alla procedura di appalto poiché consentiva che l’omologazione o la certificazione di conformità del ricambio equivalente provenisse da una serie di soggetti (oltre al costruttore del mezzo) e che il partecipante alla gara autocertificasse che tutti i ricambi offerti in gara possedessero le certificazioni indicate.
7.7.2. Il carattere non immediatamente escludente delle clausole della lex specialis contestate dalla Var è, d’altronde, indirettamente confermato dall’ampia partecipazione per tutti e tre i lotti di gara, oltre all’appellante e alle ditte controinteressate, degli altri operatori economici, i quali non hanno lamentato alcuna difficoltà a produrre le dichiarazioni di possesso delle certificazioni equivalenti di cui all’art. 1.4 del Capitolato richieste dal capitolato tecnico.
Non è stato dunque affatto dimostrato che l’impossibilità di partecipare alla gara sia comune alla maggioranza delle imprese del settore di riferimento (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 22 dicembre 2022, n. 1303).
7.7.3. Alla luce delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza unionale è altresì corretta e va confermata la sentenza appellata laddove, rilevato che secondo il Regolamento UE 2018/858 l’omologazione è la procedura con cui un’autorità competente certifica che un tipo di veicolo, sistema, componente o entità tecnica indipendente soddisfa le pertinenti norme amministrative e i requisiti tecnici, ha di conseguenza concluso che la certificazione di conformità o la specifica omologazione del ricambio, richieste per i ricambi equivalenti dall’ art. 1.4 del Capitolato Tecnico, non possono essere sostituite dalla mera dichiarazione di equivalenza prevista dall’ art. 1.3 del Capitolato Tecnico e rilasciata dal produttore del ricambio, perché le prime sono volte a fornire una garanzia maggiore in termini di verifiche sulla sicurezza, essendo rilasciate non dal produttore dei ricambi, ma da un soggetto terzo o dal costruttore del mezzo su cui tali ricambi andrebbero montati.
Infatti, come rilevato, la Corte di Giustizia Corte dell’Unione Europea, nella menzionata sentenza del 27 ottobre 2022, ha stabilito che “il legislatore dell’Unione ha deciso (…) che i componenti rientranti in un tipo per il quale gli atti normativi di cui all’allegato IV alla direttiva 2007/46 prevedono l’omologazione possono essere venduti o messi in circolazione, conformemente all’articolo 28, paragrafo 1, e all’articolo 19, paragrafo 1, di tale direttiva, solo se tale tipo di componente è stato oggetto di una siffatta omologazione, e si deve concludere che, per tali tipi di componenti, la prova dell’avvenuta omologazione non può essere sostituita da una dichiarazione di equivalenza resa dall’offerente”.
7.7.4. Tali requisiti erano stati, d’altronde, ben esplicitati dalla stazione appaltante anche in sede di chiarimenti chiesti dalla stessa V.A.R. S.r.l., avendo la stazione appaltante pure specificato che la certificazione di conformità era richiesta solo relativamente ai ricambi non omologati.
7.7.5. Inoltre, come già chiarito dalla Corte di Giustizia nella più volte citata decisione, la richiesta al partecipante alla gara della certificazione di conformità o della specifica omologazione del ricambio da parte della stazione appaltante, in aggiunta alla dichiarazione di equivalenza da parte del produttore del ricambio, non è lesiva della libera concorrenza: a differenza di quanto sostenuto dalla parte appellante, la previsione è infatti conforme a quanto stabilito dall’art. 62 della Direttiva 2014/25 UE a mente del quale gli enti aggiudicatori possono esigere che gli operatori economici presentino, come mezzi di prova di conformità ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto, una relazione di prova di un organismo di valutazione della conformità o un certificato rilasciato da un organismo di valutazione della conformità.
7.7.6. Anche l’art. 86 del D.lgs. n. 50/2016, in ordine ai mezzi di prova richiesti dalla Stazione Appaltante, nel richiamare l’allegato XVII parte 2, per i prodotti da fornire prevede, sub ii) “certificati rilasciati da istituti o servizi ufficiali incaricati del controllo della qualità, di riconosciuta competenza, i quali attestino la conformità di prodotti ben individuati mediante riferimenti a determinate specifiche tecniche o norme”.
7.7.7. È poi condivisibile l’affermazione della sentenza secondo cui la necessità della certificazione di conformità o dell’omologazione del ricambio equivalente discende dall’obbligatorio adeguamento alla normativa speciale vigente in materia per finalità di tutela della pubblica sicurezza del trasporto dei passeggeri.
Infatti, come statuito dalla più volte richiamata decisione della Corte di Giustizia, la corretta interpretazione del diritto comunitario impone che, qualora nella procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per la fornitura di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio di trasporto pubblico sia consentita l’offerta di ricambi equivalenti la cui omologazione è richiesta da uno degli atti normativi di cui all’allegato IV della menzionata direttiva, gli offerenti devono produrre il certificato di omologazione, non essendo sufficiente, a tal fine, che essi presentino solo una dichiarazione di equivalenza.
Pertanto, se la legge di gara, conformemente alle coordinate interpretative tracciate dalla giurisprudenza unionale, ha previsto che fosse prodotto il certificato di omologazione in aggiunta alla dichiarazione di equivalenza, tale richiesta si giustifica in ragione del fatto che omologazione ed equivalenza hanno significati propri e non coincidenti, trattandosi di nozioni distinte e non sovrapponibili, per cui le prove dell’una o dell’altra condizione non sono intercambiabili.
7.7.8. A tale riguardo deve altresì rammentarsi che nella dialettica fra tutela della concorrenza e perseguimento dell’interesse pubblico primario l’amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nella selezione dell’oggetto (e delle caratteristiche tecniche) dell’appalto, in funzione degli standards organizzativi e di efficienza delle relative prestazioni (che possono essere anche molto elevati, purché non irragionevoli), dovendo l’offerta adattarsi alla domanda e non viceversa (cfr. Cons. Stato, sez. III, 17 novembre 2020, n. 7138; Cons. Stato, sez. III, n. 1076 del 12 febbraio 2020).
La tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici implica, infatti, anche la capacità dell’impresa di stare sul mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività.
A tale scopo, all’Amministrazione è garantita un’ampia discrezionalità nell’individuazione dei requisiti tecnici, ancorché più severi rispetto a quelli normativamente stabiliti, purché la loro previsione sia correlata a circostanze giustificate e risulti funzionale rispetto all’interesse pubblico perseguito. In ragione di ciò, il sindacato del giudice amministrativo deve limitarsi alla verifica del rispetto dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e non estraneità rispetto all’oggetto di gara (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 7 luglio 2017, n. 3352; Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 2017, n. 3105; Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 2017, n. 9).
Il punto di equilibrio del sistema è dato dall’esistenza o meno di una ragionevole e proporzionata esigenza del committente pubblico che giustifichi la domanda di un determinato prodotto, al fine di tutelare l’interesse dell’amministrazione all’acquisizione di beni o servizi destinati a soddisfare le specifiche esigenze della collettività, come definite nella lex specialis dell’appalto da affidare (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 2023, n. 431 e giurisprudenza ivi richiamata).
7.7.9. Anche nel caso di specie viene dunque in rilievo l’esercizio di un potere ampiamente discrezionale dell’amministrazione aggiudicatrice finalizzato ad acquisire, in attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa predicati dall’articolo 97 Cost., i beni e i servizi maggiormente idonei a soddisfare l’interesse pubblico specifico, pur in un contesto concorrenziale, secondo scelte che, per le ragioni illustrate, non appaiono manifestamente irrazionali, arbitrarie, illogiche e contraddittorie né lesive dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.
Infatti, le ulteriori certificazioni richieste dalla stazione appaltante per i ricambi equivalenti offerti dai concorrenti si giustificano in funzione dell’acquisizione di beni maggiormente idonei a soddisfare le specifiche esigenze della collettività utilizzatrice degli autobus a garanzia dell’interesse generale della sicurezza del trasporto pubblico e della circolazione stradale.
Le previsioni contestate non presentano neppure profili di possibile contrasto con la tutela della concorrenza e del principio di massima partecipazione alle gare pubbliche: come detto, i partecipanti alla procedura potevano agevolmente ottenere le certificazioni e/o omologazioni richieste dal capitolato, che ne consentiva il rilascio anche da parte di un ente terzo (autorità di omologazione o laboratorio prove), non imponendo affatto che tale certificazione provenisse dal solo costruttore del mezzo (cioè, secondo la tesi dell’appellante, da un potenziale concorrente del fornitore e fabbricante del ricambio equivalente).
7.8. Stante la piena legittimità degli oneri documentali prescritti dalla legge di gara, in assenza di oggettive e comprovate ragioni ostative, ben avrebbe potuto allora la società appellante, al pari degli altri operatori concorrenti, ai fini della partecipazione alla procedura aperta in contestazione munirsi, oltre che della certificazione della qualità equivalente rilasciata dal produttore del ricambio, anche della certificazione di conformità o dell’omologazione del ricambio equivalente; sicché, come bene ritenuto dal primo giudice, l’esclusione gravata è dipesa esclusivamente da fatto addebitabile alla stessa società per non aver prodotto la certificazione richiesta ex art. 1.4 del Capitolato Tecnico, nonostante la stazione appaltante ne avesse fatta specifica richiesta di integrazione, assegnandole anche un ulteriore termine per produrre la documentazione mancante.
7.8.1. Ne consegue che la richiesta delle certificazioni per i ricambi equivalenti previste dall’ art. 1.4 del Capitolato Tecnico non può ritenersi lesiva degli interessi dell’appellante che non solo ha presentato la domanda di partecipazione alla gara su due lotti, ma è stata posta nella condizione di non esserne esclusa, integrando la richiesta documentazione, rientrante nei mezzi di prova ammessi ai sensi dell’art. 86 del D.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 62 della Direttiva 2014/25/UE.
7.8.2. Peraltro, come puntualmente eccepito dalle appellate, l’autocertificazione prodotta dalla società V.A.R., quand’anche fosse stata ritenuta sufficiente a soddisfare le richieste di cui all’ art.1.4 del Capitolato Tecnico, non costituirebbe comunque mezzo appropriato idoneo a provare l’equivalenza dei ricambi, sia perché non contenente le prove di un laboratorio certificato attestante l’equivalenza dei prodotti offerti (come richiesto nel precedente art. 1.3), sia perché Var non ha neanche fornito prova adeguata di essere il produttore (nei sopra indicati sensi) di tutti i ricambi equivalenti proposti nell’offerta oggetto di gara.
7.9. Per quanto esposto, nell’ambito della presente gara, avente ad oggetto la fornitura di ricambi per autobus destinati al servizio di trasporto pubblico, le dichiarazioni di equivalenza provenienti da una concorrente che, come nella specie, non ha provato di essere costruttore degli specifici ricambi offerti né le ha corredate dalle prescritte certificazioni di omologazione e/o conformità richieste dal capitolato, non possono ritenersi conformi ai contenuti della disciplina di gara, oltre che alla loro specifica funzione: che è quella di attestare, senza incertezze, la piena equivalenza e intercambiabilità dei ricambi equivalenti proposti ai componenti originali, nonché alle specifiche tecniche definite dagli atti di gara, onde consentire alla stazione appaltante di effettuare una proficua verifica di conformità dell’offerta.
8. Anche la produzione documentale dell’appellante, in disparte l’inammissibilità per violazione dell’art. 104 c.p.a., non è conducente ad opposte conclusioni nell’ambito del presente giudizio, alla luce della portata non escludente delle disposizioni della legge di gara impugnate dalla società.
9. Vanno, pertanto, respinte, per ragioni analoghe a quelle sopra esposte, anche le ulteriori doglianze formulate dall’appellante avverso le statuizioni della sentenza che hanno dichiarato l’inammissibilità per difetto di interesse del secondo motivo del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.
9.1. Infatti, come condivisibilmente rilevato dal primo giudice, se, per un verso, alcun pregiudizio potrebbe derivare alla società dalle previsioni della lex specialis che hanno differito (evidentemente, proprio in un’ottica, opposta a quella prospettata dall’appellante, di favorire la massima partecipazione delle imprese concorrenti) l’esame della certificazione di equivalenza e di omologazione del ricambio equivalente a valle dell’aggiudicazione ovvero prima della stipulazione del contratto anziché in sede di presentazione dell’offerta, per altro verso dal carattere non escludente delle clausole del capitolato, che hanno imposto oneri documentali pienamente legittimi, non poteva che discendere la declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse dei motivi aggiunti proposti avverso l’esclusione dalla gara e l’aggiudicazione alle controinteressate, contenenti esclusivamente censure in via derivata rispetto a quelle formulate avverso la lex specialis di gara.
10. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
11. Nondimeno, considerata la novità delle questioni, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate nella misura della metà, mentre per la residua parte seguono la soccombenza, secondo dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Guida alla lettura
Alla luce dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 26 aprile 2018, n. 4 (che ha richiamato propri precedenti in termini: 29 gennaio 2003, n. 1 e 17 aprile 2011, n. 4), le clausole non escludenti del bando vanno impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (aggiudicazione a terzi), considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto già stabilito dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice europea, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo.
L’elaborazione giurisprudenziale sul tema ha più volte chiarito che la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnarne l’esito (essendo titolare di una posizione differenziata) e che i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi a identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione. Le eccezioni, che impongono l’onere di immediata impugnazione, possono essere ricondotte alle ipotesi in cui (i) si contesti in radice l’indizione della gara, (ii) si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto affidamento in via diretta del contratto, (iii) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2019, n. 2732).
Devono, in altre parole, essere immediatamente impugnate le sole clausole escludenti o che impediscono la partecipazione alla gara e la presentazione di un’offerta.
Come riconosciuto dalla citata Adunanza plenaria n. 4 del 2018, la giurisprudenza ha poi fatto rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” anche le fattispecie di (a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale; (b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; (c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; (d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; (e) clausole impositive di obblighi contra ius; (f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come, ad esempio, quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbito dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di 0 pt.); (g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza non soggetti a ribasso (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2019, n. 2732; id., sez. III, 28 settembre 2020, n. 5705).
Caratteristica comune di tali ipotesi di eccezione - che pur sempre vanno correlate alla condizione soggettiva dell’interesse legittimo che si assume leso, pena l’ammettere in capo a un’impresa un’inammissibile azione “nell’interesse della legge”, cioè di diritto oggettivo - è la loro attitudine ad impedire, in modo oggettivo e macroscopico, a un normale operatore economico di formulare un’offerta corretta, ossia - in ultima analisi - di presentare la domanda di partecipazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 marzo 2019, n. 1736).
Il problema che occorre esaminare è, quindi, ai fini della valutazione di non manifesta irragionevolezza e incongruità della procedura sotto i profili strettamente economici, se sia possibile affermare che gli elementi posti a base di gara dalla stazione appaltante siano del tutto inidonei a consentire alle imprese partecipanti di formulare compiutamente delle offerte tali da garantire, compatibilmente con il grado di alea economica proprio dell’appalto, una possibilità di utile d’impresa.
Al riguardo, peraltro, va rammentato che l’ordinamento è orientato, con i contratti pubblici, non al supporto economico delle imprese in difficoltà economiche, ma all’acquisizione, in regime di concorrenza, dell’offerta più conveniente per l’amministrazione e rispondente ai parametri tecnici di cui la medesima necessita. Nel che è insito, naturalmente, un calcolo dei costi e dei ricavi che tende a contenere il margine di utile in termini competitivi. Che da questo, per un’impresa, possa derivare una minor “appetibilità” economica dell’appalto, è nella normalità delle cose e non rappresenta una generalizzata e oggettiva “barriera all’ingresso” del micro-mercato costituito dalla singola gara.
Resta dunque estraneo alla fattispecie eccezionale di clausola immediatamente escludente il caso di questioni attinenti la soggettiva opportunità economica di presentare un’offerta, in ragione del calcolo individuale di convenienza del singolo operatore economico legate alle sue strategie di impresa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 marzo 2019, n. 1736; T.A.R. Liguria, sez. I, 12 luglio 2019, n. 612).
In altre parole, perché sia configurabile l’effetto “escludente”, la previsione della lex specialis deve porre con immediata e oggettiva evidenza, nei confronti di tutti indistintamente gli operatori economici, l’astratta impossibilità per un qualsiasi operatore “medio” di formulare un’offerta economicamente sostenibile (ossia astrattamente idonea a produrre - pur nella normale alea contrattuale - un utile derivante dall’esecuzione del contratto).