Cons. Stato, Sez. V, 26 aprile 2021, ord. n. 3299
1. Il principio di retroattività della lex mitior in “materia penale” è fondato tanto sull’art. 3 Cost. quanto sull’art. 117, 1° comma, Cost., ed eventuali deroghe a tale principio devono superare un vaglio positivo di ragionevolezza in relazione alla necessità di tutelare controinteressi di rango costituzionale; il principio in questione deve ritenersi applicabile anche alle sanzioni di carattere amministrativo che abbiano natura “punitiva”.
2. Il regime di escussione della garanzia provvisoria previsto a suo tempo dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 integra una forma di sanzione di carattere punitivo a carico dell’operatore economico che abbia fornito dichiarazioni rimaste poi senza riscontro, sanzione peraltro abbandonata dalla normativa sopravvenuta (art. 93, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016). Si dovrebbe quindi concludere per l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che precludono l’applicabilità, al caso di specie, della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta – la quale prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica – in quanto già in vigore al momento dell’adozione del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria. Segue la rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, del D.Lgs. n. 50 del 2016, nel combinato disposto dell’art. 216 del medesimo decreto, per contrasto con gli artt. 3 e 117 Cost.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6490 del 2020, proposto da
Consorzio Leonardo Servizi e Lavori “Società Cooperativa Consortile Stabile” in proprio e quale capogruppo mandataria di costituendo Rti, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché PH Facility s.r.l., in proprio e quale mandante del medesimo raggruppamento costituendo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Maria Vittoria Ferroni, Eugenio Picozza e Marco Orlando, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Sistina, 48;
contro
Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, è elettivamente domiciliata;
nei confronti
Gemmo s.p.a., Nagest Global Service s.r.l., Pulitori e Affini s.p.a., Consorzio Servizi Globali Centro Nord Est, Dussmann Service s.r.l., Siram s.p.a., Engie Servizi s.p.a., Consorzio Stabile Energie Locali, Co.L.Ser Servizi s.c.a.r.l., Consorzio Nazionale Cooperativa Pluriservizi, Consorzio Stabile G.I.S.A. ed Elba Assicurazioni s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 4315/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Consip s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2021, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 25 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Valerio Perotti e uditi per le parti gli avvocati Picozza e Ferroni;
FATTO E DIRITTO
Con bando pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea n. S-58 del 22 marzo 2014
e sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 33 del 21 marzo 2014, Consip s.p.a. indiceva una procedura aperta di gara articolata complessivamente in diciotto lotti geografici, di cui quattordici “ordinari” e quattro “accessori”, avente ad oggetto “l’affidamento di servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli immobili, adibiti prevalentemente ad uso ufficio, in uso a qualsiasi titolo alle Pubbliche Amministrazioni, nonché negli immobili in uso a qualsiasi titolo alle Istituzioni Universitarie Pubbliche ed agli Enti ed Istituti di Ricerca – ID 1299” (c.d. Facility Management 4 o FM4).
Criterio di aggiudicazione previsto era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con l’attribuzione di un massimo di 60 punti per l’offerta tecnica e di un massimo di 40 punti per quella economica.
Il Rti facente capo al Consorzio Leonardo concorreva per i lotti 1, 6, 7 e 10, classificandosi al primo posto della graduatoria relativa al lotto 6.
All’esito della conseguente verifica del possesso dei requisiti da parte del concorrente, però, Consip s.p.a. si determinava ad adottare, in data 21 marzo 2019, un provvedimento di esclusione dalla gara relativamente a tutti lotti per i quali il detto raggruppamento aveva presentato offerte, in attuazione del combinato disposto degli artt. 49, comma 2, lett. c) e 38, comma primo, lett. g), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, applicabili ratione temporis.
Tale conclusione era dovuta al riscontro di una serie di irregolarità fiscali a carico della società Iprams s.r.l. – originaria impresa esecutrice del Consorzio Leonardo – e della Comal Impianti s.r.l., ausiliaria della mandante SOF s.p.a.
Con il medesimo provvedimento, Consip disponeva altresì l’escussione della cauzione provvisoria prestata per la partecipazione al lotto 6.
Il provvedimento di esclusione veniva fatto oggetto di due distinte impugnazioni da parte del Rti Consorzio Leonardo:
- con il ricorso iscritto al r.g. n. 4217 del 2019 del Tribunale amministrativo del Lazio, veniva gravata l’esclusione dal lotto 6, unitamente all’escussione della relativa cauzione provvisoria ed alla conseguente segnalazione all’Anac;
- con il ricorso iscritto al r.g.n. 4996 del 2019 del medesimo Tribunale veniva invece domandato l’annullamento dell’esclusione relativamente ai lotti 1, 7 e 10, non aggiudicati al raggruppamento.
La causa iscritta a r.g.n. 4217 del 2019 veniva definita con sentenza n. 9854 del 23 luglio 2019, con la quale il ricorso veniva in parte respinto, in parte dichiarato inammissibile.
A sua volta, la causa iscritta a r.g.n. 4996 del 2019 veniva definita con la sentenza n. 12329 del 25
ottobre 2019, che altresì in parte respingeva il ricorso, in parte lo dichiarava improcedibile.
Dopo il passaggio in decisione del secondo ricorso – relativo, come già detto, ai lotti 1, 7 e 10 – ma prima del deposito della relativa sentenza, Consip s.p.a. adottava un ulteriore provvedimento, con il quale disponeva l’escussione della cauzione provvisoria anche relativamente ai lotti 1, 7 e 10, precisando tuttavia che “l’obbligo di pagamento degli importi sopra indicati è da ritenersi sospeso sino alla definizione del giudizio pendente dinanzi al TAR Lazio con numero di R.G. 4996/2019”.
Avverso tale nuovo provvedimento, il Consorzio Leonardo e PH Facility s.r.l. proponevano un ulteriore ed autonomo ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, articolando le seguenti censure:
A) In relazione al comportamento di Consip:
I) La stazione appaltante avrebbe illegittimamente integrato, a distanza di sei mesi, il provvedimento di esclusione dai lotti 1, 7 e 10, disponendo l’escussione della cauzione provvisoria. Il Rti Consorzio Leonardo aveva però impostato le sue scelte imprenditoriali e difensive proprio sul presupposto che, per quei lotti, in cui non risultava aggiudicatario, la cauzione non sarebbe stata escussa. Per questa ragione avrebbe proposto un autonomo ricorso per i lotti 1, 7 e 10 – distinto rispetto all’impugnazione relativa al lotto 6 – e non avrebbe formulato in quel giudizio domanda di sospensione cautelare.
Con il proprio comportamento, Consip avrebbe pertanto leso l’affidamento ingenerato nel concorrente in ordine al fatto che la cauzione provvisoria mai sarebbe stata escussa.
La determinazione di escussione della cauzione anche per i lotti 1, 7 e 10 sarebbe dunque venuta ad integrare la motivazione del provvedimento di esclusione senza tuttavia preventivamente disporne l’annullamento, come sarebbe stato necessario e, comunque, senza rispettare i presupposti di legge prescritti per l’esercizio del potere di autotutela.
II) Il comportamento di Consip avrebbe altresì violato, in danno del Rti ricorrente, il principio del contradditorio, della parità delle armi e del giusto processo: adottando il provvedimento di escussione della cauzione per i lotti 1, 7 e 10 solo dopo il passaggio in decisione del ricorso contro il provvedimento di esclusione dalla gara, si sarebbe infatti precluso al Rti ricorrente di limitarsi a presentare motivi aggiunti nel predetto giudizio (nonché una apposita domanda cautelare), costringendolo ad una nuova (ed onerosa) vertenza giudiziaria.
III. Poiché la procedura di gara si era protratta, complessivamente, per circa cinque anni, nelle more l’amministrazione era stata costretta a consentire il protrarsi dell’esecuzione in proroga dei contratti aggiudicati nell’ambito della precedente gara FM3 – a prezzi risultati più alti rispetto a quelli ottenuti in esito alla procedura FM4 – con conseguente danno erariale, sub specie di danno alla concorrenza.
In questo quadro, Consip s.p.a. avrebbe dapprima sospeso la gara FM4, motivando tale decisione con riferimento alle indagini dell’autorità giudiziaria e dell’autorità garante della concorrenza a del mercato, salvo poi ad un certo punto decidere di riprendere le operazioni prima della definizione dei medesimi procedimenti.
In ogni caso, per l’ipotesi in cui il provvedimento di escussione della cauzione avesse dovuto ritenersi legittimo, Consip sarebbe stata comunque tenuta a rispondere nei confronti del raggruppamento a titolo di responsabilità precontrattuale.
B) Vizi del provvedimento impugnato.
IV) L’escussione della cauzione provvisoria non avrebbe potuto essere disposta nei confronti del Rti appellante in relazione alla partecipazione ai lotti 1, 7 e 10, in quanto:
(i) in forza della previsione dell’articolo 38, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 163 del 2006, la carenza dei requisiti di ordine generale comporterebbe bensì l’esclusione dalla gara, ma consentirebbe l’escussione della cauzione solo nei confronti del concorrente primo graduato, atteso che l’escussione nei confronti degli altri concorrenti sarebbe consentita soltanto ove prevista dalla
lex specialis di gara, secondo quanto chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 34 del 2014; siffatta previsione non sarebbe tuttavia riscontrabile nel caso in esame;
(ii) anche volendo ricondurre l’escussione della cauzione provvisoria alla fattispecie disciplinata dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, la dimostrazione dei requisiti ai sensi della predetta norma sarebbe stata avviata da Consip soltanto per il lotto 6 (ove il Rti Consorzio Leonardo era primo graduato) e per il lotto 10 (ove il medesimo Rti era risultato provvisoriamente primo graduato a seguito dell’esclusione del concorrente che aveva ottenuto il maggior punteggio, poi tuttavia riammesso a seguito dell’annullamento dell’esclusione in sede giurisdizionale).
Una tale verifica non sarebbe stata invece mai disposta in relazione alla partecipazione ai lotti 1 e 7, in quanto il Rti ricorrente non era risultato né aggiudicatario provvisorio, né secondo graduato, per cui in relazione a questi ultimi lotti l’escussione della cauzione sarebbe stata adottata in carenza dei presupposti.
In definitiva, per i lotti 1 e 7 l’escussione della cauzione sarebbe stata priva di base giuridica, mentre per il lotto 10 la dedotta illegittimità della stessa sarebbe derivata dalla tardività della richiesta, che avrebbe leso l’affidamento del concorrente.
Sotto altro profilo, la ricorrente deduceva che l’escussione della cauzione provvisoria avrebbe anche natura sanzionatoria, ragion per cui l’art. 93, comma 6, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 correttamente ne circoscriverebbe l’operatività alla sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario, escludendo per contro gli altri partecipanti alla gara.
Tale disposizione, seppur in presenza di una gara bandita antecedentemente alla sua entrata in vigore, avrebbe purtuttavia dovuto essere applicata da Consip anche nel caso di specie, in forza del principio di retroattività della legge più favorevole.
Diversamente argomentando, avrebbe dovuto sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’articolo 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, in relazione agli artt. 3 e 117, primo comma Cost. e dell’art. 7 della CEDU, nei termini in cui detta norma consentisse l’applicazione di previsioni preesistenti più afflittive nei riguardi dei partecipanti alla gara.
V) La richiesta di escussione della cauzione provvisoria del 25 settembre 2019 contraddirebbe inoltre il precedente provvedimento di esclusione dalla gara del 21 marzo 2019: dalla lettura di quest’ultimo non emergerebbe infatti alcun elemento idoneo a far supporre che Consip si fosse riservata di escutere successivamente la cauzione anche per i lotti 1, 7 e 10.
Al contrario, ad avviso della ricorrente, tale provvedimento avrebbe – sia pure implicitamente – (auto)vincolato la stazione appaltante ad escutere la cauzione solo per il lotto 6, salvo poi venire contra factum proprium senza però preventivamente agire in autotutela.
Non sarebbe pertinente, inoltre, il richiamo – operato da Consip – al termine di sei mesi per l’escussione della fideiussione, ai sensi dell’articolo 1957 Cod. civ., poiché tale norma avrebbe dovuto essere letta alla luce della disciplina pubblicistica, la quale richiederebbe l’escussione della cauzione contestualmente all’esclusione.
L’escussione della cauzione sarebbe stata inoltre ricollegata dalla lex specialis di gara unicamente all’ipotesi della mancata sottoscrizione del contratto per fatto del concorrente, situazione verificatasi solo in relazione al lotto 6 e non anche per i lotti 1, 7 e 10.
In ogni caso, anche a voler tener conto del termine decadenziale di sei mesi stabilito dall’articolo 1957 Cod. civ., la richiesta di escussione della cauzione sarebbe stata comunque tardiva, dovendo detto termine essere computato con decorrenza dalla data del provvedimento di escussione (21 marzo 2019), dunque già scaduto al momento della richiesta di escussione (25 settembre 2019).
Il Rti ricorrente proponeva inoltre una domanda di risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale per il caso in cui il provvedimento di escussione della cauzione fosse stato ritenuto comunque legittimo.
Costituitasi in giudizio, Consip s.p.a., concludeva per il rigetto del ricorso, in quanto infondato.
Si costituiva inoltre la società Gemmo s.p.a., con atto di mera forma.
Con sentenza 28 aprile 2020, n. 4315, il giudice adito respingeva il ricorso, ritenendolo infondato.
Avverso la detta pronuncia, il Consorzio Leonardo Servizi interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Error in iudicando. Difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Violazione di legge. Violazione dell’art. 133, comma 1, lettera e) n. 1 c.p.a.
1.2) Error in iudicando. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione; sproporzionalità; eccesso di potere; ingiustizia manifesta. Omessa pronuncia. Eccesso di potere per contraddittorietà con un precedente provvedimento. Errore nei fatti. Difetto di motivazione. Violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990. Difetto nei presupposti, arbitrarietà, illogicità. Violazione dell’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006. Violazione del principio di autolimitazione dell’amministrazione. Violazione della ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa. Violazione dell’art. 1957 Cod. civ.
2) Illegittimità della sentenza per error in iudicando.
2.1) Error in iudicando per omessa pronuncia – Violazione degli artt. 38, 48. 49 e 75 del d.lgs. n. 163/2006 – Difetto dei presupposti di legge. Violazione dell’obbligo di motivazione – Eccesso di potere per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento dei fatti.
3) Error in iudicando. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione; sproporzionalità; eccesso di potere; ingiustizia manifesta.
3.1) Violazione del principio del contraddittorio, della parità delle armi, del giusto processo e di economicità processuale. Violazione dei principi di buona fede e legittimo affidamento. Violazione del principio di autolimitazione, di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.
4) Error in iudicando. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione; sproporzionalità; eccesso di potere; ingiustizia manifesta.
4.1) Abuso di diritto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 163/2006. Violazione dei principi di concentrazione e continuità delle operazioni di gara. Violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 241 del 1990. Violazione del principio di correttezza e buona fede, della leale e responsabile collaborazione e di buon andamento dell’azione amministrativa.
5) Illegittimità della sentenza per error in iudicando.
5.1) Violazione del principio del legittimo affidamento e della buona fede, di imparzialità e buon andamento. Violazione del principio di autolimitazione dell’amministrazione. Omessa pronuncia sulla violazione dell’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 – Contraddittorietà manifesta con altra parte della sentenza – Violazione della ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.
6) Illegittimità della sentenza per error in iudicando.
6.1) Violazione di legge – Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. – Violazione dell’obbligo di motivazione – Violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 – Violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 – Eccesso d potere per travisamento dei fatti.
7) Illegittimità della sentenza per error in iudicando.
7.1) Error in iudicando per apoditticità e carenza di motivazione – Violazione dell’art. 93 comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016 in relazione all’art. 117, co. 1 Cost. e all’art. 7 Cedu. Violazione dell’art. 3 Cost. – Violazione dell’art. 49 Carta ei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’art. 11 Cost. Omessa applicazione del principio della lex mitior in relazione all’art. 93 comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016.
7.2) In subordine, questione di legittimità costituzionale dell’art. 93 comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016 per violazione degli artt. 3 e 117 primo comma della Costituzione in combinato disposto con l’art. 7 Cedu.
Costituitasi in giudizio, Consip s.p.a. concludeva per l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto. Contestava, in particolar modo, la dedotta natura di sanzione amministrativa dell’escussione della cauzione provvisoria anche ai concorrenti non aggiudicatari, presupposto indefettibile per potersi applicare, al caso in esame, il principio di retroattività della lex mitior (ossia, nella specie, l’art. 93 comma 6 del d.lgs. n.50 del 2016).
Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno depositato memorie illustrative delle proprie tesi difensive ed hanno replicato a quelle avversarie.
All’udienza dell’11 marzo 2021 la causa è stata riservata per la decisione.
Il Collegio, a fronte delle risultanze di causa, ritiene sussistere i presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza per rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6 (Garanzie per la partecipazione alla procedura), nel combinato disposto con l’art. 216 (Disposizioni transitorie e di coordinamento) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) per contrasto con gli artt. 3 e 117 comma primo (quest’ultimo in relazione all’art. 49, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) della Costituzione.
In base all’art. 93, comma 6 citato, la cd. “garanzia provvisoria” prestata dagli operatori economici che partecipino ad una gara “[…] copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all'affidatario o all'adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”. Tale garanzia viene obbligatoriamente posta a corredo dell’offerta e – come precisa il primo comma della medesima disposizione – è “pari al 2 per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione”.
La norma è dunque chiara nel circoscrivere la possibilità, per la stazione appaltante, di escutere detta garanzia nei soli confronti dell’aggiudicatario (recte, “affidatario”), nei casi specifici ivi contemplati.
Ai sensi dell’art. 216 del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016, peraltro, le disposizioni contemplate nel vigente Codice dei contratti pubblici si applicano “alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.
Non consta al Collegio che nel predetto corpo normativo vi sia una disposizione espressa che, in particolare, estenda l’applicazione della disciplina di cui al comma sesto dell’art. 93 cit. anche alle procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati sì pubblicati in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ma relativamente alle quali l’amministrazione si sia determinata ad escutere la cauzione prestata da uno dei partecipanti alla gara non aggiudicatario in un momento successivo all’entrata in vigore dello stesso.
Nel caso di specie, come già anticipato, la procedura di gara era soggetta alla disciplina di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in particolare – per quanto riguarda la questione qui controversa – agli artt. 48 e 75.
Ai sensi della prima norma (comma primo), “Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati a contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito di cui all'articolo 42, comma 1, lettera a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 6 comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento”.
A sua volta l’art. 75 al comma primo prevede che “L’offerta è corredata da una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente […]”, di seguito precisando, al comma 6, che “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”.
La prima disposizione (art. 48) si riferisce all’ipotesi di un controllo a campione che abbia sortito esito negativo circa il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa (ossia dei c.d. “requisiti speciali”) dichiarati dal concorrente all’atto dell’offerta.
La seconda previsione (art. 75) concerne invece il caso del contratto che non venga sottoscritto per fatto dell’aggiudicatario.
Come esposto in precedenza, dopo aver escluso il raggruppamento facente capo al Consorzio Leonardo Servizi e Lavori da una gara per l’affidamento di servizi integrati, gestionali ed operativi, Consip s.p.a. provvedeva altresì ad escutere la cauzione provvisoria da questi prestata non solo per l’unico Lotto (il n. 6) nel quale il detto operatore economico era risultato primo in graduatoria e quindi aggiudicatario, ma anche – in un secondo momento – per tutti quelli per i quali lo stesso aveva presentato un’offerta (ossia i Lotti 1, 7 e 10), nonostante il detto Rti non fosse risultato, in relazione a questi ultimi, né aggiudicatario né – in ipotesi – secondo graduato. Ciò in pacifica applicazione dell’art. 48 d.lgs. n. 163 del 2006, che non distingue a tal fine tra aggiudicatari e semplici partecipanti alla gara come invece fa il sopravvenuto art. 93, comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Ritiene il Collegio, alla luce delle risultanze di causa, di dover confermare la natura anche sanzionatoria dell’istituto dell’escussione della garanzia provvisoria, per come disciplinato dal d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile alla concreta vicenda controversa, in coerenza con i propri precedenti arresti dai quali non vi è evidente ragione di discostarsi, nel caso di specie.
Va in primo luogo richiamata la decisione dell’Adunanza plenaria 4 ottobre 2005, n. 8 di questo Consiglio, che ha tra l’altro affermato che la cauzione provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria), può svolgere altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti.
La successiva decisione 10 dicembre 2014, n. 34 dell’Adunanza plenaria faceva salvo tale presupposto, nel dichiarare che “E’ legittima la clausola, contenuta in atti di indizione di procedure di affidamento di appalti pubblici, che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici”.
In termini più generali (ex multis, Cons. Stato, V, 27 giugno 2017, n. 3701; V, 19 aprile 2017, n. 1818; IV, 19 novembre 2015, n. 5280; IV, 9 giugno 2015, n. 2829; V, 10 settembre 2012, n. 4778), l’incameramento della cauzione va considerata una misura a carattere latamente sanzionatorio, che costituisce conseguenza ex lege dell’esclusione per riscontrato difetto dei requisiti da dichiarare ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.
Sempre secondo Cons. Stato, Ad. plen. n. 34 del 2014, la cauzione provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria, ipotesi che nel caso di specie non rileva), svolge altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti.
L’escussione della cauzione provvisoria assumerebbe quindi anche la funzione di una sanzione amministrativa, seppure non in senso proprio.
Tale conclusione è stata poi ribadita da Cons. Stato, V, 10 aprile 2018, n. 2181, “in considerazione della natura sanzionatoria e afflittiva della determinazione relativa all’incameramento della cauzione”.
Come ancora di recente evidenziato da Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, il principio della retroattività della lex mitior in “materia penale” è fondato tanto sull’art. 3 Cost., quanto sull’art. 117, primo comma, Cost., eventuali deroghe a tale principio dovendo superare un vaglio positivo di ragionevolezza in relazione alla necessità di tutelare controinteressi di rango costituzionale.
Il principio in questione deve ritenersi applicabile anche alle sanzioni di carattere amministrativo che abbiano natura “punitiva”.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 236 del 2011, n. 215 del 2008 e n. 393 del 2006), la regola della retroattività della lex mitior in materia penale non è riconducibile alla sfera di tutela dell’art. 25, secondo comma, Cost., che sancisce piuttosto il principio – apparentemente antinomico – secondo cui “[n]essuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Tale principio deve, invero, essere interpretato nel senso di vietare l’applicazione retroattiva delle sole leggi penali che stabiliscano nuove incriminazioni, ovvero che aggravino il trattamento sanzionatorio già previsto per un reato, non ostando così a una possibile applicazione retroattiva di leggi che, all’opposto, aboliscano precedenti incriminazioni ovvero attenuino il trattamento sanzionatorio già previsto per un reato.
Cionondimeno, la regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior in materia penale – sancita, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, del Codice penale – non è sprovvista di fondamento costituzionale: fondamento che la costante giurisprudenza della Corte ravvisa anzitutto nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., “che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice” (sentenza n. 394 del 2006). Ciò in quanto, in via generale, “[n]on sarebbe ragionevole punire (o continuare a punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è prevista una pena più lieve)” (sentenza n. 236 del 2011).
La riconduzione della retroattività della lex mitior in materia penale all’alveo dell’art. 3 Cost. anziché a quello dell’art. 25, secondo comma, Cost., segna però anche il limite della garanzia costituzionale della quale la regola in parola costituisce espressione. Mentre, infatti, l’irretroattività in peius della legge penale costituisce un valore assoluto e inderogabile, la regola della retroattività in mitius delle disposizioni sanzionatorie “è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli” (sentenza n. 236 del 2011).
Il criterio di valutazione della legittimità di eventuali deroghe legislative alla retroattività della lex mitior in materia sanzionatoria, alla stregua dell’art. 3 Cost., è stato in particolare analizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 393 del 2006, ove si osserva, tra l’altro, che “la retroattività in mitius della legge penale è ormai affermata non solo, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2 cod. pen., ma trova ampi riconoscimenti nel diritto internazionale e nel diritto dell’Unione europea. La retroattività della lex mitior in materia penale è in particolare enunciata tanto dall’art. 15, comma 1, terzo periodo, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, concluso a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881; quanto dall’art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, CDFUE”.
Ne consegue che il valore tutelato dal principio in parola “può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo”, con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma più favorevole deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole (sentenza n. 393 del 2006).
La giurisprudenza costituzionale è giunta ad assegnare al principio della retroattività della lex mitior in “materia penale” un duplice, e concorrente, fondamento: da un lato, il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nel cui alveo peraltro la sentenza n. 393 del 2006, in epoca immediatamente precedente alle sentenze “gemelle” n. 348 e n. 349 del 2007, aveva già fatto confluire gli obblighi internazionali derivanti dall’art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e dall’art. 49, paragrafo 1, CDFUE, considerati in quell’occasione come criteri interpretativi (sentenza n. 15 del 1996) delle stesse garanzie costituzionali; dall’altro quello – di origine internazionale, ma avente ora ingresso nel nostro ordinamento attraverso l’art. 117, primo comma, Cost. – riconducibile all’art. 7 CEDU, nella lettura offertane dalla giurisprudenza di Strasburgo, nonché alle altre norme del diritto internazionale dei diritti umani vincolanti per l’Italia che enunciano il medesimo principio, tra cui gli artt. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e 49, paragrafo 1, CDFUE, quest’ultimo rilevante nel nostro ordinamento anche ai sensi dell’art. 11 Cost.
Ratio della garanzia in questione è, sostanzialmente, il diritto dell’autore del comportamento sanzionato ad essere giudicato in base all’apprezzamento attuale dell’ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all’apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione.
L’eventualità ed il limite in cui il principio della retroattività della lex mitior sia applicabile anche alle misure sanzionatorie di carattere amministrativo è questione esaminata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 193 del 2016.
In tale occasione è stato rilevato come la giurisprudenza CEDU non abbia “mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche “punitive” alla luce dell’ordinamento convenzionale”.
Rispetto però a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità “punitiva”, il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della “materia penale” – ivi compreso quello di retroattività della lex mitior – non potrà che estendersi anche a tali sanzioni.
L’estensione del principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni di carattere amministrativo aventi natura e funzione “punitiva” è, del resto, conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali: “laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura “punitiva”, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento. E ciò salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo «vaglio positivo di ragionevolezza», al cui metro debbono essere in linea generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale” (Corte cost. sentenza n. 63 del 2019).
Nel caso di specie, ritiene il Collegio che il regime di escussione della garanzia provvisoria previsto a suo tempo dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 possa integrare, alla luce del richiamato consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, una forma di sanzione di carattere punitivo a carico dell’operatore economico che abbia fornito dichiarazioni rimaste poi senza riscontro, sanzione peraltro abbandonata dalla normativa sopravvenuta.
Non sembra revocabile in dubbio che la misura sanzionatoria amministrativa prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 abbia natura punitiva e soggiaccia pertanto alle garanzie che la Costituzione ed il diritto internazionale assicurano alla materia, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior.
L’escussione della garanzia in parola, infatti, non può essere considerata una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né ha natura risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico. Si tratta, piuttosto, di una sanzione dall’elevata carica afflittiva (nel caso di specie, all’incirca due milioni di euro), che in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, “si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente comune anche alle pene in senso stretto” (Corte cost., n. 63 del 2019).
In ragione dei rilievi che precedono dovrebbe quindi concludere per l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che precludono l’applicabilità, al caso di specie, della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta – la quale prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica – in quanto già in vigore al momento dell’adozione, da parte di Consip s.p.a., del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria.
Pertanto, poiché la presente controversia non può essere definita indipendentemente dalla risoluzione delle delineate questioni di legittimità costituzionale, ostando ad una diretta applicazione giudiziale dello ius superveniens la previsione espressa di cui all’art. 216 del d.lgs. n. 50 del 2016, il giudizio va sospeso e vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, nel combinato disposto dell’art. 216 del medesimo decreto, per contrasto con agli artt. 3 e 117 Cost.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 117 comma primo della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale, nei termini di cui in motivazione, dell’art. 93, comma 6, nel combinato disposto con il successivo art. 216, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
Sospende il giudizio in corso e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti e sia comunicata al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2021, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 25 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176.
Guida alla lettura
La presente Ordinanza del Consiglio di Stato si muove nel solco di un importante cambiamento normativo in tema di escussione della garanzia provvisoria:
- In precedenza, l’art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006 prevedeva un meccanismo di sorteggio di almeno il 10% delle offerte presentate cui doveva seguire la comprova dei requisiti dichiarati. Quando tale comprova non avveniva, ovvero vi fossero non conformità, le stazioni appaltanti procedevano all’esclusione del concorrente dalla gara e all’escussione della relativa garanzia provvisoria, oltre che alla segnalazione del fatto all’Autorità per la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento.
Tale comprova dei requisiti, con le relative eventuali conseguenze sanzionatorie, avveniva poi anche in un momento successivo per l’affidatario ed il secondo graduato qualora per costoro il controllo a campione non fosse già avvenuto. L’art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006, a corredo, prevedeva la medesima sanzione a carico dell’affidatario in caso di mancata sottoscrizione del contratto per fatto a lui imputabile, venendo invece svincolata al momento della sua sottoscrizione;
- Successivamente, l’art. 93 del D.Lgs. n. 50/2016, il quale non prevede più un controllo a campione, bensì solo il necessario controllo da operare nei confronti dell’aggiudicatario, prevedendo altresì l’escussione della garanzia provvisoria per la mancata sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all'affidatario o all'adozione di informazione antimafia interdittiva, mentre la garanzia viene svincolata all’atto della sottoscrizione del contratto;
- A specificare la successione temporale tra le due norme è l’art. 216 del D.Lgs. n. 50/2016 il quale prevede genericamente che le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 50/2016 si applicano alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati dopo la data della sua entrata in vigore (19 aprile 2016) nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di sua entrata in vigore, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare offerte.
All’evidenza il meccanismo è mutato anche per garantire maggiore rapidità alle procedure di appalto, evitando un annoso controllo a campione ma permettendo il successivo controllo solo sull’aggiudicatario.
Il Collegio chiarisce che l’istituto dell’escussione della garanzia provvisoria, così come delineato in precedenza dall’art. 48 D.Lgs. n. 163/2006, aveva natura e funzione anche sanzionatoria, avendo quale fine quello di evitare possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti. In particolare, si trattava di una sanzione di carattere punitivo a carico dell’operatore che avesse fornito dichiarazioni rimaste poi senza riscontro, non potendo – al contrario – essere considerata una semplice misura ripristinatoria dello status quo ante, né avente semplicemente natura risarcitoria (o anche solo indennitaria) o di prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico.
Tale funzione sanzionatoria risulta superata dalla nuova formulazione dell’art. 93, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016, il quale limita l’escussione della polizza al solo aggiudicatario che non sottoscrive per responsabilità propria il contratto ovvero nei cui confronti sia intervenuta interdittiva antimafia.
Ebbene, afferma il Consiglio di Stato – riprendendo precedenti pronunce anche della Corte Costituzionale (es. 21 marzo 2019 n. 63) – che il principio della retroattività della lex mitior in “materia penale” è fondato non già sulla sfera di tutela dell’art. 25, 2° comma, della Cost., bensì sull’art. 3 Cost. (principio di eguaglianza) e sull’art. 117, primo comma, Cost. (mediante il quale fa ingresso nel nostro ordinamento l’art. 7 della CEDU) e tale principio deve ritenersi applicabile anche alle sanzioni amministrative che abbiano natura “punitiva”. La riconduzione della retroattività della lex mitior in materia penale all’alveo dell’art. 3 Cost anziché a quello dell’art. 25, 2° comma, Cost. segna anche un’ulteriore differenza: mentre l’irretroattività in peius della legge penale costituisce un valore assoluto e inderogabile, la regola delle retroattività in mitius delle disposizioni sanzionatorie è suscettibile di limitazione e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli, secondo uno specifico vaglio di ragionevolezza.
La ratio della garanzia in questione è relativa al diritto dell’autore del comportamento sanzionato (anche con sanzione amministrativa) ad essere giudicato in base all’apprezzamento attuale dell’ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all’apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione.
Applicando il ragionamento al caso sotteso (ove il bando era stato pubblicato in pendenza della prima disposizione, ma l’escussione della garanzia era avvenuta successivamente alla sopravvenienza della nuova regolamentazione), preso atto della natura sanzionatoria di carattere punitivo della previsione ex art. 48 D.Lgs. 163/2006, il Collegio ritiene che la previsione di cui all’art. 216 del D.Lgs. n. 50/2016 quanto al momento temporale di applicazione del neo art. 93, comma 6 del medesimo Codice, nonché necessariamente quest’ultimo, possano essere dichiarati costituzionalmente illegittimi nel non prevedere l’applicabilità della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta.
L’ordinanza, rispetto alla quale occorrerà attendere la pronuncia della Corte Costituzionale, risulta particolarmente interessante quanto alla possibile estensione del ragionamento proposto a tutti i casi di sanzioni amministrative punitive, per le quali opererà (rectius, potrebbe operare, in caso di conferma del Consesso Costituzionale) pienamente il principio di retroattività della lex mitior, basato sugli artt. 3 e 117 Cost. e sacrificabile da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo e salvo il necessario controllo di ragionevolezza.