Cons. Stato, sez. II, 9 marzo 2021, n. 2013
Vanno rimesse all’Adunanza plenaria le questioni: a) se possa ammettersi in appello un motivo di impugnazione, per contestare la giurisdizione del giudice amministrativo, anche nell’ipotesi in cui siffatto motivo di appello sia introdotto in secondo grado da chi aveva introdotto il giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, soprattutto ove siano mutate la legislazione e la giurisprudenza fra il momento in cui si incardina il giudizio in primo grado e quello della proposizione dell’appello; b) se il giudice di appello possa comunque affrontare la questione della giurisdizione in generale, anche in caso di una declaratoria d’inammissibilità, dato che una cosa è l’effetto dell’esame della questione, altra è la questione in senso lato; c) in caso positivo, se sussista la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere una domanda del privato per ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo ‒ emanato dalla medesima amministrazione ‒ ampliativo della sfera giuridica dell’interessato e, in particolare, di un titolo edilizio esplicito o implicito; d) se l’interessato possa in astratto, e alla prescindere dalla soluzione della vicenda concreta, considerarsi titolare di un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo annullato, idoneo a fondare un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione; e) in caso positivo, in presenza di quali presupposti ed entro quale ambito può attribuirsi al privato un diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 1448 del 2013, proposto dalla Immobiliare Michelangelo s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Camerini, Anna Rossi e Adriano Rossi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale delle Milizie, n. 1;
contro
il Comune di Pescara, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Paola Di Marco, domiciliato presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 293/2012, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pescara; viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;visti tutti gli atti della causa; relatore il consigliere Francesco Frigida nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2021, svoltasi con modalità telematica, e dati per presenti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, gli avvocati Francesco Camerini e Anna Rossi per parte appellante, nonché l’avvocato Paola Di Marco per parte appellata.
1. La società odierna appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. 196 del 2008 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, al fine di ottenere, dal Comune di Pescara, il risarcimento dei danni da essa subiti in conseguenza dell’annullamento della concessione edilizia n. 9/1999 e delle sue successive varianti, disposto dal suddetto T.a.r. tramite sentenza n. 11 del 9 gennaio 2006, confermata dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con decisione n. 1672 dell’11 aprile 2007, e ulteriormente avvalorata dal rigetto di ricorso per revocazione, mediante decisione della medesima sezione del Consiglio di Stato n. 2166/2008. 2. Il Comune di Pescara si è costituito nel giudizio di primo grado, eccependo, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore dell’autorità giudiziaria ordinaria, nonché la tardività del ricorso per violazione del termine di cui all’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo e chiedendo, in ogni caso, il rigetto del ricorso, siccome infondato. 3. Con l’impugnata sentenza n. 293 del 20 giugno 2012, il T.a.r. per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, dopo aver ritenuto sussistente la propria giurisdizione e tempestivo il ricorso, in quanto veicolato antecedentemente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, lo ha respinto e ha condannato l’interessata al pagamento, in favore dell’amministrazione comunale, delle spese di lite, liquidate in euro 3.000, oltre agli accessori di legge. 4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 1° febbraio 2013 e in data 27 febbraio 2013 – la parte privata ha interposto appelloavverso la menzionata sentenza, articolando due motivi d’impugnazione, di cui il primo diretto a contestare la giurisdizione del giudice amministrativo, affermata dal T.a.r., e il secondo volto ad affermare la presenza di una lesione di un affidamento risarcibile, negata dal collegio di primo grado. 5. Il Comune di Pescara si è costituito in giudizio, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del motivo d’impugnazione inerente al lamentato difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, e chiedendo il rigetto del gravame nel merito. 6. In vista dell’udienza di discussione, ambedue le parti hanno depositato memoria, memoria di replica e note d’udienza. 7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 16 febbraio 2021, tenuta in modalità telematica. 8. Il Collegio reputa di dover rimettere l’esame del presente ricorso all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e diritto. 9. In via pregiudiziale, va vagliata l’ammissibilità del primo motivo d’impugnazione, formulato dalla parte che in primo grado ha adito il T.a.r. e che, in sede di gravame, si duole dell’esplicita affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo da parte del collegio di primo grado, che ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione, dedotta dal Comune di Pescara. 9.1. L’appellante ha dedotto di aver chiesto al T.a.r., dopo la proposizione del ricorso introduttivo, di dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, e conseguentemente nessuna preclusione si sarebbe verificata nel caso di specie. Al riguardo si osserva che, da un lato, dagli atti processuali emerge che la società interessata ha semplicemente adombrato che vi potesse essere un difetto di giurisdizione, concludendo comunque per l’accoglimento del proprio ricorso. In ogni caso, anche un’eventuale – e nel caso de quo insussistente – richiesta di declaratoria di difetto di giurisdizione formulata dall’odierna appellante in primogrado sarebbe irrilevante ai fini dell’ammissibilità del primo motivo d’impugnazione, atteso che l’interessata avrebbe potuto, ma non lo ha fatto, utilizzare il rimedio processuale del regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 10 del codice del processo amministrativo. 9.2. Chiarito l’evolversi della vicenda processuale, si osserva che il Consiglio di Stato ha ripetutamente affermato che il soggetto che ha proposto un ricorso al giudice amministrativo non può poi contestarne la giurisdizione (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione V, sentenze 19 settembre 2019, n. 6247, 13 agosto 2018, n. 4934, 27 marzo 2015, n. 1605, e 7 febbraio 2012, n. 656; Consiglio di Stato, sezione III, sentenze 31 maggio 2018, n. 3272, 1° dicembre 2016, n. 5047, 26 ottobre 2016, n. 4501, 13 aprile 2015, n. 1855, e 7 aprile 2014, n. 1630; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22 maggio 2017, n. 2367, 21 dicembre 2013, n. 5403; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 8 aprile 2015, n. 1778, e 8 febbraio 2013, n. 703). Siffatto orientamento è motivato sia sul presupposto che l’originario ricorrente non è soccombente in punto di giurisdizione, sia sulla circostanza che tale condotta processuale integra un abuso del diritto di difesa, scaturente dal venire contra factum proprium, vigendo nel nostro sistema un generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva, in cui si inserisce anche l’abuso del processo, nonché dalla violazione del dovere di cooperazione per la realizzazione della ragionevole durata del processo sancita dall’art. 2, comma 2, del codice del processo amministrativo. Va tuttavia sottolineato che il predetto approdo ermeneutico, in mancanza di una norma espressa, non è univoco, tant’è che le sezioni unite della Corte di cassazione, in alcune occasioni, hanno affermato che «l’eccezione di difetto di giurisdizione non è preclusa alla parte per il solo fatto di avere adito un giudice (nella specie, il Tar) che lo stesso attore ritiene successivamente privo di giurisdizione; ben può quindi, detta parte proporre l’eccezione per la prima volta in appello (nella specie, davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia), essendo la questione di giurisdizionepreclusa solo nel caso in cui sulla stessa si sia formato il giudicato esplicito o implicito» (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 27 dicembre 2010, n. 26129; nello stesso senso cfr. Corte di cassazione, sezioni unite, sentenze 29 marzo 2011, n. 7097, 27 luglio 2011, n. 16391, 20 gennaio 2014, n. 1006, 20 maggio 2014, n. 11022, 28 maggio 2014, n. 11916). In un’altra occasione le sezioni unite hanno escluso che il divieto di abuso del processo sia violato dalla parte che, in sede d’impugnazione, abbia contestato la giurisdizione amministrativa da ella precedentemente adita, in una controversia in cui vi era un obiettivo dubbio sulla questione di giurisdizione (cfr. Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 19 giugno 2014, n. 13940); quest’ultimo orientamento è stato seguito anche dal Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza 9 marzo 2015, n. 1192. Da quanto esposto, il Collegio reputa opportuno rimettere tale questione all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. 9.3. Laddove l’adunanza plenaria dovesse ritenere ammissibile il motivo di giurisdizione, si rileva, con riferimento a domande analoghe a quella veicolata dall’appellante, un contrasto giurisprudenziale in punto di giurisdizione all’interno del Consiglio di Stato, atteso che in alcune pronunce (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 27 settembre 2016, n. 3997; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 25 gennaio 2017, n. 293, e 20 dicembre 2017, n. 5980; Consiglio di Stato, sezione VI, 13 agosto 2020, n. 5011) si è aderito alla traiettoria argomentativa sostenuta dalle sezioni unite della Corte di cassazione, con le ordinanze del 32 marzo 2011, numeri 6594, 6595 e 6596 e con altre successive conformi ordinanze (4 settembre 2015, n. 17586, 22 maggio 2017, n. 12799; 22 giugno 2017, n. 15640, 2 agosto 2017, n. 19171, 23 gennaio 2018, n. 1654, 2 marzo 2018, n. 4996, 24 settembre 2018, n. 22435, 13 dicembre 2018, n. 32365, 19 febbraio 2019, n. 4889, 8 marzo 2019, n. 6885, 13 maggio 2019, n. 12635, e 28 aprile 2020, n. 8236), secondo cui la domanda risarcitoria proposta neiconfronti della pubblica amministrazione per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria (anche nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), non trattandosi di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione della diritto soggettivo alla sua integrità patrimoniale oppure (più recentemente) di una lesione all’affidamento incolpevole quale situazione giuridica soggettiva autonoma, dove l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del dannoevento. Per contro, in altre pronunce (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 23 febbraio 2015, n. 857; T.a.r. Abruzzo, Pescara, sentenza 20 giugno 2012, n. 312) si è affermato che nelle materie di giurisdizione amministrativa esclusiva, le domande relative al risarcimento del danno da lesione dell’affidamento riposto sulla legittimità dei provvedimenti successivamente annullati rientrerebbero nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo; in tal senso si sono peraltro espresse le sezioni unite della Corte di cassazione con le ordinanze 21 aprile 2016, n. 8057 e 29 maggio 2017, n. 13454 (per l’ipotesi di annullamento di autotutela di provvedimento di affidamento di sevizio pubblico). Delineato il suesposto quadro giurisprudenziale, ad avviso del Collegio la domanda proposta dall’odierna appellante sembra rientrare nel perimetro della giurisdizione amministrativo, in quanto, come congruamente evidenziato dal T.a.r., «il ricorso non si fonda su un mero comportamento dell’amministrazione comunale, ma sulla circostanza che essa aveva rilasciato un permesso a costruire sulla base di un’interpretazione poi rivelatasi errata di una sua norma regolamentare. Non di mero comportamento trattasi, ma di una vera e propria attività amministrativa procedimentalizzata», sicché l’asserita lesione di un’aspettativa giuridicamente tutelabile è derivata, nella prospettazione della società ricorrente, da unillegittimo esercizio del potere amministrativo, che non può che rientrare nell’alveo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lettera f), del codice del processo amministrativo, atteso che l’ordinamento attribuisce, in ossequio al principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale, alla cognizione del giudice amministrativo tutti gli strumenti processuali idonei a tutelare la posizione lesa dall’esercizio dei pubblici poteri di cui è titolare l’amministrazione e che la circostanza che il danno non sia direttamente cagionato dal provvedimento, ma derivi dal suo annullamento, attiene soltanto al piano cronologico e non, per contro, a quello logico ed eziologico, stante la riconducibilità diretta del pregiudizio al provvedimento amministrativo. In sostanza, l’orientamento favorevole alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria si basa sul presupposto per cui vi sarebbe l’interesse legittimo soltanto a fronte della illegittima negazione di un bene della vita e non dinanzi nell’illegittimo ‒ e, pertanto, necessariamente instabile ‒ riconoscimento di siffatto bene. Quest’impostazione, tuttavia, non appare in sintonia con il generale criterio di riparto sancito dalla Costituzione che non condiziona la natura delle situazioni soggettive (diritto soggettivo/interesse legittimo), rilevante per la concreta applicazione del criterio, al carattere satisfattivo o non satisfattivo del provvedimento amministrativo. Un provvedimento amministrativo – non abnorme –, seppur illegittimo e caducato da una pronuncia giurisdizionale, non può essere degradato a mero comportamento della pubblica amministrazione non collegato, neppure mediatamente, con l’esercizio del potere, peraltro sollecitato dal privato. Inoltre l’opposta soluzione potrebbe condurre ad esiti disarmonici, atteso che, in base ad essa, laddove il risarcimento venga chiesto dal controinteressato – titolare di un interesse legittimo speculare a colui che ha ottenuto dalla pubblica amministrazione – per i danni causatigli da un provvedimento illegittimo visarebbe giurisdizione del giudice amministrativo su tale domanda, mentre, qualora la domanda risarcitoria sia avanzata dal soggetto destinatario del medesimo illegittimo provvedimento (a lui favorevole), la giurisdizione si radicherebbe presso l’autorità giudiziaria ordinaria. Da uno stesso giudizio dinanzi al giudice amministrativo sul provvedimento, conclusosi con pronuncia caducatoria, potrebbero, quindi, gemmare due differenti domande risarcitorie, vagliate da due differenti plessi giurisdizionali, il che non sembra conforme alla coerenza del sistema processuale, nonché ai principio di parità di trattamento e di concentrazione delle tutele, considerato peraltro che la Corte costituzionale, con la sentenza 15 luglio 2016, n. 179, ha precisato che «l’ordinamento non conosce materie “a giurisdizione frazionata”, in funzione della differente soggettività dei contendenti». Tanto premesso, il Collegio investe l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato della descritta questione di giurisdizione. 10. Qualora l’adunanza plenaria reputasse il caso di specie rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo (o in quanto non più controvertibile nel presente giudizio o siccome effettivamente sussistente), occorrerà esaminare il secondo motivo d’impugnazione, con cui la società appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata, laddove il T.a.r. ha ritenuto non fondata la domanda risarcitoria in mancanza di «ogni colpa anche lata dell’amministrazione comunale». In particolare, ad avviso della parte privata, vi sarebbe una colpa del Comune, in quanto «A fronte di una richiesta di concessione, spetta all’Amministrazione comunale interpretare le leggi ed in particolare i propri regolamenti e stabilire se la concessione edilizia (ora permesso di costruire) possono essere rilasciati o meno. Il richiedente la concessione deve poter confidare che l’interpretazione della norma da parte della autorità preposta a tale compito non costituisca un inganno», e vi sarebbe un legittimo affidamento dell’istante in quanto «l’atto amministrativo è assistito dalla presunzione di legittimità e, quindi, deve essere ritenuto valido dal cittadino interessato fino a dimostrazione contraria».10.1. Al Collegio appare corretta la statuizione del T.a.r., che ha negato tutela all’odierna appellante in base al seguente iter logico motivazionale: a) la vicenda trae origine da una concessione edilizia rilasciata dal Comune di Pescara alla società odierna appellante, ovverosia da un atto amministrativo chiesto e voluto da quest’ultima e conforme ai suoi interessi; b) l’interessata ha difeso in giudizio tale atto amministrativo, risultando soccombente, così come l’amministrazione comunale; c) l’affidamento ingenerato dal Comune si sostanzia semplicemente nella buona fede dell’interessata; d) siffatto affidamento non deriva da alcun comportamento colpevole dell’ente pubblico, in quanto esso è corrispondente e speculare alla convinzione della società odierna appellante di aver diritto a ottenere la concessione edilizia. 10.2. Ciononostante, il Collegio rileva la presenza di un contrasto giurisprudenziale in punto di diritto al risarcimento da lesione dell’affidamento verso un provvedimento amministrativo illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale. Segnatamente, a fronte di un indirizzo per cui la sentenza di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo «ha accertato l’assenza di un danno ingiusto, perché all’originario ricorrente non spettava l’ottenimento del bene della vita sotteso al suo interesse legittimo. Tanto che l’amministrazione, qualora avesse posto in essere una condotta jure avrebbe dovuto respingere l’istanza di concessione edilizia» (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 17 gennaio 2014, n. 183) e per cui «nel caso di annullamento in sede giurisdizionale di un titolo abilitativo (…) non può (…) dolersi del danno chi ‒ per una qualsiasi evenienza e con un provvedimento espresso, ovvero a seguito di un silenzio assenso o una s.c.i.a. ‒ abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un progetto oggettivamente non assentibile: in tal caso il richiedente sotto il profilo soggettivo ha manifestato quanto meno una propria colpa (nel presentare il progetto assentibile solo contra legem) e sotto il profilo oggettivo attiva con efficacia determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno»(Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 29 ottobre 2014, n. 5346), vi è un’altra corrente giurisprudenziale favorevole al riconoscimento della risarcibilità della lesione dell’affidamento del privato verso un provvedimento illegittimo, annullato in sede di autotutela o in sede giurisdizionale, seppur in presenza di stringenti limiti in tema di prova della colpa dell’amministrazione, del danno subito dall’istante e del nesso di causalità tra l’annullamento e il predetto danno (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 20 dicembre 2017, n. 5980; T.a.r. Campania, Napoli, sezione VIII, sentenza 3 ottobre 2012, n. 4017, dove si riconduce la tematica de qua alla responsabilità precontrattuale). 10.3. Tanto premesso, il Collegio reputa opportuno svolgere alcune precisazioni circa il primo dei cennati orientamenti, il cui esito interpretativo sembra condivisibile. L’affidamento è un istituto giuridico che taglia trasversalmente l’intero ordinamento giuridico e senza dubbio assume rilievo nei rapporti tra i privati e le pubbliche amministrazioni, anche nelle fattispecie in cui vi è esercizio di potere di natura pubblicistica. Il Collegio ritiene che l’affidamento non sia un diritto soggettivo, come, invece, autorevolmente sostenuto da parte della giurisprudenza, bensì una situazione giuridica soggettiva dai tratti peculiari propri, idonea a fondare una particolare responsabilità, che si colloca tra il contratto e il torto civile. Ad ogni modo, per aversi un affidamento giuridicamente tutelabile in capo al privato, occorre, da un lato, una condotta della pubblica amministrazione connotata da mala fede o da colpa in grado di far sorgere nell’interessato, versante in una condizione di totale buona fede, un’aspettativa al conseguimento di un bene della vita e, dall’altro, che la fiducia riposta da quest’ultimo in un esito del procedimento amministrativo a lui favorevole sia ragionevole e non colposamente assunta come fondata. In sostanza, ai fini della sussistenza dell’affidamento, il privato che ha interloquito con la pubblica amministrazione non soltanto non deve averla condotta dolosamente o colposamente in errore, ma deve aver aspettativa qualificata, ovverosia basata su una pretesa legittima alla luce del quadro ordinamentale applicabile al caso di specie. Va peraltro sottolineato che, ai fini dell’affidamento, l’ipotesi di annullamento del provvedimento favorevole in sede giurisdizionale va tenuta chiaramente distinta da quella di annullamento d’ufficio in autotutela e, ancor più, dalla revoca, atteso che, a fronte del medesimo petitum risarcitorio, le causae petendi sono differenti. In questi secondi casi, infatti, l’eventuale affidamento del privato (ammesso che vi sia) verrebbe pregiudicato da un condotta dell’amministrazione, la quale modifica unilateralmente, melius re perpensa o alla luce di sopravvenienze, l’assetto d’interessi precedentemente delineato nell’esercizio del suo potere pubblicistico, mentre nel primo caso il potenziale affidamento verrebbe leso da un provvedimento promanante dal potere giurisdizionale, nei cui confronti non può esserci in radice, per la natura terza del giudice, alcuna aspettativa qualificata ‒ e dunque tutelabile mediante ristoro patrimoniale ‒ all’accoglimento delle proprie ragioni. Ne discende che l’annullamento del provvedimento amministrativo in sede giurisdizionale non può mai ridondare in una lesione di un affidamento legittimo, idonea a fondare una domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione. Orbene, siffatti requisiti non appaiono sussistere nelle fattispecie, come quella oggetto del presente giudizio, in cui l’interessato ha chiesto all’amministrazione il rilascio di un provvedimento ampliativo della propria sfera soggettiva (anche, eventualmente, in via implicita mediante denuncia di inizio attività o strumenti analoghi), che è stato emesso e poi annullato in sede giurisdizionale. Ed invero, in queste ipotesi, anche qualora vi sia un atteggiamento del privato connotato da buona fede, l’eventuale aspettativa non sarebbe, in ogni caso, legittima, siccome basata su una pretesa non tutelata dall’ordinamento. Traslando le coordinate ermeneutiche sopra descritte nel caso di specie, si osserva che la società odierna appellante ha inoltrato al Comune di Pescara diverse domande, volte ad ottenere una concessione edilizia e successive varianti, non conformi agli strumenti urbanistici, cosicché non può essere riconosciuto un ristoro a chi non avrebbe già in una prospettiva ex ante avuto diritto al bene della vita. Si evidenzia altresì che, presentando un’istanza infondata, il privato non soltanto non ha subito alcun danno ingiusto e, pertanto, ristorabile, ma, per tal via, ha egli cagionato un danno al Comune, sia in relazione ad uno spreco delle limitate risorse umane e materiali dell’amministrazione per la trattazione della pratica, sia con riferimento all’interesse dell’amministrazione ad una corretta gestione del territorio, atteso che il Comune è l’ente esponenziale che, in via diretta e primaria, ha il compito di pianificare, governare e tutelare l’armonico e sostenibile sviluppo urbanistico. 11. In conclusione si rimettono all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del codice del processo amministrativo, le seguenti questioni: a) se sia ammissibile un motivo d’impugnazione volto a contestare la giurisdizione del giudice amministrativo, formulato dalla parte che aveva introdotto il giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, soprattutto quando il giudizio è stato introdotto in un contesto ordinamentale e giurisprudenziale completamente diverso da quello attuale; b) se il giudice possa comunque affrontare la questione della giurisdizione in generale, anche in caso di una declaratoria d’inammissibilità, dato che una cosa è l’effetto dell’esame della questione, altra è la questione in senso lato;c) in caso positivo, se sussista la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere una domanda del privato diretta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo ‒ emanato dalla medesima amministrazione ‒ favorevole all’interessato e, in particolare, di un titolo edilizio esplicito o implicito; d) se l’interessato ‒ a prescindere dalle valutazioni circa la sussistenza in concreto della colpa del pubblica amministrazione, del danno in capo al privato e del nesso causale tra l’annullamento e la lesione ‒ possa in astratto vantare un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo annullato, idoneo a fondare un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione; e) in caso positivo, in presenza di quali condizioni ed entro quali limiti può riconoscersi al privato un diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole. 12. Valuterà l’adunanza plenaria se affermare i rilevanti principi di diritto o se definire il secondo grado del giudizio. 13. La statuizione delle spese di lite vi sarà con la sentenza definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, non definitivamente pronunciando sul ricorso 1448 del 2013, come in epigrafe proposto, ne dispone il deferimento all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’adunanza plenaria.
Guida alla lettura
Una società a responsabilità limitata ricorre al Consiglio di stato per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione di Pescara, n. 293/2012, resa tra le parti. La società appellante ha proposto il ricorso di primo grado dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, per ottenere, dal Comune di Pescara, il risarcimento dei danni da essa subiti in conseguenza dell’annullamento di una concessione edilizia e delle sue successive varianti, disposto dal suddetto T.a.r. tramite sentenza n. 11 del 9 gennaio 2006, confermata dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con decisione n. 1672 dell’11 aprile 2007, ulteriormente avvalorata dal rigetto di ricorso per revocazione, mediante decisione della medesima sezione del Consiglio di Stato n. 2166/2008.
Il Comune di Pescara, nel giudizio di primo grado, ha eccepito, come questione pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore dell’autorità giudiziaria ordinaria, e la tardività del ricorso, chiedendo, in ogni caso, il rigetto del medesimo, siccome infondato. Il T.a.r. per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con l’impugnata sentenza n. 293 del 20 giugno 2012, ha reputato sussistente la propria giurisdizione e tempestivo il ricorso, in quanto introdotto prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ma lo ha rigettato e ha condannato l’interessata al pagamento, in favore dell’amministrazione comunale, delle spese di lite. La parte privata ha impugnato con appello la pronuncia di primo grado, contestando la giurisdizione del giudice amministrativo, affermata dal T.a.r., e affermando la presenza di una lesione di un affidamento risarcibile, negata dal giudice di primo grado. Il Comune di Pescara ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza del motivo d’impugnazione inerente al lamentato difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, e ha chiesto il rigetto del gravame nel merito. Il Collegio reputa di dover rimettere l’esame del presente ricorso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Va vagliata l’ammissibilità del primo motivo d’impugnazione, formulato dalla parte che in primo grado ha adìto il T.a.r. e che, in sede di gravame, si duole dell’esplicita affermazione della giurisdizione del Giudice amministrativo da parte del Collegio di primo grado, che ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione, dedotta dal Comune di Pescara. L’appellante ha asserito di aver chiesto al T.a.r., dopo la proposizione del ricorso introduttivo, di dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, e, conseguentemente, nessuna preclusione si sarebbe verificata nel caso in specie, nonostante che, quando il giudizio di primo grado è stato introdotto, l’odierna appellante ha consapevolmente adìto il Giudice amministrativo di primo grado, dando per certa la giurisdizione di questo plesso giudiziario. Peraltro, dagli atti processuali emerge che la società interessata ha posto l’ipotesi che vi potesse essere un difetto di giurisdizione, concludendo per l’accoglimento del proprio ricorso e, pertanto, risolvendo già sul piano del proprio foro interno, la questione giuridica nel senso della presenza della giurisdizione del Giudice amministrativo. Non sussiste una domanda di diniego di giurisdizione da parte dell’appellante in primo grado, ma anche se essa domanda vi fosse, essa sarebbe irrilevante ai fini dell’ammissibilità del primo motivo d’impugnazione, in quanto sarebbe stato utilizzabile il rimedio del regolamento preventivo di giurisdizione (art. 10 del codice del processo amministrativo).
La Sezione rimettente osserva che il Consiglio di Stato ha affermato che il soggetto che ha proposto un ricorso al giudice amministrativo non può poi contestarne la giurisdizione (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione V, sentenze 19 settembre 2019, n. 6247, 13 agosto 2018, n. 4934, 27 marzo 2015, n. 1605, e 7 febbraio 2012, n. 656; Consiglio di Stato, sezione III, sentenze 31 maggio 2018, n. 3272, 1° dicembre 2016, n. 5047, 26 ottobre 2016, n. 4501, 13 aprile 2015, n. 1855, e 7 aprile 2014, n. 1630; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22 maggio 2017, n. 2367, 21 dicembre 2013, n. 5403; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 8 aprile 2015, n. 1778, e 8 febbraio 2013, n. 703). L’originario ricorrente non è soccombente in punto di giurisdizione e tale condotta processuale integra un abuso del diritto di difesa, (venire contra factum proprium), nonché la violazione del dovere di cooperazione per la realizzazione della ragionevole durata del processo sancita dall’art. 2, comma 2, del codice del processo amministrativo, nonché dall’art. 111 Cost.. Il divieto di venire contra factum proprium si traduce nell’esercizio di un diritto, in rapporto al quale l’ordinamento riconosce tutela, e nella successiva adozione di una condotta in contraddizione con la precedente modalità di esercizio del proprio diritto.
Il predetto approdo ermeneutico, peraltro, non è univoco, come dimostra la circostanza che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in alcune occasioni, hanno affermato che «l’eccezione di difetto di giurisdizione non è preclusa alla parte per il solo fatto di avere adito un giudice (nella specie, il Tar) che lo stesso attore ritiene successivamente privo di giurisdizione; ben può quindi, detta parte proporre l’eccezione per la prima volta in appello (nella specie, davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia), essendo la questione di giurisdizione preclusa solo nel caso in cui sulla stessa si sia formato il giudicato esplicito o implicito» (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 27 dicembre 2010, n. 26129; nello stesso senso cfr. Corte di cassazione, sezioni unite, sentenze 29 marzo 2011, n. 7097, 27 luglio 2011, n. 16391, 20 gennaio 2014, n. 1006, 20 maggio 2014, n. 11022, 28 maggio 2014, n. 11916).
Nell’ordinanza in commento, pertanto, il Consiglio di Stato rimette all’Adunanza Plenaria la questione dell’ammissibilità in appello di un motivo d’impugnazione, in cui si contesti la giurisdizione del Giudice amministrativo, ancorché formulato da chi aveva incardinato il giudizio medesimo, in primo grado, dinnanzi al Tar, ove il motivo sia giustificato (anche) da un rilevante mutamento della situazione normativa e giurisprudenziale, rispetto a quelle presenti, quando si è esperito il ricorso al Tar. Ciò implica anche il valutare se il Giudice di Appello possa affrontare la questione attinente alla giurisdizione. Si è sopra chiarita la presenza di due indirizzi giurisprudenziali contrapposti, a proposito della possibilità di eccepire in secondo grado il difetto di giurisdizione, dopo aver incardinato in primo grado un giudizio presso un certo plesso giurisdizionale. La tesi che a chi scrive appare maggiormente condivisibile è quella sostenuta dal Consiglio di Stato, anche ove non sia maturato un giudicato implicito o esplicito in punto di giurisdizione, nonostante che l’opinione opposta abbia ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite in varie occasioni. Sembra contraddittorio incardinare un processo presso un determinato Giudice in primo grado e porre come motivo di impugnazione in grado di appello il difetto di giurisdizione del medesimo Giudice. La nozione di giudicato è oggetto, secondo l’impostazione cui si aderisca, a diverse concezioni, in senso restrittivo o estensivo, in rapporto alla necessità di incorporare nel giudicato medesimo solo il dispositivo della decisione o l’integrazione logica fra dispositivo e motivazione di una sentenza. Pertanto, le stesse nozioni di giudicato implicito ed esplicito diventano evanescenti e oggetto di differenti ricostruzioni.
Ove l’Adunanza plenaria dovesse ritenere ammissibile il suddetto motivo di giurisdizione, ossia la possibilità di eccepire in appello il difetto di giurisdizione di un Giudice adìto in primo grado, si configurerebbe la questione di giurisdizione, per la richiesta di risarcimento per i danni subiti dal cittadino, in rapporto all’affidamento senza colpa su un provvedimento illegittimo, tale da ampliare la sfera del beneficiario.
Il Consiglio di Stato, in alcune pronunce (Cons. St., sez. V, 27 settembre 2016, n. 3997; id., sez. IV, 25 gennaio 2017, n. 293; id. 20 dicembre 2017, n. 5980; id., sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5011) ha condiviso l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, espresso con le ordinanze del 2 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596 e con altre successive conformi ordinanze (id. 4 settembre 2015, n. 17586; id. 22 maggio 2017, n. 12799; id. 22 giugno 2017, n. 15640), secondo cui la domanda di risarcimento, avanzata nei confronti della pubblica amministrazione, proprio per il pregiudizio subìto dal privato, collegato a un affidamento senza colpa su un provvedimento ampliativo illegittimo, rientra nella giurisdizione ordinaria, anche ove esso provvedimento rientri nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto non si riscontra una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato, poiché il medesimo è stato soddisfatto, seppur in modo illegittimo (ma proprio l’illegittimità di tale soddisfacimento genera talune perplessità riguardo all’idea sopra menzionata del mancato pregiudizio all’interesse legittimo pretensivo), ma una lesione del diritto soggettivo all’integrità patrimoniale del privato oppure dell’affidamento incolpevole quale situazione giuridica soggettiva autonoma.
In altre sentenze (Cons. St., sez. V, 23 febbraio 2015, n. 857; Tar Pescara 20 giugno 2012, n. 312) si è sostenuto che, ove venga in considerazione una materia di giurisdizione amministrativa esclusiva, in cui sono di pertinenza del Giudice amministrativo sia gli interessi legittimi, sia i diritti soggettivi, le domande, relative al risarcimento del danno da lesione dell’affidamento, rientrerebbero nell’ambito della cognizione del medesimo Giudice amministrativo e, in tal senso, si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le ordinanze 21 aprile 2016, n. 8057 e 29 maggio 2017, n. 13454. Questo orientamento sembra maggiormente condivisibile.
Orbene, secondo la Sezione rimettente, la domanda dell’appellante va inquadrata nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto viene in considerazione non un mero comportamento, ma un’attività amministrativa, incorporata in un procedimento, Ciò si collega all’affermazione, secondo cui un provvedimento illegittimo non si tramuta, per la circostanza della sua illegittimità, in un mero comportamento, ma resta atto amministrativo, contenente una manifestazione di volontà della P.A., sotto ogni aspetto. Si condivide pienamente tale affermazione.
Accogliere la soluzione opposta implica discrasie e soluzioni schizofreniche, in quanto, ove il risarcimento venisse domandato dal controinteressato – titolare di un interesse legittimo speculare a colui che ha ottenuto il provvedimento a sé favorevole dalla pubblica amministrazione, provvedimento poi caducato – vi sarebbe giurisdizione del giudice amministrativo su tale domanda, mentre, qualora la domanda risarcitoria sia avanzata dal soggetto destinatario del provvedimento illegittimo (a lui favorevole), la giurisdizione sarebbe dell’autorità giudiziaria ordinaria. Far derivare due differenti domande risarcitorie, presso due differenti plessi giurisdizionali, da uno stesso giudizio dinanzi al giudice amministrativo sul provvedimento caducato, non sembra conforme alla coerenza del sistema. Occorre mantenere chiara la distinzione fra mero comportamento dell’Amministrazione e provvedimento di questa.