Tar Campania, Napoli, Sez. I, 7 settembre 2023, n. 5001

La sentenza n. 5001/23 del Tar Campania rappresenta uno dei primi arresti giurisprudenziali intervenuti a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36).

La pronuncia affronta, in prima battuta, la questione dell’ammissibilità del c.d. cumulo alla rinfusa per i consorzi stabili nelle gare d’appalto di lavori, servizi e forniture, e in seconda battuta, la questione relativa ai limiti del sindacato giurisdizionale sulla valutazione delle offerte presentate dagli operatori in gara.

La questione dell’ammissibilità del cumulo alla rinfusa nasce a seguito di un contrasto tra orientamenti derivante dalla non agevole interpretazione dell’art. 47, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 50/2016 che, a tenore letterale, sembrerebbero non ammettere la possibilità per i consorzi stabili di far valere come proprie le attestazioni e le certificazioni in possesso di imprese consorziate, limitando l’operatività dell’istituto del cumulo al possesso di requisiti oggettivi, quali la disponibilità di attrezzature, mezzi e organico medio annuo.

La tesi restrittiva, come sottolineano i giudici campani, non deriva soltanto dal dato letterale della disposizione sopracitata (oltre che del correttivo operato dal d.l. 32/2019 - c.d. “sblocca cantieri” - anch’esso di ambigua interpretazione) ma è confortata da una pronuncia dell’Adunanza Plenaria Consiglio di Stato che (sent. N. 5 del 2021), seppur in termini di obiter dictum, avrebbe reso maggioritario tale orientamento e avrebbe acuito il contrasto con pronunce tese invece a massimizzare la ratio pro-concorrenziale dell’istituto del cumulo alla rinfusa.

La pronuncia caposaldo del suddetto orientamento è costituita dalla Sent. N. 7360/2022 della sez. V del Consiglio di Stato che esclude l’applicabilità del cumulo in ordine alle qualificazioni soggettive (quali SOA, ISO etc.), la cui titolarità dovrebbe essere dimostrata di volta in volta dai singoli operatori consorziati, negandone l’imputabilità in cumulo al consorzio stabile.

Tale impostazione, in effetti, valorizzerebbe il dato normativo letterale, anche alla luce di un’interpretazione sistematica con le norme che in generale attengono al rispetto dei requisiti in capo agli operatori che vengono a contatto con le stazioni appaltanti.

Quello che risultava, fino ad oggi, l’orientamento giurisprudenziale prevalente faceva leva non solo su un’interpretazione restrittiva del dato normativo, ma anche sul superamento delle disposizioni di cui al “vecchio” art. 36 del d.lgs. n. 163 del 2006, ove al comma 7 il legislatore, al contrario, sembrava sposare un intendimento comprensivo e generalizzato del cumulo “alla rinfusa”.

L’espunzione di tale disposizione e la risistemazione delle disposizioni inerenti ai consorzi stabili aveva portato la giurisprudenza a ritenere che l’art. 47 del d.lgs. n.50 del 2016, specie a seguito del “doppio correttivo” posto in essere nel 2017 prima e nel 2019 poi -con il c.d. “sblocca cantieri”-, rappresentasse la volontà del legislatore di superare l’impostazione del “vecchio” codice, introducendo una disciplina più rigorosa in materia di rispetto dei requisiti dell’operatore economico, coerentemente con quella che è sempre apparsa la generale impostazione del d.lgs. n. 50 del 2016.

Parte della Giurisprudenza evidenziava perciò l’esigenza di valorizzazione del comma 2 del “nuovo” art. 47 del d.lgs. n.50 del 2016, confermando la necessità di valutare la sussistenza dei requisiti prescritti in capo ai singoli consorziati (v. anche T.A.R. Lazio, Roma sez. III, n. 2571/2022).

A tale orientamento restrittivo, tuttavia, ha fatto da contraltare, parallelamente, un diverso esprimersi dei giudici amministrativi di vari T.A.R. che, partendo da una visione più articolata dell’evoluzione normativa, hanno restituito un perimetro di operatività più ampio al cumulo alla rinfusa, da un lato guardando alla ratio legis della struttura economica cui l’istituto è rivolto (i consorzi stabili), dall’altro lato compiendo una complessa ricognizione sugli elementi normativi e sulla loro trasformazione a cavallo del primo, del secondo e del terzo codice appalti (d.lgs. n. 36 del 2023).

Punto di partenza è stato evidenziare come, invero, il dato normativo di cui all’art. 47, primo comma non rappresenti altro che la trasposizione, nel d.lgs. N. 50 del 2016, del precedente art. 36 del d.lgs. N. 163/2006 e che, in assenza di una nuova disciplina regolamentare, alle nuove disposizioni potessero accompagnarsi gli artt. 81 e 94 del DPR n. 207/2010 la cui portata e contenuto non hanno mai permesso di dubitare della operatività del cumulo alla rinfusa (v. T.A.R Sicilia, Palermo, n. 3189/2022 e n. 657/2023). 

 

La sentenza in commento, a valle dei contrasti sopra esposti, sintetizza quindi le ragioni per cui l’approccio restrittivo va superato, rafforzando e dando seguito all’orientamento giurisprudenziale che ammette la configurabilità del cumulo alla rinfusa nei consorzi stabili, anche con riguardo alle qualificazioni soggettive.

Il collegio, a sostegno di un’interpretazione che torna sull’ammissibilità del cumulo alla rinfusa, riscontra inoltre l’assoluta novità legislativa rappresentata, come anticipato, dall’intervento posto in essere dal Legislatore proprio al fine di risolvere i contrasti interpretativi sorti in ordine alla corretta modalità applicativa dell’istituto.

Più precisamente, i giudici rilevano correttamente come le nuove disposizioni del c.d. terzo codice appalti risolvano definitivamente la questione, ammettendo l’applicazione dell’istituto (anche con riferimento, quindi, ai requisiti soggettivi).  

Si sottolinea infatti che l’art. 225 comma 13 d.lgs. 36/2023 fornisce agli operatori una norma di interpretazione autentica e pertanto “ambivalente”, nel senso che se da un lato mira a risolvere un contrasto interpretativo sorto dalla previgente disposizione, dall’altro ambisce a restituire all’istituto del cumulo alla rinfusa la massima portata pro-concorrenziale, fattore che ne costituisce la ratio.

 

L’art. 225 comma 13 d.lgs. 36/2023, anche se inserito tra le disposizioni transitorie, recepisce quindi l’esigenza di garantire la partecipazione in gare anche a consorzi stabili che, qualora possiedano -quali enti autonomi e a rilevanza esterna- i requisiti individuati dalle stazioni appaltanti, non devono dimostrare che tali requisiti siano maturati o posseduti da tutte le consorziate, e le cui consorziate non devono dimostrare il possesso di qualifiche che risultino in capo al consorzio.

I giudici campani rimarcano altresì l’esigenza di coerenza ordinamentale, sottolineando che, qualora si adottasse il metro restrittivo, non solo si incorrerebbe in un contrasto con la voluntas legis (espressa anche dal dettato dell’art. 67 del nuovo codice appalti), ma si alimenterebbe l’incertezza circa l’effettiva natura dei consorzi stabili che, non potendo avvalersi del cumulo alla rinfusa secondo la piena capacità dell’istituto, vedrebbero erosa la differenza con altre forme di associazionismo tra operatori (v. raggruppamento temporaneo di imprese).

Il collegio giudicante, adottando infine a supporto della motivazione un precedente arresto della stessa sezione del tribunale, dà seguito e riafferma un orientamento giurisprudenziale che, prima delle recenti modifiche legislative, risultava minoritario.

 

Problemi assai minori, invece, si pongono con riguardo alla seconda questione affrontata nella sentenza in commento, concernente i limiti del sindacato giurisdizionale sulle scelte tecnico-discrezionali degli organi deputati, in seno alle stazioni appaltanti, alla scelta dei contraenti.

In questo come in molti altri ambiti caratterizzati da provvedimenti amministrativi adottati sulla base di discrezionalità tecnica, il metro di giudizio per poter contestare l’illegittimità del provvedimento deve essere circoscritto a situazioni in cui siano ravvisabili vizi di macroscopica irragionevolezza nella scelta dei punteggi da attribuire alle offerte o, addirittura, di ingiustizia manifesta nella valutazione di offerte tecniche ed economiche presentate dagli operatori.

Al di fuori di tali gravi ipotesi di illegittimità del provvedimento amministrativo e/o di eccesso di potere, i giudici della prima sezione del TAR Campania sottolineano come l’Autorità giudiziaria non possa sostituire le proprie valutazioni con quelle effettuate da una pubblica amministrazione nell’esercizio della propria discrezionalità. 

 

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