Consiglio di Stato, Sez. V, 12 settembre 2023, n.8273
La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione può sussistere anche nel caso in cui sia stata revocata legittimamente una gara, alla luce dell’entrata in vigore di una norma in materia di contenimento della spesa pubblica.
Infatti un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza può concretizzarsi nel momento in cui il soggetto pubblico, accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione, non abbia immediatamente ritirato i propri provvedimenti. In tal modo lo stesso ha prolungato inutilmente lo svolgimento della gara, così inducendo le imprese concorrenti a confidare nelle chances di conseguire l'appalto.
Al tempo stesso le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l'altro concernente invece la responsabilità dell'amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l'accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l'amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi.
Le riforme realizzate nel settore amministrativo dimostrano che il soggetto pubblico agisce, in primis, per consenso.
Tutto questo al fine del soddisfacimento dell’interesse pubblico primario e del conseguimento, da parte del cives, del bene della vita.
Infatti una concreta ed effettiva collaborazione tra le parti (pubblica e privata) porta alla realizzazione, come detto, dei rispettivi obiettivi.
Gli innovativi principi nella materia degli appalti pubblici, concernenti, in primis, il risultato (articolo 1) e la fiducia (articolo 2), previsti dal decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici, in attuazione dell'art. 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici), operano in tal senso.
Tuttavia in questa delicata fase di “collaborazione” può accadere che i rapporti tra le parti siano peggiorati da varie circostanze.
La pronuncia in argomento rileva come gli aspetti pubblicistici e quelli privatistici possano alterarsi a causa di una situazione conflittuale creatasi tra i partecipanti alla selezione.
Il nucleo centrale dell’intervento del Consiglio di Stato risiede nella seguente precisazione: il soggetto pubblico può essere un buon amministratore, e, quindi, utilizzare tutti gli strumenti necessari per raggiungere l’obiettivo primario, Tuttavia, nello stesso tempo, la p.a. deve operare, proprio alla luce dei su descritti criteri civilistici, come un corretto contraente.
In sintesi la sentenza verifica come l’ente pubblico abbia amministrato bene la vicenda, ma, allo stesso tempo, come la medesima amministrazione si sia comportata in modo scorretto con la controparte.
Il punto della questione riguarda la natura dell’istituto dell’aggiudicazione provvisoria.
Secondo la Sezione, ed in base alla costante giurisprudenza, la citata aggiudicazione è atto di natura endoprocedimentale, con efficacia esclusivamente interinale e con un’indicazione di una scelta momentanea per il soggetto aggiudicatario.
La temporaneità e la instabilità del predetto istituto comporta il fatto che lo stesso non si conclude, necessariamente, tramite l’aggiudicazione definitiva, proprio in virtù della sua genetica precarietà. L’assegnazione provvisoria non è pertanto idonea a creare affidamenti tutelabili tramite i principi del diritto civile e del conseguente obbligo di risarcimento.
Quindi il Collegio, nel sottolineare la situazione aleatoria verificatasi, afferma come un’importante, sopravvenuta esigenza di contenimento della spesa pubblica possa legittimare l’esercizio della revoca, in autotutela, della descritta aggiudicazione.
Proprio in considerazione della natura di atto intermedio che contraddistingue tale istituto, i magistrati affermano che la revoca in questione non richiede un incisivo raffronto tra interesse pubblico e privato. Al contrario l’amministrazione compie la valutazione secondo i meno rigorosi canoni della mera opportunità e della convenienza.
In definitiva, ribadisce il Collegio, bene ha fatto la parte pubblica a non portare a termine la procedura di gara, tramite la formalizzazione dell’aggiudicazione definitiva.
Infatti, in ragione, come sopra ricordato, delle disposizioni sopravvenute di contenimento della spesa pubblica, la p.a. ha effettuato un ragionamento finalizzato proprio al contenimento dei conti pubblici; comportandosi, di conseguenza, come buono amministratore.
Al contrario i giudici, nella fase di dialettica con il privato, hanno rilevato come la p.a. abbia violato i canoni di buona fede e correttezza, incorrendo nella fattispecie della responsabilità precontrattuale.
Quindi se è vero che l’ente agisce, a tutti gli effetti, come buono amministratore pubblico, viceversa lo stesso può trovarsi nella situazione di violare le basilari regole della correttezza contrattuale.
In conclusione, il supremo Consesso di giustizia amministrativa, nel richiamare ulteriore giurisprudenza, ha evidenziato una delicata questione: differenti condotte tenute dal soggetto pubblico (positive nel compimento della revoca, negative nei rapporti con il privato) possono coesistere. Di conseguenza, le stesse azioni sono in grado di causare rilevanti e differenti risultati.
Infatti se il soggetto pubblico si fosse accorto in tempo delle ragioni giuridiche che legittimavano l’attuazione delle disposizioni previste dall’articolo 21 quinquies (Revoca del provvedimento) della legge sul procedimento amministrativo (L. 7 agosto 1990, n. 241), lo stesso avrebbe potuto ritirare immediatamente i propri provvedimenti.
In questo modo la gara non si sarebbe inutilmente prolungata e la parte pubblica non sarebbe incorsa, come invece accaduto, in responsabilità contrattuale.
LEGGI LA SENTENZA
Pubblicato il 12/09/2023
N. 08273/2023REG.PROV.COLL.
N. 02808/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2808 del 2017, proposto da
Racop S.r.l. in proprio e quale mandataria della costituenda Ati, Icv S.r.l. in proprio e quale mandante cosituenda Ati, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Riccardo Barberis, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via A. Pollaiolo n. 3;
So.L.E.S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Riccardo Barberis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luigi D'Ottavi, con domicilio eletto presso gli Uffici della Avvocatura Comunale in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
nei confronti
Acea Ato2 Spa, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 01229/2017, resa tra le parti su appalto CIG 05430570D0.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2023 il Cons. Massimo Santini e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società appellante partecipava alla gara per la realizzazione di un tronco dell’impianto fognario dell’Acqua Traversa in Roma (in particolare il VI, ubicato nel Municipio Roma XV) e risultava aggiudicataria provvisoria all’esito della gara stessa, ossia in data 6 ottobre 2011. Importo della commessa: oltre 5 milioni di euro.
Il Comune di Roma avviava la procedura di verifica dei requisiti senza tuttavia concluderla per diversi anni.
Nel 2013 il Comune di Roma chiedeva agli uffici di ragioneria se si potesse chiudere la procedura di aggiudicazione nel rispetto del patto di stabilità che, nel frattempo, era entrato in vigore con legge n. 183 del 2011. La Ragioneria, viene riferito nel provvedimento di revoca poi impugnato, avrebbe frapposto ostacoli alla chiusura della procedura di gara proprio a causa dei suddetti vincoli di bilancio. Tale carteggio o comunque tali difficoltà non venivano comunicate alla RACOP nella qualità di aggiudicataria provvisoria.
Nel frattempo lo Stato italiano subiva una procedura di infrazione, nel corso del 2015, per la cattiva gestione degli impianti fognari e di depurazione, ivi ricompresi quelli del Comune di Roma e, tra questi, il collettore fognario dell’Acqua Traversa. Di qui il commissariamento delle opere tra cui anche quella in esame.
Con nota del 22 gennaio 2016 il Comune di Roma chiedeva comunque alla RACOP la disponibilità alla conclusione della procedura di gara (aggiudicazione definitiva e stipula del contratto) agli stessi prezzi offerti in gara nel 2011. RACOP insisteva invece per un aggiornamento dei prezzi (nota RACOP 25 febbraio 2016). Il richiesto aggiornamento e modifica dei prezzi veniva rifiutato dai competenti uffici del Comune di Roma in quanto ciò avrebbe comportato una sostanziale variazione dell’offerta con cui RACOP si era aggiudicata la gara nel 2011, e tanto con conseguente possibile violazione della par condicio rispetto agli altri concorrenti della stessa gara.
A questo punto la procedura di gara (ivi ricompresa la aggiudicazione provvisoria) con determinazione dirigenziale n. 882 del 14 giugno 2016 veniva revocata e aggiudicata ad ACEA ATO 2, come da indicazione del commissario di governo.
2. La revoca veniva impugnata dinanzi al TAR Lazio che rigettava il ricorso anche con riguardo ai profili risarcitori da responsabilità precontrattuale. In particolare il giudice di primo grado affermava che:
2.1. Sussistevano i presupposti della revoca ex art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990;
2.2. Il meccanismo del silenzio assenso non si applica alla aggiudicazione definitiva;
2.3. Non è intervenuto alcun provvedimento di aggiudicazione definitiva;
2.4. Sul piano risarcitorio, la sola approvazione della aggiudicazione provvisoria è insuscettibile di ingenerare alcun affidamento in capo al privato;
2.5. Sul piano del risarcimento da responsabilità precontrattuale, non si è registrata alcuna assenza di buona fede o di diligenza da parte del Comune di Roma, il quale non si sarebbe ingiustificatamente ritirato dalle trattative (queste ultime sarebbero state infatti interrotte per eventi “esogeni” come il patto di stabilità nonché il commissariamento delle opere e dunque la sostanziale sostituzione dell’amministrazione comunale nella gestione della suddetta opera).
3. La sentenza veniva appellata sia per quanto riguarda i profili annullatori, sia per quelli risarcitori. Più in particolare si deduceva erroneità per i motivi di seguito sintetizzati:
3.1. Omessa considerazione della avvenuta aggiudicazione definitiva della commessa in questione;
3.2. Mancata comunicazione di avvio del procedimento di revoca della gara e della aggiudicazione provvisoria;
3.3. Omessa considerazione della violazione del principio del legittimo affidamento e difetto di motivazione in ordine alle ragioni legate al provvedimento di revoca;
3.4. Omessa considerazione, di conseguenza, del diritto al risarcimento da atto illegittimo e dunque per il mancato utile (chiesto nella misura del 10% dell’importo dell’appalto) nonché per il danno curricolare subito (chiesto nella misura del 3% del medesimo importo);
3.5. Omessa considerazione, in ogni caso, dei presupposti per il riconoscimento della responsabilità precontrattuale in capo alla PA per violazione dei canoni della buona fede e della correttezza. Ciò in particolare per la mancata tempestiva comunicazione delle ragioni legate alla possibile revoca dei suddetti atti di gara. Veniva a tal fine richiesto il risarcimento dell’interesse negativo per le spese inutilmente sostenute (a titolo di danno emergente) nonché per la perdita di altre occasioni contrattuali (a titolo di lucro cessante).
4. Si costituiva in giudizio l’appellata amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione.
5. Alla pubblica udienza del 15 giugno 2023 la causa veniva infine trattenuta in decisione.
6. Tutto ciò premesso, in merito ai profili annullatori si osserva che:
6.1. Quanto al motivo sub 3.1. la aggiudicazione definitiva non v’è stata, ancor prima non si è perfezionata la verifica dei requisiti e neppure può applicarsi il meccanismo del silenzio assenso, che vale soltanto per la approvazione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1766). Al riguardo è stato in particolare affermato che: “Né può sostenersi che il lungo tempo trascorso tra l'aggiudicazione e la revoca della stessa, nonché dell'intera gara abbia mutato la natura giuridica di atto provvisorio, ad effetti instabili, dell'aggiudicazione provvisoria, atteso che il termine di trenta giorni stabilito dall'art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006 comporta solamente che l'aggiudicazione si consideri, nel silenzio dell'Amministrazione, approvata, ma non che essa determini l'aggiudicazione definitiva, la quale resta sempre sottoposta alla verifica del possesso dei requisiti in capo all'aggiudicataria” (Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5834). Ed ancora che: “il meccanismo del silenzio assenso prefigurato dall'art. 12, comma 1, riguarda solo l'approvazione dell'aggiudicazione provvisoria, mentre l'aggiudicazione definitiva richiede una manifestazione di volontà espressa dell'Amministrazione, ossia un provvedimento” (Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1766, cit.). Più in particolare: “la censura proposta si fonda sul ritenuto perfezionamento dell'aggiudicazione definitiva sulla base della mera inerzia della stazione appaltante, mentre invece, come sopra evidenziato, è la stessa norma che rende palese la necessità di un provvedimento ulteriore dell'amministrazione, non altrimenti sostituibile benché vincolato nei contenuti” (Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1766, cit.).
Alla luce di quanto sopra riportato il motivo deve dunque essere respinto dal momento che, pur a seguito di richiesta documentale da parte dell’amministrazione in data 21 novembre e di relativo deposito da parte di RACOP il successivo 29 novembre 2011, l’amministrazione comunale stessa non risulta avere mai formalmente concluso il procedimento mediante adozione espressa di formale provvedimento di aggiudicazione.
6.2. Quanto al motivo sub 3.2., per giurisprudenza costante la comunicazione di avvio del procedimento non è obbligatoria per la revoca della aggiudicazione provvisoria (Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5834). Al riguardo è stato in particolare affermato che: “la possibilità che all'aggiudicazione provvisoria della gara non faccia seguito quella definitiva è evento del tutto fisiologico, che esclude qualsivoglia affidamento tutelabile; pertanto la revoca (come pure l'annullamento) dell'aggiudicazione provvisoria non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto endoprocedimentale che si inserisce nell'ambito del procedimento di scelta del contraente come momento necessario, ma non decisivo; solamente l'aggiudicazione definitiva attribuisce, in modo stabile, il bene della vita ed è pertanto idonea ad ingenerare un affidamento in capo all'aggiudicatario, sì da imporre l'instaurazione del contraddittorio procedimentale (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 4 dicembre 2017, n. 5689)”.
E ciò in disparte ogni considerazione circa il fatto che, come evidenziato dalla difesa dell’amministrazione comunale (cfr. memoria in data 3 giugno 2023), il Comune di Roma non avrebbe potuto adottare un provvedimento di segno diverso nel caso di specie (art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, legge n. 241 del 1990).
Di qui – giova ripetere – il rigetto dello specifico motivo di appello.
6.3. Quanto al lamentato difetto di motivazione circa la mancata considerazione dell’interesse pubblico sotteso alla revoca (motivo sub 3.3.) si osserva in via generale che, per giurisprudenza pressoché costante, l’aggiudicazione provvisoria è atto endoprocedimentale – instabile e ad effetti interinali, per la precisione – che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario. Con la conseguenza che la possibilità che ad una aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva costituisce evento del tutto fisiologico, inidoneo di per sé a ingenerare forme di affidamento tutelabili e dunque un qualsivoglia obbligo risarcitorio (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. V, 19 agosto 2016, n. 3646; Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3453).
La natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili tipica dell’aggiudicazione provvisoria non consente in altri termini di applicare pedissequamente, nei suoi riguardi, la disciplina dettata dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, atteso che l’aggiudicazione provvisoria non è l’atto conclusivo del procedimento.
Ne deriva che, non essendo configurabile una situazione di legittimo affidamento in capo al soggetto interessato, non è richiesto in siffatte ipotesi un particolare raffronto tra l’interesse pubblico ritenuto preminente e quello privato recessivo e sacrificato.
Come affermato dalla stessa giurisprudenza, il passaggio dall'aggiudicazione provvisoria a quella definitiva non è dunque un obbligo della p.a. appaltante, né un diritto dell'aggiudicatario provvisorio, ben potendo una sopravvenuta esigenza di contenimento della spesa giustificare la revoca in autotutela dell'aggiudicazione provvisoria della gara.
In analoga direzione è stato così evidenziato che l’onere motivazionale sotteso alla revoca di tali atti deve essere calibrato in funzione della fase procedimentale in cui la stessa interviene e, in definitiva, dell'affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dal provvedimento: l’esplicitazione delle ragioni circa l’interesse pubblico al suddetto ritiro, in altre parole, varia di intensità a seconda della circostanza che sia intervenuta l'aggiudicazione definitiva (o addirittura la stipula del contratto) ovvero che il procedimento di valutazione comparativa concorrenziale non sia ancora completamente giunto a termine (TAR Perugia, sez. I, 16 giugno 2011, n. 172, cit.).
Tanto premesso e considerato, il provvedimento risulta nella specie adeguatamente motivato in considerazione del livello di affidamento ingenerato dall'aggiudicazione provvisoria che, come già ampiamente detto, è mero atto intermedio del procedimento di gara la cui eventuale revoca non richiede, per le ragioni sopra illustrate, una approfondita comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato ma, piuttosto, una valutazione in termini di mera opportunità e convenienza.
Di qui la correttezza dell’operato dell’amministrazione nella parte in cui ha ritenuto di revocare l’aggiudicazione provvisoria per almeno tre concomitanti ragioni: a) limiti derivanti dal c.d. “patto di stabilità” (legge n. 183 del 2011); b) commissariamento governativo determinato dalla predetta procedura di infrazione comunitaria del 2015, tale da imporre la realizzazione dell’infrastruttura con diverse modalità e dunque attraverso la sostanziale sostituzione dell’amministrazione comunale nella gestione della suddetta opera; c) sostanziale rifiuto della RACOP di confermare gli stessi prezzi del 2011. Come correttamente evidenziato dagli uffici del Comune di Roma, il richiesto aggiornamento e modifica dei prezzi nel senso richiesto da RACOP avrebbe infatti comportato una sostanziale variazione dell’offerta con cui RACOP medesima si era aggiudicata la gara nel 2011, e tanto con conseguente possibile violazione della par condicio rispetto agli altri concorrenti della stessa gara.
L’aspetto relativo alle singole motivazioni legate al provvedimento di revoca non hanno tra l’altro formato oggetto di specifica contestazione ad opera della difesa di parte appellante.
Dalle considerazioni sopra esposte discende il rigetto della specifica censura e, soprattutto, il riconoscimento della legittimità dell’adottato provvedimento di revoca.
7. Quanto poi ai profili più strettamente risarcitori si rileva quanto segue.
7.1. L’aggiudicazione provvisoria è pacificamente provvedimento ad effetti instabili e temporanei insuscettibile come tale di ingenerare un legittimo affidamento.
Deve infatti ribadirsi che, per giurisprudenza costante (Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016, n. 1797; Cons. St. Sez. V 9 luglio 2015, n. 3453; Cons. St., Sez. III, 28 febbraio 2014, n. 942; Sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 195): “l'aggiudicazione provvisoria nelle gare pubbliche ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell'ambito della procedura di scelta del contraente e la possibilità che all'aggiudicazione provvisoria della gara d'appalto non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli art. 11 comma 11, art. 12 e art. 48 del D.L.vo n. 163/2006, non idoneo per sua natura a ingenerare un affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista illegittimità nell'operato dell'Amministrazione”.
Dunque dalla conclamata legittimità dell’atto di revoca (cfr. punti 6.1., 6.2. e 6.3.) inevitabilmente discende l’impossibilità di accogliere ogni conseguente richiesta risarcitoria legata alla pur invocata lesione del legittimo affidamento. Ed ancora non possono trovare ingresso le poste risarcitorie invocate a titolo di mancata realizzazione dell’utile da esecuzione dell’appalto, né il riconoscimento del danno curricolare, voci queste che implicano come detto la illegittimità dell’atto di autotutela (revoca) qui invece pacificamente esclusa per le ragioni sopra partitamente evidenziate. E ciò in disparte ogni considerazione circa la inammissibilità, in ogni caso, di liquidazioni del danno in via forfettaria come espressamente richiesto dalla difesa di parte appellante (10% importo a base d’asta per utile e 3% su base d’asta per danni curricolari): si vedano al riguardo Cons. Stato, sez. III, 22 luglio 2020, n. 4685; Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 2019, n. 5283 (su criteri forfettari utile) nonché Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2022, n. 9785; Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 2021, n. 3892; Cons. Stato, sez. III, 5 marzo 2020, n. 1607 (su criteri forfettari danni curricolari).
Di qui il rigetto dello specifico motivo di appello.
8. Resta da valutare se vi sia spazio per il risarcimento da responsabilità precontrattuale. Occorre verificare se la PA si sia comportata non solo da buon amministratore ma anche da corretto contraente.
8.1. A tale riguardo il TAR Lazio nega anche tale tipo di responsabilità precontrattuale sulla base di quanto riportato al punto 6.3. (motivazioni sufficienti in termini di revoca). Si tratta tuttavia di argomenti che attengono soltanto alla legittimità del provvedimento adottato (qui positivamente già vagliata) e non anche alla correttezza del comportamento concretamente assunto.
8.2. In diritto, si premette che secondo la costante giurisprudenza amministrativa: “anche in caso di revoca legittima degli atti di aggiudicazione di gara per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie può sussistere la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione che abbia tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza soprattutto perché, accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione non abbia immediatamente ritirato i propri provvedimenti, prolungando inutilmente lo svolgimento della gara, così inducendo le imprese concorrenti a confidare nelle chances di conseguire l'appalto” (Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016, n. 1797; Cons. Stato, sez. V, 1° febbraio 2013, n. 633).
Più in particolare è stato affermato che: “le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l'altro concernente invece la responsabilità dell'amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l'accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l'amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21). Ed ancora che: “A conferma della descritta evoluzione si pone l'art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: "(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede"” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, cit.). Infine che: “La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all'esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. >> (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5)” (così Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514). In questa direzione, pertanto: “non viene in rilievo l’attività provvedimentale della p.a. (l’esercizio diretto ed immediato del potere) bensì il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara, di modo che rilevano le regole di diritto privato la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; anche per la p.a. le regole di correttezza e buona fede così come per i privati sono regole di responsabilità” (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514, cit.).
8.3. In fatto, va osservato quanto segue.
8.3.1. Le difficoltà legate al patto di stabilità erano note, ai competenti uffici del Comune di Roma, almeno dal 2013. Si veda la nota del Dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana (SIMU) del 14 maggio 2013, indirizzata alla Ragioneria Generale del Comune, con cui: “In considerazione del fatto che il D.L. 201/2011 (comma 11-ter art. 28) prevede la possibilità di una ridefinizione delle regole del patto di stabilità interno, si invita a valutare l’opportunità di autorizzare … a proseguire nella attività di aggiudicazione definitiva e nulla osta alla stipula del contratto anche alla luce delle nuove manovre di bilancio di Roma Capitale”. Invito questo rinnovato con ulteriore nota SIMU del 14 ottobre 2013.
8.3.2. Di tali difficoltà il Comune di Roma non ha mai reso edotto l’appellante se non a tre anni di distanza ossia in occasione della revoca stessa.
8.3.3. Di qui la violazione dell’art. 1338 c.c. in tema di omessi obblighi informativi circa possibili ragioni di invalidità della procedura contrattuale.
8.3.4. Del resto la stessa legge n. 183 del 2011, anche a voler ammettere la sicura notorietà del patto di stabilità (elemento questo che in linea di principio potrebbe escludere una responsabilità ex art. 1338 c.c. allorché l’invalidità dipenda da una disposizione di legge che entrambe le parti erano tenute a conoscere e che non avevano pertanto l’obbligo di comunicarsi tra loro), prevedeva in ogni caso alcune ipotesi derogatorie la cui applicabilità poteva essere nota (e comunque valutata) soltanto agli uffici tecnici della Ragioneria comunale e non anche al privato concorrente, dato il contenuto squisitamente tecnico di taluni meccanismi contabili. Si veda al riguardo la citata nota in data 14 maggio 2013 con cui il Dipartimento opere pubbliche del Comune di Roma (c.d. SIMU) aveva chiesto agli uffici della Ragioneria comunale la sussistenza di possibili aperture in tal senso. Con ciò si vuole dire che il c.d. “patto di stabilità” non costituiva una causa ostativa in termini assoluti ma soltanto un elemento tecnicamente valutabile ad opera degli uffici strettamente competenti (tra l’altro non tutti, e neppure quelli deputati alla esecuzione concreta dell’opera come il SIMU, ma soltanto quelli specificamente deputati alle politiche di bilancio come per l’appunto la ragioneria comunale). In altre parole la causa ostativa era solo genericamente ma non anche specificamente conoscibile, ossia con riguardo alla sua effettiva applicazione al caso di specie, da tutte le parti in causa: di qui l’impossibilità di ricorrere alla causa esimente relativa alla doverosa conoscenza di una norma impeditiva.
8.3.5. In questa direzione il Collegio ravvisa pertanto evidenti profili di responsabilità di tipo precontrattuale a carico del Comune di Roma per comportamento scorretto nella fase delle trattative. Ciò in quanto il tratto procedimentale che ha seguito la aggiudicazione provvisoria è stato caratterizzato da superficialità e disattenzione nel non rendere tempestivamente e puntualmente edotta la parte appellante circa la difficoltà di natura finanziaria medio tempore sorte in ordine alla possibilità di eseguire concretamente l’appalto. Di qui il venir meno agli obblighi di lealtà e correttezza.
8.3.6. In sintesi: la revoca è stata in sé legittima ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune di Roma non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per tre anni la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2010.
8.3.7. Di qui il riconoscimento della risarcibilità del solo interesse negativo e dunque delle spese sostenute per la partecipazione alla gara, spese riguardanti in particolare le prime due voci della richiesta risarcitoria ossia: a) spese amministrative/progettuali per euro 68.011,29; b) spese per stipendi corrisposti ante gara (costo personale tecnico ed amministrativo impiegato nella preparazione della gara) nei mesi di gennaio e febbraio 2011 per un importo pari ad 11 mila 478,96 euro.
Il tutto per una cifra complessiva pari a 79 mila 490,25 euro e con esclusione, ad ogni buon conto, della terza voce che riguarda stipendi di personale impiegato dopo la aggiudicazione.
Ed infatti: le prime due voci (spese progettuali e stipendi di personale impegnato nella predisposizione degli atti di gara) sono state adeguatamente documentate da RACOP e non altrimenti contestate dalla difesa dell’amministrazione comunale. Più in particolare: la voce 1 di cui alla pag. 14 dell’atto di appello introduttivo (“FATTURE RICEVUTE PER SOSTENIMENTO COSTI DI ELABORAZIONE GARA”, per un importo pari a 68 mila 11,29 euro ) e la voce 2 di cui alle pagg. 14 e 15 del medesimo atto di appello (“COSTO PERSONALE TECNICO E AMMINISTRATIVO IMPIEGATO PER LA PREPARAZIONE DELLA GARA GENNAIO E FEBBRAIO 2011”, per un importo pari a 11 mila 478,96 euro) trovano adeguato riscontro documentale nella relativa produzione di primo grado (cfr. allegati 12, 13 e 14 versati agli atti del giudizio in data 16 settembre 2016). Al riguardo, pur a fronte di tale puntuale indicazione la difesa del Comune di Roma si è limitata genericamente a riferire di una “quantificazione assolutamente irragionevole ed esorbitante” (pag. 7 della memoria in data 12 maggio 2023 e pag. 5 memoria in data 3 giugno 2023) nonché di “voci di costo non puntualmente e concretamente documentate” (pag. 6 della memoria in data 3 giugno 2023), affermazioni queste che tuttavia non tengono conto dei predetti documenti versati agli atti del primo giudizio in data 16 settembre 2016 (e in particolare gli allegati 12, 13 e 14, ove si riportano le fatture relative alle ridette spese progettuali, consulenziali, tecniche, assicurative, impositive, amministrative, etc.) i quali non hanno pertanto formato oggetto di più specifiche contestazioni.
Alcuna giustificazione viene invece fornita riguardo a non meglio specificate attività post gara per una cifra pari ad oltre 146 mila euro: di qui il disconoscimento di siffatta posta risarcitoria atteso che la difesa di parte appellante non ha spiegato in cosa abbiano consistito tali attività “post aggiudicazione provvisoria” (cfr. pag. 15 atto di appello).
Sin qui il parziale riconoscimento del danno emergente relativo all’interesse negativo oggetto di ristoro.
8.3.8. Quanto poi al lucro cessante, esso deve essere del tutto disconosciuto in quanto viene fornito un mero elenco di “appalti similari”, la cui mancata partecipazione e aggiudicazione avrebbe comportato un danno stimato in euro 500 mila, senza tuttavia mai indicare le ragioni (prevalentemente organizzative) per cui la parte appellante non sarebbe stata in grado di prendervi parte. In altre parole non è mai stata fornita la dimostrazione circa la impossibilità di dedicarsi ad altre contrattazioni attraverso l’impiego delle risorse umane (profili tecnici ed amministrativi) a disposizione di una impresa quale quella appellante che vanta un certo numero di titoli e di esperienze importanti in tale specifico settore. Per di più viene acriticamente fornito un elenco di “gare non partecipate nel periodo” senza che ciò sia seguito da uno specifico esame e raffronto tra oggetto dei singoli appalti e mission aziendale della società appellante, con relativa indicazione della capacità tecnica ed economica di volta in volta richiesta, sì da configurare non soltanto una mera partecipazione ma, piuttosto, una “partecipazione efficiente” ossia che potesse dare luogo ad una qualche probabilità di aggiudicazione finale. Quanto alla perdita della c.d. chance contrattuale alternativa la difesa di parte appellante non ha dunque specificamente allegato e provato di avere perso concrete possibilità di aggiudicarsi altre gare di appalto.
8.3.9. In sintesi va riconosciuto a titolo di culpa in contrahendo il risarcimento per le spese e le perdite strettamente dipendenti dalle trattative ossia dalla partecipazione alla gara (danno emergente) ma non anche il lucro cessante ossia il vantaggio che la parte avrebbe potuto conseguire se, invece di impiegare la sua attività nella trattativa fallita, si fosse dedicata ad altre contrattazioni.
8.3.10. Ai fini dell’integrale ristoro del danno riconosciuto come risarcibile, che costituisce debito di valore, occorre poi riconoscere al ricorrente, sulla somma sopra ricavata secondo gli indicati parametri (si ripete: 79 mila 490,25 euro), sia la rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), calcolati sulla somma periodicamente rivalutata, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno e con decorrenza dalla data di cristallizzazione del danno, da individuare nel momento della notifica del ricorso di primo grado e sino alla data di pubblicazione della presente decisione. Il tutto comprensivo, infine, degli interessi legali da calcolare sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza — trattandosi di debito di valuta — e sino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448).
9. In conclusione il ricorso in appello è parzialmente fondato e deve essere accolto nei sensi e nei limiti di cui sopra. La sentenza di primo grado va riformata nella sola parte in cui non riconosce una posta risarcitoria legata al danno da comportamento scorretto della PA (responsabilità precontrattuale da violazione di obblighi informativi in capo al Comune di Roma), sempre nei termini e nei limiti sopra partitamente esposti.
10. Le spese di lite, in relazione al doppio grado di giudizio, possono essere integralmente compensate tra tutte la parti costituite attesa la pacifica complessità delle esaminate questioni.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza qui impugnata, accoglie sempre parzialmente il ricorso di primo grado, e condanna l’Amministrazione al pagamento della somma indicata in motivazione.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Alberto Urso, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
Massimo Santini, Consigliere, Estensore