Consiglio di Stato, sez. V, 25.01.2024 n. 807

Per contemperare l'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto con la libertà d'impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, deve consentirsi un’applicazione elastica e non rigida della clausola sociale di cui all’art. 50 del d. lgs. n. 50 del 2016 al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto.

 

 

                  N. 00807/2024 REG.PROV.COLL. 

  N. 07804/2023 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 7804 del 2023, proposto da Società Cooperativa Culture, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 94208581F6, rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Sandulli e Benedetto Cimino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Cultura e Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Cns - Consorzio nazionale servizi società cooperativa in proprio e quale mandataria del raggruppamento con M.I.D.A. Informatica s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gennaro Rocco Notarnicola, Aristide Police, Fabio Cintioli e David Astorre, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Aristide Police in Roma, viale Liegi, 32;

Primo Nomine consorzio stabile e Aditus s.r.l., non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 13442/2023, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della cultura, Consip s.p.a. e C.N.S. Consorzio nazionale servizi società cooperativa;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2024 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati Sandulli, Cimino, Notarnicola, Police, Cintioli, Astorre e dello Stato Gentile;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La controversia riguarda la gara per l’affidamento del servizio di biglietteria presso il Parco archeologico del Colosseo per conto del Ministero della cultura.

2. Società Cooperativa Culture ha adito il Tar Lazio - Roma per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, de:

- la determinazione di Consip S.p.a. di aggiudicazione definitiva, comunicata in data 30 marzo 2023;

- ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale e, nel dettaglio:

- il bando e i documenti di gara e, in particolare, la determina a contrarre, il disciplinare e il capitolato tecnico;

- i chiarimenti e, in particolare, le riposte a quesiti nn. 1, 2, 16, 21, 24, 39, 45, 47, 54, 59, 60, 63, 64, inerenti all’applicazione della c.d. clausola sociale;

- i verbali di gara e, in particolare, il verbale n. 22 del 25 gennaio 2023, nel quale la Commissione di gara attesta la corrispondenza del piano di assorbimento dell’aggiudicatario alla clausola sociale;

- la nota del Ministero della cultura, Parco Archeologico del Colosseo, n. 1339 dell’8 marzo 2023 indirizzata a Società Cooperativa Culture, recante “Comunicazione della cessazione dell’erogazione del servizio pubblico per la gestione dei servizi museali presso il Parco archeologico del Colosseo. Rettifica”;

- gli atti di programmazione della gara e, in particolare, la nota del 27 aprile 2022, recante “Integrazione giuridica ex art. 115, comma 4 del Codice dei Beni culturali, alla luce delle sentenze del Consiglio di Stato” e la nota del 10 maggio 2022, recante “Progetto di gestione dei servizi di biglietteria per il pubblico. La visione del Parco”.

3. Con motivi aggiunti la ricorrente ha altresì gravato l’“aggiudicazione definitiva efficace” della gara, comunicata da Consip con nota 26 aprile 2023.

4. Il Tar, con sentenza 25 agosto 2023 n. 13442, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti.

5. Società Cooperativa Culture ha appellato la sentenza con ricorso n. 7804 del 2023.

6. Nel corso del giudizio di appello si sono costituiti il Ministero della cultura, Consip s.p.a. e C.N.S. Consorzio nazionale servizi società cooperativa.

7. All’udienza del 18 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

8. L’appello è infondato.

9. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar non ha accolto il primo motivo del ricorso, teso all’annullamento dell’aggiudicazione, contestando l’ammissione delle offerte delle prime graduate per violazione dell’obbligo di riassorbimento imposto dalla legge e dalla contrattazione collettiva, e “alternativamente, illegittimità dell’art. 26 del Disciplinare di gara”. In particolare, il Tar avrebbe errato nell’individuare il ccnl applicabile.

A fronte dei 181 dipendenti interessati dal cambio d’appalto, le società concorrenti avrebbero sottodimensionato i riassorbimenti, a cominciare dal raggruppamento aggiudicatario, che ha proposto di assorbirne 73 su 181.

9.1. Il motivo è infondato.

L’infondatezza del motivo esime il Collegio dal valutare, anche in rito, le eccezioni di inammissibilità dello stesso (mancato superamento della prova di resistenza nei riguardi di tutti i tre precedenti concorrenti in graduatoria), se non nei limiti su cui infra, relativi alla posizione del secondo e terzo classificato nella graduatoria della gara controversa.

9.2. Si premette che la legge della gara de quo prevede l’esclusione del concorrente in caso di omessa presentazione del piano di assorbimento del personale, non anche in ragione del contenuto (in tesi) non satisfattivo dello stesso.

Ai sensi dell’art. 17 del disciplinare, infatti, “La mancata presentazione del Piano di Assorbimento, anche a seguito dell’eventuale attivazione del soccorso istruttorio, determina l’esclusione dalla gara”.

La censura mossa dall’appellante, in quanto volta a sindacare il contenuto del piano, non è quindi conducente in termini di esclusione del concorrente.

Né ha riflessi sul punteggio ottenuto dai concorrenti. Il piano di assorbimento attiene infatti all’offerta economica (art. 17 del disciplinare) ma non contribuisce all’ottenimento del punteggio (art. 18.3 del disciplinare), in coerenza con la previsione della rilevanza (escludente) della sola mancata presentazione del piano, né partecipa evidentemente allo scrutinio riservato all’offerta tecnica.

9.3. In ogni caso si osserva quanto segue.

Ai sensi dell’art. 26 del disciplinare di gara “Al fine di promuovere la stabilità occupazionale nel rispetto dei principi dell'Unione Europea, e ferma restando la necessaria armonizzazione con l’organizzazione dell’operatore economico subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto, l’aggiudicatario del contratto di appalto, limitatamente ai servizi di biglietteria, contact center, controllo accessi, è tenuto ad assorbire prioritariamente nel proprio organico il personale già operante alle dipendenze del fornitore uscente, come previsto dall’articolo 50 del Codice, e secondo i termini e le condizioni stabilite nelle Linee Guida ANAC n. 13 del 13.2.2019.

Ai sensi del combinato disposto del sopra richiamato art. 50 e dell’art. 51 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il CCNL applicabile ai fini della clausola sociale è il CCNL Servizi di pulizia e servizi integrati/Multiservizi.

Resta, in ogni caso, ferma l’applicazione, ove più favorevole, della clausola sociale prevista dal contratto collettivo nazionale prescelto dall’aggiudicatario del contratto.

Ai fini dell’applicazione della clausola sociale si considera il personale del fornitore uscente calcolato come media del personale impiegato nei 6 mesi precedenti la data di pubblicazione del Bando della presente procedura”.

La clausola sociale de quo delinea quindi, da un lato, la finalità della stessa e, dall’altro lato, la sottopone all’“armonizzazione con l’organizzazione dell’operatore economico subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto”.

Il grado di vincolatività della clausola sociale si desume dalla regola di compatibilità espressamente declinata nel disciplinare, che richiede l’armonizzazione con l’organizzazione aziendale, rendendola attuabile con elasticità, in ragione appunto delle prerogative imprenditoriali.

Detto grado di vincolatività trova conforto nell’oggetto dell’obbligo imposto al gestore subentrante, di “assorbire prioritariamente nel proprio organico il personale già operante alle dipendenze del fornitore uscente”. L’uso dell’avverbio “prioritariamente” sta proprio a significare che l’esigenza di assumere personale deve essere soddisfatta attingendo prioritariamente al personale alle dipendenze del gestore uscente, non obbligando invece ad acquisire personale proveniente dal gestore uscente se non necessario, così declinando l’obbligo in modo da renderlo compatibile con le scelte organizzative dell’impresa.

L’elasticità che connota l’obbligo contenuto nella clausola sociale di cui all’art. 26 del disciplinare non impone quindi, a carico dell’affidatario della gara qui controversa, la riassunzione di tutta la forza lavoro utilizzata dal gestore uscente.

La considerazione trova conferma nell’ultimo periodo dell’art. 26 del disciplinare, laddove si individua, sulla falsariga di quanto previsto dall’Anac con le Linee guida n. 13, il parametro di applicazione della clausola sociale non nel personale impiegato dal gestore uscente prima del cambio d’appalto ma nel “personale del fornitore uscente calcolato come media del personale impiegato nei 6 mesi precedenti la data di pubblicazione del Bando della presente procedura”, non potendo escludersi quindi il caso in cui vi siano lavoratori alle dipendenze del fornitore uscente che non rientrino nel novero della media calcolata sul semestre precedente alla pubblicazione del bando.

La stazione appaltante ha confermato l’elasticità della clausola sociale di cui all’art. 26 del disciplinare rispondendo ai chiarimenti.

In particolare, con riferimento ai chiarimenti qui gravati, con la risposta fornita al chiarimento n. 1 si evidenzia l’elasticità della clausola (“l’applicazione della clausola sociale non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, dovendo tale obbligo essere armonizzato con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario”), così come con la risposta al quesito n. 2 (che rimanda al quesito n. 1), con la risposta al quesito n. 16 (“dalla clausola sociale non può derivare un obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata”), con la risposta al quesito n. 21 (cui rimanda anche la pure impugnata risposta al quesito n. 64) e al quesito n. 45 (che rimandano al quesito n. 1), con la risposta al quesito n. 54 e al quesito n. 60 (che rimanda al quesito n. 1, 2 e 21) e con la risposta al quesito n. 63 non si smentisce il carattere flessibile della clausola sociale enunciato nella domanda (mentre la pure impugnata risposta al quesito n. 24 non ha contenuto limitandosi ad affermare che “Tali dati non sono nella disponibilità dell’Amministrazione”, mentre la pure impugnata risposta al quesito n. 47 riguarda il paragrafo 6 pag. 41 del Capitolato Tecnico, per quanto concerne la “componente base dei contatti annui”, e la pure impugnata risposta al quesito n. 59 riguarda la conoscenza delle lingue straniere).

Anche con il chiarimento n. 39 la stazione appaltante ha confermato l’interpretazione proposta, in merito all’insussistenza dell’obbligo di riassorbimento del personale in questione laddove il concorrente sia già in possesso di una propria struttura in grado di gestire autonomamente tale funzionalità, così declinando l’obbligo in modo da renderlo compatibile con le esigenze imprenditoriali.

La clausola sociale contenuta nella legge della gara qui controversa, interpretata dei termini anzidetti, si pone in linea con la normativa e la giurisprudenza di riferimento, così non recando profili di invalidità.

L’art. 26 del disciplinare costituisce infatti attuazione dell’art. 50 del d. lgs. n. 50 del 2016, in base al quale “i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l'applicazione da parte dell'aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.

È consolidato l’orientamento in base al quale deve consentirsi un'applicazione elastica e non rigida della clausola sociale di cui all’art. 50 del d. lgs. n. 50 del 2016, per contemperare l'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto con la libertà d'impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto (Cons. St., sez. V, 1 agosto 2023 n. 7444).

Le stesse Linee Guida Anac n. 13 prevedono che “il riassorbimento del personale è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione definita dal nuovo assuntore”.

Detta interpretazione della clausola sociale è conforme ai principi nazionali ed eurounitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza.

La clausola sociale di assorbimento opera nell'ipotesi di cessazione d'appalto e subentro di imprese o società appaltatrici e risponde all'esigenza di assicurare la continuità dell'occupazione nel caso di discontinuità dell'affidatario.

L’effetto della stessa è quello di condizionare la libertà economica e i principi dell'economia di mercato al fine di perseguire interessi socialmente rilevanti, come il diritto al lavoro.

La Costituzione italiana esordisce affermando che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art. 1), cui si accompagnano le disposizioni costituzionali che si occupano di lavoro, fra le quali gli artt. 35 e 36.

D’altro canto, l’art. 41 Cost., norma base della Costituzione economica, sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata sia pur condizionandola a che essa non si svolga in contrasto con l'utilità sociale o a danno della sicurezza, della libertà o della dignità umana (comma 2). Essa non riserva un’espressa attenzione alla concorrenza, con la conseguenza di renderla un riflesso del riconoscimento della libertà di iniziativa economica individuale.

L’esplicita menzione della concorrenza nel testo costituzionale si trova, a seguito della riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, nell’attribuzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato della “tutela della concorrenza” (art. 117 comma 2 lett. e).

Ma è attraverso la normativa eurounitaria, che trova ingresso nell’ordinamento italiano attraverso l’art. 11 Cost., che la concorrenza ha assunto il rilievo attualmente attribuitole.

Nel contesto costituzionale si richiede, al fine di legittimare il modello regolativo delle clausole sociali, l'armonizzazione e il bilanciamento dei diritti sociali con le libertà economiche.

Già nella prospettiva costituzionale, nella quale la stessa norma chiave sulla libertà economica funzionalizza quest’ultima all’utilità sociale, la clausola sociale è ritenuta avente una portata elastica, condizionata al giudizio di compatibilità delle scelte organizzative degli operatori economici, così da evitare il sacrificio totale delle esigenze (organizzative) imprenditoriali, che comporterebbe il venir meno del nucleo distintivo dell’attività imprenditoriale, appunto l’organizzazione a proprio rischio (e quindi a propria scelta) di mezzi e risorse.

Le esigenze di bilanciamento fra diritti costituzionalmente protetti impediscono quindi di attribuire alle prerogative dei lavoratori una valenza assoluta, dovendo essere contemperate con altre esigenze di tutela, pure costituzionalmente garantite. In tale prospettiva la clausola sociale, perseguendo la prioritaria finalità di garantire la continuità dell'occupazione in favore dei medesimi lavoratori già impiegati dall'impresa uscente nell'esecuzione dell'appalto, risulta costituzionalmente legittima, quale forma di tutela occupazionale ed espressione del diritto al lavoro (art. 35 Cost.), se si contempera con le prerogative di organizzazione imprenditoriale che costituiscono espressione di quella libertà di impresa pure tutelata dall'art. 41 Cost.

Le due pronunce più rilevanti della Corte costituzionale sono la sentenza n. 226 del 1998 e la n. 68 del 2011, con le quali la Corte ha sancito la compatibilità con i principi costituzionali sia delle clausole di tutela del reddito (prima tipologia di clausole sociali, che trovano fonte nell'art. 357 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F), che di continuità occupazionale.

Nella pronuncia più risalente la Corte costituzionale ha chiarito che la clausola sociale, da una parte, risponde all'”esigenza ― laddove nell'esercizio dell'attività imprenditoriale intervenga la PA ― di garantire uno standard minimo di tutela ai lavoratori coinvolti” e, dall'altra, riconosce che si persegue una “miglior realizzazione dell'interesse pubblico, secondo i principi della concorrenza tra imprenditori (per ottenere la Pubblica amministrazione le condizioni più favorevoli) e dalla parità di trattamento dei concorrenti della gara (per assicurare il miglior risultato della procedura concorsuale senza alterazioni e/o trattative)” (Corte cost. 19 giugno 1998 n. 226).

La Consulta ha poi legittimato l'inserimento nei bandi di gara anche delle clausole sociali di seconda generazione, che perseguono finalità di stabilità occupazionale, gravando l'appaltatore subentrante dell'obbligo di assorbire, per quanto possibile, il personale dipendente (Corte cost. 3 marzo 2011 n. 68).

E che la clausola sociale non crei un vincolo assoluto a carico dell’imprenditore subentrante è evidente dalla pronuncia di illegittimità costituzionale da ultimo richiamata che fonda la decisione sulla considerazione che “la stabilizzazione di personale della precedente impresa o società affidataria dell’appalto” sia prescritta “senza alcuna forma selettiva”, cioè in modo automatico.

La cornice nella quale sono state rese dette pronunce è quella di bilanciamento delle tutele sociali non solo con le libertà economiche (“minore apertura dei servizi alla concorrenza”, così la sentenza n. 68 del 2011) ma anche con le prerogative pubblicistiche di buon andamento dell’attività amministrativa, considerando “il maggior onere derivante dall’obbligo posto all’affidatario di assumere «a tempo indeterminato» il personale già utilizzato” (sentenza n. 68 del 2011).

Detta ultima prospettiva finisce per intercettare il tema della stessa soddisfazione delle esigenze della collettività di riferimento, non ultime quelle attinenti ai diritti fondamentali della persona, con una prospettiva di bilanciamento che vede confrontarsi i diritti sociali con i diritti più tipicamente personali, che si pongono nel novero dei principi costituzionali di più alto rango. E ciò in quanto il costo della commessa pubblica, anche dal punto di vista della manodopera, viene retribuito dall’Amministrazione, che non può accollarsi, in ragione del principio di buon andamento e, per esso, delle esigenze correlate alla scarsità di risorse a disposizione per lo svolgimento delle funzioni pubbliche, nei termini in cui corrispondono a costi non necessari per lo svolgimento della commessa, supportati dalle sole esigenze di tutela occupazionale.

In tale ultima prospettiva le clausole sociali di assorbimento del personale da parte del gestore entrante richiedono di essere applicate in ragione delle effettive esigenze connesse alla commessa pubblica.

In tal modo il grado elastico di vincolatività della clausola sociale di assorbimento del personale si fonda non solo sul bilanciamento delle tutele del lavoro con l’art. 41 Cost. ma anche sul principio, tipicamente pubblicistico, di buon andamento dell’azione amministrativa.

La latitudine applicativa degli obblighi connessi alla clausola sociale, come sopra delineata, trova conferma nella normativa e nella giurisprudenza eurounitaria, in una prospettiva quindi tipicamente concorrenziale (art. 3 TFUE) e di implementazione del mercato interno (art. 2 TFUE).

Al contrario, le esigenze dell’Amministrazione quale centro di spesa, che ha interesse a spendere nel modo più efficiente possibile le proprie risorse e a ottenere la migliore prestazione, permea l’intera disciplina della contrattualistica pubblica ma viene in evidenza soprattutto nell’ambito della normativa interna allo Stato membro, pur essendo coinvolte dalla disciplina eurounitaria sui contratti pubblici, che infatti richiama la nozione, tipica della disciplina nazionale di stampo contabilistico, di accrescimento dell’“efficienza della spesa pubblica” e di “uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici” (considerando 2 della direttiva n. 2014/24/UE)

L’Unione europea infatti, fin dall’origine, ha avuto come obiettivo preminente il buon funzionamento del mercato e la tutela della concorrenza e della libertà d’impresa. Il riconoscimento, nei Trattati istituitivi, della libertà di circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, il divieto di aiuti pubblici alle imprese e la previsione di una articolata disciplina a tutela della concorrenza, riconosce alla libertà di iniziativa economica privata un ruolo centrale nell’ordinamento europeo, considerati i settori attribuiti allo stesso, e quindi nel rispetto delle competenze proprie dei singoli Stati membri e dei controlimiti.

Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il cui valore giuridico, lo stesso dei Trattati, è attualmente (a seguito dell’approvazione del Trattato di Lisbona, avvenuta il primo dicembre 2009) sancito dall’art. 1 del TUE, contempla quali principi fondamentali la libertà d’impresa e la tutela dei consumatori.

In una prospettiva in cui risulta rilevante la prospettiva imprenditoriale e di mercato, rispetto ai diritti sociali dei lavoratori, la Corte di giustizia, con le sentenze Commissione c. Repubblica Italiana (CGUE 9 dicembre 2004, C-460/02) e Commissione c. Repubblica federale di Germania (CGUE 14 luglio 2005, C-386/03), concernenti il recepimento nei rispettivi paesi dell'art. 6 della direttiva 1996/67/CE riguardante il mercato aeroportuale, ha dichiarato le clausole sociali italiane e tedesche di passaggio del personale dipendente dal precedente gestore del servizio al soggetto subentrante (adottate sulla base dell'art. 18 della Direttiva che consente agli stati membri di “adottare le misure necessarie per garantire la tutela dei diritti dei lavoratori”) in contrasto con le finalità della Direttiva 96/67/CE in quanto incongrue e sproporzionate. A parere della Corte l’automatica stabilizzazione imposta ai nuovi concorrenti dalle clausole contestate rende oltremodo difficile l’accesso ai mercati di assistenza a terra di nuovi prestatori di servizi, mette in discussione l’uso razionale delle infrastrutture aeroportuali e la riduzione dei costi dei servizi implicati per gli utenti, nuoce all'effetto utile della direttiva e ne pregiudica le finalità, compromettendo l'apertura dei “mercati interessati e la creazione di condizioni adeguate in vista di una concorrenza intracomunitaria” nel settore.

Nella sentenza Viking, la Corte ha affermato che la tutela dei lavoratori costituisce un legittimo interesse in grado di giustificare, in linea di principio, una restrizione di una libertà fondamentale e che l’obiettivo della tutela e del miglioramento delle condizioni di lavoro rappresenta una ragione imperativa di interesse generale, ma ha aggiunto che per considerare giustificata l’azione collettiva occorre che essa sia effettivamente connessa all’obiettivo di tutela, adeguata per raggiungere l’obiettivo e proporzionata (CGUE, Grande sezione, 11 dicembre 2007, C-438/05).

Nel caso Rüffert la Corte di Giustizia ha ritenuto violato l’art. 49 TCE da quella disciplina che comporta oneri economici supplementari per le imprese di quei Paesi membri che hanno un diverso (più basso) regime di tutela a favore dei lavoratori perché determina una restrizione della libera prestazione dei servizi ingiustificata (CGUE, sez. II, 3 aprile 2008, C-346/06).

La Corte pertanto ha composto il rapporto tra diritti sociali e libertà economiche attribuendo una rilevanza alle prime.

In tale contesto la direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE, abrogando la precedente direttiva 2004/18/CE, ha introdotto specifiche norme a garanzia dei lavoratori.

In particolare, l’art. 18 della direttiva 2014/24/UE, intitolato “Principi per l’aggiudicazione degli appalti”, stabilisce che gli Stati membri adottino “misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro, stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi e da disposizioni transnazionali” (par. 2).

Una particolare attenzione alle ragioni di tutela del lavoro è confermata dall'art. 70, con il quale il legislatore europeo ha sancito la possibilità di introdurre clausole sociali (“Le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere condizioni particolari in merito all'esecuzione dell'appalto, purché collegate all'oggetto dell'appalto ai sensi dell'articolo 67, paragrafo 3, e indicate nell'avviso di indizione di una gara o nei documenti di gara. Dette condizioni possono comprendere considerazioni economiche, legate all'innovazione, di ordine ambientale, sociale o relative all'occupazione”).

Le novità più rilevanti, rispetto alla previgente disciplina, sono l’eliminazione della necessaria verifica di compatibilità di tali clausole con il diritto europeo, con la conseguente evidenziazione della compatibilità dell'istituto con l’ordinamento europeo, e l’esplicito riferimento alla possibilità di tutelare, oltre al reddito dei lavoratori, la continuità dell'occupazione.

Il modificato quadro normativo, se legittima il modello regolativo delle clausole sociali, lo fa nel rispetto delle prerogative concorrenziali e del mercato (e quindi imprenditoriali), e comunque compatibilmente alle scelte del legislatore nazionale, intestatario delle attribuzioni relative ai diritti sociali e di organizzazione delle funzioni pubbliche.

Il diritto comunitario non osta a che gli stati membri estendano l'applicazione delle loro leggi o dei contratti collettivi di lavoro stipulati tra le parti sociali a chiunque svolga un lavoro subordinato, anche temporaneo, nel territorio, indipendentemente dal paese in cui è stabilito il datore di lavoro”, purché tali norme siano applicate secondo i principi di parità di trattamento e non discriminazione (COM/2003/0458)

L’impostazione, che premia la tutela delle esigenze sociali, compatibilmente con le prerogative di mercato, risulta anche da altri aspetti della disciplina eurounitaria sulla contrattualistica pubblica.

Infatti, la necessità di assicurare in modo adeguato il rispetto degli obblighi previsti dall’art. 18 par. 2 della direttiva 2014/24/UE non ha impedito di configurare il motivo di esclusione previsto dall’art. par. 4 lett. a) di detta direttiva, relativo, fra l’altro, alle violazioni del diritto del lavoro, in termini di causa di esclusione facoltativa, e non obbligatoria (CGUE, sez. II, 30 gennaio 2020, n. C-395/18). E ciò anche alla luce del considerando 101 della direttiva stessa, da cui risulta che le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si siano dimostrati inaffidabili a causa di violazioni di obblighi ambientali o sociali.

Nel rispetto del (delicato) equilibrio fra esigenze del mercato (e della concorrenza per il mercato) e esigenze di tutela sociale, rispetto alla clausola di assorbimento l’impostazione eurounitaria premia le decisioni dei singoli Stati membri, così derivando che la stessa è caratterizzata dal trattamento (sopra richiamato) che l’ordinamento italiano le riserva.

Dalla disciplina e dalla giurisprudenza eurounitaria non discende quindi il disconoscimento del carattere elastico delle clausole sociali, rispetto al trattamento che ricevono nell’ordinamento italiano.

Pertanto, la clausola sociale di cui all’art. 26 del disciplinare non presenta profili di non conformità con l’ordinamento giuridico, nei termini sopra illustrati.

In detta prospettiva si colloca il richiamo della clausola sociale contenuta nel ccnl, che l’art. 26 del disciplinare ritiene applicabile ai fini della clausola sociale, cioè “il CCNL Servizi di pulizia e servizi integrati/Multiservizi”, con la precisazione che “Resta, in ogni caso, ferma l’applicazione, ove più favorevole, della clausola sociale prevista dal contratto collettivo nazionale prescelto dall’aggiudicatario del contratto”.

Secondo un primo orientamento il carattere elastico della clausola sociale deve essere assicurato in modo indipendente dalla fonte dell’obbligo di assorbimento di cui alla clausola sociale e quindi prescindendo dal contenuto specifico del ccnl: “La c.d. "clausola sociale", qualunque sia la fonte da cui derivi, e quindi anche ove prevista dal CCNL, dev'essere armonizzata con l'organizzazione aziendale dell'imprenditore subentrante”. E ciò in quanto la libertà di iniziativa economica implica, di necessità, che a ciascun imprenditore sia consentito, nei limiti segnati dall'ordinamento, di organizzare la propria impresa come meglio ritiene, opponendosi a “un’interpretazione delle clausole di riassorbimento che sia tale da compromettere la detta prerogativa e che privilegi invece una scelta fatta a monte, sia anche appunto in sede di contrattazione collettiva, inevitabilmente generalizzata ed avulsa dal contesto specifico della singola organizzazione aziendale” (Cons. St., sez. V, 17 gennaio 2018 n. 272).

Nondimeno la Commissione speciale del Consiglio di Stato, nell’esprimere il parere sulle Linee guida dell’Anac n. 13, ha ritenuto che “il rapporto fra la disciplina della clausola sociale in esame e clausole di analogo contenuto che possono essere contenute nei contratti collettivi va affrontato tenendo presente il principio più volte ricordato, per cui la clausola in questione va applicata nel rispetto del tipo di organizzazione aziendale prescelto dall’imprenditore subentrante”.

In tale contesto ha ritenuto che “il contratto collettivo che un imprenditore abbia eventualmente sottoscritto rappresenta senz’altro un aspetto, certo non secondario, della sua organizzazione aziendale, dato che esso contiene le condizioni alle quali egli ha scelto di impiegare il personale alle sue dipendenze, e per inciso, di sopportare i relativi costi” (26 ottobre 2018 n. 2703 e Cons. St., sez. V, 12 settembre 2019 n. 6148).

In detta ultima prospettiva la clausola sociale contenuta nel ccnl sottoscritto dal concorrente, anche se (in tesi) contenente un vincolo non elastico di assorbimento del personale, è espressione delle facoltà organizzative dell’imprenditore, così superando i profili di bilanciamento con le libertà economiche di cui all’art. 41 Cost.

Residuano comunque i rilievi di compatibilità di una siffatta clausola sociale con le sopra illustrate prerogative pubblicistiche di buon andamento dell’attività amministrativa, cui comunque rispondono le procedure a evidenza pubblica.

In ogni caso, anche considerando tale prospettiva, nel caso di specie lo stesso contenuto dell’obbligo convenzionale, per come declinato nel contratto collettivo, è formulato in termini elastici. E ciò anche a ritenere applicabile, come emerge dal verbale 11 dicembre 2023 e come ha dedotto l’appellante censurando il Tar, il ccnl multiservizi Confindustria-Confederali.

In base all’art. 4 di detto ccnl, in caso di avvicendamene nella gestione del servizio, “possono verificarsi 2 casi:

a) in caso di cessazione di appalto a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali l’impresa subentrante si impegna a garantire l’assunzione senza periodo di prova degli addetti esistenti in organico sull’appalto risultanti da documentazione probante che lo determini almeno 4 mesi prima della cessazione stessa, salvo casi particolari quali dimissioni, pensionamenti, decessi;

b) in caso di cessazione di appalto con modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali, l’impresa subentrante - ancorché sia la stessa che già gestiva il servizio - sarà convocata presso l’Associazione territoriale cui conferisce mandato, o in assenza presso la Direzione Provinciale del Lavoro o eventuale analoga istituzione territoriale competente, ove possibile nei 15 giorni precedenti con la rappresentanza sindacale aziendale e le Organizzazioni sindacali stipulanti territorialmente competenti per un esame della situazione, al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro nell’ambito dell’attività dell’impresa ovvero a strumenti quali part-time, riduzione orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative, mobilità”.

Il caso di specie rientra nella seconda categoria di subentro, quella di cui alla lett. b), così consentendo un’applicazione elastica della clausola sociale, nei termini indicati.

Infatti, la sussunzione del caso di specie nell’ambito applicativo della lett. a) dell’art. 4 del ccnl si fonda sul fatto che il nuovo contratto sia connotato da “parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali” rispetto al precedente, che altrimenti si ricade nell’ambito applicativo della lett. b) dello stesso articolo.

La ratio della disposizione è infatti quella di assicurata il riassorbimento di tutto il personale nel caso in cui la continuità nell’esecuzione del contratto sia tale da potersi ritenere che le scelte imprenditoriali sul personale necessario a adempiere all’obbligazione siano già state compiute.

Laddove invece il cambio d’appalto comporti delle modifiche, è assicurata all’imprenditore la possibilità di autodeterminarsi, nei termini indicati.

Nel caso di specie l’avvicendamento nella gestione del servizio è avvenuto nel contesto di una rilevante modifica delle prestazioni contrattuali, in quanto la gara controversa ha riguardo solo ad alcuni dei servizi espletati dal gestore uscente e non si riferisce ai medesimi siti oggetto del precedente affidamento.

L’oggetto dell’appalto è definito come l’insieme delle “attività che compongono l’unico servizio oggetto di gara”, indicato nel servizio di biglietteria, inteso come comprensivo dei “servizi di biglietteria, contact center e controllo degli accessi” (art. 4 del disciplinare).

Lo stesso appellante ha affermato che “il nuovo appalto concerne i soli servizi di biglietteria, controllo accessi e call center, senza ricomprendere i servizi culturali (didattica e libreria)”, invece oggetto del precedente affidamento (pag. 21 del ricorso in appello). L’Amministrazione ha affermato che “i servizi di libreria e attività didattiche non sono oggetto dell’affidamento in esame (rientrando invece nel perimetro della vecchia concessione)”, pertanto “alcune attività oggetto della vecchia concessione non rientrano nell’oggetto dell’affidamento in corso”.

L’Amministrazione ha poi aggiunto che “i servizi di biglietteria e controllo accessi (oltre naturalmente al call center), per quanto di interesse, erano erogati nell’ambito della vecchia concessione (e sono tutt’ora erogati in forza delle varie proroghe temporali della concessione medesima)”, dando atto della modifica dell’oggetto dell’appalto.

La circostanza è ammessa dalla stessa parte appellante con nota 8 settembre 2022 (firmata da altra società facente parte del raggruppamento cui appartiene l’appellante, per conto di tutto il raggruppamento), laddove si legge che l’“architettura di gara si pone “in netta discontinuità” rispetto al precedente modello concessorio integrato tra tutti i servizi in quanto ““l’attuale progetto di gara ridimensiona notevolmente i servizi oggetto di affidamento, per tipologia e per Siti ove verranno espletati”. Nell’occasione viene precisato che:

- “solo avendo riguardo al servizio di biglietteria, lo stesso è stato del tutto innovato nel dimensionamento e nelle modalità di esecuzione”;

- “pur ove venisse, come certamente verrà prevista, una apposta clausola sociale a tutela della continuità lavorativa dei tanti lavoratori attualmente impiegati (pari ad un complessivo numero di 230 lavoratori) in ottemperanza agli artt. 30 e 50 del codice dei contratti pubblici, la stessa autorizzerà il futuro aggiudicatario della gara ad assorbire il personale nei limiti del mutato assetto prestazionale del servizio e compatibilmente con la propria organizzazione aziendale”;

- “si stima che le mutate condizioni del servizio da affidare renderanno “candidabili” ad un possibile “cambio appalto” un numero di lavoratori pari a nemmeno il 50% dell’attuale forza lavoro impiegata”.

Del resto, è lo stesso perimetro del contratto in gara, relativo al solo servizio di biglietteria, così come definito nella legge di gara e nei termini già richiamati, a far ritenere che il contratto affidando non contenga gli stessi “termini, modalità e prestazioni contrattuali” del precedente, così venendo meno il presupposto di applicabilità della lett. a) dell’art. 4 del ccnl multiservizi Confindustria-Confederali.

La circostanza, relativa al diverso ambito del servizio affidando (rispetto al precedente), si desume anche dall’allegato 14 al disciplinare, nel quale sono quantificati nel numero di 230 i dipendenti interessati dalla clausola sociale, e non nei 181 rispetto ai quali l’appellante argomenta il rispetto, o meno, dell’obbligo di assorbimento. Ciò rende evidente come sia lo stesso appellante a ritenere che l’appalto qui controverso abbia un diverso (e ridotto) ambito applicativo, tale da dover riperimetrare il personale passibile di essere assorbito dal gestore entrante.

In tale prospettiva non rilevano gli sforzi dell’appellante, anche attraverso la relazione peritale depositata in primo grado, volti a individuare il solo perimetro relativo “ai servizi ed ai siti interessati dalla gara d’appalto in esame” e al “personale attualmente impiegato specificatamente nell’esecuzione dei servizi oggetto di gara”, così pretendendo di valutare la continuità contrattuale alla base della lett. a) dell’art. 4 del ccnl solo rispetto a essi.

Detti sforzi, peraltro, presuppongono proprio la constatazione che l’oggetto del servizio in gara è modificato, peraltro in modo rilevante, come evincibile dal fatto che il personale passibile di assorbimento è quantificato dall’appellante in 181 dipendenti, in luogo dei 230 impiegati nel precedente appalto.

Non sono quindi dirimenti le considerazioni volte a evidenziare come il servizio di biglietteria (così come definito dall’art. 4 del disciplinare) in sé considerato, non abbia subito rilevanti modifiche, nell’ambito di un cambio d’appalto che ha visto la riduzione delle attività affidate. E ciò anche considerando il fatto che l’orario e le postazioni relative al servizio di biglietteria e al servizio di controllo accessi non siano state modificate nel cambio d’appalto (rispettivamente 12 e 28 secondo la relazione peritale), comunque distribuite su un numero diverso di siti, con necessarie conseguenze organizzative.

E’ sufficiente osservare, nella prospettiva della ratio che connota la distinzione fra i casi riconducibili alla lett. a) dell’art. 4 e i casi sussumibili nella successiva lett. b), la circostanza che il perimetro delle attività oggetto di affidamento sia diverso, così da richiedere una diversa organizzazione aziendale e una diversa considerazione dei costi e delle economie di scala che lo connotano (secondo la Corte di cassazione la sussunzione del cambio d’appalto nella lett. b) è condizionata dalla presenza di “significative ricadute sulle relative modalità di espletamento e quindi sulla organizzazione del lavoro”, così sez. lav., 22 aprile 2022 n. 12915).

Il caso di specie rientra quindi nella seconda categoria di subentro, quella di cui alla lett. b) dell’art. 4 del ccnl multiservizi Confindustria-Confederali, funzionale ad “armonizzare le mutate esigenze tecnico organizzative dell'appalto con il mantenimento del livello occupazionale".

Né osta a tale conclusione la circostanza che nel verbale 11 dicembre 2023, che dà conto dell’accordo sull’assorbimento del personale, si richiami la lett. a) dell’art. 4 del ccnl multiservizi Confindustria-Confederali.

L’accordo infatti riguarda l’assorbimento del solo personale elencato in allegato, che non coincide con il personale alle dipendenze del gestore uscente, oltre al fatto che si legge il riferimento, effettuato dopo avere indicato il personale da assumere e le condizioni di assunzione, alla “possibilità per le Cooperative subentranti di prevedere clausole elastiche nel rispetto della contrattazione collettiva”.

Atteso che vi è accordo su detti punti fra le parti firmatarie del verbale, fra le quali anche le organizzazioni sindacali, non può mettersi in dubbio che il cambio d’appalto sia previsto solo per una parte del personale alle dipendenze del gestore uscente, dal momento che detto contenuto del verbale è indicato per primo e costituisce il portato più rilevante dell’accordo, atteso che la conservazione, o meno, del posto di lavoro costituisce un dato rispetto al quale le condizioni di espletamento della prestazione lavorativa (tipologia di assunzione, orario, periodo di prova e altro) risultano meno incisive.

In tale contesto, il richiamo alla lett. a) dell’art. 4 del ccnl multiservizi Confindustria-Confederali (“il cambio di appalto è realizzato nell'integrale rispetto di quanto previsto dall'art. 4, lettera a), CCNL Multiservizi”) non può che intendersi rivolto alla previsione, contenuta nella lett. a), circa le modalità con le quali deve avvenire l’assunzione “senza periodo di prova”, come confermato espressamente dalla specificazione, che si legge nello stesso verbale, in base alla quale “le assunzioni avverranno senza apposizione del periodo di prova”.

Attesa la sussumibilità del caso di specie nella previsione di cui alla lett. b) dell’art. 4 del ccnl multiservizi Confindustria-Confederali, risulta non dirimente il richiamo dell’appellante alla sentenza della Corte di cassazione n. 12915 del 2022, in quanto la Corte conferma la sussistenza “dell'obbligo di assunzione per i dipendenti dell'impresa cessata, come previsto dalla clausola sub A)”, dopo avere escluso l’applicabilità al caso della lett. b) dell’art. 4 (Cass., sez. lav., 22 aprile 2022 n. 12915).

La lett. b) dell’art. 4 del ccnl multiservizi Confindustria-Confederali si limita a prevedere la convocazione dell’impresa subentrante presso la Direzione Provinciale del Lavoro o eventuale analoga istituzione territoriale competente “per un esame della situazione, al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro nell’ambito dell’attività dell’impresa ovvero a strumenti quali part-time, riduzione orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative, mobilità”, con previsione peraltro non difforme da quella contenuta nell’art. 53-ter del ccnl sottoscritto da Conflavoro PMI e Fesica-Confsal, tenuto in considerazione dal Tar (“in caso di cambio di appalto con modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali, l'impresa subentrante - ancorché sia la stessa che già gestiva il servizio - sarà convocata presso l'Associazione territoriale cui conferisce mandato, o in assenza presso la Direzione Provinciale del Lavoro o eventuale analoga istituzione territoriale competente, ove possibile nei 20 giorni precedenti con la rappresentanza sindacale aziendale e le Organizzazioni sindacali stipulanti territorialmente competenti per un esame della situazione, al fine di armonizzare, ove possibile, le mutate esigenze tecnico-organizzative dell'appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro nell'ambito dell'attività dell'impresa ovvero a strumenti quali part-time, riduzione orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative, mobilità”).

La previsione è tale che non solo non sussiste contrasto con la clausola sociale contenuta nell’art. 26 del disciplinare ma quest’ultima risulta addirittura più incisiva rispetto a quella contenuta nel ccnl, che focalizza l’attenzione sulla procedura di convocazione, individuando la finalità di questa nell’“armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali”. Nell’art. 26 invece l’obbligo fa riferimento diretto alla necessità di “assorbire prioritariamente nel proprio organico il personale già operante alle dipendenze del fornitore uscente”, seppur compatibilmente alle esigenze di organizzazione dell’impresa.

In ragione di quanto sopra risulta non conferente la censura volta a evidenziare il mancato assorbimento di tutte le 181 risorse da parte del raggruppamento aggiudicatario.

Pertanto il piano di riassorbimento dallo stesso presentato, nel prevedere l’assunzione di una parte e non della totalità del personale impiegato dal gestore uscente, risulta coerente rispetto alla disciplina della clausola sociale sopra richiamata

Né possono essere accolti i generici rilievi alla mancanza di “giustificazione, coerente con le previsioni del disciplinare e del contratto collettivo, in ordine all’abnorme abbattimento dei dipendenti attualmente in servizio che conserveranno il posto di lavoro” e di “eccezionali ragioni di ordine organizzativo o tecnico che possano legittimare – anzitutto sul piano lavoristico e, quindi, della contrattualistica pubblica – un così marcato sviamento dagli obbiettivi prioritari di salvaguardia occupazionale”.

Il piano di assorbimento presentato dal raggruppamento aggiudicatario contiene le informazioni richieste dal disciplinare, cioè “le concrete modalità di applicazione della clausola sociale, con particolare riferimento al numero dei lavoratori che beneficeranno della stessa e alla relativa proposta contrattuale (inquadramento e trattamento economico)” (così l’art. 26), dal momento che indica il numero degli addetti necessari per svolgere il servizio, l’inquadramento, il costo economico complessivo riferito al singolo servizio e il ccnl applicabile.

La stazione appaltante ha dato atto che il raggruppamento aggiudicatario ha “redatto il predetto Piano di assorbimento secondo le modalità indicate al paragrafo 26 del Disciplinare”, si è impegnato “compatibilmente con la propria organizzazione e le esigenze tecnico-organizzative previste nel nuovo contratto, ad assorbire prioritariamente […] il personale del fornitore uscente addetto ai servizi di biglietteria e controllo accessi” e “ha indicato in dettaglio il numero di risorse che beneficeranno della clausola sociale specificando per ciascuna figura professionale CCNL applicato, inquadramento e costo totale annuo” (verbale 22).

Essa, nel rendere tale valutazione, ha quindi espresso un giudizio positivo a seguito della verifica “nei confronti del concorrente risultato primo nella graduatoria di merito la rispondenza del Piano di assorbimento alla clausola sociale”, senza ritenere necessario esercitare il soccorso istruttorio ai sensi dell’art. 17 del disciplinare (“La mancata presentazione del Piano di Assorbimento, anche a seguito dell’eventuale attivazione del soccorso istruttorio, determina l’esclusione dalla gara”).

A fronte della valutazione della stazione appaltante in ordine alla plausibilità del numero di addetti necessari per eseguire il contratto, parametro al quale è ancorata la valutazione della stazione appaltante in ordine al contenuto del piano di assorbimento (non potendo viceversa la stessa perseguire finalità occupazionali prive di corrispondenza rispetto al servizio da svolgere), l’appellante non ha fornito sufficienti elementi per dubitare che il servizio non possa essere assicurato, limitandosi a contestare la mancanza di giustificazione in ordine al numero (in tesi ridotto) di personale da riassorbire e di eccezionali ragioni di ordine organizzativo o tecnico che possano legittimare le scelte occupazionali del concorrente, laddove, peraltro, non può richiedersi la sussistenza di eccezionali ragioni a fronte di scelte di organizzazione dell’attività che rientrano nella fisiologica gestione dell’impresa. A ciò si aggiunge che le valutazioni sul trattamento economico del personale assorbito, al quale si fa riferimento a pag. 15 del ricorso in appello, non sono di per sé dirimenti, né la mancata indicazione specifica dello stesso è accompagnata dalla previsione di qualche conseguenza negativa, né infine la stazione appaltante ha ritenuto di esercitare sul punto il soccorso istruttorio (previsto, con disposizione non impugnata, nell’art. 17 del disciplinare). E ciò anche in ragione del fatto che la conseguenza espulsiva è prevista solo in caso di mancata presentazione dello stesso. Del resto le valutazioni generali sul costo della manodopera sono compiute sulla base dei giustificativi, sicché non risulta a tal fine dirimente il contenuto del piano di assorbimento.

9.4. Quanto sopra comporta la reiezione anche della censura volta a riformare il capo della sentenza con il quale il Tar ha dichiarato parzialmente inammissibile il primo motivo di ricorso (“l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, è soltanto parziale”), nella parte in cui Società Cooperativa Culture ha contestato i piani di riassorbimento della seconda e terza classificata, che non sono scrutinati da parte dalla Commissione e rispetto ai quali difetta l’interesse, così come dedotto dalla controinteressata (“il riconoscimento dell’interesse ad impugnare l’esito della procedura è subordinato all’apprezzamento favorevole dei profili di censura articolati nei confronti di tutti e ciascuno i concorrenti che la precedono”) in ragione dell’infondatezza del motivo di ricorso con riferimento al raggruppamento aggiudicatario.

10. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar non ha accolto la domanda di annullamento dell’intera gara, per mancata adozione della “preventiva programmazione organica delle forme di gestione del sito, come imposto dagli artt. 115 e 117 del Codice dei beni culturali”.

10.1. Il motivo è infondato in quanto il corrispondente mezzo contenuto nel ricorso introduttivo è tardivo, oltre che infondato.

10.2. Le scelte di programmazione sono state compiute dall’Amministrazione mediante il provvedimento 27 aprile 2022, recante “Integrazione giuridica ex art. 115, comma 4, del Codice dei beni culturali, alla luce delle sentenze del Consiglio di Stato”, nonché con l’atto 10 maggio 2022, recante “Progetto di gestione dei servizi di biglietteria per il pubblico. La visione del Parco”.

Questi sono gli atti che hanno determinato l’impostazione della presente gara disponendo, da un lato, che la stessa fosse configurata in termini di appalto e avesse ad oggetto il solo servizio di bigliettazione e, dall’altro lato, che i servizi di valorizzazione fossero gestiti in via diretta dall’Amministrazione, restando esclusi dall’oggetto della gara.

Nel provvedimento 27 aprile 2022 si fa riferimento alla scelta della gara per la (sola) “gestione del servizio di biglietteria”, dopo l’annullamento degli atti della procedura volta ad affidare “i servizi museali integrati con il servizio di biglietteria”.

In tale prospettiva il documento “è volto ad esplicitare le motivazioni e i ragionamenti che hanno portato l’amministrazione del Parco archeologico del Colosseo a scegliere, tra internalizzazione ed esternalizzazione dei servizi, la forma di gestione con affidamento in appalto del servizio di biglietteria ex art. 115 comma 4 del d.lgs. n. 42/2004, unitamente ai servizi di controllo accesso e call center ad esso strettamente collegati e quindi non separabili”.

In tale atto l’Amministrazione manifesta l’intenzione di utilizzare “in tutti i casi in cui sia possibile la gestione diretta con proprie risorse dei servizi aggiuntivi e accessori”, avvalendosi dello strumento dell’appalto per gestire invece “i servizi non realizzabili con risorse interne/in house”, cioè il servizio di biglietteria così come definito nell’art. 4 del disciplinare di gara.

Nell’allegato alla nota 10 maggio 2022 si trova conferma della scelta compiuta e delle motivazioni alla base della stessa, il cui presupposto è che la concessione integrata di tutti i servizi aggiuntivi e del servizio di biglietteria “ha messo in evidenza diversi profili di criticità”.

Queste determinazioni hanno ricevuto attuazione con il bando di gara (che dagli atti risulta spedito il 3 ottobre 2022 e contenente un termine di presentazione delle offerte fissato nel 3 novembre 2022).

Anche a ritenere che parte appellante non fosse a conoscenza di detti documenti, in ogni caso la pubblicazione del bando l’ha necessariamente resa edotta della scelta effettuata dall’Amministrazione, onerando di impugnarla nel rispetto del termine di decadenza. Infatti le scelte di organizzazione dei servizi relativi alla gestione dei siti di rilevanza culturale da parte del Comune di Roma sono comunque emerse con l’avvio della procedura di gara.

Parte appellante avrebbe quindi dovuto contestare la scelta in seguito all’avvio della gara per il solo servizio di biglietteria, così come definito nell’art. 4 del disciplinare, la cui impugnazione è ammessa anche in caso di omessa partecipazione alla gara.

L’Adunanza plenaria ha infatti affermato che la legittimazione si riconosce, indipendentemente dalla presentazione dell’offerta, nel caso in cui “si contesti in radice l'indizione della gara” o “si contesti che una gara sia mancata”, ipotesi assimilabili a quella qui controversa, in cui si censura la scelta di non affidare tramite gara l’insieme dei servizi riguardanti il Parco del Colosseo (26 aprile 2018 n. 4).

In ogni caso, anche a ritenere che la legge di gara contenga unicamente “condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente”, l’Adunanza plenaria ne ha richiesto l’impugnazione immediata (26 aprile 2018 n. 4).

Il ricorso introduttivo, con il quale sono stati impugnati (anche) i suddetti atti, è stato notificato il 28 aprile 2023, a più di cinque mesi dal bando di gara.

10.2. Il secondo motivo contenuto nel ricorso introduttivo è quindi tardivo, come eccepito dalla controinteressata.

10.4. Lo stesso è altresì infondato.

10.5. Innanzitutto gli atti di gara non violano “l’obbligo di affidamento integrato dei servizi “aggiuntivi” e “strumentali”, chiaramente imposto dall’art. 117, comma 3, del Codice dei beni culturali” (così l’appellante).

L’art. 117 comma 3 del d. lgs. n. 42 del 2004, dopo le modifiche intervenute nel 2020 (art. 8 comma 7-bis lett. b) del d.l. n. 76 del 2020), dispone che “E' ammessa la stipulazione di contratti di appalto pubblico aventi ad oggetto uno o più servizi tra quelli di cui al comma 1 [ndr. di assistenza culturale] e uno o più tra i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria”.

L’appellante ha desunto dall’uso della congiunzione “e” che l’ordinamento non consenta lo scorporo assoluto fra servizi di assistenza culturale e servizi strumentali, dovendo essere affidati congiuntamente quanto meno un servizio di assistenza e un servizio strumentale.

Detta conclusione non è sostenibile.

La valorizzazione dei siti culturali, attuata tramite l’erogazione dei servizi di assistenza culturale, che si distinguono dai servizi strumentali (biglietteria vigilanza e pulizia), “rappresenta lo scopo centrale del sistema tracciato dal vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio, rispetto ai quali quelli di biglietteria e vigilanza assumono carattere meramente accessorio e strumentale (come chiarito dalla decisione di questa V Sezione, 7 dicembre 2017, n. 5773, di cui si chiede l’ottemperanza)” (Cons. St., sez. V, 16 marzo 2021 n. 2259).

In tale contesto, l’utilizzo della congiunzione “e” nell’ambito della formulazione dell’art. 117 comma 3 del d. lgs. n. 42 del 2004 è espressione delle modifiche intervenute nel 2020 (art. 8 comma 7-bis lett. b) del d.l. n. 76 del 2020), che hanno permesso di fare ricorso all’appalto non solo per i servizi strumentali, possibilità concessa anche in precedenza, ma anche per l’affidamento dei servizi di assistenza culturale, che invece sino a prima della suddetta novella erano affidabili all’esterno solo mediante il modulo concessorio.

Del resto, ritenere che il legislatore non consenta lo scorporo fra servizi di assistenza culturale e servizi strumentali, dovendo essere affidati congiuntamente quanto meno un servizio di assistenza e un servizio strumentale, non è conforme alla complessiva disciplina di settore.

L’art. 117 citato dispone che i servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico, di cui ai commi 1 e 2, “possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria” (comma 3 primo periodo). Dal che deriva quanto meno che i primi possono, innanzitutto, essere gestiti disgiuntamente dai secondi, che altrimenti il legislatore non avrebbe facoltizzato l’Amministrazione a gestirli in forma integrata con i servizi strumentali, ma l’avrebbe vincolata in tal senso, e questo tralasciando ogni considerazione in ordine all’opzione base prescelta dal legislatore, desumibile dalla formulazione letterale della disposizione, laddove è utilizzato il verso “possono”, che lascia intendere che la situazione base, o quantomeno più ricorrente, sia quella della gestione disgiunta dei vari servizi.

Non rileva pertanto, per sostenere che non sia appaltabile in modo separato il servizio di biglietteria, la constatazione che nulla disponga espressamente l’art. 117 sulla gestione dei soli servizi strumentali (pulizia, vigilanza e biglietteria), la cui possibilità di gestione autonoma (separata dai servizi più prettamente culturali) discende non solo, a contrariis, dal fatto che il legislatore ha previsto che i (connessi) servizi di assistenza culturale possano essere organizzati in modo indipendente dai servizi strumentali, ma anche dai principi generali, essendo servizi di interesse economico.

Con la sentenza Altmark del 2003, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la compensazione del servizio pubblico non costituisce aiuto di Stato se sussistono cumulativamente quattro condizioni, fra le quali (anche, per quanto di interesse in questa sede) lo svolgimento di una procedura di appalto pubblico, o, in alternativa, la remunerazione dei costi di un’impresa media, determinata nei limiti dell’efficienza, oltre alla definizione chiara degli obblighi di servizio pubblico, all’utilizzo di un metodo di calcolo della compensazione predeterminato, obiettivo e trasparente e a una quantificazione della stessa che non ecceda i costi pertinenti e un utile ragionevole e, per quanto di interesse in questa sede (CGUE 24 luglio 2003, C-280/00).

Sicché, risulta contrario ai principi generali, anche di derivazione eurounitaria, impedire che possano essere appaltati all’esterno, tramite gara, servizi di interesse generale come il servizio di biglietteria e gli altri servizi strumentali all’offerta culturale (vigilanza e pulizia).

Ne deriva che l’affidamento congiunto, all’esterno, dei servizi strumentali, quali quello di biglietteria, e dei servizi di assistenza culturale costituisce solo una delle opzioni a disposizione dell’Amministrazione.

La stessa giurisprudenza, laddove afferma che “Regola generale è che l'affidamento di servizi aggiuntivi di assistenza agli utenti costituisce, in principio, una figura di concessione di servizio pubblico, mentre l'esternalizzazione dei servizi complementari di biglietteria, pulizia e vigilanza dà luogo ad un appalto di servizi”, presuppone la facoltà di disgiungere le modalità di gestione del servizio di biglietteria dai servizi assistenza culturale (Cons. St., sez. V, 31 luglio 2020 n. 4869).

Ne deriva che, fatta salva la scelta di autorganizzazione (nel rispetto del principio di sussidiarietà), l’affidamento del servizio di biglietteria avviene affidando all’esterno lo stesso attraverso lo svolgimento di una gara pubblica, che garantisce la sussistenza dei presupposti della non qualificazione della spesa impegnata a tal fine in termini di aiuto di stato.

L’Amministrazione quindi può affidare all’esterno il (solo) servizio di biglietteria.

L’art. 115 del d. lgs. n. 42 del 2004 stabilisce poi, in termini generali, che le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta o indiretta (comma 1) e che “La gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi ovvero mediante l'affidamento di appalti pubblici di servizi, anche in forma congiunta e integrata” (comma 3).

Con il comma 1 dell’art. 115 del d. lgs. n. 42 del 2004 è altresì precisato che “Le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta o indiretta”. Così facendo il legislatore detta la regola generale, relativa a tutte le attività di valorizzazione dei beni culturali, circa l’opzione di gestione degli stessi in forma diretta o indiretta, oltre che in forma congiunta e disgiunta fra servizi di assistenza culturale e servizi strumentali.

Al riguardo la Sezione ha precisato che “l’amministrazione non ha l’obbligo di esternalizzare la gestione di siffatti servizi [di valorizzazione] e ben può procedere con la gestione diretta, a norma dell’art. 115, comma 2”, mentre è “nel determinarsi all’esternalizzazione, [che] deve valutare la convenienza di tale formula alternativa rispetto al superiore obiettivo della valorizzazione culturale. L’eventualità dell’esternalizzazione è invero solo una modalità alternativa alla gestione diretta” (Cons. St., sez. V, 16 marzo 2021 n. 2259).

Tali conclusioni non risultano in contrasto con le sentenze rese da questa Sezione con riferimento alle precedenti gara relative al Parco del Colosseo, e richiamate da parte appellante.

Con la sentenza n. 5773 del 2017 il Consiglio di Stato ha annullato la gara per l’affidamento del contratto di appalto congiunto dei servizi strumentali (nel cui novero rientra la biglietteria) e dei servizi aggiuntivi in ragione dell’”asservimento dei servizi di valorizzazione rispetto ai servizi strumentali di biglietteria, in antitesi all’opzione abbracciata dalla legge, che considera centrale il momento della valorizzazione, integrabile con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria, in una visione unitaria e universale dei servizi per il pubblico da affidare con il modello concessorio” (Cons. St., sez. V, 7 dicembre 2017 n. 5773).

L’opzione ermeneutica sottesa a detta pronuncia poggia quindi sulla non conformità a legge dell’affidamento congiunto, tramite appalto, dei servizi di assistenza culturale e dei servizi strumentali, vincolo rispettato con i provvedimenti impugnati.

Con la sentenza n. 2259 del 2021 è stato accolto il ricorso in ottemperanza promosso dallo stesso operatore economico e, per l’effetto, sono state dichiarate nulle, per elusione del giudicato, le disposizioni della lex specialis della successiva gara bandita dall’Amministrazione, nella quale il valore della componente strumentale della biglietteria ha assunto portata preminente rispetto ai servizi aggiuntivi, nell’ambito della concessione oggetto della procedura competitiva.

L’opzione ermeneutica sottesa a detta pronuncia poggia quindi sulla necessità di assegnare ai servizi di assistenza culturale un ruolo preminente nell’ambito della concessione. La scelta dell’Amministrazione di avviare una procedura d’appalto per il solo servizio strumentale di biglietteria assicura (anche) la necessità di evitare la preponderanza dei servizi strumentali rispetto a quelli aggiuntivi, così come sottolineata dalla sentenza del 2021, risultando quindi coerente rispetto a quest’ultima, considerato anche che dalla sentenza non si desumono elementi ostativi alla separazione dell’affidamento dei servizi di biglietteria dall’affidamento dei servizi aggiuntivi.

Nell’occasione la Sezione ha piuttosto rappresentato come, nel rispetto delle regole dettate dall’art. 115 commi 1 e 4 del d. lgs. n. 42 del 2004, l’opzione di esternalizzare i servizi aggiuntivi possa essere prescelta solo se consente di valorizzare al meglio il patrimonio culturale, laddove la strada maestra resta quella dell’internalizzazione (“l’amministrazione non ha l’obbligo di esternalizzare la gestione di siffatti servizi ben può procedere con la gestione diretta, a norma dell’art. 115, comma 2. Nel determinarsi all’esternalizzazione, deve valutare la convenienza di tale formula alternativa rispetto al superiore obiettivo della valorizzazione culturale”).

In tal modo la pronuncia del 2021 conferma che l’Amministrazione ha la facoltà di scegliere la gestione diretta dei servizi culturali, dovendo, per perseguire la strada dell’esternalizzazione, motivare in ordine alla “convenienza di tale formula alternativa rispetto al superiore obiettivo della valorizzazione culturale”, che implicitamente si presuppone invece (meglio) assicurato dalla gestione diretta (Cons. St., sez. V, 16 marzo 2021 n. 2259).

10.6. In secondo luogo gli atti di gara non violano “l’iter procedurale previsto dall’art. 115 in ordine alle scelte di affidamento, dacché risulta carente la preventiva “valutazione comparativa” tra modelli gestori, che costituisce viceversa un necessario atto presupposto all’indizione della gara” (così l’appellante).

10.7. In base all’art. 115 la scelta tra la gestione diretta e indiretta delle attività di valorizzazione dei beni culturali “è attuata mediante valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti” (comma 4 secondo periodo).

Il primo periodo dello stesso articolo specifica che il ricorso alla gestione indiretta è giustificato dal “fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni culturali”.

La scelta dell’esternalizzazione, pertanto, richiede una preminente valutazione della possibilità della stessa di assicurare la migliore valorizzazione degli aspetti culturali.

Si premette che la scelta compiuta (e qui controversa) presenta profili di discrezionalità tecnica (nell’analisi della situazione) ma anche rilevanti profili di discrezionalità amministrativa e di scelta di politica culturale che possono essere sindacati da questo Giudice per gli aspetti che attengono alle modalità di declinazione del potere pubblico disciplinate dalla legge, non alle finalità di politica culturale. Queste ultime, nei limiti in cui sono libere nel fine (nel rispetto della prospettiva costituzionale), sono corrispondentemente connotate da un ampio grado di opinabilità, con la conseguente impossibilità per questo Giudice di sostituire valutazioni opinabili ad altre valutazioni opinabili.

Nel caso di specie le scelte di programmazione sono state compiute dall’Amministrazione mediante il provvedimento 27 aprile 2022, recante “Integrazione giuridica ex art. 115, comma 4, del Codice dei beni culturali, alla luce delle sentenze del Consiglio di Stato”, nonché con l’atto 10 maggio 2022, recante “Progetto di gestione dei servizi di biglietteria per il pubblico. La visione del Parco”.

Questi sono gli atti che hanno determinato l’impostazione della presente gara disponendo, da un lato, che la stessa fosse configurata in termini di appalto e avesse ad oggetto il solo servizio di bigliettazione e, dall’altro lato, che i servizi di valorizzazione fossero gestiti in via diretta dall’Amministrazione, restando esclusi dall’oggetto della gara.

Il progetto contenuto nel documento 27 aprile 2022 è espressamente funzionale a esplicitare “le motivazioni e i ragionamenti che hanno portato l’amministrazione del Parco archeologico del Colosseo a scegliere, tra internalizzazione ed esternalizzazione dei servizi, la forma di gestione con affidamento in appalto del servizio di biglietteria ex art. 115, comma 4 del d.lgs. n. 42/2004, unitamente ai servizi di controllo accessi e call center ad esso strettamente correlati e quindi non separabili”.

Con il successivo documento del maggio 2022, recante “Progetto di gestione dei servizi di biglietteria per il pubblico”, che conferma l’impostazione dell’atto del 27 aprile, il Parco archeologico del Colosseo ha valutato in modo comparativo la forma di gestione diretta e la forma di gestione indiretta dei servizi di valorizzazione dei beni culturali prescritta dall’art. 115 comma 4 del d.lgs. n. 42/2004, addivenendo alle seguenti considerazioni:

- le scelte di gestione dei servizi di valorizzazione culturale sono particolarmente rilevanti rispetto alla mission dell’istituto, dedicato alla valorizzazione del bene culturale, all’educazione alla memoria e all’attenzione per le nuove generazioni;

- le visite ai siti debbono rappresentare un’esperienza “forte” per i turisti;

- il turismo e le esigenze dei visitatori sono mutate;

- rispetto ai servizi di assistenza culturale si pongono due alternative: la concessione integrata dei servizi, avente eventualmente ad oggetto anche i servizi strumentali, e la gestione diretta, con eventuali appalti per singoli servizi;

- la concessione integrata dei servizi di assistenza culturale e dei servizi strumentali ha evidenziato numerose criticità e si è dimostrata “poco adatta a gestire i cambiamenti dell’offerta in quanto il Concessionario ha costantemente (e legittimamente) risposto alle richieste del committente in base alla propria agenda e ai propri obiettivi privati talvolta convergenti e talaltra confliggenti con quelli dell’amministrazione”;

- solo la gestione diretta consente il raggiungimento degli obiettivi dell’Ente, mentre la gestione indiretta presenta le “rigidità” evidenziate nella concessione integrata;

- il costo economico della concessione “è cresciuto in proporzione al volume dei ricavi dal flusso dei visitatori, senza alcuna mitigazione in termini di economia di scala o di scopo”;

- sono cresciuti il numero dei visitatori e il prezzo medio e i prezzi medi ponderati;

- sono aumentati i ricavi per il concessionario;

- la vendita dei biglietti “non è più un semplice servizio di biglietteria” ma “una vera e propria attività di offerta commerciale”;

- la gestione della biglietteria “è divenuta gestione commerciale a 360 gradi”;

- l’assegnazione delle attività di visite guidate allo stesso concessionario del servizio di biglietteria crea “una posizione di forte squilibrio competitivo a sfavore delle guide private”;

- la programmazione editoriale di carattere culturale è affidata al concessionario, con conseguente ruolo solo autorizzatorio del Parco;

- i fruitori dei servizi hanno espresso opinioni critiche sull’attività svolta dal concessionario.

E’ descritta dettagliatamente l’evoluzione di contesto, con riferimento ai “trend del turismo e la città di Roma”, alle “nuove tendenze per la valorizzazione dei beni culturali” ed alla “evoluzione normativa dei servizi aggiuntivi” ed è illustrata la “visione di lungo periodo” quale “defini[zione del]la missione culturale, [de]gli obiettivi strategici ed [de]i conseguenti piani d’azione tipici di un’amministrazione pubblica”.

In ragione di ciò il Parco del Colosseo ha quindi ritenuto di:

- utilizzare lo strumento della concessione solo per quei servizi che richiedano “competenze tecniche peculiari, impossibili a crearsi all’interno dell’amministrazione (ad esempio: servizi di caffetteria o bookshop)”;

- per tutti i servizi strategici e che impattano sull’offerta il parco “intende mantenere al proprio interno le scelte chiave di governo e di controllo dei fenomeni attraverso l’internalizzazione o, esclusivamente per i servizi di biglietteria, controllo accessi e call center, l’affidamento in appalto dei servizi, limitando la discrezionalità decisionale degli appaltatori ai soli fatti operativi”;

- le considerazioni di sostenibilità economica assumono minor valore “grazie allo straordinario numero di visitatori”;

- il Parco non intende affidare in concessione i servizi aggiuntivi e quindi li gestirà direttamente, mentre utilizzerà lo strumento dell’appalto per i “servizi non realizzabili con risorse interne/in house”.

Pertanto:

- “i servizi di accoglienza e informazione, ritenuti strategici e pienamente realizzabili con risorse delle amministrazioni pubbliche saranno orientatiuvamente internalizzati/realizzati in house”;

- la gestione dei punti vendita (bookshop) “è già stata assegnata in concessioen unitamente al servizio di editoria”;

- la gestione dei punti di ristoro “è stata e sarà assegnata in concessione”;

- la gestione dei servizi di pulizia e vigilanza “è già stata e sarà assegnata in appalto”;

- la gestione del servizio di biglietteria, inclusa la prevendita online, il call center e il controllo accessi, sarà data in appalto;

- la programmazione delle mostre, degli eventi e delle altre iniziative promozionali di valorizzazione “sarà gestita dalla Direzione del Parco, valutando la possibilità di ricorrere a gare di affidamento per i singoli eventi”;

- le visite guidate di carattere didattico saranno internalizzate;

- le attività di supporto ai percorsi di visita saranno internalizzate;

- le audioguide e le guide saranno internalizzate.

Sono indicate le misure che il Parco intende adottare rispetto agli ambiti di intervento strategici ivi specificati (“visitatori”, pagg. 13 - 15, “prenotazioni online e modalità di accesso”, pagg. 15 – 16, e “intermediazione commerciale”, pagg. 17 – 18), nonché descritto il “ruolo del management del Parco e le condizioni per renderlo effettivo” (pag. 22), poi richiamandosi sotto la voce “innovatività” il ricorso alla “introduzione di nuovi prodotti/servizi per i diversi target di visitatori, con variazioni di pricing e offerta, con iniziative promozionali temporanee, con i rapporti diretti con gli “stakeholders” del PArCo”.

Le suddette considerazioni delineano i motivi delle scelte organizzative compiute dall’Ente, nei termini previsti dalla normativa.

In ragione dei parametri posti dall’art. 115 del d. lgs. n. 42 del 2004 perché i servizi, specie di assistenza culturale, vengano internalizzati è sufficiente che l’Amministrazione valuti che la scelta opposta non è idonea ad assicurare il miglior livello di valorizzazione dei beni culturali, in quanto l’art. 115 comma 4 primo periodo del d. lgs. n. 42 del 2004 pone detta valutazione come condizione per effettuare la scelta di affidare all’esterno i servizi.

Il parametro posto dal legislatore è altresì indice di una prospettiva non prevalentemente economica delle scelte di gestione e di organizzazione dei servizi di valorizzazione culturale, in linea con le prerogative di promozione della cultura di cui all’art. 9 della Cost. e di valorizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano (Corte cost., 28 febbraio 2022 n. 45)

La suddetta impostazione risulta in linea con l’orientamento già espresso da questa Sezione sul punto, avendo affermato che “Non si tratta infatti di mettere a disposizione di privati un luogo della cultura per farne beni economici strumentali delle loro imprese, ma di meglio - organizzativamente - promuovere la fruizione e la conoscenza del patrimonio culturale che il luogo stesso rappresenta e per il quale è stato istituito, e delle collezioni che contiene”, sicché l’eventualità, per l’operatore economico concorrente, “di trarne un utile privato - nell'ottica dell'amministrazione proprietaria e affidataria dei beni da valorizzare - è un elemento in sé non determinante, nell'ottica della disciplina giuridica della fattispecie e dell'amministrazione titolare dei beni da valorizzare” (Cons. St., sez. V, 16 marzo 2021 n. 2259), con la conseguenza l’interesse alla remuneratività dei servizi di valorizzazione del sito risulta recessivo rispetto non preminente.

In tale contesto, l’Ente ha, da un lato, scelto di non svolgere in modo unitario i servizi collegati all’offerta culturale (servizi di assistenza e servizi meramente strumentali come i servizi di biglietteria) e, dall’altro lato, ha ritenuto necessario internalizzare i servizi di assistenza culturale.

La decisione di internalizzare i servizi collegati alla valorizzazione culturale è dipesa, secondo quanto deducibile dai richiamati atti, da una serie di considerazioni.

La prima di esse attiene alla considerazione in base alla quale solo la gestione diretta consente il raggiungimento degli obiettivi dell’Ente, individuati dall’art. 2 dello Statuto approvato con decreto del Ministero dei beni culturali 12 giugno 2019 n. 278, che l’Ente è tenuto a perseguire, senza quindi che si ponga un tema di mancata individuazione delle finalità dell’attività da organizzare. In base all’art. 2 dello Statuto il Parco si prefigge la “conservazione e la valorizzazione del patrimonio assegnato aumentandone la consistenza, la conoscenza, la promozione, la diffusione e la fruizione, nel rispetto dei principi di imparzialità, buon andamento, trasparenza, pubblicità e responsabilità di rendiconto”. Ai sensi del comma 6 dell’art. 2 dello Statuto il Parco realizza la propria missione attraverso una molteplicità di iniziative (enumerate dalla lett. a) alla lett. h) del comma 6 dell’art. 2 dello Statuto) e attività (enumerate dalla lett. a) alla lett. n) del comma 7 dell’art. 2), fra le quali anche “la gestione diretta e indiretta di servizi al pubblico in conformità alla normativa vigente” (lett. l).

A tale considerazione si aggiunge, quali motivazioni a supporto della scelta effettuata, la volontà dell’Ente di gestire la programmazione editoriale di carattere culturale, la constatazione che la concessione integrata dei servizi si è dimostrata, nei fatti, “poco adatta a gestire i cambiamenti dell’offerta” e che i fruitori dei servizi hanno espresso opinioni critiche sull’attività svolta dal concessionario, nonché lo squilibrio competitivo, a sfavore delle guide private, che crea l’assegnazione delle attività di visite guidate allo stesso concessionario del servizio di biglietteria, oltre alla qualificazione dei servizi di accoglienza e informazione come strategici e alla presenza di risorse interne all’amministrazione in grado di svolgere dette ultime attività.

In uno specifico paragrafo, rubricato “La concessione ex SAR – criticità rilevate”, del documento 10 maggio 2022 sono dettagliatamente elencate le difficoltà incontrate nell’attuale gestione concessoria, così evidenziandone l’inadeguatezza.

Tali considerazioni integrano le valutazioni dell’Ente in ordine al fatto che l’esternalizzazione dei servizi di assistenza culturale non assicura il miglior livello di valorizzazione dei beni culturali, in una prospettiva che vede l’art. 115 condizionare l’esternalizzazione al fatto che questa non solo non pregiudichi ma assicuri la migliore valorizzazione del bene culturale.

La scelta del Parco archeologico del Colosseo di scorporare i servizi, facendo venir meno la gestione integrata degli stessi, è conforme alla disciplina legislativa, che non delinea, come già sopra evidenziato, in modo necessariamente unitario l’organizzazione dei servizi collegati all’offerta culturale (servizi di assistenza e servizi meramente strumentali come i servizi di biglietteria). E ciò sulla base di considerazioni che vanno dalle criticità riscontrate nella gestione integrata della concessione alla volontà di avere la direzione della complessiva offerta culturale, esternalizzando solo alcune attività, assicurandosi la possibilità di modificare l’offerta culturale non solo in una prospettiva di lungo periodo ma anche assecondando nel breve periodo le sollecitazioni proveniente dal lato della domanda.

Né può essere censurato il fatto che non siano state esaminate nel dettaglio le modalità concrete di gestione dell’internalizzazione dei servizi di assistenza culturale, atteso che l’art. 115 richiede una valutazione dei modelli gestionali, non un’analisi concreta.

La scelta di internalizzare i servizi di assistenza culturale, peraltro, risulta coerente e adeguata rispetto alla decisione di gestire il servizio di biglietteria con il contratto d’appalto, e non con una concessione, atteso che la Sezione, anche di recente, ha individuato come “legittima una gara d’appalto avente ad oggetto il solo servizio di biglietteria (come sarebbe appunto il caso dell’avversato appalto del 2022), illegittima invece essendo la pretesa di estendere la procedura concorrenziale anche “ai servizi di «fornitura, noleggio e gestione di radioguide, audioguide / videoguide» e di «di guida e assistenza didattica»” ove asserviti a quelli di biglietteria: laddove l’amministrazione avesse inteso disporre un affidamento integrato di entrambe le tipologie di servizi, infatti, avrebbe dovuto ricorrere (stante le previsioni di legge) allo speciale schema giuridico della concessione, in cui i servizi aggiuntivi avrebbero comunque dovuto svolgere un ruolo centrale e dominante rispetto a quelli – serventi e strumentali ai primi, ancorché rispetto ad essi più remunerativi – di biglietteria” (Cons. St., sez. V, 3 ottobre 2023 n. 8638).

In tale contesto la circostanza, dedotta dall’appellante, di asserita insostenibilità economica dei servizi di assistenza culturale non è comprovata, né dirimente.

In termini generali l’autorganizzazione dei servizi rende gli stessi dipendenti dalle risorse pubbliche messe a disposizione, rispetto alle quali vengono in evidenza i criteri dell’efficienza e dell’economicità, così non ponendosi, in modo diretto e avulso dal contesto generale dell’Amministrazione, un’esigenza di remuneratività, né di conseguimento di un relativo utile.

In una prospettiva di generali costi di sistema si rileva che l’impostazione legislativa, come già sottolineato, affida al giudizio di migliore valorizzazione culturale la scelta dell’esternalizzazione di detti servizi (art. 115 comma 4 primo periodo del d. lgs. n. 42 del 20014), sicché è sufficiente, per giustificare l’opzione contraria, ritenere non raggiungibile detto obiettivo con l’affidamento a terzi, rendendo quindi recessivo uno specifico tema dei costi, se non nei termini generali propri di qualunque attività amministrativa che si confronta con il tema della scarsità delle risorse.

Dal punto di vista delle risorse pubbliche, le considerazioni relative alla presenza, all’interno dell’Amministrazione, di risorse idonee per lo svolgimento del servizio e quelle relative all’importanza, anche economica, delle le visite guidate didattiche supportano anche la prospettiva economica della scelta di internalizzare i servizi di assistenza culturale, così come attiene agli aspetti economici la constatazione che il concessionario ha goduto dell’aumento degli introiti derivanti dall’aumento del numero dei visitatori, ma lo stesso beneficio non ha ottenuto la parte pubblica, così volendo modificare anche detto aspetto.

In secondo luogo l’appellante non ha comprovato che “senza l’aggio sulla bigliettazione” gli introiti derivanti da detto servizio siano inferiori, e ciò anche considerando lo strumento prescelto per la gestione della biglietteria, cioè l’appalto, nei termini in cui è concretamente declinato.

Nel documento 10 maggio 2022 si legge, peraltro, a tale proposito, che le problematiche di sostenibilità economica dei servizi, “grazie allo straordinario numero di visitatori normale per il Parco, assumono minor valore per le decisioni relative alla forma di gestione e all’accorpamento dei diversi servizi aggiuntivi”.

Con specifico riferimento al servizio strumentale di biglietteria l’Ente ha preso atto delle modifiche delle esigenze e del numero dei visitatori e della maggiore complessità di gestione del servizio di biglietteria e ha espresso la volontà di valorizzare gli introiti economici del servizio, modificandone la gestione al fine di essere il beneficiario della maggiore domanda.

La scelta dello strumento dell’appalto per il servizio di biglietteria risulta coerente con le giustificazioni addotte in quanto esso è connotato dal mantenimento del rischio operativo in capo all’Ente appaltante, che può quindi beneficiarne anche in positivo.

Con riferimento all’organizzazione del servizio di biglietteria e di controllo accessi è stata depositata in primo grado una relazione del perito di parte di comparazione fra i modelli organizzativi cui era preordinata la gara del 2019 e l’organizzazione sottesa alla gara del 2022.

Al riguardo si osserva in termini generali che la diversità fra le scelte passate compiute dall’Amministrazione e la scelta qui in discussione non può costituire di per sé indice di “contraddittorietà e confusione” fra atti, atteso che l’indice sintomatico dell’eccesso di potere costituito dalla contraddittorietà fra atti ha riguardo agli atti relativi allo stesso procedimento. In particolare, risulta estraneo alle valutazioni di legittimità di un provvedimento amministrativo la circostanza che uno stesso fatto sia stato amministrato in modo diverso nel corso del tempo, che altrimenti si condannerebbe l’Amministrazione a ripetere se stessa, non potendo assecondare le diverse esigenze emerse di fatto e le nuove soluzioni trovate, in una visione del principio di continuità dell’azione amministrativa destinata a frustrare le esigenze della collettività di riferimento piuttosto che a soddisfarle nei limiti del possibile. Pertanto, la circostanza che nella gara del 2015, che ha preceduto quella del 2019 e quella qui controversa del 2022, “l’amministrazione aveva disposto l’affidamento a terzi di quei “servizi di assistenza e supporto al pubblico” (vedi pt. 7.4 del Capitolato dell’epoca), che oggi si intendono gestire in house” non è di per sé dirimente, anche perché sarebbe anche motivo di illegittimità della determinazione del 2019, di bandire una gara per la concessione integrata dei servizi di assistenza culturale e dei servizi strumentali.

In una prospettiva più specifica la comparazione fra i due modelli organizzativi del servizio di biglietteria e accoglienza, quello del 2019 e quello del 2022 (di cui alla relazione peritale) non tiene conto dell’impatto delle diverse scelte organizzative relative alla complessità dei servizi collegati all’offerta culturale. Sicché la valutazione parcellizzata risulta non adeguata alle scelte di programmazione dell’intero sistema, che si sono indirizzate verso la separazione dei vari servizi, motivata anche in ragione delle esigenze di valorizzazione culturale che assumono un’importanza preminente secondo la richiamata disciplina di settore. Ne deriva che la quantificazione del numero degli addetti e delle postazioni e l’asserito dimensionamento del personale del servizio di biglietteria e controllo accessi scontano la scelta di autoorganizzare i servizi di informazioni, accoglienza e orientamento (così come riconosciuto dallo stesso perito di parte), con modalità gestionali che l’Ente potrà valutare di assumere e che non possono (né devono in relazione a un documento programmatico), di essere allo stato scrutinate in concreto, neppure in relazione alle modalità di coordinamento.

Nel complesso quindi le valutazioni contenute nei documenti 27 aprile 2022 e 10 maggio 2022 supportano le determinazioni assunte.

Né rilevano atti e condotte successive al fine di scrutinare la legittimità di precedenti provvedimenti, che possono essere esaminati sulla base della situazione presente al momento dell’adozione. Pertanto non è dirimente la nota 8 marzo 2023 e i successivi differimenti della cessione dell’erogazione dei servizi gestiti dal concessionario uscente.

11. In conclusione l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Condanna Società Cooperativa Culture a rimborsare le spese del presente grado di giudizio all’Amministrazione e a C.N.S. Consorzio nazionale servizi società cooperativa, liquidandole in euro 5.000,00, oltre accessori di legge, a favore di ciascuna.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Stefano Fantini, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore

Annamaria Fasano, Consigliere

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia n. 807, depositata in data 25 gennaio 2024, la sezione quinta del Consiglio di Stato ha ribadito la natura elastica della c.d. clausola sociale, così come delineata dall’art. 50 del decreto legislativo del 18 aprile 2016, n. 50, introduttivo del previgente Codice dei Contratti Pubblici.

La disposizione di cui al citato art. 50, rubricata “Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi”, testualmente stabiliva che: “Per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”.

Nell’attuale formulazione dell’art. 57 del nuovo Codice dei contratti pubblici – introdotto in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante la delega al Governo in materia di contratti pubblici – la predisposizione di “specifiche clausole sociali” richiede, quali requisiti necessari dell’offerta, l’implementazione di “(…) misure orientate tra l’altro a garantire le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate, la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto o della concessione e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare”.

Invero, in conformità al diritto europeo e, segnatamente, ai sensi dell’art. 18, par. 2, della direttiva 2014/24/UE, gli Stati membri sono tenuti ad adottare: misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro, stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi e da disposizioni transnazionali”; il successivo art. 70, inoltre, postula la possibilità di introdurre clausole sociali: “Le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere condizioni particolari in merito all'esecuzione dell'appalto, purché collegate all'oggetto dell'appalto ai sensi dell'articolo 67, paragrafo 3, e indicate nell'avviso di indizione di una gara o nei documenti di gara. Dette condizioni possono comprendere considerazioni economiche, legate all'innovazione, di ordine ambientale, sociale o relative all'occupazione”.

Pertanto, in un’ottica di tutela multilivello del diritto al lavoro, l’inserimento della clausola sociale nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti mira ad assicurare la continuità occupazionale del personale impiegato ogniqualvolta ricorrano ipotesi di cessazione del contratto di appalto e conseguente subentro di imprese o società appaltatrici.

Nondimeno, come osservato nella sentenza in commento, la legittimazione del modello regolativo della clausola sociale richiede “armonizzazione e bilanciamento dei diritti sociali con le libertà economiche.

A tal proposito, in conformità alle indicazioni rese sul tema dalla giurisprudenza amministrativa, la clausola sociale assume valenza elastica, rimettendo all’operatore economico il necessario contemperamento tra l’assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario e la libertà d’impresa (si veda, ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 27 settembre 2022, n. 12233).

Sicché, l’inserimento della clausola sociale nel bando di gara non comporta alcun obbligo di assunzione a tempo indeterminato, in forma automatica e generalizzata, del personale già impiegato dalla precedente impresa, vincolando l’imprenditore subentrante ad assicurare ai lavoratori un adeguato livello retributivo e non già le medesime condizioni contrattuali ed economiche (sul punto si veda, ex multis, T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 16 giugno 2022, n. 893). Peraltro, i lavoratori che non trovino spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante, risultano destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali (sul punto, si veda T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 7 giugno 2022, n. 439).

D’altronde, le esigenze concretamente connesse alla commessa pubblica – unitamente alla scarsezza di risorse a disposizione delle amministrazioni – non consentono la rigida applicazione delle clausole sociali di assorbimento del personale, in considerazione del “maggior onere derivante dall’obbligo posto all’affidatario di assumere «a tempo indeterminato» il personale già utilizzato”.

Secondo tale impostazione, il grado di vincolatività della clausola sociale di assorbimento delle risorse umane impiegate non solo si fonda sul bilanciamento delle tutele del lavoro con l’art. 41 Cost., ma discende altresì dal necessario contemperamento con il principio, avente natura pubblicistica, di buon andamento dell’azione amministrativa.

Sul punto giova richiamare la sentenza n. 68 del 2011, con la quale la Consulta aveva sancito la compatibilità con i principi costituzionali del paradigma normativo della clausola sociale, la cui legittima applicazione è circoscritta al mantenimento in servizio del personale già assunto in caso di discontinuità dell’affidatario. Nello specifico, nel dichiarare l’illegittimità – tra gli altri – dell’art. 30 della legge della Regione Puglia n. 4 del 2010, la Corte Costituzionale aveva precisato che: “(…) prevedere l’assunzione a tempo indeterminato anziché l’utilizzo del personale della precedente impresa o società affidataria dell’appalto, produce, come sostenuto dalla Avvocatura generale dello Stato, una violazione dell’art. 97 Cost., e delle richiamate norme interposte, sotto il profilo della «imparzialità dell’azione amministrativa e uniformità della stessa sul territorio nazionale», nonché sotto il profilo del buon andamento. Tale violazione si determina sia per l’assenza di criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità per il reclutamento di personale delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo, sia perché il maggior onere derivante dall’obbligo posto all’affidatario di assumere «a tempo indeterminato» il personale già utilizzato si riflette – anche nel caso di imprese o società affidatarie dell’appalto interamente private – sui principi di legalità e di buon andamento della pubblica amministrazione affidante in termini di non conformità alle disposizioni sulla «clausola sociale», di minore apertura dei servizi alla concorrenza e di maggiori costi, considerato che l’obbligo eccede i limiti temporali dell’affidamento del servizio.

In definitiva, riletta alla luce dei principi nazionali ed euro-unitari in materia di iniziativa imprenditoriale e di tutela della concorrenza, la clausola sociale risponde all’esigenza di garantire la stabilità occupazionale dei lavoratori, in un’ottica costituzionalmente orientata di valorizzazione del know-how acquisito e di contrasto al dumping sociale; specularmente, la logica contabilistica di “efficienza della spesa pubblica” e di “uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici” (considerando 2 della direttiva n. 2014/24/UE), posta alla base della contrattualistica pubblica, impedisce l’indiscriminato riassorbimento del personale a carico dell’impresa subentrante, per contro promuovendo un’adeguata allocazione delle risorse economiche.

Di conseguenza, l’esigenza di garantire un’organizzazione imprenditoriale efficiente, che realizzi economie di costi competitive sul mercato, preclude una lettura rigida e assoluta dell’istituto, funzionalizzando l’operatività della clausola c.d. sociale alla programmazione definita dal nuovo appaltatore, secondo un approccio pro-concorrenziale di ispirazione euro-unitaria.