Consiglio di Stato, sez. V, 28 gennaio 2021, n. 833
Il principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche mira a garantire una conoscenza piena, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, dei soggetti che intendono contrarre con le amministrazioni stesse, consentendo una verifica preliminare e compiuta dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2012, n. 8).
Ne discende che, in linea di principio, deve ritenersi preclusa qualsiasi modificazione dei raggruppamenti temporanei che hanno partecipato a una gara pubblica, in quanto la modifica determinerebbe, almeno in parte, la modifica dello stesso soggetto che vi partecipa (Cons. Stato, sez. V, 20 gennaio 2015, n. 169.).
La normativa nazionale che prevede l’esclusione del concorrente che versa in una situazione di irregolarità contributiva grave e definitivamente accertata è pienamente in linea con le cause di esclusione obbligatorie previste dall’art. 57, par. 2 della Direttiva 2014/24/UE
La questione posta all’attenzione del Collegio verte sulla possibilità o meno che, nei confronti di un raggruppamento temporaneo di imprese, sia ammessa la sostituzione dei mandanti incorsi in specifici casi di irregolarità contributiva.
Il ragionamento seguito dalla Sezione trova riscontro nel fatto che qualsiasi modificazione soggettiva nella procedura di gara determinerebbe necessariamente l’assenza di piena conoscenza dei requisiti degli operatori partecipanti alla selezione.
Tale cognizione risulta di fondamentale importanza in quanto, in caso di loro assenza, le amministrazioni sarebbero impossibilitate ad aggiudicare definitivamente l’appalto.
Infatti una modifica dei soggetti coinvolti nella procedura non permetterebbe al soggetto aggiudicatore di constatare la presenza dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti, necessari per il raggiungimento dell’esito positivo della stessa competizione. Giustamente, di conseguenza, il Consiglio di Stato, nel richiamare la specifica normativa (articolo 48 del d. lgs. n. 50/2016) e la giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 20 gennaio 2015, n. 169), sancisce l’impossibilità di una qualsiasi modificazione dei raggruppamenti temporanei che hanno partecipato ad una gara pubblica; in concreto tale intervento causerebbe, almeno in parte, la consistente modifica dello stesso soggetto che vi partecipa.
Un eventuale intervento di cambiamento degli interessati, continua tuttavia il Collegio, sarebbe giustificato, come espressamente sancito dal sopra indicato art.48 del d.lgs. 50/2016, nei prescritti casi di cui ai commi 17 e 18 dell’articolo in questione. A tal proposito i giudici evidenziano come tali disposizioni prevedano che sia ammessa la sostituzione dei soggetti solo nel corso dell’esecuzione dell’appalto[1]. Infatti, in tale circostanza, sarebbe legittimamente portato a termine il programma già in fase di esecuzione, nel rispetto, pertanto, del legittimo affidamento dei sopraindicati operatori in ordine all’esito favorevole dell’aggiudicazione.
Da ultimo la Sezione esamina l’ulteriore motivo di gravame in base al quale l’appellante sollecita una rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea della questione pregiudiziale inerente la conformità dell’interpretazione dell’art. 80 del d. lgs. n. 50/20 alle direttive europee in materia di appalti pubblici.
In merito a tale eccezione il supremo Consesso evidenzia come non sussista alcun contrasto tra la norma nazionale, di cui all’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, ed il tenore dell’art. 38, par. 5, comma 1, della direttiva 2014/23/UE nonché con l’art. 57, par. 2, comma 1, e par.3 della direttiva 2014/24/UE.
In relazione a tale ultima questione i giudici rilevano come la normativa nazionale che prevede l’esclusione del concorrente, che si trova in un contesto di irregolarità contributiva grave e definitivamente accertata, non infrange con le cause di esclusione obbligatorie previste dall’art. 57, par. 2 della Direttiva 2014/24/UE.
[1] Si cita, a tal proposito, Consiglio di Stato, sez. III, 02.04.2020 n. 2245, che ammette, in fase di esecuzione, la modifica del raggruppamento .
LEGGI LA SENTENZA
Pubblicato il 28/01/2021
N. 00833/2021REG.PROV.COLL.
N. 00813/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 813 del 2020, proposto da
Palomar S.p.A., Grisdainese S.r.l., Punto Rec Studios S.r.l., Engineering Associates S.r.l. e Karmachina S.r.l., tutte in proprio r rispettivamente la prima capogruppo mandataria e le altre mandanti del relativo costituendo raggruppamento temporaneo di imprese, ciascuna in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Harald Bonura e Giuliano Fonderico, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuliano Fonderico in Roma, al corso Vittorio Emanuele II, n. 173;
contro
Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefania Rita Ceci e Adriana Pavesi, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti – Inarcassa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Simone Pietro Emiliani, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II, n. 564/2020, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Banca d'Italia e di Inarcassa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2020, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 4, comma 1, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, come richiamato dall'art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137, il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti, pure da remoto, gli avvocati Fonderico, Ceci, Pavesi e, in sostituzione dell'avv. Emiliani, Gambacciani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con bando di gara pubblicato in data 3 gennaio 2018 la Banca d'Italia indiceva una procedura aperta per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dei “servizi di progettazione di allestimenti espositivi e fornitura dei prodotti audiovisivi e multimediali”, per realizzare uno spazio espositivo permanente nell’ambito del Centro Carlo Azeglio Ciampi, dedicato all’educazione monetaria e finanziaria, all’interno del complesso immobiliare di via Nazionale, 191 e di via Milano, 10-30.
All’esito della acquisizione e della valutazione comparativa delle offerte il raggruppamento temporaneo tra Palomar s.p.a., Punto REC Studios s.r.l., Karmachina s.r.l., Engineering Associates s.r.l., Grisdainese s.r.l., arch. Stefano Gris e arch. Silvia Dainese si classificava al primo posto nella graduatoria, avendo conseguito il maggior punteggio, sicché – stante l’assenza di profili di anomalia – diventava destinataria della proposta di aggiudicazione.
Avviate, in pendenza dell’approvazione della proposta, ai sensi dell’art. 33 del d. lgs n. 50/16, le verifiche sul possesso dei requisiti generali e speciali di partecipazione alla gara, risultava peraltro che i mandanti arch. Stefano Gris e arch. Silvia Dainese non erano in regola con gli obblighi contributivi nei confronti del proprio ente previdenziale (cfr., rispettivamente, le certificazioni del 21 e del 23 gennaio 2019): per l’effetto, la stazione appaltante sollecitava gli opportuni chiarimenti prima ad Inarcassa (con nota n. 0113100 del 28 gennaio 2019) e quindi anche al raggruppamento interessato (con nota n. 0285842 del 4 marzo successivo).
A riscontro della richiesta Inarcassa specificava che l’arch. Stefano Gris era in regola con gli adempimenti contributivi alla data 18 febbraio 2019 (cfr. nota prot. n. 148556 del 18 febbraio 2019), mentre l’arch. Silvia Dainese era in regola alla data del 14 febbraio 2018, laddove alla data del 6 febbraio 2019 le era stata notificata la decadenza dal piano di rateazione riferito al conguaglio dovuto per l’anno 2016, con scadenza ordinaria 31 dicembre 2017, stante il mancato rispetto del piano per omesso versamento dell’ultima rata, regolarizzata solo tardivamente in data 20 febbraio 2019 (cfr. nota Inarcassa prot. n. 0246567 del 5 marzo 2019); comunicava inoltre che non risultavano pervenuti da parte dell’associata ricorsi amministrativi o giurisdizionali.
Per parte sua il raggruppamento appellante, nell’allegare e documentare l’avvenuta regolarizzazione delle posizioni dei professionisti associati alla data 5 marzo 2019, rappresentava che “la temporanea irregolarità [fosse] da imputare esclusivamente a ritardo di registrazione di Inarcassa e non a un inadempimento da parte dei due architetti”.
Per tal via la stazione appaltante sollecitava ulteriori chiarimenti ad Inarcassa che a riscontro: a) confermava la posizione di irregolarità contributiva dell’arch. Dainese alla data del 23 gennaio 2019, in quanto il debito previdenziale sussistente a quella data era stato sanato solo successivamente, con versamento del 20 febbraio 2019; b) escludeva che l’irregolarità rilevata fosse riconducibile a problematiche nell’acquisizione dei pagamenti da parte del sistema; c) confermava altresì, quanto alla posizione dell’arch. Gris, le già prodotte certificazioni (di irregolarità contributiva alla data del 21 gennaio 2019 e di regolarità alla data del 18 febbraio 2019, precisando che alla data del 14 febbraio 2019 il professionista risultava in regola con gli adempimenti dovuti.
All’esito delle richiamate interlocuzione, che confermavano la perdita, sia pure temporanea, del requisito di regolarità contributiva, la Banca d’Italia, con provvedimento n. 0426237 del 29 marzo 2019 disponeva l’estromissione del raggruppamento dalla procedura evidenziale.
2.- Con rituale ricorso al TAR per il Lazio l’appellante impugnava tale determinazione, di cui lamentava, sotto plurimo rispetto, l’illegittimità.
Nel rituale contraddittorio delle parti con sentenza n. 564 del 17 gennaio 2020 il TAR adito respingeva il gravame.
3.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, le appellanti, nella qualità segnata in epigrafe, hanno impugnato la ridetta statuizione, di cui ha lamentato la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l’integrale riforma.
Si è costituita in giudizio, per resistere al gravame, la Banca d’Italia.
Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2020, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti, la causa è stata riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato e va respinto.
2.- Con il primo motivo di gravame le appellanti lamentano violazione dell’art. 80, commi 4 e 6, del d.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 57, parr. 2 e 5, della direttiva 2014/24/UE, in una ad eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e carenza di motivazione: segnatamente, denunciano l’erroneità della sentenza impugnata sull’assunto che il giudice di prime cure non abbia “affrontato in alcun modo il tema della mancanza del carattere di «definitività», sollevato dalle appellanti con riferimento alle certificazioni rilasciate da Inarcassa e che oggi si impone alla luce delle innovazioni introdotte sul punto dall’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 in recepimento dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE».
2.1.- Il motivo è infondato.
L’insussistenza, con la necessaria continuità, del requisito di regolarità contributiva costituisce, alla luce della esposizione in fatto che precede, circostanza incontroversa, che neppure l’appellante revoca in dubbio, se non per evidenziarne la postuma (ma, come tale, non rilevante) regolarizzazione.
2.2.- Né può dubitarsi del carattere di “gravità e definitività” della stessa.
Quanto al primo profilo, l’art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016 ancora la gravità delle “violazioni in materia contributiva e previdenziale” da un lato alla sussistenza di ragioni “ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC)” e, dall’altro ed alternativamente, per i professionisti iscritti agli “enti previdenziali non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale”, alle “certificazioni” di questi ultimi, in quanto aventi carattere negativo.
Ne discende che anche la certificazione negativa, come la mancanza di un DURC regolare, comporta una presunzione legale, juris et de jure, di gravità, che obbliga la stazione appaltante ad estromettere il concorrente dalla procedura evidenziale, senza poterne sindacare, nel merito, il contenuto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 2019, n. 1141).
Né la gravità viene meno per effetto della postuma sanatoria della posizione contributiva (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2020, n. 4100) e ciò in quanto:
a) l’impresa deve essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, compresa la fase di esecuzione del contratto (Cons. Stato, Ad. plen,, 29 febbraio 2016, n. 15);
b) le procedure di invito alla regolarizzazione (per esempio, nel caso del c.d. preavviso di DURC negativo, previsto dall’art. 31, co. 8, d.l. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013) sono destinate ad operare solo sul piano dei rapporti tra impresa ed ente previdenziale, ossia con riferimento alla certificazione richiesta dall’impresa e non anche a quella richiesta dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai fini della partecipazione alla gara d’appalto);
c) lo stesso art. 80, comma 4, ad finem sterilizza l’attitudine escludente dell’irregolarità – con previsione che, per la sua natura eccezionale, deve ritenersi di stretta interpretazione – solo in caso di pagamento (o di vincolante impegno a pagare) assunto e formalizzato “prima della scadenza del termine di presentazione delle domande”.
2.3.- Anche il carattere di “definitività” della violazione deve ritenersi sussistente, alla luce della attestazione, fornita da Inarcassa, della assenza di ricorso amministrativi o giurisdizionali prodotti avverso la certificazione negativa.
In proposito, parte appellante, richiamando il disposto dell’art. 80 cit., nonché l’art. 38, par. 5 comma 1, della direttiva 2014/23/UE, sostiene che nel caso di specie mancherebbe quell’”atto amministrativo o […] sentenza non più soggetti a impugnazione” da cui solo potrebbe emergere una violazione “definitivamente accertata” che può condurre all’esclusione del concorrente. A suo avviso, le note di Inarcassa non avrebbero natura in sé “amministrativa”, ma sarebbero atti di diritto privato; si limiterebbero a rilevare il mancato incasso della somma, ma non si occupano “dell’imputabilità dell’omissione”; e anche “ammesso che fossero impugnabili, lo sarebbero senz’altro a tutt’oggi nella forma c.d. “amministrativa” e con facoltà di “prosecuzione in sede giurisdizionale”.
Va, in contrario, osservato che, nel regime previdenziale gestito da Inarcassa, la materia della certificazione della regolarità contributiva è regolata specificamente da una serie di delibere del Consiglio di Amministrazione dell’ente, in base ai poteri normativi conferitigli dalla legge (cfr. artt. 1, comma 4, lett. a), 3, comma 4, e 1, comma 3, d.lgs. n. 509 del 1994; art. 3, comma 12, legge n. 335 del 1995; art. 24, comma 24, legge n. 214 del 2011, nonché artt. 2.8 e 10.4 del Regolamento Generale Previdenza 2012 di Inarcassa).
In particolare, la delibera del Consiglio di Amministrazione del 22 settembre 2015 ha previsto che l’associato sia considerato in regola rispetto ai propri obblighi contributivi qualora: a) presenti un debito pari o inferiore ad € 500,00; b) abbia proposto per gli importi scaduti e non versati ricorso amministrativo o giurisdizionale (considerandosi, in tal caso, non definitivamente accertata la violazione sino, rispettivamente, alla decisione che rigetta il ricorso e al passaggio in giudicato della sentenza).
Nel caso di specie, non risulta (né dalla attestazioni dell’ente previdenziale, sollecitate in sede istruttoria, né dalla allegazione degli interessati) che siano stati interporti ricorsi o gravami: essendo non rilevante – ai fini della conduzione della procedura di gara – la possibilità che, in assenza di decadenze, siano astrattamente ancora possibili (come asserisce l’appellante) contestazioni in sede giudiziale, in quanto le stesse potrebbero sortire effetto utile sul piano del rapporto previdenziale, ma non (più) su quello evidenziale, che non può essere compromesso, per evidenti ragioni di efficienza e celerità dell’azione amministrativa, non meno da tardive regolarizzazioni che da postume contestazioni, per quanto legittime.
2.4.- Quanto, poi, ad una presunta incolpevole inconsapevolezza da parte dei professionisti interessati dell’emissione di certificazioni negative, è sufficiente osservare, di là da ogni altro rilievo, che l’accertamento negativo, anche quando sopravvenuto ad una certificazione regolare, trova ragion d’essere nella mera ed obiettiva scadenza del debito previdenziale che rimane insoluto, in virtù del principio di autoresponsabilità e diligenza (cfr. Cons. Stato, sz. V, 29 marzo 2018, n. 4039): di tal che incombe all’operatore economico interessato non solo la verifica - possibile in ogni momento e anche online - della situazione effettiva di regolarità contributiva, ma anche della permanenza di tale situazione.
Per l’effetto, “la situazione di irregolarità contributiva, derivando dalla violazione di adempimenti prescritti da norme imperative, risulta difficilmente compatibile con una situazione di buona fede in senso soggettivo” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2018, n. 1497).
3.- Con un secondo motivo di doglianza, l’appellante contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui non ha ritenuto illegittimo il provvedimento di esclusione in quanto “manifestamente sproporzionato rispetto all’obiettivo tipico della tutela”: ciò in quanto la soluzione nella continuità del possesso di requisiti si sarebbe asseritamente “a causa di un evento non imputabile agli Architetti, e al quale gli stessi avevano posto rimedio non appena ne erano venuti a conoscenza”.
3.1.- Il motivo non persuade.
Di là dalla ribadita rilevanza obiettiva della situazione di irregolarità contributiva, una volta che ne sia acquisita, nei sensi chiariti, la gravità e la definitività, vale osservare, avuto riguardo alla vicenda in esame, che il mancato addebito della terza rata del conguaglio non era dipeso dall’asserita disfunzione del relativo meccanismo bancario, bensì da condotta unicamente riferibile e imputabile ai professionisti, in ragione dell’avvenuta estinzione dei rispettivi conti, come attestato, con documento versato in atti, dalla Banca Popolare di Sondrio.
Il mancato incasso (la cui rilevanza in termini di proporzionalità è assorbita dalla connotazione di gravità dell’irregolarità) è perciò addebitabile al comportamento degli interessatati che, con scarsa diligenza, non hanno verificato che la rata fosse stata effettivamente corrisposta all’ente previdenziale dalla banca cui avevano dato mandato per il pagamento: ciò in una situazione in cui il mancato pagamento anche di una sola rata (con cadenze e scadenze ben note in via anticipata) comportava la decadenza dal piano di rateazione.
4.- Con distinto motivo, le appellanti si dolgono che, in violazione degli artt. 48 e 80 del d. lgs. n. 50/2016 e del correlato principio di proporzionalità, non disgiunto da plurimi profili di eccesso di potere, non sia stato loro concesso, con determinazione avallata dal primo giudice, di procedere ad una modificazione soggettiva del costituendo raggruppamento, con la prospettata sostituzione dei mandanti colpiti dall’irregolarità contributiva.
4.1.- La censura è infondata.
Come è noto, il principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche mira a garantire una conoscenza piena, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, dei soggetti che intendono contrarre con le amministrazioni stesse, consentendo una verifica preliminare e compiuta dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2012, n. 8).
Ne discende che, in linea di principio, deve ritenersi preclusa qualsiasi modificazione dei raggruppamenti temporanei che hanno partecipato a una gara pubblica, in quanto la modifica determinerebbe, almeno in parte, la modifica dello stesso soggetto che vi partecipa (Cons. Stato, sez. V, 20 gennaio 2015, n. 169.).
Tale principio è espressamente sancito dall’art. 48, comma 9, del d. lgs. n. 50/2016, che – nel far salve le ipotesi di cui ai successivi commi 17 e 18, ammette la sostituzione “in caso di perdita […] dei requisiti”, ma esclusivamente “in corso di esecuzione”, all’evidente fine di salvaguardare il completamento del programma negoziale già in corso di attuazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 2019, n. 1116).
La conclusione deve tenersi ferma anche a seguito della introduzione nel corpo dell’art. 48, ad opera dell’art. 32, comma 1, lett. h), del d. lgs. n. 56/2017, del nuovo comma 19 bis, il quale espressamente estende l’eventualità di modifiche soggettive anche alle ipotesi verificatesi “in fase di gara”.
Invero, la disposizione in esame (che, per la sua natura eccezionale, deve essere oggetto di stretta interpretazione) si limita ad autorizzare la sostituzione del mandante nei (soli) casi di “modifiche soggettive” (per le società: fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti; per gli imprenditori individuali: morte, interdizione, inabilitazione o fallimento), previste dal comma 18, e non, dunque, anche nell’ipotesi di “perdita dei requisiti di cui all’art. 80 D.lgs. n. 50/16” in corso di gara, che pure è prevista dal medesimo comma 18 come causa di sostituzione della mandante ma nella (sola) fase esecutiva.
Se ne trae ulteriore conferma dal fatto che proprio l’art. 18 è stato contestualmente modificato introducendo, bensì, anche la fattispecie (antecedentemente non prevista) di perdita dei requisiti soggettivi quale ragione di possibile modificazione del raggruppamento, ma espressamente limitando l’ipotesi alla fase esecutiva.
Sarebbe, allora, del tutto illogico che l’estensione “alla fase di gara” di cui al comma 19 ter, introdotto dallo stesso ‘decreto correttivo’ vada a neutralizzare la specifica e coeva modifica del comma 18.
E’ perciò corretta la decisione impugnata che ne ha tratto la conclusione della non surrogabilità della posizione soggettiva irregolare in fase di gara.
5.- Con il quarto motivo di gravame, parte appellante, in via subordinata, sollecita una rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea della questione pregiudiziale inerente la conformità dell’art. 80 del d. lgs. n. 50/2016, per come interpretato, alle direttive europee in materia di appalti pubblici.
5.1.- Osserva il Collegio che non sussistono le ragioni per una rimessione, non ravvisandosi alcuna antinomia tra la norma nazionale di cui all’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 e il tenore dell’art. 38, par. 5, comma 1, della direttiva 2014/23/UE nonché con l’art. 57, par. 2, comma 1, e par.3 della direttiva 2014/24/UE, né tantomeno alcuna questione interpretativa.
La normativa nazionale che prevede l’esclusione del concorrente che versa in una situazione di irregolarità contributiva grave e definitivamente accertata è, infatti, pienamente in linea con le cause di esclusione obbligatorie previste dall’art. 57, par. 2 della Direttiva 2014/24/UE.
La disposizione di cui all’art. 80, c. 4, è d’altra parte pienamente in linea con il dettato dell’art. 57, par. 3, c. 3, della Direttiva 24/2014, che rimette alla discrezionalità di ciascun Paese membro la facoltà di introdurre deroghe alle ipotesi di esclusioni obbligatorie, di cui al precedente par. 2, c. 2, fra quelle tipicamente ivi indicate.
Sul punto, la Corte europea ha già chiarito la legittimità della normativa nazionale “che obbliga l’amministrazione aggiudicatrice ad escludere dall’appalto l’impresa a causa di una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d’ufficio dall’amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussista alla data di scadenza del termine di partecipazione ad una gara d’appalto, anche se successivamente venuta meno alla data dell’aggiudicazione o della verifica d’ufficio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice e nonostante l’ente previdenziale, rilevato il mancato versamento, abbia omesso di invitare l’impresa alla regolarizzazione, come previsto dal diritto italiano, a condizione che l’operatore economico abbia la possibilità di verificare in ogni momento la regolarità della sua situazione presso l’istituto competente” (Corte giust. UE, sez IX, 10 novembre 2016, causa C-199/15).
Ciò che rileva è, in buona sostanza, la possibilità per l’operatore economico di verificare in ogni momento la regolarità della sua posizione presso l’ente di previdenza: condizione che, alla luce delle considerazioni che precedono, era perfettamente sussistente nella vicenda in esame, alla luce del fatto che Inarcassa mette a disposizione degli associati una procedura online per la richiesta del certificato di regolarità contributiva (analogamente a quanto accade per il DURC).
D’altra parte, le ipotesi di esclusione previste dall’art. 80 comma 4, pur essendo di natura obbligatoria ed ancorate ad un automatismo, come previsto dall’art. 57 par. 2 della Direttiva, presuppongono il vaglio di inaffidabilità dell’operatore economico da parte dell’ente previdenziale alla luce delle circostanze rilevanti. Spetta infatti a tale ente, come chiarito, l’accertamento della gravità e della definitività delle irregolarità accertate sulla base della disciplina previdenziale di riferimento, mentre nessun margine di discrezionalità valutativa è riconosciuto alla stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 2019, n. 1141).
Vero è che, con art.1, co.1, lett. n), n. 4 del d.l. 32/2019, convertito dalla l. n. 55/2019, all’, si è ora previsto, in aggiunta alle ipotesi già indicate, la possibilità, per la stazione appaltante, di escludere un concorrente qualora sia in grado di dimostrare adeguatamente l’esistenza di violazioni tributarie e contributive, anche se non definitivamente accertate e in questo caso il giudizio di inaffidabilità dell’operatore economico è rimesso alla Stazione appaltante; ma tale previsione (in ogni caso inapplicabile ratione temporis alla vicenda in esame), contrariamente a quanto fanno mostra di ritenere le appellanti, conferma semmai l’assenza di ogni discrezionalità della stazione appaltante nei casi – come quello di cui qui si discute – in cui la gravità e definitività dell’irregolarità è stata dichiarata dall’ente previdenziale, unico soggetto cui spetta tale potere di accertamento.
6.- Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve ritenersi complessivamente infondato.
Sussistono, avuto riguardo alla particolarità della fattispecie, giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2020, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 4, comma 1, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, come richiamato dall'art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137, con l'intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Raffaele Prosperi, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore
Elena Quadri, Consigliere