Consiglio di Stato, Sez. III, n. 10744 del 13 dicembre 2023

Nel rapporto che si instaura tra soggetto pubblico e parte privata nelle gare d’appalto il  comportamento di entrambi deve essere realizzato in funzione della reciproca e leale collaborazione, così come sancito dalla legge 241/1990 e, recentemente, dal d.lgs. 36/2023. In questo modo viene a configurarsi un nuovo rapporto di tipo orizzonatale tra i partecipanti alla selezione. Ciò comporta che mentre l’amministrazione deve esercitare a favore dell’operatore economico una funzione di protezione o, secondo parte della giurisprudenza e della dottrina, la stessa è tenuta ad obblighi connessi a diritti soggettivi, il cives va incontro ad una più accentuata responsabilizzazione, che deve essere presente nel corso del procedimento e del processo

Solo un’effettiva collaborazione tra le parti, soggetto pubblico e impresa privata, può portare al raggiungimento degli agognati obiettivi. Questo il corollario che si ricava dai noti principi introdotti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e confluiti nel decreto legislativo 31 marzo 2023, n.36.

Il dialogo che, pertanto, si instaura tra gli intervenienti in un clima di reciproca fiducia (art.2 d.lgs. 36/2023), può portare al conseguimento del risultato (art.1 d.lgs. 36/2023).

I giudici amministrativi hanno esaltato l’importanza dei criteri sopra rappresentati e gli stessi, sia in primo grado sia nella fase di appello, hanno sempre evidenziato un dato: l’importanza che la cooperazione tra i soggetti riveste nei procedimenti e, in primis, nelle selezioni pubbliche.

Il Consiglio di Stato mette in risalto, con la pronuncia in argomento e richiamando le osservazioni della dottrina, come la recente tendenza normativa voglia evidenziare la creazione di una nuova figura: il “rapporto” di tipo orizzontale che si instaura tra cittadini e pubblica amministrazione. Tale passaggio assume un ruolo centrale nella sentenza in argomento; infatti la relazione, come detto, orizzontale, che si genera tra cives e parte pubblica, richiama il modello che rappresenta la nuova veste della stessa amministrazione. Quest’ultima, infatti, non agisce più per atti, ma per risultati, utili, come rammentato, ai partecipanti alla gara.

Proprio quanto riportato dalla sezione induce a soffermare l’attenzione sulla sopra indicata nuova nozione di rapporto. Tale definizione trova una stretta connessione con l’articolo 118 della costituzione; infatti il precetto in analisi, al quarto comma, dichiara come lo svolgimento di attività di interesse generale sia effettuato sulla base del principio di sussidiarietà.

Come è noto tale criterio prevede che lo svolgimento di funzioni pubbliche debba essere svolto al livello più vicino ai cittadini. Da ciò si deduce che un’azione di interesse generale, proprio come quella degli appalti, si basa, in primis, sulla relazione “complementare e integrativa” attribuita al privato nel dialogo con la p.a..

Ma per realizzarsi tutto questo è necessario che siano individuati in modo dettagliato i comportamenti che gli interessati devono tenere.

Infatti il supremo Consesso di giustizia amministrativa specifica che il su descritto rapporto comporta il fatto che il soggetto pubblico sia tenuto al rispetto di doveri di protezione o, secondo taluni, di obblighi correlati a diritti soggettivi. Dall’altra lato l’operatore economico è soggetto ad una più marcata responsabilizzazione, sia nell’ambito del procedimento, sia in relazione al processo.

In conclusione il Collegio evidenzia come il nuovo rapporto che si instaura tra i soggetti possa essere garantito da una specifica condizione: le parti del procedimento amministrativo (dunque, anche, della selezione di evidenza pubblica) devono tenere necessariamente una condotta conforme ai princìpi di collaborazione e di buona fede (articolo 1 (Principi generali dell'attività amministrativa), comma 2-bis[1], della richiamata legge 24171990).

Solo il rispetto di tali criteri, anche alla luce di quanto riaffermato dall’articolo 5 (Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento) del sopra indicato d.lgs. 36/2023, può concretamente portare, come indicato, al raggiungimento di positivi risultati a favore dei partecipanti.

Tutto questo nell’ambito, come evidenziato, di un moderno “rapporto”, di specie paritaria e con riflessi in ambito costituzionale, creatosi tra gli agenti.


LEGGO LA SENTENZA
 

N. 10744/2023REG.PROV.COLL.

N. 06359/2023 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6359 del 2023, proposto da Eurocolumbus S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9074123B2D, rappresentato e difeso dall'avvocato Michele Memola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Liguria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Marina Crovetto e Aurelio Domenico Masuelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

S.I.P.A.R. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefania Bianca Mennitti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 559/2023, resa tra le parti.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Liguria e di S.I.P.A.R. S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza gravata il T.A.R. della Liguria ha respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante per l’annullamento dell’aggiudicazione della gara per la fornitura di “archi a C” agli enti del Servizio Sanitario Regionale (lotto n. 6).

L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalla ricorrente in primo grado.

Si sono costituite in giudizio, per resistere al ricorso, la stazione appaltante e la controinteressata.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 30 novembre 2023.

2. Il ricorso in appello censura la sentenza impugnata con riferimento ai seguenti profili:

a) se sia corretto il giudizio di equivalenza della stazione appaltante, ritenuto legittimo dal T.A.R., in forza del quale si è escluso che “la vincitrice abbia offerto un aliud pro alio, ossia un bene diverso da quello richiesto dall’Amministrazione, per il fatto che il suo “arco a C” è dotato di due monitor di controllo da 19’’, anziché superiori a 19’’;

b) se sia corretta la valutazione del T.A.R. di non svolgere istruttoria (al di là dell’acquisizione documentale disposta in corso di giudizio);

c) se sia legittima l’applicazione che la stazione appaltante ha fatto del principio di unicità della commissione giudicatrice in una gara articolata per lotti;

d) se sia legittima l’omessa previsione del vincolo di aggiudicazione.

3. In relazione alla questione dedotta nel primo motivo, deve osservarsi che l’art. 3 del capitolato tecnico e prestazionale indicava i requisiti minimi per il lotto in questione, tra i quali, per quanto d’interesse, una consolle di controllo dotata di una coppia di video monitor di dimensioni superiori a 19’’.

Come ben descritto nella sentenza del T.A.R., con richiamo alle caratteristiche strutturali dei due prodotti, “sia Eurocolumbus s.r.l. sia Sipar s.r.l. hanno offerto un “arco a C” con consolle composta da video monitor aventi caratteristiche non perfettamente coincidenti con la suddetta prescrizione capitolare”.

Ciò posto, la condivisibile motivazione della sentenza impugnata ha rigettato il ricorso distinguendo – opportunamente - fra prescrizioni della legge di gara che, quanto a dimensioni richieste, pongono a pena di esclusione requisiti strutturali, da prescrizioni che (come nel caso di specie) richiedono invece requisiti funzionali.

Nel secondo caso la regola dell’equivalenza può predicarsi, evidentemente, anche in presenza di una difformità strutturale: dal che l’irrilevanza sia dei richiami alla consulenza di parte e alla scheda tecnica, che le citazioni di giurisprudenza che, in entrambi i casi, presuppongono un’illegittimità del giudizio di equivalenza per ragioni puramente strutturali.

A pag. 9 del ricorso in appello si afferma in contrario che “non è revocabile in dubbio che, da un punto di vista “fattuale” e squisitamente “tecnico”, la fornitura di Sipar abbia violato i “requisiti minimi” richiesti e che non sia nemmeno richiamabile l’equivalenza funzionale delle diverse caratteristiche offerte rispetto a quelle richieste”.

Si tratta però di un’affermazione apodittica, dal momento che non supera i solidi argomenti su cui si fonda la richiamata motivazione, che ha fatto buon governo dei princìpi posti dalla disciplina in materia.

3.1. L’appellante lamenta poi (alle pagg. 16 e seguenti) che il primo giudice avrebbe “autonomamente” compiuto delle valutazioni tecniche per respingere la corrispondente censura del ricorso di primo grado.

In realtà tale censura contestava la legittimità del giudizio di equivalenza ritenuto dalla stazione appaltante, sicché il primo giudice non poteva che valutare la plausibilità e la logicità di un simile giudizio avuto riguardo alle caratteristiche tecniche del prodotto di cui si discute, alla luce della legge di gara (non dovendosi limitare, evidentemente, al mero riscontro della difformità strutturale sollecitato dalla ricorrente).

Ciò di cui l’appellante si duole è appunto il fatto che il T.A.R., nel decidere se ritenere fondato o meno il mezzo, non si sia arrestato alla presa d’atto della (sola) difformità strutturale dedotta dal ricorrente.

Si tratta però di una pretesa infondata, posto che lo scrutinio di legittimità del provvedimento che ha ritenuto il prodotto offerto equivalente a quello richiesto implica necessariamente una previa ricognizione delle norme e dei princìpi che costituiscono parametro di legittimità di tale provvedimento, e ciò il T.A.R. ha fatto individuando – correttamente – la natura funzionale (in relazione alla corrispondente esigenza sottesa alla commessa pubblica) del requisito richiesto dalla legge di gara, e facendone discendere – altrettanto correttamente – la conformità del giudizio di equivalenza al relativo paradigma normativo.

Per tali, evidenti ragioni il primo giudice non ha in alcun modo violato “l’art. 112 c.p.a.” (recte: art. 112 cod. proc. civ.), né ha esercitato il potere giurisdizionale “eccedendo” ed invadendo la riserva di valutazione tecnica dell’amministrazione: ma ha semplicemente esercitato il sindacato di legittimità che il relativo motivo di ricorso aveva sollecitato (non potendosi, evidentemente, pretendere che la prospettazione della parte, specie se infondata nel suo presupposto interpretativo, delimiti i poteri cognitori e decisori del giudicante sul vizio dedotto, e impedisca un rigetto del mezzo conseguente ad un esito dello scrutinio di legittimità effettivo, concettualmente non conforme alla ricostruzione della fattispecie posta a fondamento di tale prospettazione).

Il giudice può pertanto ritenere legittimo il giudizio di equivalenza anche per ragioni diverse da quelle espressamente indicate nella relativa motivazione provvedimentale, purchè all’esito di una corretta – come nel caso di specie - ricostruzione della stessa.

3.2. Per quanto fin chiarito, manifestamente infondati risultano anche i profili di censura con cui l’appellante deduce per un verso la “violazione nel caso di specie dell’autovincolo procedimentale” (pag. 20) per avere la stazione appaltante a suo dire disatteso la legge di gara senza averla previamente annullata in autotutela; e, per altro verso, l’illegittimità di quest’ultima ove interpretata nel senso ritenuto dal T.A.R., in quanto in tal modo l’equivalenza avrebbe “una latitudine talmente estesa da consentire al concorrente di proporre una fornitura affatto priva dei requisiti richiesti dalla stazione appaltante e tale da integrare un vero e proprio “aliud pro alio”” (pag. 11).

In argomento è sufficiente osservare che la contestata interpretazione del requisito dimensionale richiesto non rende la legge di gara contraria al relativo paradigma normativo, come chiarito dalle sentenze di questa Sezione n. 2905/2011 e n. 1006/2022, richiamate dal primo giudice: dal momento che ove la dimensione sia richiesta, come nel caso di specie, per assicurare determinate caratteristiche prestazionali del prodotto in relazione alle esigenze cui lo stesso è funzionale, un simile giudizio di equivalenza è pienamente conforme all’art. 68 del d. lgs. n. 50 del 2016, e dunque non si configura alcuna offerta di aliud pro alio.

Per la medesima considerazione la stazione appaltante non aveva alcun onere di rimuovere in autotutela la legge di gara per procedere legittimamente al ridetto giudizio di equivalenza, posto che– per quanto fin qui chiarito – l’autovincolo riveniente dalla legge di gara non investe le dimensioni del prodotto se non in quanto funzionali ad assicurare una determinata prestazione (che nel caso di specie è stata riscontrata).

3.3. Con un secondo profilo di censura interno al primo motivo, l’appellante contesta (da pag. 21 a pag. 28 del ricorso in appello) il merito del giudizio di equivalenza della stazione appaltante, ritenuto legittimo dal primo giudice.

Il mezzo poggia su di un’ipotesi del tutto soggettiva: quella per cui l’indicazione, nella legge di gara, dei monitor di dimensioni superiori a 19’’, intendesse orientare le offerte verso prodotti costituenti “il top di gamma del settore”; affermazione a sua volta implicante il giudizio per cui solo i monitor aventi dimensioni superiori a 19’’ sarebbero tali.

Risulta conseguentemente non condivisibile, perché frutto di una ricostruzione soggettiva non autorizzata dalle obiettive evidenze processuali, l’affermazione per cui “Il Giudice di prime cure ha svolto illegittimamente esso medesimo una comparazione tra due prodotti diversi, siccome non si può paragonare un’auto elettrica con una diesel. Ed invero le prestazioni potrebbero anche essere simili ma è evidente che ciò non potrebbe essere ammesso nell’ipotesi in cui la SA richiedesse, come nel caso di specie, solo ed esclusivamente il top di gamma e non certamente un prodotto vetusto e sostanzialmente diverso”.

L’argomento poggia su di una nozione non solo atecnica ed inutilizzabile in punto di ricadute giuridiche (“il top di gamma”), ma soprattutto sulla ricostruzione ipotetica ed unilaterale della volontà della stazione appaltante che invece non è autorizzata da una lettura serena ed obiettiva della legge di gara.

Dalla quale traspare piuttosto, come ritenuto dal primo giudice, “che la specifica tecnica di due monitor di controllo con dimensioni superiori a 19’’ esprima l’esigenza di disporre, per ciascuno schermo, di un’area di visualizzazione superiore allo standard di 1.108,97 cm2. Per cui, in forza del principio di equivalenza, anche un monitor da 19’’ può essere ammesso alla gara se, grazie alla sua foggia (con rapporto diverso dal classico 3/4), possieda una superficie luminosa maggiore rispetto a quella ordinaria e, in tal guisa, risulti idoneo a soddisfare lo specifico interesse dell’Amministrazione”.

La comparazione che è alla base del giudizio di equivalenza non può dunque essere ritenuta “fra due prodotti diversi”, ma piuttosto fra prodotti aventi diverse dimensioni.

3.4. Quanto al fatto che la valutazione del primo giudice sull’equivalenza dei monitor sarebbe errata, oltre che per le sopra riportate ragioni “tecniche” (relative in vero alla volontà dell’amministrazione che l’appellante intende unilateralmente desumere dalla previsione capitolare), anche in concreto, id est in punto di effettiva equivalenza funzionale, è sufficiente osservare sul punto che a tale ultima conclusione il T.A.R. è giunto sulla base della “dichiarazione di equivalenza di Eurocolumbus s.r.l. in data 15.3.2022”.

Va infatti osservato che l’odierna appellante contesta l’equivalenza dell’offerta avversaria quando essa stessa si è giovata di un giudizio di equivalenza fondato su ragioni sostanzialmente identiche.

Fermo restando quanto si dirà subito infra, in relazione agli ulteriori profili di rilevanza di tale circostanza, il T.A.R. ha correttamente utilizzato i dati tecnici allegati dalla ricorrente a sostegno della propria dichiarazione di equivalenza per inferire (pagg. 8/10 della sentenza) l’efficacia, sul piano funzionale, dell’area di visualizzazione garantita dalla superficie luminosa del prodotto offerto dall’aggiudicataria che, grazie alla sua foggia, garantisce un risultato non inferiore a quello richiesto dalla legge di gara per soddisfare lo specifico interesse dell’amministrazione.

L’appellante tenta di sminuire tale dato, affermando nel ricorso in appello che il giudizio di equivalenza reso nella propria dichiarazione partirebbe “sempre dal presupposto che la SA vuole il top della tecnologia (il ricorso ai monitor da 32’’ è ben più performante rispetto ai semplici monitor da 19’’, così come comprovato, inter alia, nella perizia dell’Ing. BARTESELLI (cfr. All. n. 41) e dalle dichiarazioni di LG ed ADVANTECH”.

L’argomento non scalfisce il lucido argomentare della sentenza gravata: dal momento che questa ha valutato il dato tecnico dell’efficacia dei prodotti in punto di estensione dell’area di visualizzazione, per come la rilevanza della superficie luminosa è stata allegata dalla stessa ricorrente in primo grado: a nulla rilevando, evidentemente, che questa abbia allegato tale dato obiettivo in funzione di una prospettazione, a sua volta ancorata ad un’ipotesi (ricostruttiva della volontà dell’amministrazione) non riscontrata: il T.A.R. ha infatti correttamente e coerentemente utilizzato l’unico elemento obiettivo di tale allegazione.

Quanto al fatto che l’aggiudicataria non abbia presentato analoga dichiarazione di equivalenza, il ricorso in appello non contiene elementi tale da superare il condivisibile rilievo della sentenza gravata, laddove questa ha affermato che “secondo consolidato indirizzo pretorio, l’art. 68, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016 non onera i concorrenti di un’apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato, così come la commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis”.

3.5. A pag. 28 del ricorso in appello la ricorrente esclude che la segnalata circostanza, per cui essa stessa si è giovata di un criterio di equivalenza che contesta in relazione all’offerta della controinteressata, possa ridondare nel presente giudizio, non avendo costituito oggetto di ricorso incidentale da parte della controinteressata, né di provvedimento di autotutela da parte della stazione appaltante.

Osserva in proposito il Collegio che, in concreto, tale questione nel caso di specie è ampiamente superata dall’infondatezza, nel merito, del motivo in esame, per le considerazioni fin qui svolte.

Nondimeno il Collegio non può fare a meno di richiamare la regola per cui le parti del procedimento amministrativo (dunque anche nel procedimento di evidenza pubblica) devono tenere una condotta conforme ai princìpi di collaborazione e di buona fede [art. 1, comma 2-bis, legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 12, comma 1, lett. a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120].

Si tratta, com’è stato osservato in dottrina, di una tendenza normativa “a voler configurare un “rapporto” di tipo orizzontale tra cittadini e pubblica amministrazione”, che “(…) se genera in capo alla seconda doveri di protezione o, secondo taluni, obblighi correlati a diritti soggettivi, parimenti comporta anche una più marcata responsabilizzazione dei primi, sia in seno al procedimento che con riguardo al processo”.

È appena il caso di osservare che il sopravvenuto art. 5 del d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36, direttamente inapplicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, fornisce tuttavia ulteriori argomenti esegetici in tal senso (rispetto ad un precetto già vigente all’atto della celebrazione della gara per cui è causa).

Tanto premesso, e fermo restando che l’amministrazione conserva in tesi la titolarità e la facoltà di esercizio del potere di autotutela rispetto all’ammissione dell’offerta dell’odierna appellante, ritiene il Collegio che la riferita condotta della ricorrente sul piano procedimentale non presenti elementi di conformità al canone appena richiamato, mentre sul versante processuale configura in astratto un venire contra factum proprium che, com’è noto, costituisce una forma di abuso del processo (ex multis, in materia di procedure di evidenza pubblica, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 9691/2022; sez. III, sentenza n. 10878/2022).

4. Il secondo motivo di appello, che contesta la sentenza gravata nella parte in cui non ha disposto attività istruttoria, è manifestamente infondato: l’attività istruttoria, che deve essere comunque pertinente e rilevante rispetto al thema decidendum, ha la finalità di acquisire fatti semplici o complessi, il cui significato debba essere chiarito sulla base di scienze non giuridiche, che si manifestino come necessari per dirimere una questione fattuale propedeutica alla decisione sul profilo (giuridico) controverso.

Nel caso di specie, l’appellante lamenta in particolare che “il Giudice a quo ha ritenuto di non dover svolgere alcun approfondimento istruttorio in aggiunta ai chiarimenti richiesti con l’ordinanza n. 20/2023, ancorché la sentenza si sia poi effettivamente espressa con particolare riferimento proprio ad un aspetto tecnico attinente alla fornitura offerta dall’appellata”.

Contrariamente a quanto dedotto tale comportamento processuale è del tutto esente dal vizio prospettato, per la semplice ragione che il Tribunale disponeva all’atto della decisione di tutti gli elementi fattuali e tecnici per provvedere (come del resto la chiara e completa motivazione della sentenza gravata dimostra meglio di ogni ulteriore considerazione).

5. Il terzo motivo di appello, come accennato, contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittima l’applicazione che la stazione appaltante ha fatto del principio di unicità della commissione giudicatrice in una gara articolata per lotti.

L’appellante contesta, in particolare, l’affermazione del primo giudice secondo la quale “la soluzione ventilata da Eurocolumbus s.r.l. risulta contraria ai principi di non aggravamento e di economicità dell’azione amministrativa, giacché la partecipazione dei componenti “specializzati” anche alle sedute dei lotti per i quali non possiedono competenze di settore avrebbe comportato un inutile appesantimento delle operazioni ed un ingiustificato incremento delle spese”.

Invocando le sentenze n. 52/2017 e n. 4726/2022 di questo Consiglio di Stato, l’appellante deduce che “al contrario, è stata proprio la nomina di membri diversi a seconda dei lotti di riferimento a delineare non solo l’obbligo di identificare, selezionare e sorteggiare altri membri ma, conseguentemente, anche ad imporre il pagamento di professionisti ulteriori e diversi. (…) è la nomina di commissari diversi ad aver cagionato quell’appesantimento delle operazioni di gara ex adverso stigmatizzato, oltre ad aver violato un fondamentale principio, id est quello di unicità della commissione di gara, la cui rilevanza è stata altresì riconosciuta in più occasioni anche nella giurisprudenza dell’intestato Consiglio di Stato”.

Il mezzo, ad avviso del Collegio, è infondato.

Va anzitutto osservato che la citata sentenza n. 4726/2022 si riferisce alla fattispecie di una gara divisa in nove lotti, con riferimento alla quale la ricorrente aveva proposto una censura che “si concretizza nella ritenuta unicità della gara, pur a fronte di una sua suddivisione in 9 lotti”; l’invocata sentenza ha respinto tale prospettazione, osservando che “la unicità della commissione di gara”, allegata dalla ricorrente in quel giudizio come “indice aggregante” tale in realtà non è, poiché “La scelta della commissione unica di gara consiste in una misura di semplificazione e di contenimento dei relativi costi (Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 2017, n. 52)”.

Il richiamo è quindi del tutto inconferente: nel caso di specie il problema non è quello della unicità o meno della gara (che non è in contestazione), ma quello della pretesa violazione del principio di unicità della Commissione in ragione del fatto che “il progetto e il disciplinare di gara (docc. 3 e 18 resistente) hanno contemplato la nomina di quattro commissari comuni per tutti i lotti, ossia un fisico sanitario, un ingegnere clinico, un medico radiologo e un tecnico radiologo; in aggiunta, per ciascun lotto è stato previsto un componente con la specialità professionale interessata e, quindi, un chirurgo vascolare (per i lotti nn. 1 e 5), un chirurgo generale (per i lotti nn. 2 e 6), un ortopedico (per il lotto n. 3) ed un neurochirurgo (per il lotto n. 4)” (così la sentenza del T.A.R. impugnata nel presente giudizio).

Il primo giudice ha correttamente escluso tale violazione, osservando che “lungi dal trasgredire il principio di unitarietà della commissione, la stazione appaltante regionale lo ha applicato in modo logico e razionale, designando i quattro membri aggiuntivi solo per i lotti riguardanti gli strumenti da utilizzare nel loro ambito professionale”.

La ricorrente pretendeva al contrario che una malintesa concezione del principio di unicità della Commissione avrebbe dovuto imporre “la partecipazione dei componenti “specializzati” anche alle sedute dei lotti per i quali non possiedono competenze di settore”: una simile conclusione, oltre a non essere imposta dal richiamato principio (che evidentemente attiene all’unitarietà della gestione della gara nel suo complesso, e non anche ad aspetti tecnici peculiari), appare nel caso di specie contraria ai princìpi di proporzionalità dell’azione amministrativa e, appunto, di non aggravamento del procedimento.

6. Il quarto motivo di appello, come accennato, contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittima l’omessa previsione del vincolo di aggiudicazione.

Deduce in particolare l’appellante che “appare quanto mai contraddittorio suddividere una procedura in sei lotti onde garantire la massima concorrenzialità tra i concorrenti (soprattutto tra piccole e medie imprese: in termini, ex multis, T.A.R. Firenze, Sez. III, sent. n. 758 del 06/06/2022) ma poi consentire la sostanziale concentrazione/monopolizzazione di una fornitura così importante per estensione territoriale ed importo ad un unico operatore economico”.

Il T.A.R. ha in proposito richiamato, nel senso dell’infondatezza della censura, il consolidato e pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’inserimento della clausola limitativa del numero di lotti aggiudicabili allo stesso concorrente, ai sensi dell’art. 51, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016, costituisce una facoltà discrezionale dell’amministrazione, il cui mancato esercizio non rappresenta ex se sintomo di illegittimità; né la violazione del principio di concorrenza può desumersi dalla sola circostanza dell’aggiudicazione di tutti i lotti al medesimo operatore, trattandosi di un elemento neutro, di per sé non indicativo di vizi nella strutturazione della gara, potendo semplicemente discendere dalla capacità del vincitore di offrire la prestazione a migliori condizioni”.

Lamenta in proposito l’appellante che “La ratio decidendi, tuttavia, è quanto mai fallace, visto e considerato che innanzitutto la circostanza che l’introduzione del cd. vincolo di aggiudicazione rientri nella discrezionalità della stazione appaltante non può certamente fungere da “panacea di tutti i mali”, essendo fin troppo noto che l’esercizio della discrezionalità avrebbe richiesto, nel caso di specie, quanto meno l’estrinsecazione delle ragioni in ordine alla mancata introduzione di tale principio”.

7. Il mezzo è infondato.

In primo luogo, non può essere condivisa l’affermazione per cui l’amministrazione avrebbe dovuto motivare specificamente la mancata introduzione del vincolo di aggiudicazione (non essendo un simile onere riconducibile al citato art. 51 d.lgs. n. 50 del 2016, né ad altra disposizione normativa rilevante nel caso di specie).

In secondo luogo, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che l’indicato potere discrezionale può avere tanto una finalità proconcorrenziale che una finalità più propriamente antitrust (si veda in argomento la sentenza di questa Sezione n. 9003/2022): nel caso di specie, come chiarito in sede di esame della censura relativa alla composizione della Commissione di gara, i diversi lotti presentavano delle peculiarità differenziali anche di natura tecnica, di talché del tutto ragionevolmente la stazione appaltante non ha inserito il vincolo di aggiudicazione.

8. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore delle parti appellate costituite delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro seimila/00, oltre accessori come per legge, in ragione di euro tremila/00 oltre accessori per ciascuna parte.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Stefania Santoleri, Presidente FF

Nicola D'Angelo, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore


[1] “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.