Relazione al convegno “Le concessioni demaniali marittime: una fine o un inizio?”, svoltosi a Maruggio (Taranto) in data 16 settembre 2022

1. La funzione concessoria – 2. Concessioni ed appalti – 3 La “doppia anima” dell’evidenza pubblica – 4. La concessione di beni pubblici – 5. Il rapporto tra concessione demaniale e autorizzazione nella direttiva Bolkestein – 6. Le concessioni demaniali marittime – 7. Note conclusive.

1. La funzione consessoria

La concessione è il provvedimento amministrativo con cui una pubblica amministrazione manifesta la volontà di affidare ad un operatore economico privato[2]l’uso di risorse o l’esercizio di attività riservate ai pubblici poteri[3].

La funzione concessoria, quindi, può identificarsi in una scelta discrezionale ed autoritativa dell’amministrazione di attribuire ad un soggetto terzo la gestione di un bene, di un servizio pubblico o l’esecuzione di lavori strumentali alla erogazione di quest’ultimo, in funzione della migliore cura concreta dell’interesse pubblico, ovvero per garantire un più efficiente sfruttamento del bene pubblico senza distoglierlo dalla sua destinazione naturale, per assicurare una migliore erogazione del servizio o per rendere possibile la realizzazione di opere destinate alla collettività.

In altri termini, la funzione sottesa alle concessioni amministrative è diretta all’applicazione dell’art. 97 Cost., garantendo l’efficiente utilizzo di beni e risorse pubbliche attraverso l’intervento del privato, per cui postula che l’amministrazione abbia valutato l’intervento del terzo come funzionale al più efficace soddisfacimento dell’interesse pubblico.

La natura giuridica della concessione amministrativa è tradizionalmente controversa.

In origine, la distinzione tra autorizzazione e concessione, provvedimenti entrambi satisfattivi di interessi legittimi pretensivi[4], era stata individuata nel senso che l’autorizzazione rimuove un ostacolo preclusivo all’esercizio di un diritto di cui il privato è già titolare, mentre, con le concessioni, si conferiscono al destinatario nuove facoltà, sicché l’autorizzazione avrebbe ad oggetto l’esercizio di un diritto già esistente nel patrimonio del destinatario, mentre la concessione attribuirebbe una utilità non ancora esistente[5].

In ogni caso, l’effetto sia del provvedimento di autorizzazione sia del provvedimento di concessione era ed è costituito dall’attribuzione all’aspirante del “bene della vita” richiesto.

Secondo una tesi più risalente, l’adozione del provvedimento amministrativo concessorio sarebbe in grado di far sorgere di per sé il rapporto, configurandosi l’adesione del privato come mero presupposto o condizione di efficacia[6].

La giurisprudenza, poi, ha elaborato la nota figura della concessione contratto, contraddistinta dalla presenza di un provvedimento amministrativo, solo con il quale è possibile disporre di oggetti pubblici, stante l’attitudine dei soli provvedimenti a dare rilievo alla dimensione funzionale di cura del pubblico interesse, e di un contratto ad esso accessivo, destinato a disciplinare i rapporti patrimoniali inter partes[7].

La difficoltà di separare le vicende di rilievo pubblicistico da quelle sostanzialmente economiche, tuttavia, ha determinato che anche la teoria della c.d. concessione contratto sia stata sottoposta a svariate critiche, in quanto ritenuta artificiosa perché postula che l’unitario rapporto concessorio si origini attraverso due fonti diverse, il provvedimento ed il contratto[8].

Tra le altre teorie che si sono succedute, è stato anche sostenuto che lo statuto funzionale all’agere pubblicistico rileverebbe solo nella fase di scelta del contraente, restando per il resto il rapporto assoggettato al diritto privato[9].

Tale considerazione pone in rilievo un aspetto essenziale della questione, sulla quale ci si soffermerà più avanti.

Di certo, a fronte di notevoli incertezze in ordine alla natura dell’atto concessorio e del relativo rapporto, le concessioni ad oggetto pubblico, come detto, costituiscono sempre fattispecie ad effetti ampliativi, con cui l’Amministrazione arricchisce la sfera giuridica del destinatario di una utilità, sia istituendola ex novo, sia, come nel caso dei provvedimenti concessori di beni demaniali, trasferendo al privato non la sua titolarità, che resta in capo all’Amministrazione concedente, ma l’esercizio della relativa attività. 

In altri termini, la concessione costituisce il varco d’accesso della posizione del concessionario all’interno dell’ordinamento giuridico, in quanto, in mancanza dell’atto, il destinatario non è legittimato a svolgere quella determinata attività o a ricoprire quella determinata posizione.[10]

 

2. Concessioni ed appalti.

Il diritto europeo ha qualificato la concessione di lavori e di servizi come contratto e tale qualificazione è stata recepita dal legislatore nazionale.

Le concessioni sono contratti a titolo oneroso mediante i quali una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la prestazione e gestioni di servizi a uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori o i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo[11].

Tale definizione, ovviamente, attiene ai rapporti di durata intercorrenti tra pubblico e privato, caratterizzati da una vocazione commerciale – produttivistica, e tale tipologia di concessione presenta alcuni tratti in comune, pur con le differenze che saranno tratteggiate, con l’appalto, la cui natura contrattuale è indiscussa.

Di talché, come per l’appalto, una volta stipulato il contratto, sorgono tra le parti rapporti di obbligazione destinati ad essere disciplinati dal diritto privato.

Tra la concessione e l’appalto, tuttavia, sussistono delle essenziali differenze di fondo, ormai chiaramente delineate sia in dottrina che in giurisprudenza.

La distinzione era di solito individuata nel fatto che - poiché nell’appalto il privato rende una prestazione direttamente all’amministrazione aggiudicatrice, la quale provvede alla corresponsione del corrispettivo, mentre nella concessione la prestazione non è resa all’ente concedente ma agli utenti, con remunerazione a carico di questi ultimi – l’appalto si traduce in un rapporto bilaterale tra appaltatore e stazione appaltante, laddove la concessione determina un rapporto trilaterale tra concessionario, ente concedente e fruitori delle prestazioni.

Nondimeno, l’evoluzione della giurisprudenza europea in materia ha portato progressivamente ad evidenziare che l’elemento davvero caratterizzante il rapporto concessorio, più ed oltre il carattere trilaterale dello stesso, è costituito dalla presenza di uno specifico rischio economico, il rischio operativo di gestione, a carico del concessionario, diverso da quello che grava sull’appaltatore.

L’appalto, infatti, sottende anch’esso un margine di rischio, in quanto l’appaltatore è tenuto a predisporre in proprio una organizzazione di fattori produttivi per garantire l’adempimento di una obbligazione di risultato.

Il rischio, però, non riguarda l’elemento remunerativo, essendo questo corrisposto dall’amministrazione aggiudicatrice a fronte del corretto adempimento della prestazione da eseguire, sicché, nell’esecuzione del contratto di appalto, un rischio economico è meramente eventuale ed assume carattere patologico, attenendo all’inesatto adempimento della prestazione cui l’appaltatore si è obbligato nei confronti della stazione appaltante, mentre nella fisiologia del rapporto tale rischio non sussiste.

L’elemento caratterizzante della concessione rispetto all’appalto, pertanto, è da rinvenire nella controprestazione a favore del concessionario – sul quale, come nelle concessioni demaniali, può gravare un canone periodico - ossia nel diritto di gestire l’opera o il servizio, con conseguente fisiologico trasferimento del rischio operativo.

In altri termini, il concessionario assume naturalmente l’alea derivante dall’incerta remuneratività del capitale investito, in quanto tale remuneratività dipende essenzialmente dalla domanda, e cioè dai proventi ritraibili dalla gestione dell’opera o del servizio, che, quantunque probabili, non sono mai certi, ma derivano dalle fluttuazioni del mercato.

Il giudice europeo ha da tempo ritenuto che il rischio qualificante il proprium della concessione sia il rischio da domanda, tanto che ha affermato il seguente principio[12]:

L’art. 1, nn. 2, lett. d), e 4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che, quando la remunerazione dell’operatore economico selezionato è integralmente garantita da soggetti diversi dall’amministrazione aggiudicatrice che ha attribuito il contratto di prestazione di servizi di soccorso e tale operatore economico incorre in un rischio di gestione, per quanto molto ridotto, poiché, in particolare, l’importo dei corrispettivi d’uso dei servizi in questione dipende dall’esito di trattative annuali con soggetti terzi e non gli è garantita una copertura integrale dei costi sostenuti nell’ambito di una gestione delle sue attività conforme ai principi sanciti dal diritto nazionale, tale contratto deve essere qualificato come contratto di «concessione di servizi», ai sensi dell’art. 1, n. 4, della stessa direttiva”.

La sentenza, in particolare, ha posto in rilievo che “il rischio di gestione economica del servizio deve essere inteso come rischio di esposizione all’alea del mercato … , il quale può tradursi nel rischio di concorrenza da parte di altri operatori, nel rischio di uno squilibrio tra domanda e offerta di servizi, nel rischio di insolvenza dei soggetti che devono pagare il prezzo dei servizi forniti, nel rischio di mancata copertura integrale delle spese di gestione mediante le entrate o ancora nel rischio di responsabilità di  un danno legato ad una carenza del servizio …”.

Parimenti, nella sentenza c.d. “Parking Brixen”[13], è stata sottolineata la centralità dell’elemento del rischio operativo nella costruzione della nozione di concessione, qualificando l’affidamento della gestione di un parcheggio pubblico come concessione di servizi proprio sulla base della presenza di un rischio di gestione in capo al concessionario.

Con riferimento al procedimento di infrazione promosso dalla Commissione in seguito alle convenzioni stipulate in occasione dell’emergenza rifiuti e della tutela delle acque in Sicilia, la Corte di Giustizia UE[14], seguendo la tesi della Commissione, ha chiarito che le convenzioni stesse dovevano essere qualificate come appalti, in quanto non sussisteva in capo all’operatore alcun rischio di gestione, per la previsione di meccanismi di garanzia tali da escludere gli operatori da un rischio economico. Infatti, le convenzioni garantivano il conferimento di un quantitativo annuo minimo di rifiuti e prevedevano un adeguamento tariffario anche al fine di garantire l’equilibrio economico e finanziario dell’operatore.

In definitiva, la concessione di servizi richiede che l’ente concedente abbia trasferito integralmente o in misura significativa all’operatore privato il rischio di gestione economica connesso all’esecuzione del contratto[15].

Di conseguenza, se non c’è trasferimento del rischio operativo, almeno parziale, a carico del privato, il contratto non può essere qualificato come concessione, ma costituisce un appalto.  

L’evoluzione della giurisprudenza europea in materia è culminata nell’emanazione della direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.

In primo luogo, deve essere sottolineato, come già evidenziato, che le concessioni sono qualificate dalla direttiva come aventi natura contrattuale, al pari degli appalti, con conseguente assoggettamento della fase esecutiva del rapporto alla disciplina civilistica, sorgendo, per effetto della stipulazione del contratto, diritti ed obblighi tra le parti.

Inoltre, la direttiva ha positivizzato il concetto di rischio operativo, chiarendo all’art. 5 che “l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile”. L’art. 3, lett. zz), del d.lgs. n. 50 del 2016 richiama il concetto di rischio operativo con riferimento alle concessioni ed al partenariato pubblico – privato.

Il considerando n. 11 evidenzia ancora che i contratti di concessione “hanno per oggetto l’acquisizione di lavori o servizi attraverso una concessione il cui corrispettivo consiste nel diritto di gestire i lavori o i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo” ed il successivo considerando 18 sottolinea che “la caratteristica principale di una concessione, ossia il diritto di gestire un lavoro o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori o i servizi aggiudicati in condizioni operative normali, anche se una parte del rischio resta a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore”.

Il concessionario, pertanto, assume responsabilità e rischi tradizionalmente assunti dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori e rientranti di norma nell’ambito di competenza di queste ultime (considerando n. 68) [16].

La ratio della direttiva europea è nitidamente scolpita nel considerando n. 1, secondo cui “l’assenza di una chiara normativa che disciplini a livello dell’Unione l’aggiudicazione dei contratti di concessione dà luogo a incertezza giuridica, ostacola la libera fornitura di servizi e provoca distorsioni nel funzionamento del mercato interno. Di conseguenza, gli operatori economici, in particolare le piccole e medie imprese (PMI), vengono privati dei loro diritti nell’ambito del mercato interno e perdono importanti opportunità commerciali, mentre le autorità pubbliche talvolta non riescono a utilizzare il denaro pubblico nella maniera migliore, in modo da offrire ai cittadini dell’Unione servizi di qualità ai prezzi migliori”.

In tale ottica, le sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e n. 18 del 2021 hanno posto in rilievo, in tema di concessione demaniali marittime, come “il confronto competitivo, oltre ad essere imposto dal diritto dell’Unione, risulta coerente con l’evoluzione della normativa interna sull’evidenza pubblica, che individua in tale metodo non solo lo strumento più efficace per la scelta del miglior “contraente” (in tal caso, concessionario), cioè del miglior interlocutore della pubblica amministrazione, ma anche come mezzo per garantire trasparenza alle scelte amministrative e apertura del settore dei servizi al di là di barriere all’acceso. Inoltre il confronto è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita”.

In sostanza, anche in ordine all’affidamento delle concessioni sussiste la “doppia anima” a base della normativa pubblicistica sulla scelta del contraente nei contratti pubblici di appalto[17].

 

3. La “doppia anima” dell’evidenza pubblica.

L’interesse legittimo è la posizione differenziata e qualificata di cui è titolare un soggetto dell’ordinamento in ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo, per cui traduce una relazione dinamica con un’amministrazione pubblica nell’esercizio autoritativo di un potere pubblico al fine di conseguire o conservare un’utilità che solo e soltanto quell’amministrazione è in grado di attribuire o di sottrarre.

Nella gara volta all’affidamento di un contratto d’appalto o di concessione, gli operatori economici qualificano e differenziano la propria posizione con la presentazione della domanda di partecipazione ed il “bene della vita” oggetto di potere amministrativo al quale aspirano in via finalistica, vale a dire l’affidamento dell’appalto o della concessione, è uno ed uno solo e può essere attribuito ad un unico concorrente, per cui costituisce una risorsa “scarsa” ed il rapporto amministrativo sostanziale è in genere complesso e plurilaterale.

Un contratto di appalto stipulato da una amministrazione pubblica ha una genesi molto diversa da quella di un analogo contratto stipulato tra privati e ciò sia per i motivi che inducono la parte pubblica a contrarre, solitamente irrilevanti per i privati, laddove, invece, devono essere espressamente evidenziati nella determina a contrarre adottata dalla stazione appaltante pubblica, sia, e soprattutto, per la scelta del contraente, che costituisce uno dei principali precipitati dell’autonomia negoziale, mentre, nell’appalto pubblico, è sottratta alla discrezionalità dell’amministrazione, tenuta ad individuare il proprio contraente in esito ad una procedura di evidenza pubblica.

Il corpus normativo di disciplina dell’evidenza pubblica, in origine costituito dalla legge di contabilità di Stato, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, e dal suo regolamento di attuazione, R.D. 23 maggio 1924, n. 827, era finalizzato alla individuazione del “giusto” contraente dell’amministrazione, vale a dire del contraente in grado di offrire le migliori prestazioni e garanzie alle condizioni più vantaggiose, per cui la ratio della normativa sull’evidenza pubblica era volta esclusivamente al controllo della spesa per il miglior utilizzo del denaro della collettività (cd. concezione contabilistica).

A tale esigenza di tutela degli interessi pubblici, si è aggiunta nel tempo, sotto la incessante spinta del diritto europeo, l’ulteriore esigenza di tutela della libertà di concorrenza e di non discriminazione tra le imprese.

La concorrenzialità nell’aggiudicazione, che ha il suo elemento cardine nel principio di massima partecipazione alla gara delle imprese in possesso dei requisiti richiesti, dapprima funzionale al solo interesse finanziario dell’amministrazione, nel senso che la procedura competitiva tra imprese era, ed è, ritenuta la modalità più efficace per assicurare il miglior utilizzo del denaro pubblico, è poi diventata un’espressione dell’ondata neoliberista degli ultimi decenni dello scorso secolo, che ha portato le autorità comunitarie a prendere in considerazione - ai fini della tutela della concorrenza, idonea a garantire l’efficiente allocazione delle risorse sul mercato - l’impatto concorrenziale prodotto dalle amministrazioni pubbliche in qualità di committenti o di concedenti, per cui ogni singola gara diviene uno specifico e temporaneo micromercato nel quale gli operatori economici del settore possono confrontarsi.

Il “mercato”, quindi, da strumento a disposizione dell’amministrazione pubblica per conseguire risparmi di spesa o, comunque, un ottimale utilizzo delle proprie risorse finanziarie è diventato esso stesso oggetto di tutela per il perseguimento di fini ulteriori, vale a dire la libertà di concorrenza tra gli operatori economici.

La compresenza della duplice esigenza volta alla tutela della concorrenza tra le imprese ed al buon uso del denaro della collettività è stata chiaramente delineata anche dalla giurisprudenza europea la quale, nel rappresentare che uno degli obiettivi della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile e che è nell’interesse del diritto comunitario che venga garantita la più ampia partecipazione possibile di offerenti ad una gara d’appalto, ha aggiunto che siffatta apertura alla concorrenza è prevista non soltanto con riguardo all’interesse comunitario alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, ma anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice che può disporre in tal modo di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata[18].

Tale “doppia anima” costituisce anche la ragione per la quale l’affidamento di un contratto di concessione debba tendenzialmente seguire all’espletamento di una gara e ciò sia per individuare il “miglior contraente” dell’amministrazione in termini di qualità della prestazione e migliore gestione delle finanze pubbliche, sia per tutelare la libertà di concorrenza all’interno del mercato europeo, valorizzando i principi di libertà di stabilimento e di prestazione di servizi.

La presenza della “doppia anima” alla base della normativa pubblicistica di scelta del contraente è scolpita, sia per gli appalti che per le concessioni, nell’art. 30 del codice dei contratti pubblici attualmente vigente, per il quale “l’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni … garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza [principi a base del migliore utilizzo del denaro pubblico]. Nell’affidamento dell’appalto e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità nonché di pubblicità [principi a base della tutela della libertà di concorrenza] …[19].

Il considerando n. 3 definisce gli appalti pubblici “uno degli strumenti basati sul mercato necessari per ottenere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, garantendo contemporaneamente la massima efficienza nell’uso dei fondi pubblici” e, in tale contesto, il considerando n. 3 specifica anche che “i contratti di concessione rappresentano importanti strumenti nello sviluppo strutturale a lungo termine di infrastrutture e servizi strategici in quanto concorrono al miglioramento della concorrenza in seno al mercato interno, consentono di beneficiare delle competenze del settore privato e contribuiscono a conseguire efficienza e innovazione”.

In definitiva, ferme restando le evidenziate differenze tra appalti e concessioni, in entrambi i casi (sicuramente per gli appalti sopra la specifica soglia e le concessioni di lavori e servizi) vi è una prima fase pubblicistica, che disciplina la scelta del contraente, ed una seconda fase privatistica, che disciplina lo svolgimento del rapporto e l’esecuzione del contratto.

In particolare, il contratto di appalto ed il contratto di concessione sono accomunati dal fatto che l’appaltatore o il concessionario è sempre un imprenditore che ritrae o può ritrarre utilità economiche dall’essere stato individuato come contraente dell’amministrazione.

Di talché, è possibile assimilare la determina a contrarre, che avvia negli appalti il procedimento di affidamento, alla determina con cui, nel procedimento di attribuzione della concessione, l’Amministrazione decide di trasferire ad un privato la gestione dell’opera o del servizio ovvero l’esercizio del bene.

La funzione di scegliere il contraente dell’amministrazione è svolta negli appalti in cui non è consentito l’affidamento diretto e nelle concessioni di beni e servizi senz’altro dall’aggiudicazione della gara, mentre nelle concessioni di beni pubblici può seguire l’aggiudicazione della gara o costituire oggetto di un affidamento diretto, secondo il criterio discretivo che sarà individuato infra[20].

 

4. La concessione di beni pubblici.

L’importanza della concessione amministrativa in materia di beni pubblici è indubbia[21].

Tuttavia, mentre un elevato numero di studi è dedicato alla concessione di pubblici servizi, quasi fosse il paradigma della concessione amministrativa, sussistono meno contributi specificamente dedicati alla concessione di beni pubblici.

L’assunto di fondo è costituito dal fatto che i beni pubblici non sono suscettibili solo di un uso collettivo da parte dei privati, ma possono anche essere oggetto di usi a titolo particolare, qualora l’Amministrazione disponga in tal modo[22].

La concessione di bene pubblico è un concetto polimorfo, potendo allo stesso nomen iuris corrispondere ipotesi variegate, ma con un denominatore comune, vale a dire che, con il provvedimento concessorio, l’Amministrazione consente ad un singolo operatore economico di appropriarsi delle utilità potenzialmente ritraibili dal bene pubblico attraverso un uso di tipo imprenditoriale.

I procedimenti concessori, infatti, hanno ad oggetto la cura di interessi relativi a beni della vita riservati ai pubblici poteri e l’attribuzione ai privati delle posizioni che involgono tali interessi pubblici avviene sul presupposto di una previa decisione in tal senso dell’Amministrazione, rispetto alla quale gli aspiranti sono titolari di una posizione di interesse legittimo pretensivo. 

Con la concessione, il bene, che diversamente avrebbe soltanto un valore d’uso a favore della collettività, entra a far parte di un capitale privato, vale a dire dell’insieme dei fattori il cui impiego in un processo produttivo è remunerato con la corresponsione di un profitto al loro proprietario.

Di talché, attraverso il provvedimento concessorio, l’Amministrazione titolare del bene pubblico cede il diritto di sfruttamento del proprio capitale ad un privato, affinché questi ne possa trarre un profitto da ripartire.

Va da sé che, una volta divenuto oggetto di provvedimento concessorio, il bene pubblico entra in una dimensione completamente diversa dalla soddisfazione immediata di bisogni collettivi tradizionalmente considerata come la destinazione naturale dei beni pubblici[23].

Ciò non toglie che i beni pubblici, anche quando costituiscono oggetto di concessione, debbano essere utilizzati in vista del perseguimento, ancorché mediato, dell’interesse pubblico, in ragione del legame che ontologicamente deve sussistere tra l’interesse privato immediatamente soddisfatto e la natura pubblica del bene[24].

Tale concetto rivela la problematicità di fondo della materia, atteso che il perseguimento non immediato dell’interesse pubblico deve coniugarsi con la soddisfazione immediata di un interesse privato.

 

5. Il rapporto tra concessione demaniale[25] e autorizzazione nella direttiva Bolkestein.

Il profilo di maggiore criticità dell’argomento in discussione attiene al fatto che, come indicato all’art. 2 della direttiva 2014/23/UE, la direttiva concessioni si applica all’aggiudicazione di concessioni di lavori o di servizi, ma non si applica alle concessioni di beni, tra cui le concessioni demaniali. Ugualmente, l’art. 164 del d.lgs. n. 50 del 2016 indica che le disposizioni di cui alla parte III del codice, definiscono le norme applicabili alle procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi indette dalle amministrazioni aggiudicatrici, nonché dagli enti aggiudicatori qualora i lavori o i servizi siano destinati ad una delle attività di cui all’allegato II.

In tale ottica, ai sensi del considerando n. 15 alla direttiva concessioni, è stato specificato che “taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni o qualsiasi proprietà pubblica, in particolare nel settore dei porti marittimi o interni o degli aeroporti, mediante i quali lo Stato oppure l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore fissa unicamente le condizioni generali d’uso senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come concessioni ai sensi della presente direttiva”.

Pertanto, le norme sulle procedure di aggiudicazione finalizzate alla scelta del concessionario previste nella direttiva concessioni, così come nel vigente codice nazionale dei contratti pubblici, sono propriamente riferite alle concessioni di lavori e di servizi e non anche alle concessioni di beni pubblici, per le quali, invece, occorre individuare una diversa fonte normativa di riferimento.

Infatti, se è vero che l’art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016, dispone che anche per i contratti attivi[26], esclusi in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del codice,  l’affidamento dei contratti avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica, è altrettanto vero che, in ragione del generale principio di successione delle leggi nel tempo, qualunque legge successiva al codice dei contratti potrebbe modificare il previgente regime ed introdurre l’affidamento diretto delle concessioni[27].

A tal fine sovviene la direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, c.d. direttiva Bolkestein, relativa ai servizi nel mercato interno.

La direttiva Bolkestein assume rilievo nell’ordinamento nazionale in ragione del concetto di primazia del diritto eurounitario, per effetto del quale, in caso di conflitto, contraddizione o incompatibilità, le norme europee prevalgono su quelle nazionali[28].

Tale direttiva, in linea strettamente consequenziale ai suoi considerando, detta le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi.

L’art. 4, n. 6, definisce “regime di autorizzazione” qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio.

Il considerando n. 39 alla direttiva indica che “la nozione di regime di autorizzazione dovrebbe comprendere, in particolare, le procedure amministrative per il rilascio di autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni …”.

L’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, che assume dirimente rilievo ai fini dell’analisi in discorso, inoltre, stabilisce che:

1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.

2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.

3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”.

Tali norme sono state sostanzialmente recepite dal legislatore nazionale con l’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, di attuazione della direttiva servizi 2006/123/CE.

Ne consegue che, essendo le concessioni di beni escluse dall’applicazione dalla direttiva 2014/23/UE, relativa alle sole concessioni di lavori e servizi, facendo riferimento alla direttiva Bolkestein, il concessionario di beni pubblici dovrebbe essere individuato in base ad una procedura selettiva pubblica  laddove il bene oggetto di concessione sia ritenuto un bene scarso, mentre, negli altri casi, a fronte della non limitatezza dei beni, l’Amministrazione, pur nel perseguimento di un interesse di carattere pubblico, potrebbe procedere all’affidamento diretto della concessione.

In sostanza, il quadro che emerge da siffatta ricostruzione è che, per trasferire ad un operatore economico privato l’esercizio del bene, l’amministrazione deve necessariamente adottare una determina, assimilabile alla determina a contrarre negli appalti, per poi procedere, ove ritenuta applicabile la direttiva 2006/123/CE, all’individuazione del concessionario attraverso un confronto comparativo, se si tratta di un bene scarso, ovvero mediante affidamento diretto se il bene non è scarso e, quindi, è potenzialmente attribuibile a tutti gli aspiranti.

In altri termini, l’ente concedente, in primo luogo, con apposita determinazione, dovrebbe dare conto delle ragioni per le quali intende curare in concreto l’interesse pubblico sotteso al bene oggetto di concessione scindendo l’esercizio, da affidare ad un concessionario, dalla sua titolarità, che rimane in capo all’amministrazione, e, successivamente, ove si tratti di un bene scarso, dovrebbe procedere alla scelta del concessionario attraverso una procedura selettiva alla quale devono poter partecipare i potenziali aspiranti in possesso dei requisiti richiesti.

L’art. 12 della direttiva Bolkestein, pertanto, persegue l’obiettivo di aprire il mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l’utilizzo di risorse naturali scarse.

 

6. Le concessioni demaniali marittime. 

Le concessioni demaniali marittime per uso turistico ricreativo sono state tipizzate dall’art. 1 del d.l. 5 ottobre 1993 n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 494 del 1993, con la finalità di attribuire ad un operatore economico la facoltà d sfruttamento in via esclusiva di un tratto di litorale in vista della realizzazione di stabilimenti balneari ed altre strutture similari funzionali alla più confortevole fruizione del litorale da parte dei turisti.

L’impostazione di fondo del codice della navigazione è improntata al massimo favore per la concessione del bene, sull’assunto che lo sfruttamento infrastrutturale in chiave turistica possa garantire la più razionale forma di estrazione dell’utilità dal bene.

In tale ottica, prima dell’intervento della Commissione Europea e delle considerazioni critiche espresse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, le concessioni demaniali marittime, aventi la durata di sei anni, erano automaticamente rinnovate alla scadenza, per la stessa durata, a semplice richiesta del concessionario, per cui erano di fatto attribuite con affidamento diretto, mentre per il caso di celebrazione di una gara, il codice della navigazione prevedeva il c.d. diritto di insistenza a favore del precedente titolare per salvaguardare la certezza dell’ammortamento degli investimenti effettuati dai concessionari, con l’effetto di rendere tendenzialmente perpetua e non contendibile l’assegnazione della concessione[29].

Una volta modificato il codice della navigazione, con l’espunzione della norma sul c.d. diritto di insistenza, il legislatore nazionale ha proceduto ad una serie di proroghe delle concessioni, rinnovando di fatto l’iniziale affidamento diretto[30].

Di qui, l’esigenza di verificare l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 12 della direttiva servizi 2006/123/CE e, quindi, di individuare se la concessione di beni pubblici, secondo la qualificazione data dall’ordinamento nazionale, possa essere inquadrata nel regime di autorizzazione, secondo la qualificazione data dall’ordinamento europeo.

A tal fine, assume essenziale rilievo la sentenza della Corte di Giustizia Europea, Quinta Sezione, 14 luglio 2016, c.d. sentenza Promoimpresa, pronunciata nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15.

Le domande di pronuncia pregiudiziale, infatti, hanno riguardato l’interpretazione dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio nell’ambito di due controversie concernenti, la prima, il diniego di rinnovo di una concessione per lo sfruttamento di un’area demaniale e l’indizione di una procedura di selezione compartiva, la seconda, l’attribuzione della concessione di beni del demanio marittimo.

La Corte di Giustizia ha richiamato il considerando n. 15 della direttiva 2014/23/UE ed i considerando nn. 39 e 57 nonché l’art. 4, punto 6, della direttiva 2006/123/CE ed ha dato conto del fatto che il giudice del rinvio ha qualificato, sia nel primo che nel secondo caso, il rapporto giuridico intercorrente tra le parti come una concessione, come definita dal diritto europeo, in quanto, nella prima, l’impresa ha il diritto di utilizzare un bene pubblico demaniale dietro versamento di un canone periodico all’amministrazione proprietaria di tale bene e dato che il rischio di impresa legato a quest’ultimo rimane a carico dell’impresa e, nella seconda, si tratta della prestazione di un servizio ed il rischio di impresa è a carico dei concessionari.

La CGUE ha rappresentato che tali concessioni, che hanno ad oggetto risorse naturali, possono essere qualificate come autorizzazioni ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123/UE, in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali per poter esercitare la loro attività economica.

Infatti, nel caso di specie, le concessioni vertono sull’autorizzazione ad esercitare un’attività economica in un’area demaniale, per cui non rientrano nella categoria della concessione di servizi, così come può anche evincersi dal considerando n. 15 della direttiva n. 2014/23/UE nonché in taluni passaggi della sentenza dello stesso giudice europeo c.d. Belgacom del 14 novembre 2013, C-300/07[31].

La Corte, nella sentenza Promoimpresa, ha altresì evidenziato che le concessioni in discorso riguardano un diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato ad uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi, di modo che le situazioni considerate nei procedimenti principali rientrano, per loro stessa natura, nell’ambito dell’articolo 49 TFUE[32].

Di talché, la sentenza della Quinta Sezione della Corte di Giustizia Europea ha concluso che:

- l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati;

- l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.

L’art. 49 del TFUE (ex art. 43 del TCE) vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e stabilisce che la libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio.

Parimenti, l’art. 56 del TFUE (ex art. 49 del TCE) vieta le restrizioni alla libera prestazione di servizi all’interno dell’Unione nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.

Per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 49 TFUE, la Corte di Giustizia, Sesta Sezione, sin dalla sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, TeleAustria e Telefonadress, ha chiarito che qualsiasi atto dello Stato che stabilisce le condizioni alle quali è subordinata la prestazione di un’attività economica sia tenuto a rispettare i principi fondamentali del Trattato e, in particolare, i principi di non discriminazione in base alla nazionalità e di parità di trattamento, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva.

Nell’ottica della Corte, quindi, l’obbligo di trasparenza impone all’autorità concedente di assicurare, a favore di ogni potenziale offerente, un “adeguato livello di pubblicità” che consenta l’apertura del relativo mercato alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle relative procedure di aggiudicazione.

La questione della compatibilità della qualificazione della concessione demaniale con finalità turistico-ricreative in termini di autorizzazione di servizi ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE è stata compiutamente affrontata in ambito nazionale dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e n. 18 del 2021, che hanno puntualmente richiamato i principi espressi dalla sentenza della CGUE c.d. Promoimpresa[33], le quali hanno posto in rilievo che, nell’ottica funzionale e pragmatica che caratterizza il diritto dell’Unione, da tempo, proprio in materia di concessioni amministrative, il diritto europeo ha dato impulso ad un processo di rilettura dell’istituto in chiave sostanzialistica, attenta, più che ai profili giuridico-formali, all’effetto economico del provvedimento di concessione, il quale, nella misura in cui si traduce nell’attribuzione del diritto di sfruttare in via esclusiva una risorsa naturale contingentata al fine di svolgere un’attività economica, diventa una fattispecie che, a prescindere dalla qualificazione giuridica che riceve nell’ambito dell’ordinamento nazionale, procura al titolare vantaggi economicamente rilevanti in grado di incidere sensibilmente sull’assetto concorrenziale del mercato e sulla libera circolazione dei servizi.

La stessa decisione della Commissione 4 dicembre 2020 relativa al regime di aiuti SA. 38399 2019/C (ex 2018/E) “Tassazione dei porti in Italia” contiene l’affermazione per cui “la locazione di proprietà demaniali dietro il pagamento di un corrispettivo costituisce un’attività economica”.

Di talché, ha sostenuto l’Adunanza Plenaria come sia ”evidente che il provvedimento che riserva in via esclusiva un’area demaniale (marittima, lacuale o fluviale) ad un operatore economico, consentendo a quest’ultimo di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa erogando servizi turistico-ricreativi va considerato, nell’ottica della direttiva 2006/123, un’autorizzazione di servizi contingentata e, come tale, da sottoporre alla procedura di gara”.

L’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, quindi, è stato ritenuto applicabile al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime, con conseguente incompatibilità comunitaria, anche sotto tale profilo, della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica e generalizzata delle concessioni già rilasciate.

È peraltro evidente che il confronto competitivo, oltre ad essere imposto dal diritto dell’Unione, risulta coerente con l’evoluzione della normativa interna sull’evidenza pubblica, che, come già ampiamente illustrato, individua in tale metodo non solo lo strumento più efficace per la scelta del miglior “contraente” (in tal caso, concessionario), cioè del miglior interlocutore della pubblica amministrazione, ma anche come mezzo per garantire trasparenza alle scelte amministrative e apertura del settore dei servizi al di là di barriere all’accesso.

L’ordinanza n. 743 dell’11 maggio 2022, con cui la Prima Sezione del Tar per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, ha rimesso in materia una pluralità di questioni alla Corte di Giustizia Europea, soprattutto in ordine al carattere self executing della direttiva Bolkestein, ha comunque ritenuto l’applicabilità dell’articolo 12 della direttiva alle concessioni demaniali marittime, ponendo in rilievo il chiaro conflitto delle leggi nazionali dispositive di proroghe automatiche di dette concessioni con il richiamato art. 12, oltre che con l’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, ove siano accertati la scarsità delle risorse naturali e l’interesse transfrontaliero.

 

7. Note conclusive.

La concessione amministrativa ha ad oggetto l’uso di risorse e l’esercizio di attività riservate ai pubblici poteri e costituisce la porta di accesso dell’operatore economico privato all’esercizio, e non anche alla titolarità, di un bene pubblico attraverso un’attività di tipo imprenditoriale.

Ne consegue che l’interesse pubblico permea il rapporto concessorio anche nella sua fase esecutiva, sebbene per effetto della stipulazione del contratto, sorgano per le parti rapporti obbligatori disciplinati da diritto privato.

Il bene della vita, vale a dire la possibilità di svolgere un’attività economica relativa ad un bene riservato ai pubblici poteri, può costituire una risorsa scarsa, in quanto attribuibile ad uno solo o a pochi aspiranti, ovvero una risorsa abbondante, vale a dire attribuibile a tutti i possibili richiedenti.

Nel momento in cui l’amministrazione decide se attribuire o meno l’esercizio di un bene pubblico in concessione dovrebbe determinarsi esponendo le ragioni per le quali intende disgiungere la titolarità, che rimane pubblica, dall’esercizio del bene, che viene affidato ad un’attività imprenditoriale privata.

L’individuazione del concessionario, quale interlocutore dell’amministrazione, postula la risoluzione di una complessa questione.

Il concessionario di lavori pubblici o servizi pubblici, al pari di un appaltatore, deve costituire il “miglior contraente”, per cui deve aggiudicarsi una procedura selettiva.

Per le concessioni di beni demaniali, invece, a livello europeo, non è sempre previsto lo svolgimento di una gara, tanto che la direttiva servizi, n. 2014/23/UE, e le relative norme nazionali di attuazione, espressamente si applicano solo alle concessioni di lavori e di servizi[34].

La questione centrale del tema, pertanto, è costituita dall’accertare quale sia la normativa applicabile all’affidamento delle concessioni demaniali e, soprattutto, se a dette concessioni possa essere applicato l’art. 12 della direttiva Bolkestein 2006/123/CE in materia di servizi, che impone una procedura selettiva tra i candidati potenziali qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili.

La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza c.d. Promoimpresa del 14 luglio 2016, ha dichiarato che la concessione demaniale può essere a tal fine considerata un’autorizzazione con conseguente applicazione della normativa Bolkestein sulla scelta del contraente ed incompatibilità con il regime europeo della norma nazionale di proroga automatica generalizzata delle concessioni demaniali marittime.

Tale tesi è stata recepita nel 2021 anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 17 e 18 del 2021.

La legge 5 agosto 2022, n. 118, legge annuale per il mercato e la concorrenza, ha delegato il Governo per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici, stabilendo, in particolare che le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive continuano ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023, ovvero non oltre il 31 dicembre 2024 in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023[35].

Pertanto - pur nella consapevolezza che, secondo il pensiero cartesiano, “il dubbio è il principio della conoscenza” e del noto aforisma di Ennio Flaiano, “certo, certissimo, anzi probabile”, che induce a diffidare dalle sicurezze presunte – un risultato esegetico in una materia così controversa, anche in ragione della giurisprudenza europea, può ritenersi raggiunto, vale a dire che, se la risorsa oggetto dell’azione amministrativa è “abbondante”, le concessioni demaniali possono essere attribuite con affidamento diretto, mentre, se la risorsa è “scarsa”, occorre scegliere il concessionario in base ad una procedura selettiva imparziale e trasparente a tutela sia degli interessi pubblici che degli interessi privati coinvolti, sussistendo anche in tal caso la complessiva ratio a base delle procedure di affidamento di appalti pubblici e concessioni, definita nel testo come la “doppia anima” dell’evidenza pubblica.

 

                                                                            


[1] La relazione è stata predisposta in occasione del convegno “Le concessioni demaniali marittime: una fine o un inizio?”, svoltosi a Maruggio (Taranto) in data 16 settembre 2022.

[2] La giurisprudenza ha talvolta qualificato il concessionario, ad esempio nel caso dei concessionari autostradali, come organismo di diritto pubblico.

[3] La natura pubblica dell’oggetto della concessione evoca di per sé il pensiero della disponibilità della res da parte dell’amministrazione pubblica. Tra le tante pubblicazioni sul tema: V. Caianiello, voce “Concessioni (diritto amministrativo), in Noviss. Dig. It., Appendice, Torino, 1981; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993.

[4] Secondo la celebre definizione di M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 2002, “l’interesse legittimo è la posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad un’utilità oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa all’utilità”. La posizione di interesse legittimo, pertanto, è ontologicamente collegata all’esistenza ed all’esercizio di una potestà amministrativa ed ha carattere pretensivo laddove l’utilità non è ancora presente nella sfera giuridica del soggetto, ma può essere attribuita dall’esercizio dell’attività amministrativa.

[5] Nella dogmatica italiana, l’autorizzazione ha ad oggetto un’attività privata, non lesiva di pubblici interessi, ma neanche strumentale al soddisfacimento di un interesse pubblico, mentre la concessione ha per oggetto lo svolgimento di un’attività ontologicamente strumentale al perseguimento di un interesse della collettività, in quanto riservata ai pubblici poteri.

[6] La natura meramente provvedimentale della concessione è sviluppata nella dottrina classica, tra cui O. Ranelletti, Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni amministrative, Giur. It, 1984, IV e F. Benvenuti, il ruolo dell’amministrazione nello Stato democratico, in G. Marongiu – G.C. De Martin (a cura di), Democrazia e amministrazione, Milano, 1992.

[7] Con l’istituto della concessione contratto, da un lato, si è preservato il potere dell’Amministrazione di curare l’interesse pubblico ed incidere eventualmente sul rapporto attraverso atti unilaterali aventi ad oggetto l’originario provvedimento concessorio, dall’altro, sotto il profilo patrimoniale, si è assicurata stabilità al rapporto contrattuale.

[8] La dottrina che ha espresso perplessità sulla distinzione tra provvedimento concessorio e contratto ad esso accessivo è esposta, tra l’altro, in R. Villata, Pubblici servizi. Discussioni e problemi, Milano, 2008.

[9] La tesi è espressa anche in R. Caranta, I contratti pubblici, Torino, 2012.

[10] Cfr. Cgars 16 ottobre 2020, n. 935.

[11] La definizione data dal legislatore europeo, e recepita dal legislatore nazionale, al contratto di concessione emerge dal combinato disposto del considerando 11 nonché dall’art. 5, comma 1, lett. a) e b), della direttiva UE 26 febbraio 2014, n. 23, nonché dal conseguente art. 3, comma 1, lett. uu) e vv), del d.lgs. n. 50 del 2016.

[12] Corte di Giustizia UE, III, 10 marzo 2011, C-274/09.

[13] Corte di Giustizia UE, I, 13 ottobre 2005, C-458/03.

[14] Corte di Giustizia UE II, 18 luglio 2007, C-382/05.

[15] Cfr., ex multis, Corte di Giustizia UE 21 maggio 2015, C-269/14, da ultimo richiamata in Cons. Stato, V, 4949 del 16 giugno 2022.

[16]  Il riferimento al rischio operativo quale elemento caratterizzante della concessione e quale elemento di distinzione rispetto agli appalti è ormai dato acquisito dalla giurisprudenza amministrativa. In tal senso, tra le ultime, cfr. Cons. Stato, V, 26 agosto 2022, n. 7481, in cui è specificato, come, nella fattispecie, il rischio operativo concerneva il numero effettivo di interventi che la ditta avrebbe potuto svolgere, che non è certo né prevedibile ex ante; Cons, Stato, VII,  24 agosto 2022, n. 7418, in cui è sottolineato come, vertendosi in materia di concessione, il rischio operativo era comunque traslato sull’operatore economico che non avrebbe potuto, ora per allora ed invertendo il modo di funzionare dell’istituto, riversarlo sul concedente; Cgars, 24 marzo 2021, n. 247, ha evidenziato che “Il rischio operativo si sostanzia essenzialmente in: - rischio di domanda, in quanto il concessionario ottiene il proprio compenso non già dall’Istituzione ma dagli utenti che fruiscono del servizio stesso (acquistando le bevande e gli alimenti offerti dal bar o dai distributori automatici), con conseguente rischio connesso alle possibili oscillazioni dei volumi di domanda; - rischio di disponibilità, in quanto il concessionario deve gestire il servizio, garantendo i livelli prestazionali stabiliti nel contratto, trovando in caso contrario applicazione le penali pattuite nel contratto medesimo”.

 

[17] Sia consentito il richiamo ad R. Caponigro, Il rapporto tra tutela della concorrenza ed interesse alla scelta del miglior contraente nell’impugnazione degli atti di gara, in www.giustizia-amministrativa.it, 2016.

[18] Ex multis: sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Quarta Sezione, 23 dicembre 2009, nel procedimento C-305/08 CoNiSMa/Regione Marche.

[19] La legge delega n. 118 del 5 agosto 2022, legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, ha parimenti evidenziato di essere finalizzata a promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni, nonché, tra l’altro, a migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici.  

[20] La necessità di affidare le concessioni di beni e servizi attraverso una procedura selettiva discende dalla direttiva 2014/23/UE, per la concessione di beni occorre invece fare riferimento alla direttiva 2006/123/CE.

[21] L’argomento è analiticamente trattato in B. Tonoletti, Beni pubblici e concessioni, Padova, 2008, che richiama un’ampia dottrina nonché la casistica giurisprudenziale, soffermandosi anche sul fondamentale tema dell’evoluzione della concessione da atto di disposizione patrimoniale a strumento di governo degli usi dei beni.

[22] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, pone a confronto i beni pubblici che assolvono la loro funzione al servizio della collettività e i beni pubblici ad uso particolare, evidenziando che deve sempre sussistere un legame tra l’interesse privato immediatamente soddisfatto e la ragione della pubblicità del bene.

[23] Cfr. B. Tonoletti, op.cit., per il quale la constatazione contenuta in E. Casetta, op. cit., secondo cui il bene pubblico concesso “è posto al servizio di singoli soggetti”, esprime il carattere contraddittorio della vicenda, in quanto ciò che è pubblico non può, per definizione, essere posto al servizio di interessi particolari senza cessare di essere tale.

[24] La legge delega n. 118 del 5 agosto 2022, legge annuale per il mercato e la concorrenza, ha rappresentato l’esigenza di tenere in adeguata considerazione “gli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell’occupazione, nel quadro dei principi dell’Unione europea, nonché di contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, di migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e di potenziare lo sviluppo degli investimenti e dell’innovazione in funzione della tutela dell’ambiente, della sicurezza e del diritto alla salute dei cittadini”.

[25] M.S. Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963, ha evidenziato che la concessione costituisce una forma di gestione del demanio, volta a legittimare una “deroga al principio di uguaglianza cui si addiviene per il fatto di attribuire a soggetti dell’ordinamento dei vantaggi particolari”.

[26] Le concessioni demaniali di beni possono essere inquadrate tra i contratti attivi, in quanto è solitamente previsto un canone periodico a carico del concessionario ed a favore dell’ente concedente.

[27] L’art. 1, comma 682 e ss., legge 30 dicembre 2018, n. 145, che ha esteso le proroghe delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2033, in ragione del principio di successione delle leggi nel tempo, avrebbe prevalso, derogandola, sulla norma generale di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016.

[28] Nell’ordinamento interno, la Corte costituzionale ha affermato la primazia del diritto comunitario sulle leggi nazionali, anche posteriori, a partire dalla c.d. sentenza Granital, sentenza n. 170 del 1984.

[29] Sulla tematica del diritto di insistenza, tra gli altri, S. Cassese, Concessione di beni pubblici e diritto di insistenza, in Giornale di diritto amministrativo, 2003.

[30] La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro lo Stato italiano e, con lettera di messa in mora del 29 gennaio 2009, ha contestato la compatibilità con il diritto comunitario e, in particolare, con il principio di libertà di stabilimento del modello concessorio nazionale relativo alle concessioni demaniali marittime, sicché è stato emanato l’art. 1, comma 18, del decreto legge n. 194 del 2009, convertito, con modificazioni dalla legge n. 48 del 2010, che ha modificato il codice della navigazione, abrogando la norma di preferenza a favore del concessionario uscente. Ciò nonostante, il legislatore italiano ha adottato proroghe automatiche delle concessioni in essere, mentre la procedura di infrazione è stata chiusa nel 2012 a seguito della legge delega per il riordino della legislazione, delega rimasta però inattuata.

[31] La sentenza Promoimpresa, di contro, ha posto in rilievo che le disposizioni relative ai regimi di autorizzazione della direttiva 2006/123 non sono applicabili a concessioni di servizi pubblici che possano, in particolare, rientrare nell’ambito della direttiva 2014/23 (par. 45).

[32] Nei procedimenti principali, le concessioni non vertono su una prestazione di servizi determinata dall’ente aggiudicatore, bensì sull’autorizzazione ad esercitare un’attività economica in un’area demaniale (par. 47).

[33] Le sentenze “gemelle” dell’Adunanza Plenaria hanno sottolineato come le sentenze interpretative pregiudiziali della Corte di giustizia hanno la stessa efficacia vincolante delle disposizioni interpretate e che, quindi, le stesse sono equiparabili ad una sopravvenienza normativa, la quale, incidendo su un procedimento ancora in corso di svolgimento e su un tratto di interesse non coperto dal giudicato determina non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la medesima situazione giuridica.

[34] In assenza di altre norme di legge primaria, potrebbe assumere rilievo l’art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016, secondo cui l’affidamento dei contratti attivi dovrebbe comunque avvenire nel rispetto dei principi essenziali dell’evidenza pubblica.

[35] In particolare, l’art 4 della legge delega, al fine di assicurare un più razionale e sostenibile utilizzo del demanio marittimo, lacuale e fluviale, favorirne la pubblica fruizione e promuovere, in coerenza con la normativa europea, un maggior dinamismo concorrenziale nel settore dei servizi e delle attività economiche connessi all’utilizzo delle concessioni per finalità turistico-ricreative e sportive, nel rispetto delle politiche di protezione dell’ambiente e del patrimonio culturale, ha delegato il Governo ad attuare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi volti a riordinare e semplificare la disciplina in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive, ivi incluse quelle affidate ad associazioni e società senza fini di lucro.