C.G.A. Sicilia, ord. 22 gennaio 2021

Il Collegio ha rimesso all’Adunanza Plenaria la seguente questione:

Se gli artt. 92 e 94 d.lgs 6 settembre 2011 n. 159, nel fare salvo, per il caso di recesso dal contratto d’appalto indotto dal sopravvenire di un’informazione antimafia interdittiva a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite, implichino il riconoscimento all’appaltatore medesimo della possibilità di percepire, proprio per le opere già eseguite, anche il compenso revisionale contrattualmente previsto.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 1252 del 2019, proposto dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Nicola Seminara, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Domenico Cantavenera in Palermo, via Notarbartolo 5;

contro

-OMISSIS-, in liquidazione volontaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gaetano Carmelo Tafuri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione di Catania (Sez. III) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della -OMISSIS-, in liquidazione volontaria;

Visto l’appello incidentale proposto dalla medesima società;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il cons. Nicola Gaviano nell'udienza di discussione del giorno 16 dicembre 2020, svoltasi con partecipazione da remoto dei magistrati ai sensi degli artt. 25 d.l. n. 137/2020 e 4 d.l. n. 28/2020, e considerati ivi presenti, ai sensi degli stessi articoli, gli avvocati Nicola Seminara e Gaetano Carmelo Tafuri;

1 La -OMISSIS- in liquidazione volontaria, adiva originariamente il T.A.R. per la Sicilia – Sezione di Catania impugnando il silenzio serbato dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania sulla propria istanza di revisione dei prezzi degli appalti riguardanti i “servizi di pulizie, facchinaggio ed ausiliari”, affidamenti –reiteratamente prorogati nel tempo- intercorsi tra l’Amministrazione e la cooperativa dal 1° giugno 2001 sino al 15 luglio 2014, allorquando erano cessati su recesso della committente comunicato il 30 aprile 2014, motivato dall’interdittiva prefettizia antimafia che aveva colpito la società.

Il ricorso contro il silenzio veniva accolto con la sentenza n. -OMISSIS-, passata in giudicato, con la quale il Tribunale imponeva all’Amministrazione di determinarsi in modo esplicito e conclusivo sull’istanza della ricorrente, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione amministrativa o notifica della stessa sentenza.

2 Non avendo l’Azienda Sanitaria ottemperato, il T.A.R. nominava per la bisogna con ordinanza n.-OMISSIS- un commissario ad acta.

Questi s’insediava in data 25 maggio 2017, ma poco prima l’A.S.P. aveva intrapreso attività esecutive della sentenza: il commissario chiedeva quindi chiarimenti al Tribunale.

In parallelo il T.A.R. veniva adito dalla società con un nuovo ricorso, depositato in data 4 agosto 2017, per l’esatta esecuzione della sentenza n. 2249/2016 e la declaratoria di nullità (o l’annullamento) delle deliberazioni dell’Azienda Sanitaria n. 1684 del 22 maggio 2017 e n. 2215 del 22 giugno 2017.

Sul nuovo ricorso il Tribunale si pronunciava con la sentenza non definitiva n. -OMISSIS-, che sarebbe passata anch’essa in giudicato.

Con tale decisione, deliberata in camera di consiglio, il Tribunale dichiarava la nullità della deliberazione dell’Amministrazione n. 2215/2017 di quantificazione delle somme dovute alla società, siccome emanata in epoca successiva all’insediamento del commissario, e affermava l’obbligo del medesimo di concludere il procedimento “tenendo presente, allo stato, la delimitazione del periodo di decorrenza del compenso… indicata nella deliberazione n. 1684 del 22 maggio 2017 (e salva successiva rimozione in sede giurisdizionale di tale provvedimento)”.

Nell’occasione il T.A.R. faceva, inoltre, le seguenti puntualizzazioni:

a) la questione relativa all’effettivo pagamento delle somme da quantificare esulava dalla portata della precedente sentenza, che riguardava il solo obbligo dell’Amministrazione di concludere il procedimento con una determinazione formale; b) restavano quindi estranee ai compiti del commissario valutazioni in merito a eventuali compensazioni in ragione di posizioni debitorie o creditorie reciproche, oppure all’accertamento di situazioni ostative quali quelle rappresentate nel corso del giudizio dall’Azienda; c) le questioni relative alla decorrenza del termine per il computo della revisione prezzi e all’attività svolta dal gruppo di lavoro istituito dall’Amministrazione, con le relative conclusioni, poiché concernenti l’accertamento del corretto importo revisionale, avrebbero dovuto essere esaminate nella competente sede cognitoria ordinaria (sicché per la trattazione delle relative domande veniva disposta l’iscrizione della causa sul ruolo ordinario).

3 Il commissario ad acta con determina del 13 giugno 2018 accertava indi che il compenso revisionale dovuto alla ricorrente per il periodo 21 luglio 2010 - 15 luglio 2014 ammontava ad € 1.100.218,34, oltre interessi.

La società con motivi aggiunti depositati il 20 febbraio 2019 chiedeva, pertanto, la condanna dell’Azienda alla corresponsione del compenso liquidato dal commissario con la determina appena citata (la quale non aveva formato oggetto di reclamo).

L’A.S.P. resisteva alla pretesa opponendo, tuttavia, che la società ricorrente con provvedimento prefettizio del 22 aprile 2014 era stata sottoposta a interdittiva antimafia, misura che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato aveva ritenuto, con la sentenza n. 3/2018, produttiva di una forma d’incapacità giuridica nei confronti della Pubblica Amministrazione, con conseguente inidoneità del soggetto colpitone a ricevere erogazioni pubbliche a qualsiasi titolo.

Sicché la domanda avversaria sarebbe risultata, almeno allo stato, improcedibile.

La ricorrente replicava che nella fattispecie sarebbero venute in rilievo delle somme dovute a titolo di corrispettivo contrattuale, le quali erano state fatte salve dagli art. 92 e 94 del d.lgs. n. 159/2011 ed erano estranee ai contenuti della menzionata decisione dell’Adunanza Plenaria.

Il T.A.R. con ordinanza n. -OMISSIS- accoglieva l’istanza cautelare formulata dalla ricorrente. L’ordinanza veniva allora gravata di appello dall’Amministrazione, che veniva però dichiarato improcedibile per il venir meno dell’interesse alla coltivazione della domanda cautelare.

La ricorrente, nel prosieguo, nel ribadire le proprie deduzioni, si doleva che il calcolo dei compensi revisionali fosse stato limitato a decorrere dal 21 luglio 2010 sulla base di una non condivisibile eccezione avversaria di prescrizione. L’Amministrazione, dal canto suo, precisava di avere individuato ai fini della prescrizione la detta data del 21 luglio 2010 “facendo retroagire di cinque anni la data di presentazione dell’istanza di revisione, risultante da vari giudicati”.

4 Il Tribunale, infine, all’esito del giudizio di primo grado, con la sentenza n. -OMISSIS- in epigrafe, assunta in sede cognitoria ordinaria, mentre si riteneva carente di giurisdizione in ordine “ad eventuali crediti che l’Azienda, in ipotesi, riterrà di opporre in compensazione e la cui cognizione sia di spettanza dell’autorità giudiziaria ordinaria”, nel merito così statuiva:

- rigettava il ricorso depositato il 4 agosto 2017 con riguardo al suo tema residuo della decorrenza del termine prescrizionale, condividendo sul punto la tesi dell’Amministrazione per cui il compenso revisionale sarebbe stato dovuto solo a far data dal 21 luglio 2010, mentre per il pregresso le ragioni del privato sarebbero state prescritte;

- accoglieva i motivi aggiunti di ricorso depositati il 20 febbraio 2019, addivenendo alla condanna dell’Azienda Sanitaria alla corresponsione delle somme liquidate dal commissario ad acta con la determina del 13 giugno 2018, inclusi gli interessi come ivi computati, e compresi quelli ulteriori sino alla data di effettivo soddisfo.

5 Seguiva la proposizione del presente appello da parte dell’Amministrazione avverso la pronuncia di condanna che l’aveva colpita.

L’A.S.P. di Catania con tale gravame riproponeva le proprie precedenti difese e sottoponeva a critica gli argomenti con cui il Tribunale le aveva disattese, essenzialmente lamentando, in sostanza, la mancata applicazione da parte del primo Giudice dei principi enunciati nella sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3/2018.

La sentenza in epigrafe formava altresì oggetto di appello incidentale, a opera della primitiva ricorrente, con riferimento al capo che aveva parzialmente respinto la sua domanda dichiarando prescritto il diritto alla revisione per il periodo anteriore al 21 luglio 2010. La società insisteva, difatti, per il riconoscimento dell’adeguamento revisionale con decorrenza sin dal 1° giugno 2001, o, in subordine, dal 28 febbraio 2009, con i conferenti interessi di mora.

La domanda cautelare corredante l’appello principale veniva abbinata al merito.

Nel prosieguo del giudizio le parti in causa sviluppavano le proprie ragioni a sostegno delle rispettive impugnative e a confutazione dei contrapposti appelli attraverso svariate memorie, scritti di replica e note di udienza.

La trattazione della controversia veniva frattanto rinviata nell’attesa della decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sfociata poi nella sentenza n. 23 del 26 ottobre 2020.

Alla pubblica udienza del 16 dicembre 2020 la causa è stata conclusivamente trattenuta in decisione.

6 La maggiore importanza concreta rivestita dall’appello principale induce il Consiglio a dare la precedenza al vaglio delle problematiche con esso sollevate, le quali consigliano di promuovere un intervento chiarificatore da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Prima di delineare l’oggetto della relativa rimessione ai sensi dell’art. 99 cod.proc.amm. è però opportuno sgombrare il campo dalle due eccezioni d’inammissibilità che sono state opposte a tale gravame.

La società appellata ha eccepito, in sintesi:

- la novità, e di riflesso l’inammissibilità, del motivo d’appello principale incentrato sul preteso diritto di ritenzione, in capo alla parte pubblica, delle somme dovute a titolo di revisione prezzi dalla stessa A.S.P. di Catania, la quale, si deduce, durante il giudizio di primo grado si era limitata a eccepire l’improcedibilità del ricorso del privato a cagione dell’interdittiva prefettizia;

- che l’Amministrazione, in primo grado, aveva omesso di sollevare ab initio la propria difesa vertente sulla condizione d’incapacità della società quale soggetto interdetto ai sensi del d.lgs. n. 159/2011.

In contrario, tuttavia, è agevole osservare che:

- all’argomento del menzionato “diritto di ritenzione” non corrisponde, in realtà, una sostanziale nuova difesa dell’Amministrazione, la quale anche in questo grado si è essenzialmente richiamata, in continuità con le precedenti difese, agli effetti preclusivi determinati dall’interdittiva prefettizia che ha colpito la società: il richiamo aggiuntivo al “diritto di ritenzione” dell’Azienda Sanitaria altro non fa che descrivere un riflesso pratico che discenderebbe dall’accoglimento della sua tesi;

- l’Amministrazione ha ritualmente eccepito nel corso del giudizio di primo grado la condizione d’incapacità dell’avversaria quale soggetto interdetto; né essa era tenuta a sollevare tale eccezione sin dal contesto del precedente giudizio, in tema di mero silenzio, definito dalla sentenza del T.A.R. n. 2249/2016, con la quale il primo Giudice si è limitato a dichiararne l’obbligo “di adottare una determinazione esplicita, formale e conclusiva (quale che sia) sull'istanza” oggetto di causa, senza pertanto pregiudicare in alcun modo il merito della vertenza; quanto, infine, alla fase processuale esecutiva immediatamente successiva, quella che ha condotto alla pronuncia della sentenza non definitiva n. 772/2018, nel testo di quest’ultima è stato dato atto che l’Amministrazione aveva (ormai già) sottoposto al T.A.R. “la questione di interpretazione dell’art. 67 del D.Lgs. n° 159 del 2011, e cioè se la norma possa essere letta nel senso di precludere il versamento anche dei compensi revisionali o di somme dovute a titolo di risarcimento danni a favore di una impresa incisa da interdittiva prefettizia”.

Le due eccezioni possono pertanto essere sin d’ora respinte, in quanto infondate.

7a Accedendo al merito di causa, il Collegio deve subito rimarcare che l’Amministrazione appellante, nel fondare il proprio gravame sull’enunciazione di principio della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3/2018 che l’art. 67, comma 1, lett. g) del Codice delle leggi antimafia intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della P.A. (ogni “esborso di matrice pubblicistica”) a favore di imprese colpite da interdittiva prefettizia, non ha dedicato subito altrettanta attenzione anche alle specifiche norme che la stessa fonte normativa detta per i rapporti contrattuali in corso al tempo dell’informativa del Prefetto.

Va ricordato, infatti, che gli artt. 92 e 94 del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 fanno salvo, per il caso di recesso contrattuale indotto dal sopraggiungere di un’informazione antimafia di segno interdittivo a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite nonché il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.

Formulazione, questa, che ha già portato l’Adunanza plenaria a precisare, con la sentenza n. 23/2020, che “è la “salvezza” del pagamento il vero “limite” normativo (ovvero l’eccezione agli effetti della revoca e del recesso dai contratti), contribuendo invece il limite delle “utilità conseguite” solo alla definizione del “quantum” di una salvezza già verificata sussistente.”

7b In merito alla previsione legislativa testé rammentata non sembra superfluo osservare, introduttivamente, che il limite delle “utilità conseguite”, per quanto testualmente riferibile anche al “valore delle opere già eseguite”, sembra poter presentare un effettivo ruolo pratico, almeno per gli appalti di servizi, non tanto rispetto al detto “valore”, quanto soprattutto rispetto all’ulteriore previsione del rimborso delle spese sostenute in funzione dell’esecuzione residua.

La regola della salvezza del “valore delle opere già eseguite” richiede infatti inevitabilmente di avere riguardo, in ambito contrattuale, in primo luogo, al corrispettivo contemplato dal contratto stesso (il più delle volte preceduto da una procedura di evidenza pubblica). E in proposito sembrerebbe configurabile una ragionevole presunzione nel senso che, almeno nella normalità dei casi (con eccezione, quindi, dell’eventualità che il contratto assicuri al privato una remunerazione abnorme), il riconoscimento all’impresa del corrispettivo contrattuale correlato alle “opere già eseguite” possa trovare giustificazione, al tempo stesso, non solo quale espressione del “valore” delle dette opere, ma anche sotto il profilo delle “utilità conseguite” dall’Amministrazione attraverso le opere stesse.

7c La previsione legislativa della salvezza del valore delle opere eseguite sembra, quindi, subito profilarsi intesa essenzialmente a preservare, per il periodo in cui il contratto d’appalto abbia trovato attuazione, il rispetto del relativo sinallagma.

Come più ampiamente osservato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 23/2020, “appare confliggente con evidenti ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell’attribuzione causale, addossare tutto il peso delle conseguenze … in capo al privato contraente, consentendo all’amministrazione, … di conseguire un indebito arricchimento.

La Sez. III dello stesso Consiglio di Stato, con la sentenza non definitiva 23 dicembre 2019 n. 8672 (sub 3.9.3.), ha rilevato, analogamente, che ciò che il comma 3 dell’art. 92 cit riconosce al soggetto interdetto è “il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento”. E che “lo ius retentionis appare razionalmente giustificabile nel contesto di prestazioni corrispettive, preventivamente concordate dalle parti in quanto rispondenti ai loro specifici interessi. La stabilizzazione dei relativi effetti costituisce, in siffatto contesto, una scelta di minor costo e di sicuro vantaggio rispetto a quella del ripristino dello status quo ante; ed il mantenimento delle prestazioni eseguite preserva l'equilibrio contrattuale senza che si renda necessaria alcuna restituzione.”

7d La salvezza imposta dalla legge sul punto del “pagamento del valore delle opere già eseguite”, stante la sua ratio di salvaguardia dell’equilibrio del sinallagma per evitare ingiustificati arricchimenti, sembra peraltro possedere una valenza non meramente conservativa, ma attributiva di una tutela piena.

La norma indubbiamente si presta a giustificare la ritenzione del corrispettivo contrattuale che fosse stato già conseguito dal privato per le “opere già eseguite”.

Essa dovrebbe però valere, nello stesso modo, anche a permettere all’impresa, che abbia eseguito delle opere non ancora remunerate, di conseguire il corrispettivo per esse contrattualmente previsto, ove lo stesso non le fosse stato ancora erogato.

Diversamente, si verificherebbe proprio quell’ingiustificato arricchimento che il legislatore ha inteso evitare facendo salvo il “pagamento del valore delle opere già eseguite”.

Il sopravvenire dell’informazione interdittiva, pur cagionando una condizione d’incapacità, non dovrebbe perciò ostare alla possibilità, per il soggetto interdetto, di agire in giudizio per la percezione del corrispettivo contrattuale riflettente le prestazioni in precedenza regolarmente rese.

Se è vero che “l’effetto inabilitante conseguente alla interdittiva è regola generale nei rapporti con la pubblica amministrazione – o come tale si connota nella lettura che ne ha reso nel 2018 l’Adunanza plenaria” (così la sentenza n. 8672/2019 cit.), è altrettanto vero, alla stregua di un testuale dato legislativo, che la salvezza contemplata dal d.lgs. 159/2011 è prevista proprio quale eccezione a tale effetto inabilitante.

E non pare dubbio che tale eccezione, ancorché destinata a ricevere, proprio in quanto tale, una “stretta interpretazione” (Ad.Pl., n. 23/2020), debba vedersi comunque riconosciuta un’ampiezza corrispondente a quella richiesta dalla presenza effettiva della ratio che l’ha imposta all’attenzione del legislatore.

Questa impostazione è stata linearmente seguita dalla Corte d’appello di Catania con la sentenza n. 1211 del 10 luglio 2020, resa tra la società qui appellata e una diversa Amministrazione, e riguardante un credito del medesimo privato al residuo corrispettivo contrattualmente stabilito ancora dovutogli. La pronuncia, che argomenta dalla “conservazione del principio di sinallagmaticità delle prestazioni convenute” ritraibile dai citati artt. 92 e 94, ad avviso di questo Consiglio si presenta quindi condivisibile.

A ulteriore conforto di questa lettura, e pertanto nel senso che la condizione di soggetto interdetto non sia incompatibile con la possibilità di agire in giudizio per conseguire il corrispettivo per le opere anteriormente eseguite, vale considerare anche la previsione del comma 3 dell’art. 94, che consente all’Amministrazione, in casi particolari, pur nel sopravvenire dell’interdittiva, di proseguire nel rapporto contrattuale con l’interdetto portandolo al suo naturale epilogo.

Tale norma, come è stato ritenuto dal T.A.R., presuppone invero implicitamente che l’interdetto, in tale evenienza, debba ricevere per le proprie prestazioni l’intera remunerazione contrattuale (se la norma venisse intesa diversamente non potrebbe sottrarsi a una fondata censura d’incostituzionalità, giacché sancirebbe una sorta di procedimento ablatorio senza indennizzo).

Nella fattispecie concreta, tuttavia, quest’ultima norma non è applicabile, dal momento che il recesso contrattuale indotto dall’interdittiva è stato puntualmente disposto. Sicché l’esito della controversia dipende essenzialmente dall’interpretazione della regola posta dal comma 2 dello stesso articolo 94.

8 Oggetto specifico di controversia, in questa sede, è la possibilità del privato di ottenere il compenso revisionale per il periodo di svolgimento contrattuale anteriore al recesso.

Dal momento che la causa riguarda gli effetti dell’interdittiva su contratti d’appalto in corso, non si presentano allora pertinenti i richiami fatti dall’appellata alle enunciazioni svolte da questo Consiglio in occasione delle proprie sentenze nn. 3 e 19/2019. Formavano infatti oggetto di queste ultime dei rapporti di tutt’altra tipologia, appartenenti al genus dei finanziamenti pubblici, in cui, oltretutto, la prestazione pecuniaria dell’Amministrazione era stata conseguita dal privato largamente prima del sopraggiungere dell’informativa antimafia (e, come ha notato l’A.S.P. di Catania, la richiesta di revisione avanzata dopo l’interdittiva non può essere assimilata a un’erogazione chiesta e ottenuta, invece, prima della misura prefettizia).

8a In definitiva, la controversia richiede di stabilire se la revisione prezzi costituisca a tutti gli effetti parte integrante del corrispettivo contrattuale, nel qual caso la salvezza legislativa sopra ricordata imporrebbe di confermare il decisum di prime cure; o se, invece, debba prevalere una percezione diversa dell’istituto revisionale, eventualmente correlata anche a una lettura radicalmente restrittiva della norma legislativa improntata alla salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite”.

L’A.S.P. di Catania adduce infatti, in memoria, che nel presente giudizio non è in discussione la spettanza al privato del corrispettivo contrattuale, a suo tempo già versato, ma piuttosto quella del diverso riconoscimento di una revisione prezzi, la quale “non costituisce un diritto automatico dell’appaltatore” (memoria del 13 novembre 2020, pag. 8); e aggiunge che la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite” forma oggetto di una norma di eccezione, come tale da sottoporre a stretta interpretazione. Laddove l’originaria ricorrente oppone, a tutto ciò, che la funzione tipica della revisione prezzi è proprio quella di ridefinire il corrispettivo, adeguandolo alle sopravvenienze onde mantenere l’equilibrio delle prestazioni e ristabilire il sinallagma.

Tale è il nucleo della controversia, che risiede in una questione che, specialmente per la peculiare collocazione sistematica dell’istituto revisionale, sembra suscettibile di dar adito a contrasti giurisprudenziali.

E d’altra parte l’Adunanza Plenaria, alla quale si devono i principi giurisprudenziali di fondo della delicata materia, nel mentre è stata già tratta a occuparsi dapprima dell’effetto prodotto dall’interdittiva antimafia sul soggetto destinatario, e del perimetro da assegnare alla norma preclusiva dell’art. 67, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 159/2011 (sentenza n. 3/2018), e poi, più di recente, della riconduzione ai soli contratti d’appalto (con esclusione quindi dei finanziamenti e contributi pubblici erogati per finalità d’interesse collettivo) delle previsioni di salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente (sentenza n. 23/2020), non ha avuto ancora occasione, fin qui, di mettere specificamente a fuoco l’importante tema degli effetti dell’interdittiva sugli equilibri dei contratti d’appalto in itinere.

8b Né alla problematica in esame questo Consiglio potrebbe sottrarsi sulla scia dell’eccezione, opposta dalla parte privata, che sulla qualificazione giuridica, da parte del T.A.R., del compenso revisionale quale “corrispettivo contrattuale” si sarebbe ormai formato un giudicato interno, in difetto di una specifica contestazione di tale punto nell’atto di appello principale.

La sentenza di primo grado era strutturalmente impostata sul dissenso dai contenuti della pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 3/2018, per avere il T.A.R. adottato, invece, un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 67, comma 1, lett. g) del Codice delle leggi antimafia: e l’Amministrazione appellante ha sottoposto a critica tale impostazione lamentando, appunto, la mancata applicazione da parte del primo Giudice dei principi espressi dall’Adunanza.

Deve poi sottolinearsi che il passaggio della pag. 16 della sentenza in epigrafe che viene richiamato dall’appellata, possedendo natura solo prettamente incidentale, non dava corpo a un’autonoma motivazione del decisum di prime cure, né comunque integrava, in se stesso, un capo autonomo della sentenza.

Esso, pertanto, non onerava l’appellante della formulazione di un apposito e specifico mezzo di gravame.

Secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale costituisce, invero, capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno, soltanto quello che risolva una questione controversa tra le parti che sia caratterizzata, inoltre, da una propria individualità e una propria autonomia sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum del tutto indipendente, e non anche quello relativo ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica o mere argomentazioni della statuizione in concreto adottata, oppure valutazioni di presupposti necessari di fatto che, unitamente ad altri, semplicemente concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass. civ., Sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2379; I, 18 settembre 2017, n. 21566; III, 30 ottobre 2007, n. 22863).

8c Tutto ciò posto, per concentrarsi sul tema della natura della revisione prezzi e dei suoi rapporti con il corrispettivo contrattuale è utile prendere le mosse dalle norme positive che concernono l’istituto revisionale.

L’art. 44 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, nel riformulare l'art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ne ha ribadito la regola per cui “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo”, precisando che la revisione viene operata sulla base di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6 (prezzi del mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle pubbliche amministrazioni, comparati, su base statistica, con i prezzi di mercato).

La regola è transitata (senza mutamenti sostanziali ai fini di causa) nell’art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, che difatti recita: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all'articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5.”

8d Ora, la giurisprudenza della Corte di Cassazione afferma che le posizioni soggettive del privato riflettenti l’applicazione della clausola di revisione dei prezzi si collocano in un'area di rapporti nella quale l’Amministrazione agisce esercitando poteri pubblicistici, giacché la normativa prevede che “la revisione venga operata sulla base di una istruttoria condotta unilateralmente da soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione in base a criteri dettati dalla legge e, quindi, a seguito di un procedimento amministrativo, che necessariamente deve essere seguito da un provvedimento amministrativo di riconoscimento o di diniego del diritto ad un maggior compenso a titolo di revisione prezzi” (Cass. civ., SS.UU., 17 aprile 2009, n. 9152; cfr. anche l’analoga pronuncia 31 ottobre 2008, n. 26298, che ha affermato che con la pretesa alla revisione dei prezzi il privato aveva fatto valere un interesse legittimo, “posto che la stessa L. n. 537 del 1993, art. 6, pur ammettendo la revisione, affida al potere discrezionale della pubblica amministrazione l'accertamento dei presupposti per il suo riconoscimento”).

8e Anche la giurisprudenza amministrativa inquadra peraltro l’operatività dell’istituto nell’area del potere e del diritto pubblico.

Nella recente decisione della Sez. II del Consiglio di Stato 6 maggio 2020 n. 2860 le acquisizioni giurisprudenziali di settore sono state così testualmente compendiate:

“- l'art. 6, comma 4, della L. n. 537 del 1993, come novellato dall'art. 44 della L. n. 724 del 1994, prevede che tutti i contratti pubblici ad esecuzione periodica o continuativa devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo pattuito;

- tale disposizione costituisce norma imperativa non suscettibile di essere derogata in via pattizia, ed è integratrice della volontà negoziale difforme secondo il meccanismo dell'inserzione automatica;

- la finalità dell'istituto è da un lato quella di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell'eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato: Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295; Sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994), dall'altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato: Sez. V, 23 aprile 2014, n. 2052; Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074);

- l'obbligatoria inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo, da operare sulla base di un'istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell'Amministrazione, non comporta anche il diritto all'automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l'Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti;

- in tal senso si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 24 gennaio 2013, n. 465), rilevando che la posizione dell'appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuazione della la revisione in base ai risultati dell'istruttoria, poiché questa è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l'interesse dell'appaltatore alla revisione e l'interesse pubblico connesso al risparmio di spesa, ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato;

in ordine alla fissazione dell'adeguamento spettante, è da escludere che la pretesa vantata dal privato fornitore abbia la consistenza di un diritto soggettivo perfetto suscettibile di accertamento e condanna da parte del giudice amministrativo; infatti, le citate disposizioni prescrivono che la determinazione sia effettuata dalla stazione appaltante all'esito di un'istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi;

- l'istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un'attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l'esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell'amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest'ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con l'amministrazione solo con riguardo a questioni involgenti l'entità della pretesa;

- di conseguenza, la posizione del privato contraente si articolerà nella titolarità di un interesse legittimo con riferimento all' an della pretesa ed eventualmente in una situazione di diritto soggettivo con riguardo al quantum, ma solo una volta che sarà intervenuto il riconoscimento della spettanza di un compenso revisionale; peraltro tale costruzione, ormai del tutto ininfluente ai fini del riparto di giurisdizione, mantiene inalterata la sua rilevanza con riferimento alle posizioni giuridiche soggettive del contraente dell'Amministrazione, proprio per effetto dell'art. 133, lett. e), punto 2), c.p.a., che assoggetta l'intera disciplina della revisione prezzi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

- la qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, comporta che il privato contraente potrà avvalersi solo dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell'interesse legittimo. Ne deriva che sarà sempre necessaria l'attivazione - su istanza di parte - di un procedimento amministrativo nel quale l'Amministrazione dovrà svolgere l'attività istruttoria volta all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell'adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l'importo. In caso di inerzia da parte della stazione appaltante, a fronte della specifica richiesta dell'appaltatore, quest'ultimo potrà impugnare il silenzio inadempimento prestato dall'Amministrazione, ma non potrà demandare in via diretta al giudice l'accertamento del diritto, non potendo questi sostituirsi all'amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465);

- i risultati del procedimento di revisione prezzi sono dunque espressione di facoltà discrezionale, che sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve essere impugnato nel termine decadenziale di legge (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2015, n. 5375; 24 gennaio 2013, n. 465)” (in termini, la citata sentenza n. 2860/2020; sui principi esposti possono vedersi anche le sentenze Sez. V, 14 aprile 2020 n. 2386, dove si ribadisce come la giurisprudenza abbia chiarito che “la pretesa al compenso revisionale non ha la consistenza di un diritto soggettivo perfetto, in quanto la posizione giuridica soggettiva ha piuttosto la natura di interesse legittimo rispetto al potere-dovere della stazione appaltante di provvedere in merito all'istanza presentata dall'impresa interessata”, venendo in rilievo “un modello procedimentale volto al compimento di un'attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l'esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell'amministrazione nei confronti del privato contraente”; Sez. II, 18 novembre 2019, n. 7859; Sez. V, 18 giugno 2019, n. 4116).

8f Al tempo dell’interdittiva prefettizia, pertanto, l’attuale appellata versava in una posizione d’interesse legittimo al conseguimento della revisione prezzi (avendo, tra l’altro, formalmente proposto la propria istanza revisionale solo nel luglio 2015, ossia più di un anno dopo l’informativa che l’aveva colpita).

8g Occorre tuttavia subito aggiungere, per converso, che tale interesse legittimo si correla a una discrezionalità essenzialmente tecnica, che come tale non osterebbe a una lettura del compenso revisionale quale fattore pur sempre integrativo del corrispettivo contrattuale. Prospettiva che varrebbe, allora, a reputare applicabile anche a tale compenso la norma che fa salvo, in favore del privato pur colpito da interdittiva, il pagamento del valore delle opere già eseguite.

L’osservazione incidentale del T.A.R., sopra già menzionata, per cui nella specie non vengono in rilievo somme dovute a titolo di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo”, bensì “corrispettivi contrattuali, sebbene nella peculiare forma legata al meccanismo dell’istituto della revisione prezzi, dovuti in ragione di prestazioni già da tempo eseguite”, appare del resto empiricamente e pragmaticamente corretta.

La revisione prezzi serve difatti a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. E la tesi di parte privata che ne riconduce la funzione proprio a una ridefinizione del corrispettivo pattuito, tesa a mantenere l’equilibrio delle prestazioni e ristabilire il sinallagma, trova anch’essa pieno riscontro nella giurisprudenza, oltre che già nella stessa denominazione tradizionale dell’istituto (cfr., ad es., C.d.S., III, 22 ottobre 2013, n. 5128: “ diritto alla revisione non è altro che il diritto ad un diverso e più vantaggioso calcolo del quantum spettante al prestatore del servizio”; III, 9 aprile 2014, n. 1697, che richiama e conferma la posizione giurisprudenziale secondo la quale con la revisione “la legge ha inteso munire i contratti di forniture e servizi di un meccanismo che, a cadenze determinate, comporti la definizione di un "nuovo" corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto riferito alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale di riferimento”; in termini, VI, 27 novembre 2012, n. 5997; Cass. civ., II, 8 aprile 1999, n. 3393, che ha puntualizzato che “L'obbligo del committente di pagare all'appaltatore il prezzo dell'appalto, ossia la somma di danaro che costituisce il corrispettivo della prestazione di quest'ultimo, ha la sua matrice nel contratto, ed integra dunque un debito di valuta. Tale prezzo non muta natura giuridica se viene revisionato, vuoi per fatti non imputabili al committente (art. 1664 cod. civ.), vuoi per le variazioni del progetto che egli ha facoltà di disporre in corso d'opera”).

Poiché, inoltre, lo scopo della norma di salvezza più volte citata risiede nella preservazione dell'equilibrio contrattuale e nello sfavore per gli ingiustificati arricchimenti, essa risulta porre con ciò in primo piano un raffronto tra valori economici: e in coerenza con una simile prospettiva potrebbe ben risultare recessivo il punto che la pretesa revisionale non possieda già ab origine natura di diritto di credito, ma sia inizialmente qualificabile come interesse legittimo.

A conferma della funzione tecnica dell’istituto della revisione del prezzo dell’appalto, e della sua complementarità alla causa dello schema contrattuale in discorso, non guasta infine rammentare che l’istituto è contemplato anche dal codice civile (art. 1664).

8h Le problematiche di compatibilità con la Costituzione e con il diritto dell’Unione che nella memoria conclusiva dell’appellato (pagg. 33-34) figurano solo del tutto genericamente abbozzate non risultano suscettibili di elidere la rilevanza della questione interpretativa appena esposta.

9 Conclusivamente, per le ragioni illustrate il Collegio sottopone all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la seguente questione: se gli artt. 92 e 94 del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, nel fare salvo, per il caso di recesso dal contratto d’appalto indotto dal sopravvenire di un’informazione antimafia interdittiva a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite, implichino il riconoscimento all’appaltatore medesimo della possibilità di percepire, proprio per le opere già eseguite, anche il compenso revisionale contrattualmente previsto.

Salvo che l’Adunanza plenaria ritenga di decidere per intero la causa ai sensi dell’art. 99, comma 4, cod.proc.amm., il Consiglio se ne riserva, all’esito della restituzione degli atti da parte dell’Adunanza stessa, la decisione del merito, alla luce dei principi di diritto che l’Adunanza enuncerà.

P.Q.M.

Il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, in sede giurisdizionale, visto l’art. 10 comma 4 del d. lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 e l’art. 99 c.p.a., non definitivamente pronunciando sugli appelli principale e incidentale in epigrafe, deferisce all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la seguente questione: se gli artt. 92 e 94 del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, nel fare salvo, per il caso di recesso dal contratto d’appalto indotto dal sopravvenire di un’informazione antimafia interdittiva a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite, implichino il riconoscimento all’appaltatore medesimo della possibilità di percepire, proprio per le opere già eseguite, anche il compenso revisionale contrattualmente previsto.

Spese al definitivo.

Manda alla segreteria per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere l'Adunanza plenaria.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la società appellata.

 

Guida alla lettura

    Con ordinanza n. 48 del 2021, il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione relativa alla possibilità per l’impresa colpita da interdittiva antimafia di percepire per le opere già eseguite anche il compenso revisionale contrattualmente previsto.

    L’oggetto della rimessione è rappresentato dalla necessità di comprendere gli effetti dell’interdittiva sugli equilibri dei contratti d’appalto in itinere. In particolare, il punto centrale della questione è costituito dall’inquadramento della natura giuridica della pretesa revisionale quale diritto di credito o interesse legittimo. Nel primo caso, infatti, al momento del recesso dal contratto per l’intervenuta informativa antimafia, la pretesa revisionale dovrebbe essere intesa quale fattore integrativo del corrispettivo contrattuale. Viceversa, nel secondo caso la situazione soggettiva sarebbe di interesse legittimo pretensivo e necessiterebbe della spendita del potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione.

    La necessità dell’intervento del Massimo Consesso Amministrativo è determinata dall’esigenza di pervenire alla corretta esegesi degli artt. 92 e 94 del d.lgs 159/2011, relativamente alla clausola di salvezza per le opere già eseguite. L’ascrizione della clausola di revisione del prezzo nell’ambito del corrispettivo contrattuale, determinerebbe la sussistenza di un diritto di credito del privato da far valere nei confronti dell’amministrazione non quale Autorità, ma iure privatorum.

    Il Collegio ha ricordato che l’Adunanza Plenaria n. 3/2018 ha elaborato i principi della materia, perimetrando l’ambito di applicazione dell’art. 67 comma 1, lett. g) del d.lgs n. 159/2011 concernente l’esclusione dell’impresa colpita da interdittiva antimafia da finanziamenti e contributi pubblici. Tuttavia, non vi sono indicazioni circa l’incidenza degli effetti dell’interdittiva antimafia sull’equilibrio contrattuale dei contratti in itinere.

    Sul punto, l’orientamento formatosi in giurisprudenza afferma che le posizioni del privato concernenti la clausola di revisione dei prezzi si collocano in un’area di rapporti in cui l’amministrazione agisce esercitando poteri pubblicistici, poiché la relativa disciplina stabilisce che “la revisione venga operata sulla base di criteri dettati dalla legge e, quindi, a seguito di un procedimento amministrativo, che necessariamente deve essere seguito da un provvedimento amministrativo di riconoscimento o diniego del diritto ad un maggior compenso a titolo di revisione dei prezzi”. In altri termini, la posizione soggettiva del privato che chiede l’operatività della clausola di revisione dei prezzi viene inquadrata quale posizione di interesse legittimo pretensivo relativamente all’an della pretesa, in considerazione del fatto che la finalità dell’istituto della revisione dei prezzi è quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alla pubbliche amministrazioni non siano col tempo esposte al rischio di una diminuzione qualitativa. Tale assunto condurrebbe alla sottoposizione della richiesta di revisione dei prezzi al bilanciamento degli interessi operato dalla pubblica amministrazione, anche in relazione alle sopravvenienze concernenti le opere già eseguite prima del recesso. Più precisamente, solo all’esito di un procedimento amministrativo che riconosca l’an della pretesa, il privato vanterebbe un diritto soggettivo sul quantum della stessa.

    Il Collegio, nel rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, ha precisato che nell’ipotesi di revisione dei prezzi la pubblica amministrazione esercita la discrezionalità tecnica, elemento che consentirebbe  di accedere ad una lettura diversa del compenso revisionale, da intendere quale fattore integrativo del corrispettivo contrattuale. 

    Nel ricostruire la clausola di revisione del prezzo quale elemento integrativo del compenso revisionale, la Sezione valorizza il dato normativo che fa salve le prestazioni già eseguite. Tale inciso, diversamente dalla disposizione in tema di contributi e finanziamenti pubblici, metterebbe in luce la funzione della clausola di revisione dei prezzi, volta a mantenere l’equilibrio delle prestazioni e ristabilire il sinallagma.

    In particolare, lo scopo della norma di salvezza risiederebbe nella preservazione dell’equilibrio contrattuale e nello sfavore per gli ingiustificati arricchimenti. Riconducendo la funzione della clausola di revisione dei prezzi all’ambito contrattuale, la pretesa revisionale potrebbe essere qualificata ab origine quale diritto di credito e, come tale, indipendente dall’esercizio di un potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione. Tale assunto è corroborato dalla giurisprudenza che ha puntualizzato che: “l’obbligo del committente di pagare all’appaltatore il prezzo dell’appalto, ossia la somma di denaro che costituisce il corrispettivo della prestazione di quest’ultimo, ha la sua matrice nel contratto, ed integra dunque un debito di valuta. Tale prezzo non muta natura giuridica se viene revisionato, vuoi per fatti non imputabili al committente (art. 1664 cod. civ.), vuoi per le variazioni del progetto che egli ha la facoltà di disporre in corso d’opera” (Cons. Stato VI, 5997/2012).

    E d’altronde, l’incidenza delle sopravvenienze sull’equilibrio  del contratto è espressamente prevista dall’art. 1664 c.c. che dispone la revisione del prezzo.

    Alla luce del contrasto di cui si è dato atto e delle distinte conseguenze remediali connesse all’adesione all’una o all’altra tesi, il Collegio ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria, sottoponendo il seguente quesito: “se gli artt. 92 e 94 del d.lgs 6 settembre 2011 n. 159, nel fare salvo, per il caso di recesso dal contratto di appalto indotto dal sopravvenire di un’informazione antimafia interdittiva a carico del privato contraente, il pagamento delle opere già eseguite, implichino il riconoscimento all’appaltatore medesimo della possibilità di percepire, proprio per le opere già eseguite, anche il compenso revisionale contrattualmente previsto”.