il punto della situazione
Attuazione del PNRR e prevenzione delle infiltrazioni mafiose
Il decreto-legge n.152 del 6 novembre 2021 ha apportato significative innovazioni e modifiche al Codice antimafia, tenendo conto dei recenti arresti giurisprudenziali e proponendo un nuovo modello “collaborativo”, che si pone in un’ottica di graduazione delle misure afflittive, in base all’effettivo livello di compromissione dell’impresa rispetto al contesto criminale.
Il legislatore si è mosso anche nel solco di una valorizzazione degli istituti di partecipazione, che aveva già condotto alla previsione dell’istituto della “vigilanza collaborativa” dell’ANAC (cfr. art.213, comma 3, lett. h) del D.Lgs. n.50/2016 e art.30 del D.L. n.90/2014, conv. in L. n.114/2014), ispirato al principio di leale collaborazione e declinato con la stipula di appositi “protocolli di intesa” con le stazioni appaltanti, volti ad assicurare scambi informativi e ad anticipare gli interventi alla fase “fisiologica”, rispetto a quella “patologica”, con una finalità deflattiva del contenzioso e con la proposizione di un modello di “amministrazione virtuosa”.
Dall’attività di controllo in senso stretto si è passati ad interventi consultivi e propositivi, a valutazioni, in itinere, di legittimità e conformità alla normativa di settore dei documenti delle procedure di gara, valorizzando un modello “a geometria variabile”.
Alla vigilanza tradizionale, di tipo “verticale”, si è dunque affiancata una vigilanza di tipo “orizzontale”, che non vede più le stazioni appaltanti soltanto come destinatarie passive delle attività di controllo svolte dall’ANAC, ma come parti attrici, dialoganti, in un modello di azione integrata ed in una prospettiva non solo reattiva ma pro-attiva.
La finalità che permea gli istituti di recente conio e il cambio di approccio è quella di assicurare il corretto svolgimento delle procedure di gara e della fase esecutiva dei contratti, al fine di impedire infiltrazioni criminali nell’ambito degli appalti pubblici.
Le nuove disposizioni urgenti per la prevenzione antimafia hanno, innanzitutto, inciso sul procedimento (cfr.art.92 del Codice antimafia), rafforzando l’istituto del “contraddittorio” (la rubrica è stata modificata da “Termini per il rilascio delle informazioni” in “Procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia”), con l’effetto di consentire l’acquisizione di maggiori elementi conoscitivi, utili al Prefetto per la valutazione dell’effettivo spessore della permeabilità mafiosa.
In linea con l’art.10-bis della L. n.241/1990 è stato introdotto il “preavviso” della misura interdittiva o amministrativa di prevenzione collaborativa, che apre il momento di interlocuzione tra parte pubblica e parte privata, con la possibilità di audizione, produzione di osservazioni scritte e documenti.
Il legislatore ha comunque tenuto conto delle peculiarità dell’attività amministrativa in questione e dell’esigenza di non compromettere la funzionalità delle misure antimafia, disponendo, al comma 2-bis dell’art.92, che “In ogni caso non possono formare oggetto della comunicazione di cui al presente comma elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose” e facendo salvi i casi in cui ricorrono “particolari esigenze di celerità del procedimento”, rimessi alla valutazione discrezionale del Prefetto, che escludono il contraddittorio. Di tali esigenze si tiene conto anche in sede di audizione.
Tali previsioni si conformano agli orientamenti giurisprudenziali (cfr. Corte di Giustizia, C-298/16 e C-63/18; Consiglio di Stato, sentenza n.820/2020) nel senso della valenza non assoluta del principio del contraddittorio, che ammette deroghe, a tutela di interessi superiori afferenti all’ordine pubblico e in ossequio al principio di proporzionalità che richiede una valutazione in concreto, considerato l’elevato potenziale infiltrativo che connota le consorterie mafiose specialmente in alcuni ambiti economici.
Nei casi in cui, invece, venga svolto il contraddittorio, nell’arco temporale tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2-bis succitato e la conclusione della procedura, i cambiamenti di sede, denominazione, oggetto, composizione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società o comunque qualsiasi variazione sociale organizzativa, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate da tentativi di infiltrazione mafiosa possono essere oggetto di attenta valutazione ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia, anche in considerazione del fatto che potrebbero essere connotati da un intento elusivo o dissimulatorio.
Il procedimento può concludersi con: a) il rilascio dell’informazione antimafia liberatoria; b) l’applicazione della misura amministrativa di “prevenzione collaborativa”, nel caso previsto dall’art.94-bis; c) l’adozione della informazione antimafia interdittiva, accompagnata dalla verifica, da parte del Prefetto, dei presupposti per l’applicazione delle misure di cui all’art.32, comma 10, del D.L. n.90/2014, convertito in L. n.114/2014 e dalla conseguente informativa al Presidente dell’ANAC, nel caso di valutazione positiva.
Suscita particolare interesse l’introduzione della nuova misura di prevenzione collaborativa, che mira a coniugare le esigenze di assicurare l’ordine pubblico e la tutela del settore degli appalti dalle infiltrazioni mafiose, da una parte, con la libera iniziativa imprenditoriale, dall’altra, evitando che possa verificarsi quello che è stato definito un “ergastolo imprenditoriale”, laddove il grado di compromissione dell’impresa non sia tale da giustificarlo.
Il ricorso a tale strumento è subordinato, infatti, all’accertamento che i tentativi di infiltrazione mafiosa siano “riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale”, tali da legittimare la prescrizione all’impresa dell’osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una serie di misure dettagliatamente enucleate nell’art.94-bis, che possono essere disposte singolarmente o in via cumulativa, oltre alla possibilità di nominare, anche d’ufficio, uno o più esperti con funzioni di supporto finalizzate all’attuazione delle misure di prevenzione collaborativa.
Inoltre, la misura di prevenzione collaborativa è annotata in un’apposita sezione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, di cui all’art.96, non essendo equiparabile alla comunicazione ed all’informazione interdittiva.
E’ anche previsto un raccordo di tale ultima misura con il diverso istituto del “controllo giudiziario” di cui all’art.34 bis del Codice antimafia, nel senso della cessazione della misura di prevenzione collaborativa se il Tribunale dispone il controllo, ferma restando la possibilità di tenere conto del periodo di esecuzione della prima, ai fini della determinazione della durata del secondo.
Inoltre, alla luce delle modifiche apportate all’art.34 bis dal Decreto n.152/2021, il Tribunale competente per le misure di prevenzione, ove risultino applicate le misure previste dall’art.94 bis, dovrà effettuare una valutazione sull’opportunità di adottare, in sostituzione della misura di prevenzione collaborativa, il provvedimento di nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario, ai sensi del comma 2, lett. b) dell’art.34 bis.
La temporaneità della misura di prevenzione collaborativa comporta che, alla scadenza del termine di durata, il Prefetto, “ove accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia una informazione antimafia liberatoria”; in caso contrario, verrà adottata una informazione antimafia interdittiva.
I due strumenti in esame rivelano dei punti comuni e sono ispirati dalla medesima ratio, in quanto offrono all’impresa “controindicata”, caratterizzata da “situazioni di agevolazione occasionale”, di continuare ad operare, sia pure sotto la stretta vigilanza dell’Autorità statale.
Divergono in quanto il controllo giudiziario è disposto dal Tribunale e per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni.
D’altra parte, con le ultime modifiche normative è stato rafforzato il ruolo del Prefetto ed il raccordo tra i diversi Organi, in quanto è previsto che il Tribunale, prima di decidere sulle richieste delle imprese destinatarie di informazioni antimafia interdittive, impugnate in giudizio, di essere ammesse al controllo giudiziario di cui alla lett. b) del comma 2 dell’art.34 bis, ai sensi del comma 6 della medesima norma, è tenuto a sentire anche il Prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva.
D’altro canto, il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria o il controllo giudiziario è comunicato dalla cancelleria del Tribunale al Prefetto dove ha sede legale l’impresa, ai fini dell’aggiornamento della Banca dati, ed è valutato anche ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione collaborativa, nei successivi cinque anni.
Tale provvedimento sospende il termine per il rilascio dell’informazione antimafia di cui all’art.92, comma 2 e gli effetti di cui all’articolo 94.
Con riferimento alla sospensione degli effetti di cui all’art.94 e al giudizio amministrativo avente ad oggetto il provvedimento interdittivo, la giurisprudenza ha in più occasioni (cfr., da ultimo, ordinanza n.5667 del 15.10.2021) chiarito che non è consentito subordinare l’efficacia sospensiva della misura cautelare all’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, in quanto è diverso l’oggetto del giudizio avanti al Giudice amministrativo, che deve verificare la sussistenza degli elementi posti a base del provvedimento prefettizio, e quello davanti al Giudice ordinario, che deve effettuare una prognosi circa il recupero dell’impresa al circuito legale per l’occasionalità del collegamento con le associazioni mafiose, e non si può dunque nemmeno vincolare temporaneamente l’esito, anche cautelare, del primo giudizio alle sorti del secondo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 29.09.2021, n.5371).
Inoltre, il Supremo Consesso amministrativo (cfr. sentenza 1049 del 4.02.2021) ha statuito che, nel sistema delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia, vanno esclusi in capo al Tribunale di prevenzione, poteri di controllo dei presupposti della interdittiva antimafia, venendo altrimenti ad introdursi nel sistema una duplicazione del controllo sulla legittimità della misura interdittiva e segnatamente sulla sussistenza o meno dei presupposti (cfr. in tal senso Cass. Penale sentenza Sez. 6, del 9 maggio 2019, n. 26342).
“Come evidenziato nella sentenza n. 338/2021, la valutazione del Giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo.
Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum.
Pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare dunque operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati – anche sul piano diacronico – nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata.
Non può pertanto sostenersi, come fa l’appellante, che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante, con efficacia di giudicato, sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata”.