Cons. Stato, Sez. V, 18 luglio 2022, n. 6131

L’art. 80, comma 4, primo periodo, d.lgs. n. 50 del 2016 individua quale causa escludente quella delle gravi violazioni «definitivamente accertate» rispetto agli obblighi di pagamento dei contributi previdenziali, e tale non può ritenersi la violazione contestata alla Tec.Sp.Ed. in quanto pacificamente impugnata davanti al Tribunale di Napoli Nord, ciò che è ex se sufficiente ad escludere appunto che la violazione fosse «definitivamente accertata», considerato che tali sono quelle contenute in «sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione» (art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016).

Alla luce di ciò, nessun automatismo espulsivo poteva discendere dalla suddetta irregolarità contributiva, proprio in quanto non definitivamente accertata (cfr., in relazione al necessario requisito della definitività dell’accertamento dell’irregolarità, Cons. Stato, V, 7 marzo 2022, n. 1633; VI, 16 dicembre 2021, n. 8079-8081; IV, 9 dicembre 2020, n. 7789).

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 9762 del 2021, proposto da
Kam Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Ausiello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Fasano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ottavio Carparelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Empulia - Innovapuglia s.p.a., non costituita in giudizio;

nei confronti

Tec.Sp.Ed. s.r.l. (già Tec.Sp.Ed. di Petito Giuseppe & C. s.a.s.), in proprio e nella qualità di capogruppo di Rti con E.L.SY s.a.s. di Cuozzo Natale e Marano Anna, anch’essa costituita, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Nicola Di Benedetto e Clemente Manzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Impresa individuale De Pascali Pantaleo, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Seconda) n. 01572/2021, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Fasano, nonché della Tec.Sp.Ed. s.r.l. (già Tec.Sp.Ed. di Petito Giuseppe & C s.a.s.) e della E.L.SY s.a.s. di Cuozzo Natale e Marano Anna;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, Cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 giugno 2022 il Cons. Alberto Urso e preso atto delle richieste di passaggio in decisione depositate in atti dagli avvocati Ausiello, Carparelli, Manzo e Di Benedetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con determina dirigenziale a contrarre del 19 marzo 2021 e conseguente bando, il Comune di Fasano (BR) indiceva procedura di gara aperta da svolgersi mediante piattaforma telematica “EmPulia” per l’affidamento dei lavori di “riqualificazione e valorizzazione del nucleo antico del Comune di Fasano”.

Risultava aggiudicatario della procedura il Rti capeggiato dalla Tec.Sp.Ed. s.r.l.

2. Avverso l’aggiudicazione e gli altri atti di gara proponeva ricorso la Kam Costruzioni s.r.l., concorrente seconda classificata in graduatoria (a parità di punteggio con la Impresa individuale De Pascali Pantaleo) la quale formulava censure nei riguardi sia della posizione del Rti aggiudicatario, sia della detta Impresa De Pascali.

3. Il Tribunale amministrativo adìto, nella resistenza del Comune di Fasano, dell’Impresa De Pascali, nonché della Tec.Sp.Ed. e della E.L.SY s.a.s. (società mandante del Rti capeggiato dalla Tec.Sp.Ed.), respinta l’istanza istruttoria per l’acquisizione di documenti in quanto ritenuti ininfluenti ai fini del decidere, rigettava il ricorso.

4. Avverso la sentenza ha proposto appello la Kam Costruzioni deducendo:

I) error in iudicando: violazione e distorta applicazione dell’art. 83, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016 in relazione all’art. 4 del disciplinare di gara e della direttiva 2014/24/Ue; violazione dell’art. 5, comma 1, lett. c), d.m. 22 agosto 2017, n. 154; motivazione erronea, perplessa e sviata; erroneità dei presupposti; erronea applicazione dei principi giurisprudenziali; malgoverno delle risultanze probatorie in atti;

II) error in iudicando: violazione e omessa applicazione dell’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 in relazione all’art. 4 del disciplinare di gara; motivazione erronea e perplessa; omesso esame di un fatto decisivo;

III) error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 in relazione all’art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50 del 2016; omessa, carente ed erronea motivazione; difetto del presupposto; omesso esame di un fatto decisivo della controversia;

IV) conseguente riforma del capo sulle spese.

L’appellante avanza anche - come già in primo grado - domanda risarcitoria in forma specifica, ai fini del subentro nell’affidamento, o in subordine con condanna per equivalente.

5. Resistono al gravame il Comune di Fasano, nonché la Tec.Sp.Ed. e la E.L.SY, chiedendone la reiezione; non s’è costituita in giudizio la Impresa individuale De Pascale, pur regolarmente intimata.

6. All’udienza pubblica del 7 giugno 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Col primo motivo l’appellante si duole dell’erroneo rigetto del corrispondente motivo in primo grado relativo al mancato possesso del requisito d’idoneità professionale in capo al Rti aggiudicatario.

Al riguardo, il giudice di primo grado avrebbe erroneamente apprezzato i dati d’iscrizione in Camera di commercio della Tec.Sp.Ed. - dando rilievo alle indicazioni dell’oggetto sociale anziché all’attività prevalente ed effettivamente esercitata - e altrettanto erroneamente avrebbe qualificato il Rti come verticale, non essendo in realtà prevista dalla lex specialis neppure la distinzione fra attività principale e secondaria nell’ambito dell’affidamento; inoltre, la sentenza avrebbe erroneamente sovrapposto requisiti di idoneità professionale e di capacità tecnica (in specie coincidenti con le pertinenti certificazioni Soa), e d’altra parte la lex specialis prevedeva al riguardo che, in caso di Rti, il requisito d’idoneità professionale dovesse essere posseduto da tutti i componenti dello stesso.

In tale contesto, anche l’art. 5, comma 1, lett. c), d.m. n. 154 del 2017 (da ritenere norma cogente e idonea a etero-integrare il bando) richiede espressamente la pertinente iscrizione in Camera di commercio per l’esecuzione di lavori di restauro e manutenzione di beni culturali immobili e conservazione e restauro di opere d’arte, e nella specie nessuna delle componenti del Rti svolge prevalentemente attività di restauro di immobili sottoposti a vincolo o tutela, a nulla rilevando in diverso senso l’indicazione dell’oggetto sociale risultante dalla visura camerale.

Nella specie, del resto, la mandataria controinteressata risulta iscritta con codice Ateco 41.2 - non già 41.20, relativo a edifici storici - il quale non afferisce ai beni sottoposti a tutela, mentre la mandante è iscritta per la diversa attività di installazione e manutenzione impianti elettrici.

Analoghe considerazioni varrebbero per la seconda classificata Impresa De Pascali Pantaleo, che esercita unicamente attività di impianti elettrici e assimilabili.

1.1. Il motivo non è condivisibile.

1.1.1. Occorre premettere che il requisito controverso, di idoneità professionale, è definito nei seguenti termini dall’art. 4 del disciplinare di gara: “iscrizione nel registro della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, per attività attinenti all’oggetto dell’appalto”. La stessa disposizione precisa subito dopo: “Nel caso di partecipazione alla gara di raggruppamenti di imprese o consorzi, il requisito dovrà essere posseduto da tutti i componenti del raggruppamento o consorzio. Nel caso di partecipazione di consorzi di cui all’art. 45, co.2, lett. b) e c) del D.Lgs. n. 50/2016 e s.m.i. il requisito dovrà essere posseduto dal consorzio e dalle imprese consorziate per le quali il consorzio concorre”.

A sua volta l’“oggetto” dell’appalto (cui il suddetto art. 4 riferisce il requisito di idoneità professionale) è definito dall’art. 2 quale “esecuzione dei lavori di ‘Riqualificazione e valorizzazione del nucleo antico’ del comune di Fasano, come dettagliato nel progetto esecutivo posto a base di gara”; le lavorazioni previste, subito dopo specificate, consistono in “Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela” (prestazione prevalente, pari all’80,36% del totale) e “Impianti tecnologici” (prestazione scorporabile, cd. “Sios”, corrispondente al residuo 19,64%).

È prova in atti che, contrariamente a quanto rappresentato dall’appellante, la Tec.Sp.Ed. e la EL.SY hanno partecipato alla gara in forma di costituendo raggruppamento temporaneo d’imprese di tipo verticale, come da relativa dichiarazione d’impegno e Dgue, ciò essendo del resto ben ammesso dalla lex specialis che, appunto, distingueva le prestazioni in prevalenti e scorporabili (cfr., peraltro, anche l’art. 4 del disciplinare, che in relazione ai requisiti di qualificazione professionale richiamava espressamente l’eventualità della partecipazione di “RTI o consorzio di tipo verticale”).

In tale contesto, occorre interpretare il significato della previsione di cui all’art. 4 nella parte in cui dispone che, nel caso di partecipazione alla gara di raggruppamenti d’imprese o consorzi, il requisito di idoneità professionale qui controverso debba essere posseduto “da tutti i componenti del raggruppamento o consorzio”.

È pacifico in giurisprudenza il principio per cui nell’interpretazione della lex specialis trovano applicazione le norme in materia di contratti, e anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 Cod. civ. (inter multis, Cons. Stato, V, 24 maggio 2022, n. 4112; 4 agosto 2021, n. 5752; 8 aprile 2021, n. 2844; 8 gennaio 2021, n. 298; 30 dicembre 2019, n. 8195; 14 novembre 2019, n. 7837; 29 luglio 2019, n. 5358; 13 settembre 2018, n. 5360; 7 agosto 2018, n. 4849; 23 febbraio 2015, n. 848; 2 settembre 2013, n. 4364; VI, 24 settembre 2019, n. 6378; III, 18 settembre 2019, n. 6212; 18 giugno 2018, n. 3715).

Nella specie, la lettura testuale e sistematica - che richiede di considerare anche, fra l’altro, l’oggetto composito dell’appalto, cui il requisito si riferisce, e il carattere scorporabile della prestazione secondaria - conduce a interpretare la previsione nel senso che, in caso di Rti verticale, la pertinente iscrizione nel registro presso la Camera di commercio sia richiesta per l’attività partitamente demandata a ciascuno dei componenti del Rti: l’attività di “restauro e manutenzione” di immobili soggetti a tutela è infatti solo una di quelle previste nel quadro del composito oggetto costituito della “Riqualificazione e valorizzazione del nucleo antico” del Comune di Fasano, e non avrebbe senso che, per svolgere attività connotate da un dato e specifico contenuto (e corrispondenti requisiti qualificatori) debba richiedersi un’idoneità professionale inerente ad altre prestazioni (ancorché ricomprese nell’appalto) svolte da altro componente di Rti verticale.

Né ciò dà luogo peraltro a una sovrapposizione con i (distinti) requisiti di qualificazione, che attengono al possesso delle pertinenti attestazioni Soa nell’ambito delle attività rispettivamente enucleate dal bando.

Per questo, in relazione al Rti verticale in esame, occorre verificare se la Tec.Sp.Ed. e la E.L.SY siano in possesso del requisito di idoneità professionale in relazione alla porzione dell’oggetto dell’appalto relativa, rispettivamente, all’attività di restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela (Tec.Sp.Ed.) e di impiantistica tecnologica (E.L.SY).

La Tec.Sp.Ed. risulta avere nell’oggetto sociale riportato dalla dichiarazione sostitutiva di certificazione (in sé non contestata), fra l’altro, l’attività di “restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali”; al contempo risulta essere iscritta per attività prevalente di “lavori edili” (cioè “costruzione di edifici residenziali e non residenziali”, come da codice “Ateco” sub 41.2, risultante dalla visura camerale in atti) rispetto a cui subito la dichiarazione specifica peraltro che l’attività è declinata in “categorie di opere generali e specializzate” (come da “Casellario Anac”), fra cui appunto il “restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela”, per cui l’impresa possiede anche specifica certificazione Soa (cfr. la detta dichiarazione sostitutiva di certificazione prodotta dalla ricorrente, sub doc. 11 fasc. primo grado).

Il che ben vale, nel complesso, a ravvisare la sussistenza del requisito di idoneità professionale richiesto.

Sebbene infatti, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, l’oggetto sociale non sia di per sé solo sufficiente ai fini della dimostrazione del requisito d’idoneità professionale, considerato che esso “esprime solo la misura della capacità di agire della società interessata, indicando i settori -per vero, potenzialmente illimitati- nei quali la stessa potrebbe in astratto operare” (Cons. Stato, V, 18 gennaio 2021, n. 508; 10 aprile 2018, n. 2176; Cga, 26 marzo 2020, n. 213), e occorra far riferimento piuttosto, a tal fine, alla “attività principale effettivamente svolta”, ciò da un lato vale a escludere il requisito in caso di attività prevalenti del tutto inconferenti o decentrate rispetto a quelle oggetto di gara (cfr. Cons. Stato, n. 2176 del 2018, cit.), dall’altro è volto ad affermare l’irrilevanza di “ambiti operativi [pur presenti nell’oggetto sociale] ove non effettivamente attivati” (cfr. Cons. Stato, n. 508 del 2021, cit.; Cga, n. 203 del 2020, cit.).

Resta fermo infatti, comunque, il principio generale per cui l’idoneità professionale va accertata in termini di corrispondenza contenutistica, intesa non già “‘ […] nel senso di una perfetta e assoluta sovrapponibilità tra tutte le singole componenti dei due termini di riferimento […]”, bensì da “‘ […] accerta[re] secondo un criterio di rispondenza alla finalità di verifica della richiesta idoneità professionale, in virtù di una considerazione non già atomistica, parcellizzata e frazionata, ma globale e complessiva delle prestazioni dedotte in contratto’(Consiglio di Stato, sez. V, 15.11.2019 n. 7846; Cons. St., III, 8 novembre 2017, n. 5170)”, e richiede perciò una valutazione in concreto da parte della stazione appaltante (Cons. Stato, V, 3 settembre 2021, n. 6212, che pone chiaramente in risalto come sia “rimessa alla competenza della stazione appaltante accertare la coerenza, in concreto, della descrizione delle attività imprenditoriali esercitate e dell’oggetto sociale, riportate nel certificato camerale, con il requisito di ammissione richiesto dalla lex specialis di gara e con l’oggetto dell’appalto complessivamente considerato”; cfr. anche Id., 20 gennaio 2022, n. 366).

Nel caso di specie, da un lato non v’è dubbio che l’attività di restauro e manutenzione immobili sottoposti a tutela presente nell’oggetto sociale (menzionata nella dichiarazione anche fra le specifiche “Categorie di opere generali e specializzate” riconducibili all’impresa, come suindicato), sia effettivamente svolta dalla Tec.Sp.Ed., che è dotata anche di Soa al riguardo; dall’altro l’attività prevalente (“lavori edili” - “costruzione di edifici residenziali e non residenziali”) - di cui il restauro di immobili soggetti a tutela costituisce una speciale declinazione - non può ritenersi non “attinente” all’oggetto dell’affidamento, coincidente con la “riqualificazione e valorizzazione del nucleo antico” nei termini suindicati: il che vale dunque complessivamente all’integrazione del requisito d’idoneità professionale, senza alcuna sovrapposizione peraltro con quelli di capacità tecnica, che attengono al puntuale possesso (per categorie e classifiche) delle attestazioni Soa.

In tale prospettiva, il solo codice Ateco non assume dirimente rilievo contrario, in quanto avente di suo funzione statistica (cfr. Cons. Stato, V, 21 maggio 2018 n. 3035; 25 luglio 2019, n. 5257; Cga, n. 213 del 2020, cit.) e, oltre a risultare nella specie affine per le due attività (rispettivamente, cod. 41.2 e 41.20), non è comunque specificamente richiesto dalla lex specialis (che invoca il distinto parametro della “attinenza”), in un contesto - quale quello in esame, nei termini sopra illustrati - in cui lo svolgimento dell’attività richiesta può ritenersi soddisfatto, e il giudizio d’integrazione del requisito d’idoneità deve incentrarsi su una verifica non già di perfetta e assoluta sovrapponibilità tra attività d’iscrizione e oggetto dell’appalto, bensì di sostanziale coerenza contenutistica fra le stesse (cfr., al riguardo, anche Cons. Stato, V, 25 settembre 2019, n. 6431).

Né conducono di per sé a diversa conclusione le previsioni dell’art. 5, lett. c), d.m. n. 154 del 2017 (a tenore del quale «Fermo restando quanto previsto dagli articoli 80 e seguenti del Codice dei contratti pubblici, l’iscrizione dell’impresa al registro istituito presso la competente camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, prescritta dall’articolo 83, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, deve essere relativa […] c) per i lavori inerenti al restauro ed alla manutenzione di beni culturali immobili, a conservazione e restauro di opere d’arte»), non richiamate espressamente dalla lex specialis e non idonee a etero-integrarla, considerato che il disciplinare fa riferimento al riguardo allo specifico (distinto) canone dell’attinenza dell’attività d’iscrizione all’“oggetto dell’appalto”, e ciò a prescindere peraltro dal fatto che - alla luce di quanto sopra indicato - si tratta di previsioni normative nella sostanza soddisfatte dalla Tec.Sp.Ed. nei termini di quanto suesposto.

Lo stesso è a dirsi per la posizione della mandante E.L.SY, dalla quale risulta svolta, secondo certificazione camerale in atti, attività di “installazione e manutenzione impianti elettrici”, oltre ad “attività di installazione di impianti elettronici, di riscaldamento e climatizzazione, idrosanitari e antincendio”, ben coerente con quella di “impianti tecnologici” alla stessa demandata nell’ambito del Rti verticale.

Per tali ragioni la doglianza non è condivisibile.

2. Col secondo motivo l’appellante si duole dell’erroneo rigetto del corrispondente motivo in primo grado relativo al difetto dei requisiti generali in capo alla mandataria del Rti controinteressato, in quanto responsabile di violazione contributiva definitivamente accertata.

Deduce l’appellante, al riguardo, che l’aggiudicataria aveva espressamente dichiarato di essere incorsa in illecito contributivo ex art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, e la stazione appaltante si era limitata in proposito a prendere atto della relativa impugnazione proposta, senza neppure domandare chiarimenti alla concorrente.

L’art. 80, comma 4, quinto periodo, d.lgs. n. 50 del 2016 (come introdotto dal d.l. n. 76 del 2020, conv. legge n. 120 del 2020) prevede in proposito che anche violazioni non definitivamente accertate possano dar luogo a esclusione nel caso in cui risultino gravi ai sensi del secondo o quarto periodo: nella specie si trattava di una cartella esattoriale dell’importo di € 35.000,00 circa per premi Inail e Inps per gli anni 2011-2018, ben idonea all’integrazione della causa espulsiva. Il che vale a escludere del resto ogni valutazione discrezionale in capo alla stazione appaltante a fronte della conclamata gravità dell’irregolarità, dichiarata da parte della stessa controinteressata, né quest’ultima ha fornito evidenza di una definizione della contestazione contributiva anteriormente al termine di scadenza della presentazione delle domande partecipative, non avendo perciò dato dimostrazione del fatto che la contestazione fossa da ritenere non definitivamente accertata.

2.1. Il motivo non è condivisibile.

2.1.1. È pacifico come la Tec.Sp.Ed. abbia dato conto della violazione contributiva invocata dall’appellante, rispondendo “si” al quesito del Dgue relativo alla violazione dell’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 in relazione al “pagamento di contributi previdenziali”, di cui la Tec.Sp.Ed. indicava anche l’importo (i.e., € 35.323,26), il provvedimento (“Cartella di pagamento ricevuta tramite PEC il giorno 22/01/2018”), ed evidenziava altresì di aver proposto “ricorso giudiziario […] presso il Tribunale di Napoli Nord” precisando che “ad oggi la notifica risulta sospesa fino a giugno 2021 e non ha nessun tipo di validità”, e che “tale cartella non ostacola il rilascio del Durc” (la concorrente rispondeva inoltre “no” al quesito: “Se l’inottemperanza è stata accertata mediante una sentenza giudiziaria o decisione amministrativa, tale sentenza o decisione è definitiva e vincolante”); la stessa Tec.Sp.Ed. presentava altresì una ulteriore (separata) dichiarazione di contenuto sostanzialmente analogo, ove accludeva anche la prima pagina del ricorso giudiziale proposto e specificava come il ruolo sotteso alla cartella fosse stato emesso dall’Inail.

Tali circostanze, valorizzate dalla sentenza e in sé non contestate, valgono al rigetto della doglianza.

L’art. 80, comma 4, primo periodo, d.lgs. n. 50 del 2016 individua quale causa escludente quella delle gravi violazioni «definitivamente accertate» rispetto agli obblighi di pagamento dei contributi previdenziali, e tale non può ritenersi la violazione contestata alla Tec.Sp.Ed. in quanto pacificamente impugnata davanti al Tribunale di Napoli Nord, ciò che è ex se sufficiente ad escludere appunto che la violazione fosse «definitivamente accertata», considerato che tali sono quelle contenute in «sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione» (art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016).

Alla luce di ciò, nessun automatismo espulsivo poteva discendere dalla suddetta irregolarità contributiva, proprio in quanto non definitivamente accertata (cfr., in relazione al necessario requisito della definitività dell’accertamento dell’irregolarità, Cons. Stato, V, 7 marzo 2022, n. 1633; VI, 16 dicembre 2021, n. 8079-8081; IV, 9 dicembre 2020, n. 7789).

Né rileva a tal fine il quinto periodo della disposizione, introdotto dall’art. 8, comma 5, lett. b), d.l. n. 76 del 2020, conv. legge n. 120 del 2020 (oggi peraltro nuovamente modificato dall’art. 10, comma 1, lett. c), n. 2), l. 238 del 2021), a tenore del quale (nella formulazione ratione temporis applicabile) «un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo».

Trattasi infatti di causa d’esclusione non automatica, bensì rimessa a valutazione della stazione appaltante al ricorrere dei relativi presupposti, fra cui la “gravità” della violazione come stabilita dal richiamato quarto periodo, a tenore del quale «Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale».

Nella specie, a fronte della chiara dichiarazione resa nel Dgue dalla Tec.Sp.Ed. in ordine all’irregolarità, alla sua causale e all’importo, nonché alla sua non ostatività al rilascio del Durc (prodotto peraltro in atti dalla controinteressata quale Durc “regolare”, e in relazione al quale non sono sollevate specifiche contestazioni) nessun profilo d’illegittimità è dato ravvisare nell’operato della stazione appaltante, da ritenersi - a fronte proprio della non ostatività del pregiudizio contributivo ai fini del rilascio di Durc regolare - legittimo, oltreché comunque non irragionevole.

Né può ricavarsi una gravità e rilevanza escludente della violazione dal solo fatto che nel Dgue la Tec.Sp.Ed. abbia ricondotto la stessa all’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 (oltre ad aver fatto riferimento nella dichiarazione a latere a violazioni “definitivamente accertate”) atteso che ciò non vale a mutarne la natura sostanziale e gli elementi concreti, essendo oltretutto le suddette dichiarazioni rese dalla Tec.Sp.Ed. subito affiancate da altre inerenti al non impedimento al rilascio Durc e alla proposizione del ricorso giudiziale.

In tale contesto non rileva neanche il richiamo al precedente di cui a Cons. Stato n. 833 del 2021, che nel passo riportato dall’appellante si riferisce invero alla gravità della violazione come dichiarata “dall’ente previdenziale” - mentre, nella specie, risulta la non ostatività della stessa ai fini del rilascio del Durc, con gli effetti sopra evidenziati - e chiarisce prima, del resto, la nozione di gravità nei termini suindicati (cfr. Cons. Stato, V, 28 gennaio 2021, n. 833).

Allo stesso modo, non assume rilievo il riferimento all’erroneo rigetto dell’istanza istruttoria formulata dalla ricorrente in primo grado (volta all’acquisizione degli atti del procedimento davanti al Tribunale di Napoli Nord d’impugnazione della suddetta cartella esattoriale), dal momento che la documentazione in atti (fra cui la detta dichiarazione della Tec.Sp.Ed. - che acclude peraltro anche la prima pagina del ricorso giudiziale depositato davanti al Tribunale in relazione alla cartella qui richiamata - oltreché il Dgue e il Durc) risulta sufficiente ai fini del decidere (su cui cfr. retro).

Per tali ragioni il motivo va dunque respinto.

3. Col terzo motivo di gravame l’appellante si duole dell’erroneo rigetto del corrispondente motivo del ricorso di primo grado concernente l’omessa verifica del costo della manodopera da parte della stazione appaltante.

Deduce al riguardo la Kam Costruzioni come non risulti dai verbali di gara che l’ente appaltante abbia verificato la congruità del costo della manodopera, né alcuna prova in tal senso avrebbero offerto le controparti, sicché l’indicazione presente in tali termini nel provvedimento d’aggiudicazione dovrebbe ritenersi il frutto di un semplice refuso contenuto nello stesso.

Anche la stazione appaltante, in proposito, dà atto nei propri scritti difensivi che il Rti aggiudicatario s’è discostato dal quadro d’incidenza economica posto a base di gara, pur se afferma la scarsa consistenza di tale scostamento.

L’omissione della suddetta verifica inficia dunque l’aggiudicazione rendendola illegittima ex art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016, né potrebbe sostenersi, come ha fatto il Tar, l’inammissibilità della censura in assenza di evidenze in ordine all’incongruità e illegittimità della voce di costo, atteso che in realtà la detta verifica incombe comunque sulla stazione appaltante, sicché ai fini della rilevazione del vizio non va necessariamente dimostrata l’inadeguatezza del costo, non venendo in rilievo nella specie un vizio in termini d’incongruità dell’offerta.

3.1. Neanche tale motivo è condivisibile.

3.1.1. Come posto in risalto dalla sentenza, la determina di aggiudicazione espressamente dà atto che “la stazione appaltante, conformemente al dettato di cui all’art. 95, comma 10, ultimo periodo del D.Lgs. n.50/2016 (come emendato dal D.Lgs n.56/2017), relativamente ai costi della manodopera, ha proceduto a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lettera d) del Codice”, e l’appellante non ha fornito - come era suo onere - elementi o principi di prova contrari o tali da dimostrare la sussistenza di un “refuso”, limitandosi ad affermare che una siffatta verifica (la quale consiste, peraltro, essenzialmente nel raffronto tra il dato dichiarato dall’impresa e quello dei minimi salariali retributivi) non risulta dai verbali di gara.

In tale prospettiva non rileva in sé il riferimento da parte della stessa stazione appaltante, nelle memorie difensive, allo scostamento fra il valore della manodopera indicato nella lex specialis (i.e., € 258.089,14, di cui al “Quadro incidenza della manodopera”, ai sensi dell’art. 2 disciplinare) e la dichiarazione dell’aggiudicataria (i.e., € 250.000,00) nell’ambito dell’offerta economica, atteso che, vista la limitata entità di tale scostamento, esso può ben rientrare nella (e comunque non contraddice ex se l’effettuazione della) suddetta verifica della stazione appaltante, né è dato peraltro ravvisare al riguardo una motivazione cd. “postuma”, dal momento che gli scritti difensivi del Comune non assumono di per sé alcuna funzione motivazionale in relazione al provvedimento.

A ciò si aggiunga peraltro come l’appellante non adduca alcuna violazione sostanziale in ordine al profilo in rilievo, non fornendo evidenza (né deducendo) che i minimi salariali siano stati effettivamente violati dalla controinteressata, sicché la censura, limitata alla contestazione della mancata effettuazione della verifica, non enuclea neppure elementi che in termini sostanziali valgano a sostenere o confortare la doglianza.

4. Il rigetto dei suddetti motivi e il conseguente consolidamento della posizione dell’aggiudicataria, e dunque dello stesso provvedimento d’aggiudicazione, ha valore assorbente ai fini della reiezione del gravame, stante la carenza d’interesse in capo all’appellante - una volta consolidata l’aggiudicazione in favore del Rti capeggiato dalla Tec.Sp.Ed. - alle residue doglianze (perciò improcedibili) di cui al primo motivo d’appello inerenti alla posizione della Impresa De Pascali quale concorrente in posizione pariordinata all’appellante.

5. Allo stesso modo, va respinto il quarto motivo d’impugnazione col quale l’appellante domanda - quale conseguenza dell’auspicato accoglimento del ricorso - il riconoscimento delle spese del doppio grado di giudizio: una volta respinti gli altri motivi d’appello nei termini suindicati e confermata la reiezione del ricorso di primo grado, infatti, anche il capo sulla condanna alle spese va confermato in quanto capo decisorio di natura dipendente.

6. In conclusione, per le suesposte ragioni l’appello va respinto.

6.1. Il rigetto del gravame in relazione alle domande caducatorie implica, in via assorbente, la reiezione della richiesta di subentro nell’affidamento (difettandone nella specie il presupposto, costituito dall’annullamento dell’aggiudicazione) e di risarcimento del danno per equivalente, stante il difetto della dedotta condotta illecita dell’amministrazione in relazione al provvedimento impugnato e all’attività dalla stessa posta in essere.

6.2. Le spese del grado sono poste a carico dell’appellante, secondo criterio di soccombenza, e determinate nella misura di cui in dispositivo (inclusiva della fase cautelare) in favore delle parti appellate costituite, con distrazione - quanto alla Tec.Sp.Ed. e alla E.L.SY, da considerarsi quale unica parte, in quanto congiuntamente difese - in favore del difensore costituito dichiaratosi antistatario, avv. Nicola Di Benedetto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge;

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, che liquida nella misura di € 5.000,00, oltre accessori di legge, in favore di ciascuna parte appellata costituita, nei sensi di cui in motivazione, da corrispondersi - quanto alla parte privata - in favore del difensore dichiaratosi antistarario, avv. Nicola Di Benedetto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2022.

 

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia n. 6131 dello scorso 18 luglio, la V Sezione del Consiglio di Stato è tornata ad occuparsi delle cause di esclusione dalla gara, di cui all’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 (Codice degli appalti pubblici).

Il comma 4, quinto periodo dell’indicato art. 80, come introdotto dal d.l. n. 76 del 2020, conv. legge n. 120 del 2020, prevede in proposito che anche violazioni non definitivamente accertate possano dar luogo a esclusione nel caso in cui risultino gravi ai sensi del secondo o quarto periodo (nel caso posto all’attenzione dei Giudici della V Sezione si trattava di una cartella esattoriale dell’importo di circa € 35.000,00 per premi Inail e Inps per gli anni 2011-2018, ben idonea all’integrazione della causa espulsiva). La disposizione citata, dunque, esclude ogni valutazione discrezionale in capo alla stazione appaltante a fronte della conclamata gravità dell’irregolarità.

Quanto appena esposto, però, ove rapportato allo specifico caso (oggetto di attenzione) del non rispetto degli obblighi di pagamento dei contributi previdenziali, va ulteriormente implementato della previsione di cui al primo periodo del comma 4 dello stesso art. 80, cit., il quale individua quale causa escludente quella delle gravi violazioni “definitivamente accertate” rispetto agli obblighi di pagamento dei contributi previdenziali. Orbene, tale non può ritenersi la violazione contestata nel giudizio in questione, in quanto pacificamente impugnata davanti al Tribunale di Napoli Nord, ciò che è ex se sufficiente ad escludere appunto che la violazione fosse “definitivamente accertata”, considerato che tali sono quelle contenute in “sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione” (art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016).

Alla luce di ciò, pertanto, nessun automatismo espulsivo poteva discendere dalla suddetta irregolarità contributiva, proprio in quanto non definitivamente accertata (cfr., in relazione al necessario requisito della definitività dell’accertamento dell’irregolarità, Cons. Stato, Sez. V, 7 marzo 2022, n. 1633; Cons. Stato, Sez. VI, 16 dicembre 2021, nn. 8079-8081; Cons. Stato, Sez. IV, 9 dicembre 2020, n. 7789).

Né rileva a tal fine il quinto periodo della disposizione, introdotto dall’art. 8, comma 5, lett. b), d.l. n. 76 del 2020, conv. legge n. 120 del 2020 (oggi peraltro nuovamente modificato dall’art. 10, comma 1, lett. c), n. 2), l. 238 del 2021), a tenore del quale (nella formulazione ratione temporis applicabile) “un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo”. Trattasi, infatti, di causa d’esclusione non automatica, bensì rimessa a valutazione della stazione appaltante al ricorrere dei relativi presupposti, fra cui la “gravità” della violazione come stabilita dal richiamato quarto periodo, a tenore del quale: “costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1 giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale”.

Nella specie, a fronte della chiara dichiarazione resa nel Dgue in ordine all’irregolarità, alla sua causale e all’importo, nonché alla sua non ostatività al rilascio del Durc (prodotto peraltro in atti dalla controinteressata quale Durc “regolare”, e in relazione al quale non sono sollevate specifiche contestazioni) nessun profilo d’illegittimità è dato ravvisare nell’operato della stazione appaltante, da ritenersi – a fronte proprio della non ostatività del pregiudizio contributivo ai fini del rilascio di Durc regolare – legittimo, oltreché comunque non irragionevole.

Né può ricavarsi una gravità e rilevanza escludente della violazione dal solo fatto che nel Dgue sia stata ricondotta la stessa all’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 (oltre ad aver fatto riferimento nella dichiarazione a latere a violazioni “definitivamente accertate”), atteso che ciò non vale a mutarne la natura sostanziale e gli elementi concreti, essendo oltretutto le suddette dichiarazioni rese affiancate da altre inerenti al non impedimento al rilascio Durc e alla proposizione del ricorso giudiziale.

In tale contesto non rileva neanche il richiamo al precedente di cui al Cons. Stato n. 833 del 2021, che nel passo riportato dall’appellante si riferisce invero alla gravità della violazione come dichiarata “dall’ente previdenziale” – mentre, nella specie, risulta la non ostatività della stessa ai fini del rilascio del Durc, con gli effetti sopra evidenziati – e chiarisce prima, del resto, la nozione di gravità nei termini suindicati (cfr. Cons. Stato, V, 28 gennaio 2021, n. 833).