Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 12 ottobre 2021, n. 6839

La suddivisione in lotti di cui all’art. 51 D.lgs 50/2016 è prevista a tutela delle piccole e medie imprese al fine di consentire la loro partecipazione e, dunque, è posta a tutela della libera concorrenza, nei casi in cui l’oggetto dell’appalto o della fornitura abbia carattere unitario. La scelta della Stazione appaltante è frutto di un bilanciamento tra tutela della concorrenza da una parte, ed esigenze tecnico-economiche dall’altra, afferenti l’interesse pubblico alla prestazione di cui è attributaria l’amministrazione. Sebbene sia indubbio che la suddivisione in lotti rappresenti uno strumento posto a tutela della concorrenza sotto il profilo della massima partecipazione alle gare, è altrettanto indubbio che tale principio non costituisca un precetto inviolabile né possa comprimere eccessivamente la discrezionalità amministrativa di cui godono le Stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti di gara in funzione degli interessi sottesi alla domanda pubblica, assumendo, piuttosto, la natura di principio generale adattabile alle peculiarità del caso di specie.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4263 del 2021, proposto da Althea Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Menorello e Saverio Sticchi Damiani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Saverio Sticchi Damiani in Roma, p.zza S. Lorenzo in Lucina, n. 26;

contro

Azienda Zero, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicola Creuso e Stefania Lago, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
H.C. Hospital Consulting S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Bivona e Marianna Capizzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Tecnologie Sanitarie S.p.A., Philips S.p.A. in Qualità di Mandante Rti, Draeger Italia S.p.A. in Qualità di Mandante Rti, Poliedra Ingegneria Clinica S.r.l. in Qualità di Mandataria del Costituendo Rti, Sof S.p.A. in Qualità di Mandante del Costituendo Rti, Adiramef S.r.l. in Qualità di Mandante del Costituendo Rti non costituiti in giudizio;
Ge Medical Systems Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Lirosi e Marco Martinelli, con domicilio eletto presso lo studio Gianni, Origoni & Partners in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 00425/2021, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Zero, di Ge Medical Systems Italia S.p.A. e di H.C. Hospital Consulting S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 settembre 2021 il Cons. Giovanni Tulumello e dato atto, quanto ai difensori e alla loro presenza, di quanto indicato a verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, pubblicata il 1° aprile 2021, il T.A.R. Veneto ha rigettato il ricorso proposto da Althea Italia s.p.a. contro gli atti della procedura aperta telematica, indetta da Azienda Zero (centrale di committenza della Regione Veneto) ai sensi dell'art. 60, d.lgs. n. 50 del 2016, per l'affidamento di servizi integrati per la gestione ed assistenza tecnica delle apparecchiature biomediche per le Aziende Sanitarie del Veneto, l'I.R.C.C.S. IOV e per O.R.A.S. di Motta di Livenza per la durata di 5 anni, con facoltà di rinnovo per ulteriori 2 anni e opzione di eventuale proroga di 180 giorni.

Con ricorso in appello notificato il 3 maggio 2021, e depositato il successivo 6 maggio, Althea Italia s.p.a. ha impugnato l’indicata sentenza.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, Azienda Zero, e le controinteressate indicate in epigrafe.

Alla camera di consiglio dell’8 giugno 2021, fissata per l’esame della domanda cautelare, il ricorso è stato rinviato al merito; è stato quindi trattenuto definitivamente in decisione alla pubblica udienza del 30 settembre 2021.

2. Althea Italia ha partecipato a tutti e sette i lotti nei quali è stata suddivisa la gara per cui è causa, classificandosi terza in ognuno di essi, incluso quello (lotto n. 7) costituente oggetto specifico della sentenza gravata nel presente giudizio.

Ha quindi impugnato, con singoli ricorsi (ciascuno dei quali relativo ad ognuno dei lotti in questione), gli atti della relativa procedura, contestando la suddivisione in sette macro-lotti senza la previsione del vincolo di aggiudicazione.

Respinte le eccezioni di inammissibilità, il T.A.R. ha ritenuto infondata la censura con cui si riteneva la ridetta suddivisione illegittima e comunque carente di motivazione, ed ha conseguentemente rigettato il ricorso principale [osservando peraltro che “non risulta comprovata un’effettiva incidenza lesiva dell’assetto organizzativo compendiato nel bando di gara nella sfera giuridica della ricorrente, ancorchè non sia stato previsto il vincolo di aggiudicazione. In particolare, non sono state allegate, né comprovate condizioni tali da far ritenere integrate, per effetto delle modalità di confezionamento della gara in sette lotti, le condizioni di mercato sostanzialmente chiuso a danno di imprese diverse da TS e il raggruppamento HC/GE (….).Una volta esclusa la suddetta evenienza, e cioè quella di concrete ed obiettivamente apprezzabili ricadute penalizzanti nella sfera giuridica della ricorrente, la definizione degli ambiti territoriali, il riferimento alle strutture ospedaliere ed ambulatoriali riferibili a ciascun lotto ed il relativo valore, involge profili di opportunità delle scelte compiute dall’Amministrazione afferendo al merito delle valutazioni, che resta, invece, insindacabile sul piano giurisdizionale (C. Stato, n. 1221 del 2021). Ciò esclude profili di irragionevolezza nella mancata previsione del “vincolo di aggiudicazione”, che, si ripete, costituisce una mera facoltà per la stazione appaltante, dal cui mancato esercizio non può automaticamente desumersi la violazione delle norme sulla concorrenza”].

3. Le censure proposte con il ricorso in appello risultano connesse, e convergenti su di un’unica questione: la suddivisione della gara in macro-lotti, l’assenza del vincolo di aggiudicazione e la motivazione dell’individuazione dell’ambito di tali lotti.

Conseguentemente, la valutazione della fondatezza o meno di simili profili di critica non può che essere unitaria, pur se a seguito dell’esame analitico di ciascun motivo di appello, e dello specifico aspetto da esso dedotto.

Con il primo motivo l’appellante deduce “error in iudicando”: la sentenza del T.A.R. sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto infondata la censura con cui si deduceva la violazione dell’art. 51 del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (recante “Codice dei contratti pubblici”), nonché dei princìpi di libera concorrenza, massima partecipazione, e proporzionalità, anche sotto il profilo del pure dedotto difetto di motivazione (sotto lo specifico profilo proconcorrenziale).

La censura lamenta che l’esegesi dell’art. 51 cod. contratti posta a fondamento della sentenza gravata sarebbe formalistica, perché si accontenterebbe di una suddivisione in lotti senza indagare sui contenuti (e in particolare sull’adeguatezza) della stessa e sull’obbligo motivazionale sottostante (che ad avviso dell’appellante si ricaverebbe dai princìpi in materia espressi dalla giurisprudenza di questa Sezione).

Il mezzo deduce inoltre che in assenza di siffatta motivazione soltanto il vincolo di aggiudicazione (non previsto) avrebbe potuto svolgere sotto questo profilo un ruolo sussidiario.

Sul punto va anzitutto osservato in prima battuta, e con riserva di approfondimento in sede di esame del terzo motivo, che il T.A.R., come del resto espone l’appellante nel secondo motivo, non si è limitato a ritenere legittima sul piano formale la scelta della stazione appaltante, ma ha ritenuto che anche sul piano sostanziale la stessa fosse conforme agli invocati parametri normativi.

Nell’argomentare il secondo motivo di appello, inoltre, Althea censura nel merito la motivazione resa dalla stazione appaltante sul punto: segno che la stessa evidentemente non è carente, ma semmai di contenuto non condiviso dalla parte appellante.

4. Con il secondo motivo l’appellante deduce un ulteriore “error in iudicando”: la sentenza del T.A.R. sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto non illogica la suddivisione in maxi-lotti secondo il criterio geografico e quello della base d’asta, senza il vincolo di aggiudicazione.

La censura poggia sul rilievo secondo cui il T.A.R. avrebbe fondato il proprio convincimento su di un’erronea e falsa presupposizione in merito alla “identità funzionale dell’oggetto del contratto”, in quanto la scelta di quali moduli attivare è rimessa a ciascuna Azienda sanitaria, sicché il fornitore non dovrebbe rendere servizi identici.

L’appellante deduce inoltre che la propedeutica consultazione di mercato sarebbe stata comunque inadeguata, e comunque non tale da sostituire una congrua motivazione.

Sul presupposto della illogicità della divisione in macrolotti, l’appellante censura la mancata previsione del vincolo di aggiudicazione come unico strumento tale da evitare l’effetto asseritamente anticoncorrenziale della divisione presupposta.

Il fulcro della censura è nella parte in cui l’appellante afferma che “Il frazionamento per macroaree geografiche, contrariamente da quanto sostenuto dal TAR, non ha affatto consentito di recuperare un “deficit di diversificazione proconcorrenziale”, ma lo ha, invece, ampliato. In assenza di un vincolo di aggiudicazione, come si è visto, solo il dimensionamento ragionevole in Lotti avrebbe consentito un’effettiva tutela della concorrenza”.

L’appellante lamenta, in particolare, il fatto che siano state incluse più Aziende sanitarie nel medesimo lotto, e inoltre osserva che gli esiti dell’aggiudicazione avrebbero determinato una “situazione di monopolio” (o di quasi-monopolio)”.

Quest’ultimo dato, peraltro, ove effettivamente riscontrato, costituirebbe rispetto al provvedimento impugnato in primo grado un post-factum, nel senso che si censura il mero effetto del provvedimento gravato; a voler trasferire la dialettica su questo terreno, andrebbe considerata l’affermazione dell’appellata GE Medical secondo la quale “Alla gara hanno infatti partecipato tutti i competitors del settore (inclusi quelli di piccole dimensioni) e ne sono rimasti aggiudicatari ben 5 su 11 concorrenti (Tecnologie Sanitarie S.p.A., HC Hospital Consulting s.r.l., GE Medical Systems Italia S.p.A., Philips S.p.A., Draeger Italia S.p.A.)”.

5. Con il terzo motivo l’appellante deduce un “error in procedendo e in iudicando”: la sentenza del T.A.R. sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto infondata la censura con cui si deduceva la violazione degli artt. 51 (commi 1 e 3) e 30 del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (recante “Codice dei contratti pubblici”), ancora una volta avendo operato, ad avviso dell’appellante (che sollecita una pronuncia che prenda posizione sulla relazione fra gli istituti e gli enunciati apparentemente antitetici oggetto di tali norme), un’interpretazione formalistica delle disposizioni sopra richiamate, con pregiudizio delle finalità proconcorrenziali.

In particolare, l’appellante ritiene:

- che i commi 1 e 3 dell’art. 51 cit. debbano essere oggetto di una lettura non atomistica ma d’insieme;

- che gli artt. 30 e 51 citt. debbano essere oggetto di una lettura comunitariamente orientata (con riguardo, in particolare, alla Direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014) tale da anteporre la tutela della concorrenza ad ogni altro interesse o valore, per cui la motivazione della suddivisione in lotti ed il vincolo di aggiudicazione sarebbero strumenti alternativi per perseguire il medesimo bene pubblico.

La censura enfatizza ulteriormente la rilevanza normativa della tutela della concorrenza invocando un separato ma connesso ambito disciplinare, quello del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

5.2. In argomento osserva il Collegio che una connessione fra i commi 1 e 3 dell’art. 51 cod. contr. pubbl. effettivamente sussiste, anche se non nel senso inteso dall’appellante.

Occorre infatti anzitutto verificare se la suddivisione in lotti sia ragionevole; in caso affermativo la mancanza del vincolo di aggiudicazione non comporta un vulnus per la tutela della concorrenza.

Nella giurisprudenza della Sezione si è infatti più volte affermato che la mancata previsione del vincolo di aggiudicazione non comporta ex se illegittimità della procedura: sentenze nn. 3683/2020, 4361/2020.

In particolare, la sentenza 3683/2020 ha chiarito che “non è l'assenza di tale vincolo, la cui previsione è meramente discrezionale (art. 51, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016), a determinare in sé la violazione della concorrenza, bensì la strutturazione della gara in modo tale che la sua apparente suddivisione in lotti, per le caratteristiche stesse di questi o in base al complesso delle previsioni della lex specialis, favorisca in modo indebito taluno dei concorrenti e gli consenta di acquisire l'esclusiva nell'aggiudicazione dei lotti”.

La sentenza n. 4361/2020 ha poi ulteriormente ribadito e specificato, in merito al rapporto fra i due istituti (suddivisione in lotti e vincolo di aggiudicazione) che “non è l'assenza di tale vincolo, la cui previsione è meramente discrezionale (art. 51, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016), a determinare in sé la violazione della concorrenza, bensì la strutturazione della gara in modo tale che la sua apparente suddivisione in lotti, per le caratteristiche stesse di questi o in base al complesso delle previsioni della lex specialis, abbia favorito in modo indebito taluno dei concorrenti e gli abbia consentito di acquisire l'esclusiva nell'aggiudicazione dei lotti; - anche il vincolo dell'aggiudicazione, del resto, può propiziare, strategie antinconcorrenziali e intese illecite tra i singoli concorrenti, tese a favorire la spartizione dei singoli lotti messi a gara e, da questo punto di vista, l'argomento dell'appellante, secondo cui la sua previsione avrebbe evitato un monopolio o un accentramento del potere economico in capo ad un solo operatore, prova troppo perché detto accentramento viene realizzato vieppiù in alcuni settori di mercato, ormai, attraverso le intese restrittive della concorrenza e la spartizione sottobanco dei lotti, non aggiudicabili tutti ad un singolo operatore”.

Tale ricostruzione, che ha il pregio di coniugare razionalmente la tutela della concorrenza per il mercato con la tutela della concorrenza nel mercato, ad avviso del Collegio rappresenta l’unica compatibile con il dato testuale e, per la ragione appena esposta, con la disciplina comunitaria: la cui finalità proconcorrenziale non va intesa acriticamente, ma appunto, come segnalato dalla decisione da ultimo citata, in relazione agli effetti economici complessivi della decisione avente ad oggetto la struttura del lotto.

5.3. Dunque la questione di fondo, come sintetizzata dall’appellante nella memoria di replica (l’amministrazione deve o motivare sulla suddivisione in lotti, oppure deve porre il vincolo di aggiudicazione), configura un’alternativa in realtà non conforme al paradigma normativo, come la Sezione ha da ultimo precisato nella sentenza n. 4683/2021: “La suddivisione in lotti di cui all’art. 51 D.lgs 50/2016 è prevista a tutela delle piccole e medie imprese al fine di consentire la loro partecipazione e, dunque, è posta a tutela della libera concorrenza. L’appalto in questione prevede la fornitura dall’oggetto necessariamente unitario, motivo per cui la suddivisone in lotti in termini geografici non appare difforme rispetto al precetto normativo. La previsione di vincoli di partecipazione o di aggiudicazione rientra tra le facoltà dell’amministrazione e non si risolve in un obbligo, come anche indicato nella Direttiva 2014/24/UE. La scelta della Stazione appaltante è frutto di un bilanciamento tra tutela della concorrenza da una parte, ed esigenze tecnico-economiche dall’altra, afferenti l’interesse pubblico alla prestazione di cui è attributaria l’amministrazione, per cui la suddivisione in lotti geografici su base d’asta non risulta irragionevole o illegittima, e, come affermato da recente giurisprudenza, sebbene sia indubbio che la suddivisione in lotti rappresenti uno strumento posto a tutela della concorrenza sotto il profilo della massima partecipazione alle gare, è altrettanto indubbio che tale principio non costituisca un precetto inviolabile né possa comprimere eccessivamente la discrezionalità amministrativa di cui godono le Stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti di gara in funzione degli interessi sottesi alla domanda pubblica, assumendo, piuttosto, la natura di principio generale adattabile alle peculiarità del caso di specie. (Cons. Stato, Sez. V, n. 123/2018; Sez. III n. 1076/2020). Nella giurisprudenza di questa Sezione si è più volte affermato che la mancata previsione del vincolo di aggiudicazione non comporta ex se illegittimità della procedura (si vedano le sentenze n. 3683/2020 e n. 4361/2020). In particolare, la sentenza 3683/2020 ha chiarito che “non è l'assenza di tale vincolo, la cui previsione è meramente discrezionale (art. 51, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016), a determinare in sé la violazione della concorrenza, bensì la strutturazione della gara in modo tale che la sua apparente suddivisione in lotti, per le caratteristiche stesse di questi o in base al complesso delle previsioni della lex specialis, favorisca in modo indebito taluno dei concorrenti e gli consenta di acquisire l'esclusiva nell'aggiudicazione dei lotti”. Il problema si sposta dunque sulla logicità e ragionevolezza della suddivisione in lotti: che, come chiarito, nel caso di specie è risultata conforme ad un plausibile bilanciamento fra le esigenze di tutela della concorrenza e quelle correlate alla organizzazione sul territorio della prestazione oggetto dell’appalto”.

È la ragionevolezza intrinseca della suddivisione, e non la sua formale motivazione, a rilevare.

5.4. Il problema, come da ultimo richiamato, deve allora spostarsi sulla logicità e ragionevolezza della suddivisione in lotti in sé (oggetto specifico del secondo motivo di appello): laddove l’appellante dà per scontato che nel caso di specie essa sia irragionevole ed anticoncorrenziale.

Sul punto la sentenza del T.A.R. argomenta che “a fronte della identità funzionale dell’oggetto della procedura, non irragionevolmente la Stazione appaltante ha inteso recuperare l’eventuale deficit di diversificazione proconcorrenziale frazionando le procedure per macroaree geografiche, limitando così gli importi a base d’asta. Il tutto previa consultazione di mercato (si vedano i docc. 10 e 11 depositati dall’Amministrazione resistente)”.

La sentenza appare immune dalle censure in proposito contenute nel ricorso in appello.

Azienda Zero ha operato un bilanciamento ragionevole e logico fra tutela della concorrenza ed esigenze correlate ad una efficiente ed efficace prestazione del servizio in relazione alle caratteristiche strutturali del relativo bacino di utenza, attraverso una divisione in lotti geografici e per base d’asta, “tenendo conto dell’ambito territoriale di riferimento per una adeguata organizzazione e gestione dei team residenti e non residenti”.

Tale motivazione, lungi dall’essere apodittica ed apparente (come ritenuto dall’appellante: con un percorso argomentativo che sfocia nella sostituzione delle proprie, soggettive valutazioni a quelle della stazione appaltante), risulta peraltro conforme all’istruttoria procedimentale.

La circostanza che in alcuni lotti siano state accorpate più Aziende Sanitarie non prova nulla nella prospettiva dell’illogicità della scelta, qualora – come nel caso di specie – tale accorpamento sia comunque conforme al criterio territoriale di cui sopra: non risultando, e non avendolo peraltro neppure dedotto l’appellante, che gli accorpamenti in questione siano stati individuati e definiti in deroga al ridetto criterio.

L’accorpamento nel medesimo lotto di Aziende non ricadenti in ambiti territoriali eterogenei confermerebbe semmai la ragionevolezza del criterio e la sua effettiva funzionalizzazione agli interessi collettivi portati dalla stazione appaltante.

Quanto al fatto che ciascuna Azienda fosse libera di scegliere quali moduli attivare, tale elemento non consente di ritenere non sussistente il dato dell’identità funzionale dell’oggetto del contratto, posto che la facoltà di scelta va esercitata comunque all’interno del comune oggetto negoziale definito dalla lex specialis (e, dunque, fra prestazioni omogenee stabilite a monte).

Né può ragionevolmente sostenersi l’inadeguatezza in proposito della preventiva consultazione di mercato, sostenuta dall’appellante con affermazioni tautologiche: “Del tutto inconferente era nel caso di specie la circostanza che vi fosse stata una consultazione di mercato, la quale era stata solo apparente e comunque inadeguata, né questa può sostituire mai la congrua motivazione che, sul punto, la Stazione Appaltante deve autonomamente dedurre in atti, anche eventualmente considerando elementi istruttori raccolti da tali consultazioni”.

Azienda Zero ha depositato nel giudizio di primo grado (in data 2 marzo 2021) sia la deliberazione di prima indizione della gara, sia le risultanze della successiva consultazione: dalle quali emerge un significativo apporto partecipativo e collaborativo di otto imprese.

5.5. In ogni caso osserva il Collegio che, in applicazione della giurisprudenza della Sezione sopra richiamata, dalla quale non si ravvisa ragione per discostarsi, anche ove fossa fondata la premessa maggiore del sillogismo posto a fondamento dell’appello (quella per cui i lotti sarebbero stati dimensionati in modo irragionevolmente ampio), in ogni caso non sarebbe fondata la relativa conclusione: giacché una eventuale suddivisione ragionevole (nel senso auspicato da Althea) in lotti più piccoli, priva del vincolo di aggiudicazione (proprio in ragione della supposta ragionevolezza della scelta dimensionale: secondo la lettura combinata dei due istituti che l’appellante sollecita), comunque avrebbe consentito in astratto il medesimo risultato, vale a dire l’aggiudicazione di tutti i lotti alla medesima impresa (che avesse presentato l’offerta più conveniente per l’amministrazione).

A ben vedere, la tesi di Althea (secondo la quale è il combinato fra dimensione del lotto e mancanza del vincolo di aggiudicazione a costituire un ostacolo alla concorrenza) prova troppo.

Ove essa fosse accolta (contro il dato testuale, come già osservato), si avrebbe che l’amministrazione sarebbe costretta a scartare in alcuni lotti le offerte più convenienti, per il sol fatto di dover garantire una pluralità di imprese contraenti: il che non coincide esattamente con la nozione di tutela della concorrenza propria del diritto comunitario degli appalti pubblici, che ha riguardo – ferma restando la libertà di accesso al mercato per ciascuna impresa, sufficientemente attrezzata rispetto al singolo contratto (dimensionato sulla base delle irrinunciabili esigenze della collettività sottese alla domanda pubblica) - ad un ragionevole bilanciamento fra esigenze organizzative ed economiche dell’amministrazione e possibilità per le imprese di aggiudicarsi la commessa.

Nel caso di specie l’apertura al mercato è indiscussa: la pretesa restrizione della concorrenza viene ad Althea dalla presentazione di un’offerta meno conveniente per l’amministrazione rispetto a quella delle concorrenti; dunque, dal suo essere risultata in concreto meno competitiva.

È proprio il diritto comunitario ad insegnare che la tutela della concorrenza, che qui dunque appare garantita, può essere peraltro recessiva (o quanto meno bilanciata) rispetto alle esigenze sottese ad una efficiente ed efficace erogazione del servizio, in ragione della prevalenza funzionale, nella disciplina (anche comunitaria) degli appalti pubblici, del profilo causale inerente le ragioni della domanda pubblica: “Va anzitutto osservato che il fatto che la disciplina degli appalti pubblici sia ispirata al valore della tutela della concorrenza non vuol dire che ciò comporti una restrizione sul piano della qualità delle prestazioni che può richiedere l’amministrazione (secondo un parametro di proporzionalità), specie a fronte di un servizio pubblico così delicato. A partire alla sentenza della Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-513/99, è acquisito il principio per cui la tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici implica anche la capacità dell’impresa di stare sul mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività (secondo la logica del contratto pubblico come strumento a plurimo impiego). La positivizzazione di tale principio è scolpita nella direttiva 2014/24/UE laddove si prevede, con riferimento alle capacità tecniche e professionali, che “le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e l’esperienza necessarie per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità” (art. 58, paragrafo 4), confermando l’impostazione secondo la quale la pubblica amministrazione ha interesse ad incentivare la partecipazione alle gare di soggetti particolarmente qualificati, che garantiscano elevati standard qualitativi al fine di svolgere al meglio le prestazioni oggetto di gara” (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 1076/2020).

Tale principio, positivizzato con riferimento alla disciplina dei requisiti, rileva evidentemente – per identità di ratio - anche quale criterio che orienta il margine di discrezionalità di cui dispone la stazione appaltante (con il limite della logicità e della ragionevolezza) nell’individuazione dei lotti, a tutela delle esigenze dell’amministrazione rilevanti sul piano dell’organizzazione del servizio.

6. Con il quarto motivo l’appellante censura un “error in procedendo e in iudicando”, in merito all’insussistenza di una effettiva incidenza lesiva dell’assetto della gara sulla posizione di Althea affermata dal primo giudice.

La censura, proposta “per mero tuziorismo difensivo”, contesta la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto che non sono state allegate, né comprovate, condizioni tali da far ritenere integrate, per effetto delle modalità di confezionamento della gara in sette lotti, le condizioni di mercato sostanzialmente chiuso a danno di imprese diverse dalle controinteressate.

Il mezzo, connesso a quelli fin qui esaminati, e comunque assorbito dalla decisione sugli stessi (anche in ragione del suo carattere tuzioristico), è in ogni caso infondato per il medesimo ordine di ragioni fin qui esposto.

La giurisprudenza di questa Sezione ha sempre ribadito che il frazionamento risponde ad esigenze proconcorrenzali e di tutela di imprese più piccole, proprio per consentire a queste ultime di concorrere all’aggiudicazione di commesse proporzionate al loro ambito di operatività.

Althea, che è indiscusso sia impresa di dimensioni tali da concorrere anche con riguardo a macrolotti quali quelli contestati, agisce invero, come sopra chiarito, per un diverso interesse: vale a dire per avere maggiori chances statistiche di aggiudicazione, connesse alla presenza di un maggior numero di lotti, a fronte della presentazione di un’offerta meno conveniente rispetto a quelle delle concorrenti.

Il che, se non rileva sul piano processuale (in punto di ammissibilità della censura), certamente sul piano sostanziale ne determina l’infondatezza.

D’altra parte Althea, di fronte alla suddivisione nei sette macro-lotti, percepibile come tale fin dall’indizione della gara, non ha formulato alcuna riserva, ma ha partecipato alla gara: evidentemente nella speranza di aggiudicarsela, salvo contestare, all’esito della mancata aggiudicazione, le condizioni dimensionali in cui si sarebbe svolta la competizione imprenditoriale; senza però (poter) fornire un principio di prova circa il fatto che la mancata aggiudicazione in suo favore sia dipesa eziologicamente (non da scarsa competitività dell’offerta, ma) da tali condizioni.

Non è pertanto esatto affermare, come fa l’appellante a sostegno del primo motivo, che il T.A.R. avrebbe ritenuto soddisfatta la tutela della concorrenza per il sol fatto della suddivisione in lotti, senza indagare sull’effettiva idoneità di tale suddivisione a consentire una reale apertura al mercato: la sentenza gravata ha invero rigettato il ricorso avuto riguardo alla fattispecie concreta, considerando sia l’intrinseca ragionevolezza di tale suddivisione rispetto alle esigenze pubbliche sottese alla commessa, sia l’astratta idoneità dimensionale della ricorrente a competere in contesto così definito.

7. Con il quinto motivo l’appellante deduce “Error in procedendo e in iudicando”: lamentando l’omesso esame da parte del T.A.R. della seguente questione di pregiudizialità comunitaria: “Se l’articolo 46 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, relativo alla suddivisione degli appalti in Lotti, letto in combinato disposto con i considerandi 59, 78 e 79 ed unitamente ai principi di parità, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità sanciti dall’art. 18 “Principi per l’aggiudicazione degli appalti” della medesima direttiva e ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della normativa nazionale italiana di cui agli art. 51 “Suddivisione in Lotti” ed art. 30 “Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni”, ove interpretati nel senso di ritenere il primo slegato dal secondo, e, quindi, nel senso di ritenere che la Stazione Appaltante possa suddividere l’appalto in Lotti senza alcuna motivazione in ragione pro-concorrenziale e senza fissare né un limite o una forma di partecipazione sui Lotti, né un vincolo di aggiudicazione, né motivando sulla mancata applicazione del vincolo in parola, così potendo consentire o favorire la realizzazione di monopoli ovvero limitazioni artificiose, nella effettività dei fatti, della concorrenza”.

La questione è comunque riproposta dall’appellante nel presente giudizio, “nella denegata ipotesi in cui non si intenda procedere immediatamente all’annullamento delle sentenze gravate censurando l’errata interpretazione assunta degli artt. 51 e 30 del Codice degli Appalti Pubblici”, con espresso richiamo a quanto sancito dalla Corte di Cassazione con la ordinanza n. 19598 del 18.09.2020.

7.1. Osserva il Collegio che, nel merito della questione, non si ravvisa alcun ragionevole dubbio circa la conformità della norma di diritto interno regolante l’esercizio del potere de quo rispetto agli invocati parametri comunitari, per le regioni poco sopra esposte.

7.2. Quanto all’obbligo di rinvio pregiudiziale gravante su questo Consiglio di Stato, quale giudice di ultima istanza, il Collegio non può che richiamare le recenti conclusioni dell'Avvocato Generale della Corte di Giustizia nella causa C-561/19, che sollecitano una chiarificazione della giurisprudenza Cilfit sulla dottrina dell’ "atto chiaro", in punto di flessibilità dell'obbligo di rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale di ultima istanza.

Le richiamate conclusioni affermano in sostanza la necessità un pur sommario filtro delibativo da parte del giudice a quo della questione che davanti ad esso viene prospettata: ricollegandosi l’obbligo non alla mera enunciazione del dubbio ad opera di una delle parti (risolvendosi altrimenti il rimedio in una sorta di diritto potestativo processuale), bensì ad un filtro critico da parte del rimettente (non dissimile, almeno sul piano logico, dai parametri che nel diritto interno regolano i presupposti dell’incidente di costituzionalità).

Tali conclusioni collimano con quanto affermato dalla sentenza di questa Sezione n. 2428/2020 - e ribadito, con riferimento alla c.d. pregiudiziale di validità, nella successiva sentenza n. 8089/2020 - nella quale si osservava che un'applicazione anelastica dell'obbligo di rinvio pregiudiziale rischia di produrre "fattori di irrigidimento del rimedio, suscettibili di produrre rischi di abuso del diritto di difesa che possono snaturare la funzione di un importante strumento di cooperazione diretta tra i giudici nazionali e le corti europee".

Analogamente la Corte di Cassazione, sez. II Civile, nell’ordinanza n. 8197/2020 ha affermato che “l'istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non è una domanda autonoma, rispetto alla quale possa darsi soccombenza, bensì una mera sollecitazione, riproponibile anche nel giudizio di cassazione, nel quale, attesa la sua natura di giudizio di ultimo grado, la facoltà di rinvio si trasforma in un obbligo, sempre che ricorrano le condizioni di rilevanza e decisività della questione (Cass. 10 marzo 2010, n. 5842). (….) Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non va disposto neppure dal giudice nazionale di ultimo grado qualora non sussista alcun dubbio interpretativo sulla norma unionale, in virtù della sua interpretazione autoevidente o dell'esistenza di precedenti della Corte (Cass. 22 ottobre 2007, n. 22103; Cass. 22 settembre 2009, n. 20403; Cass. 26 marzo 2012, n. 4776; Cass. 16 giugno 2017, n. 15041).”

7.3. Date le superiori premesse, ne consegue che in un caso, quale quello dedotto, in cui la relazione antinomica posta a fondamento della richiesta di rinvio pregiudiziale non sussiste, se non nella prospettazione soggettiva della parte che domanda il rinvio pregiudiziale in via subordinata per l’ipotesi di rigetto dei motivi di appello relativi alla (sola) interpretazione ed applicazione del diritto interno, ove il giudice di ultima istanza applicasse acriticamente e rigidamente la regola dell’obbligo di rinvio non gioverebbe, nella sostanza, a quel reale e proficuo dialogo fra le Corti cui il rimedio è preordinato, paradossalmente producendo – per un fenomeno di eterogenesi dei fini – il descritto risultato di abuso dello strumento di raccordo processuale fra gli ordinamenti.

Si tenga presente che in ogni caso nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto interno (e in particolare, per quanto qui rileva, del coordinamento fra le disposizioni del codice dei contratti pubblici relative, rispettivamente, alla suddivisione in lotti e al vincolo di aggiudicazione), la giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce la competenza (esclusiva) del giudice nazionale: laddove nel caso di specie si è dato atto che, per giurisprudenza assolutamente pacifica di questo Consiglio di Stato, la ricostruzione del rapporto fra le due norme interne, che è alla base della questione pregiudiziale sollevata dall’appellante, è viziata da erroneità del presupposto interpretativo.

Come si è osservato, la questione prospettata dall’appellante sconta infatti tre limiti (che impediscono a questo giudicate di accedere alla richiesta di rinvio pregiudiziale senza violare il canone di cui all’art. 111, secondo comma, ultima parte, Cost., e senza porsi in contrasto con lo stesso art. 267 T.F.U.E.):

- in fatto, presuppone un difetto di motivazione nella scelta dei macrolotti, in realtà inesistente;

- in diritto, poggia su di un’interpretazione del diritto interno smentita dalla giurisprudenza assolutamente pacifica di questo Consiglio di Stato (sentenze nn. 1076/2020, 8440/2020, 6209/2020, 4834/2020, 4361/2020, 4289/2020, 2293/2020, 4683/2021); laddove non sono invocabili, in quanto relative a fattispecie peculiare e diversa, le sentenze nn. 1486, 1490 e 1491 del 2019;

- sempre in diritto, suppone un’interpretazione del diritto comunitario degli appalti e della tutela della concorrenza che è smentita dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia in precedenza richiamata, e dalle successive norme di diritto comunitario direttamente applicabili che a tale giurisprudenza si sono ispirate.

Come più volte ribadito, una volta acclarata la ragionevolezza – anche in termini di tutela della concorrenza (e con specifico riguardo alle dimensioni dell’impresa ricorrente rispetto alle dimensioni dei lotti) - della suddivisione in lotti, l’assenza di un vincolo di aggiudicazione non è infatti di per sé ostativa alla tutela della concorrenza come disciplinata dalle fonti comunitarie.

In presenza di tali caratteristiche della fattispecie concreta, non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale, in quanto, a tacer d’altro, esso deve fondarsi su di un ragionevole dubbio “oggettivo”, e non meramente soggettivo, di contrasto fra diritto comunitario e diritto interno (Conclusioni dell’Avvocato generale nel caso C-561/19, punti 4, 56, 81 e, soprattutto, 133).

8. Il ricorso in appello è pertanto infondato, e come tale deve essere rigettato.

L’infondatezza, nel merito, del gravame esime il collegio dallo scrutinio delle eccezioni sollevate, in rito, dalle parti appellate.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna l’appellante Althea s.p.a. al pagamento in favore delle parti appellate Azienda Zero, HC Hospital Consulting s.p.a. e Ge Medical Systems Italia S.p.A delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro tremila/00 oltre accessori come per legge, in ragione di euro mille/00 oltre accessori per ciascuna parte appellata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

GUIDA ALLA LETTURA

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha chiarito la portata normativa dell’art. 51 del d.lgs. 50/2016 e le condizioni per la legittimità della suddivisione della gara in macrolotti, in assenza del vincolo di aggiudicazione, sotto i profili di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, oltre che del rispetto dei principi di concorrenza e favor partecipationis.

A parere del Collegio, la mancata previsione del vincolo di aggiudicazione non comporta ex se illegittimità della procedura (cfr. sentenze della stessa Sezione nn. 3683/2020, 4361/2020) e non vale – da sola - a determinare la violazione della concorrenza.

D’altronde, ricorda il Collegio, il vincolo dell'aggiudicazione è uno strumento che può anche propiziare strategie antinconcorrenziali e intese illecite tra i singoli concorrenti, tese a favorire la spartizione sottobanco dei singoli lotti messi a gara e non aggiudicabili ad un singolo operatore.

Ai fini della legittimità della suddivisione in lotti, è necessario, pertanto, indagare la strutturazione complessiva della gara, per  verificare che la citata suddivisione non sia in realtà un espedienteapparente, finalizzato o comunque idoneo a favorire indebitamente taluno dei concorrenti.

La ricostruzione operata dalla Corte – che mira a coniugare razionalmente la tutela della concorrenza per il mercato con la tutela della concorrenza nel mercato - è compatibile con il dato testuale della disposizione e con la disciplina comunitaria: la finalità proconcorrenziale, infatti, non va intesa acriticamente, ma in relazione agli effetti economici complessivi della decisione avente ad oggetto la struttura del lotto.

Ricorda il Collegio che “La suddivisione in lotti di cui all’art. 51 D.lgs 50/2016 è prevista a tutela delle piccole e medie imprese al fine di consentire la loro partecipazione e, dunque, è posta a tutela della libera concorrenza, nei casi in cui l’oggetto dell’appalto o della fornitura abbia carattere unitario

La scelta della Stazione appaltante è frutto di un bilanciamento tra tutela della concorrenza da una parte, ed esigenze tecnico-economiche dall’altra, afferenti l’interesse pubblico alla prestazione di cui è attributaria l’amministrazione. Sebbene sia indubbio che la suddivisione in lotti rappresenti uno strumento posto a tutela della concorrenza sotto il profilo della massima partecipazione alle gare, è altrettanto indubbio che tale principio non costituisca un precetto inviolabile né possa comprimere eccessivamente la discrezionalità amministrativa di cui godono le Stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti di gara in funzione degli interessi sottesi alla domanda pubblica, assumendo, piuttosto, la natura di principio generale adattabile alle peculiarità del caso di specie” (Cons. Stato, Sez. V, n. 123/2018; Sez. III n. 1076/2020). 

In definitiva, al fine di valutare la legittimità della suddivisione in lotti in assenza del vincolo di aggiudicazione pertanto è necessario verificare la logicità e ragionevolezza della scelta, in vista del bilanciamento fra le esigenze di tutela della concorrenza e quelle correlate alla organizzazione sul territorio della prestazione oggetto dell’appalto.

Tale bilanciamento impone di non considerare la tutela della concorrenza in via necessariamente preordinata rispetto ad altri diritti e interessi ugualmente meritevoli di tutela. 

Sul punto, è proprio il diritto comunitario ad insegnare che la tutela della concorrenza può essere anche recessiva (o quanto meno bilanciata) rispetto alle esigenze sottese ad una efficiente ed efficace erogazione del servizio, in ragione della prevalenza funzionale del profilo causale inerente le ragioni della domanda pubblica. La circostanza che la disciplina degli appalti pubblici sia ispirata al valore della tutela della concorrenza non può in alcun caso giustificare – in ossequio alle sole esigenze proconcorrenziali - una restrizione sul piano della qualità delle prestazioni che può richiedere l’amministrazione (secondo un parametro di proporzionalità).

A partire alla sentenza della Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-513/99, è acquisito il principio per cui la tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici implica anche la capacità dell’impresa di stare sul mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività (secondo la logica del contratto pubblico come strumento a plurimo impiego). La positivizzazione di tale principio è scolpita nella direttiva 2014/24/UE, nella parte in cui consente alle amministrazioni di richiedere ai concorrenti il possesso di determinate capacità tecniche e professionali, sintomatiche di un determinato standard di qualità, ritenuto necessario allo svolgimento delle prestazioni oggetto di gara (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 1076/2020).

Tale principio rileva evidentemente – per identità di ratio - anche quale criterio che orienta il margine di discrezionalità di cui dispone la stazione appaltante nell’individuazione dei lotti, con il limite della logicità e della ragionevolezza, a tutela delle esigenze dell’amministrazione rilevanti sul piano dell’organizzazione del servizio.