Cons. Stato, sez. V, 30 dicembre 2020, n. 8508
L’art. 68 cit., così come la precedente disposizione dell’art. 68 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha come essenziale obiettivo non solo l’ampliamento della platea dei concorrenti (…) ma anche il corretto e trasparente svolgimento della fase di valutazione della conformità delle offerte a quanto richiesto dalla stazione appaltante (che comporta la necessaria esclusione dalla gara delle offerte che non presentano i requisiti minimi prescritti dalla legge di gara, come si ricava, a contrario, dal richiamato art. 68, comma 8: la mancata dimostrazione della equivalenza delle caratteristiche o specifiche tecniche richieste dai documenti di gara implica l’esclusione dell’offerente).
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3475 del 2020, proposto da
Var s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Goria, Roberto Maria Izzo e Simona Elena Viscio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Roberto Maria Izzo in Roma, via Monte Santo 68;
contro
Azienda per la Mobilità dell'Area di Taranto - Amat S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe A. Fanelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Di Pinto & Dalessandro S.p.A., Bellizzi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Marco Lancieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Car-Bus S.r.l., De Simon Group S.r.l., non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sez. III, 6 marzo 2020, n. 314, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda per la Mobilità dell'Area di Taranto - Amat S.p.A. e di Di Pinto & Dalessandro S.p.A. e di Bellizzi S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2020 il Cons. Giorgio Manca e uditi per le parti gli avvocati Goria, Fanelli e, in sostituzione dell'avv. Lancieri, Alterio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - La VAR s.r.l., società che opera nel settore dei ricambi per veicoli industriali ed autobus, ha partecipato alla procedura aperta per la stipula di un accordo quadro «per la fornitura biennale di ricambi per autobus», indetta dall’Azienda per la Mobilità nell’Area di Taranto S.p.A. (in prosieguo: AMAT).
La gara è stata suddivisa in 12 lotti, dei quali i primi sette avevano ad oggetto «ricambi originali, di primo impianto o equivalenti» (art. 2 del bando di gara), mentre i restanti cinque esclusivamente ricambi equivalenti.
2. - Per i primi sette lotti era previsto che i concorrenti formulassero, anche con riguardo ai ricambi cosiddetti «di primo impianto» e a quelli equivalenti, uno sconto percentuale da applicarsi sui listini dei ricambi originali (articoli 2, 3 e 6 del bando di gara), con espressa previsione che i lotti fossero aggiudicati «con riferimento allo sconto percentuale più elevato tra quelli offerti dai singoli concorrenti rispetto ai prezzi relativi al listino del ricambio originale vigente»; mentre per i restanti cinque lotti (aventi per oggetto esclusivamente la fornitura di ricambi equivalenti) lo sconto doveva applicarsi sul listino del produttore dei ricambi equivalenti (art. 3 del bando di gara).
3. - La VAR s.r.l. ha presentato offerta per i lotti 1, 2, 3, 9, 11 e 12. All’esito delle operazioni di gara, con delibera 8 ottobre 2019, n. 96, il Consiglio di Amministrazione dell’AMAT ha approvato la graduatoria delle offerte per i dodici lotti. La VAR è risultata aggiudicata del solo lotto 12.
4. - La deliberazione di aggiudicazione, insieme al bando e ad altri atti della procedura di gara, veniva impugnata dalla VAR con ricorso innanzi al Tribunale amministrativo per la Puglia, deducendo la violazione dell’art. 68 del Codice dei contratti pubblici (approvato con il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) in tema di principio di equivalenza, la violazione dei principi giurisprudenziali in materia di immodificabilità della lex specialis e di portata dei “chiarimenti” emessi dalla stazione appaltante, nonché, per quanto concerne i criteri di aggiudicazione previsti, la violazione del principi di parità di trattamento tra i concorrenti.
5. - Il Tribunale amministrativo, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione dei provvedimenti di aggiudicazione e irricevibile, per tardività della notifica, l’impugnazione del bando di gara, in quanto le censure avrebbero dovuto essere tempestivamente e immediatamente sollevate avverso la legge di gara, alle cui previsioni (segnatamente, gli articoli 2 e 3, sui criteri di aggiudicazione; gli articoli 13 e 16, in punto di prova dell’equivalenza), ritenute immediatamente lesive dal primo giudice, occorrerebbe far risalire l’impossibilità, per la società ricorrente, di presentare un’offerta ammissibile, seria e competitiva.
6. - La sentenza è impugnata dalla soccombente VAR, che ne chiede la riforma per l’erronea dichiarazione di inammissibilità e di irricevibilità del ricorso, posto che le clausole del bando contestate in primo grado non erano immediatamente lesive.
Nel merito, ripropone i motivi del ricorso, non esaminati dal Tribunale amministrativo.
7. - Resistono in giudizio sia l’AMAT che le controinteressate Di Pinto & Dalessandro S.p.A. e Bellizzi s.r.l., concludendo per il rigetto dell’appello.
8. - All’udienza pubblica del 24 settembre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
9. - Come anticipato, la sentenza impugnata, sul presupposto che le clausole del bando di gara contestate dalla VAR s.r.l. avessero natura escludente e quindi fossero immediatamente lesive, ha ritenuto che l’operatore economico aveva l’onere di impugnare tempestivamente la legge di gara, con la conseguente irricevibilità dell’impugnazione proposta congiuntamente all’azione di annullamento dell’aggiudicazione.
10. - Ciò chiarito, può passarsi all’esame del primo motivo d’appello, con il quale l’appellante assume l’erroneità delle conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, deducendo la violazione dell’art. 120, comma 5, del cod. proc. amm., e dei principi in tema di interesse a ricorrere nelle controversie per l’affidamento dei contratti pubblici, stante la natura non escludente delle clausole del bando oggetto delle censure proposte col ricorso introduttivo.
10.1. - Il motivo è fondato.
10.2. - E’ bene rilevare, anzitutto, che secondo l’indirizzo dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (che si può far risalire, per la sua compiuta affermazione, alla sentenza 29 gennaio 2003, n. 1), la situazione giuridica soggettiva dei partecipanti alla procedura di affidamento di contratti pubblici deve essere ravvisata nell’interesse a conseguire l’aggiudicazione del contratto (che concretizza il bene della vita, profilo sostanziale dell’interesse protetto). Interesse che, in linea di principio, è leso solo dal provvedimento conclusivo della procedura di gara, che assegni il contratto a uno degli altri concorrenti, come ha recentemente ribadito l’Adunanza Plenaria, secondo cui - per quanto rileva in questa sede – «le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura» (sentenza 26 aprile 2018, n. 4).
Pertanto, le previsioni contenute nel bando di gara non hanno un’autonoma capacità lesiva degli interessi dei potenziali concorrenti se non quando la lex specialis di gara imponga prescrizioni che impediscano la presentazione di un'offerta, ovvero detti clausole oscure e irragionevoli che non consentano di presentare un'offerta valida o attendibile (o, ancora, ma non è questo il caso che ricorre nella controversia in esame, si contesti in radice il potere di indire la procedura). In qualsiasi altro caso, l'onere di proporre l’immediata impugnazione non sussiste e la parte può attendere la conclusione della procedura di gara e impugnare l'eventuale atto lesivo finale (ovvero, l'atto di esclusione che sia intervenuto prima della conclusione della gara).
10.3. - Una diversa soluzione, volta ad ampliare i tipi di clausole con efficacia escludente, non trova sostegno nemmeno nel riferimento alle prescrizioni di gara che impongano «oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere ricompresa quella di un bando che […] risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente ed immediatamente la partecipazione» (cfr. Cons. St., Ad. plen., n. 1 del 2003 cit.), in cui (come emerge chiaramente dal passo della pronuncia della Plenaria) il dato centrale della definizione di clausola escludente è sempre costituito dalla impossibilità dell’operatore economico di formulare un’offerta che non sia del tutto incomprensibile o manifestamente irrazionale, anche sotto il profilo economico.
10.5. - Alla luce dei principi enunciati, l’esame delle clausole della legge di gara contestate dalla VAR, dapprima col ricorso in primo grado e ora con l’appello, rivela che il loro contenuto non comporta alcun automatico effetto escludente, e tanto vale sia con riguardo alle clausole del bando (gli articoli 13 e 16) che richiedevano la dimostrazione dell’equivalenza dei beni offerti dopo l’aggiudicazione, e non nella fase di valutazione dell’offerta, sia per la norma relativa al criterio di aggiudicazione dei primi sette lotti (articolo 3 del bando), che faceva espresso riferimento «allo sconto percentuale più elevato […] rispetto ai prezzi relativi al listino del ricambio originale vigente» (non solo per i ricambi originali o di primo impianto, ma anche) per i ricambi equivalenti. In entrambi i casi, infatti, trattandosi di regole che disciplinano i criteri di aggiudicazione o collocate (per quel che concerne la dimostrazione dell’equivalenza dei prodotti offerti) in una fase perfino successiva all’aggiudicazione, le stesse non impediscono la predisposizione di un’offerta ammissibile e sono, dunque, del tutto prive di possibili effetti direttamente incidenti sulla possibilità degli operatori economici di accedere alla procedura di gara (come puntualmente sottolineato nelle sentenze della Plenaria sopra richiamate, secondo le quali la funzione delle prescrizioni aventi per oggetto il metodo di gara o il criterio di aggiudicazione impedisce di considerarle immediatamente lesive).
10.6. - Pertanto, la sentenza del primo giudice deve essere integralmente riformata, dovendosi ritenere ammissibile e tempestiva l’impugnazione congiunta del bando di gara e dell’aggiudicazione.
11. - Nel merito, venendo all’esame dei motivi devoluti ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm., l’appellante deduce, anzitutto, l’illegittimità del bando di gara, e - in via derivata - dell’aggiudicazione, per la violazione dell’art. 68 del Codice dei contratti pubblici, con riferimento alle clausole del bando (articoli 13 e 16) che richiedevano la dimostrazione dell’equivalenza (in caso di fornitura di ricambi equivalenti) dopo l’aggiudicazione e non nella fase di gara, disattendendo le statuizioni della Corte di Giustizia (Sez. IV, 12 luglio 2018, nella causa C-14/17) e della giurisprudenza nazionale, secondo le quali, se la stazione appaltante definisce l’oggetto dell’appalto in riferimento a una fabbricazione o provenienza determinata consentendo agli operatori economici di offrire anche prodotti equivalenti, la prova dell’equivalenza deve essere fornita in gara. Secondo l’appellante, il differimento alla fase di esecuzione del contratto ha precluso ai partecipanti la possibilità di verificare l’equivalenza (non solo rispetto ai ricambi originali ma anche all’interno della stessa categoria dei ricambi equivalenti offerti), in violazione dei principi sanciti dalla giurisprudenza sopra richiamata.
11.1. - Il motivo è fondato.
11.2. - Secondo la definizione di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lett. t), del regolamento (CE) n. 1400/2002 della Commissione, del 31 luglio 2002 (relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico) «per «pezzi di ricambio originali» si intendono i pezzi di ricambio la cui qualità è la stessa di quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo [ossia dei ricambi «di primo impianto»] e che sono fabbricati secondo le specifiche tecniche e gli standard di produzione forniti dal costruttore per la produzione di componenti o pezzi di ricambio dell’autoveicolo in questione, ivi compresi i pezzi di ricambio prodotti sulla medesima linea di produzione di detti componenti. Si presume, salvo prova contraria, che di tali pezzi di ricambio sono pezzi di ricambio originali se il produttore di pezzi di ricambio certifica che la qualità degli stessi corrisponde a quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo in questione e che detti pezzi di ricambio sono stati fabbricati secondo le specifiche tecniche e gli standard di produzione del costruttore degli autoveicoli».
Nel medesimo regolamento comunitario è posta la definizione di «pezzi di ricambio di qualità corrispondente» (corrispondente a «ricambi equivalenti»), come quelli «fabbricati da qualsiasi impresa che possa certificare in qualunque momento che la qualità di detti pezzi di ricambio corrisponde a quella dei componenti che sono stati usati per l'assemblaggio degli autoveicoli in questione» (articolo 1, paragrafo 1, lett. u), del regolamento (CE) n. 1400/2002).
11.3. - Come accennato, la disciplina di gara non contemplava la verifica (prima dell’aggiudicazione) dell’equivalenza dei ricambi offerti, relegandola alla successiva fase dell’esecuzione della fornitura, nel corso della quale AMAT si riservava la facoltà di «richiedere al fornitore certificazione di conformità o una specifica omologazione del ricambio fornito dalla casa costruttrice e/o da ente omologatore e/o da laboratorio prove certificato secondo la ISO 45000» (articolo 13 del bando, oltre all’art. 16, ultimo alinea, per la previsione del diritto di AMAT di non accettare qualsiasi ricambio non originale che dovesse «presentare inconvenienti» o comunque «non fossero idonei all’impiego»).
11.4. - La legge di gara pone, quindi, il problema della sua conformità all’art. 68 del Codice dei contratti pubblici, norma che – nell’affermare la possibilità di ammettere, a seguito di specifica valutazione della stazione appaltante, prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste dai documenti di gara - postula l’applicazione del principio di equivalenza nel corso del procedimento di gara, prima dell’adozione del provvedimento conclusivo di aggiudicazione del contratto. L’art. 68 cit., così come la precedente disposizione dell’art. 68 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha come essenziale obiettivo non solo l’ampliamento della platea dei concorrenti (come emerge dall’art. 68, comma 8, cit., secondo cui «le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un'offerta di lavori, di forniture o di servizi conformi a una norma che recepisce una norma europea, a una omologazione tecnica europea, a una specifica tecnica comune, a una norma internazionale o a un sistema tecnico di riferimento adottato da un organismo europeo di normalizzazione se tali specifiche contemplano le prestazioni o i requisiti funzionali da esse prescritti») ma anche il corretto e trasparente svolgimento della fase di valutazione della conformità delle offerte a quanto richiesto dalla stazione appaltante (che comporta la necessaria esclusione dalla gara delle offerte che non presentano i requisiti minimi prescritti dalla legge di gara, come si ricava, a contrario, dal richiamato art. 68, comma 8: la mancata dimostrazione della equivalenza delle caratteristiche o specifiche tecniche richieste dai documenti di gara implica l’esclusione dell’offerente).
11.5. - Sul punto è dirimente il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia, a seguito del rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato, nella sentenza del 12 luglio 2018 (in causa C-14/17), secondo cui l’articolo 34 della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004 (il cui contenuto è stato ripreso nell’articolo 42 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che è stato recepito nell’art. 68 del Codice dei contratti pubblici) impone all’amministrazione aggiudicatrice di «esigere che l’offerente che intende avvalersi della facoltà di proporre prodotti equivalenti a quelli definiti con riferimento a un marchio, a un’origine o a una produzione specifica fornisca, già nell’offerta, la prova dell’equivalenza dei prodotti in oggetto». Rileva la Corte come, seppure la norma di cui al citato art. 34, paragrafo 8 [secondo la quale «le specifiche tecniche non possono menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare né far riferimento a un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un’origine o a una produzione specifica con l’effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti», se non «in via eccezionale, nel caso in cui una descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell’oggetto dell’appalto non sia possibile applicando i paragrafi 3 e 4» e sempre «accompagnati dall’espressione “o equivalente”»] non precisa la fase procedimentale nella quale deve essere dimostrato il carattere «equivalente» di un prodotto proposto da un offerente, dalla stessa disposizione «emerge espressamente che, laddove le specifiche tecniche siano determinate mediante riferimento a talune norme, o in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, o dalla loro combinazione, l’offerente deve dimostrare nella propria offerta che questa ottempera ai requisiti definiti nei documenti dell’appalto. Se ne evince inoltre che la prova deve essere prodotta «con qualsiasi mezzo appropriato» e, in quest’ottica, «[p]uò costituire un mezzo appropriato una documentazione tecnica del fabbricante o una relazione di prova di un organo riconosciuto. […] Dai paragrafi da 3 a 5 dell’articolo 34 della direttiva 2004/17 emerge pertanto che essi definiscono regole generali in merito alla formulazione delle specifiche tecniche, ai mezzi mediante i quali l’offerente può dimostrare che la sua offerta ottempera ai requisiti figuranti in dette specifiche e al momento in cui tali prove devono essere presentate» (punti 22, 23 e 24 della sentenza citata).
Collocare la dimostrazione dell’equivalenza nella fase di valutazione delle offerte rappresenta, inoltre, l’applicazione dei fondamentali principi di parità di trattamento e di trasparenza dei procedimenti di gara i quali «esigono, in particolare, che gli offerenti si trovino su un piano di parità sia al momento in cui preparano le loro offerte, sia al momento in cui queste sono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice, e costituiscono la base delle norme dell’Unione relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici (sentenza del 24 maggio 2016, MT Højgaard e Züblin, C-396/14, EU:C:2016:347, punto 37)» (punto 29 della sentenza).
11.6. - Applicando al caso di specie le coordinate interpretative della Corte di Giustizia, ne deriva come conseguenza la illegittimità delle norme del bando di gara sopra richiamate (segnatamente degli articoli 13 e 16, che dislocano nella fase di esecuzione della fornitura la prova dell’equivalenza).
12. - Con il secondo dei motivi riproposti, l’appellante contesta la violazione dell’art. 68 del Codice dei contratti pubblici, sotto altro profilo, nonché la violazione dei principi di par condicio, libera concorrenza, logicità e razionalità della procedura di gara, e del divieto di inutile aggravamento degli oneri di partecipazione, con riferimento agli articoli 2, 3, 6 e 10, del bando di gara, i quali facevano espresso riferimento ai listini dei prezzi dei ricambi originali delle case costruttrici degli autobus per la formulazione degli sconti percentuali sia per i ricambi originali o di primo impianto, sia per quelli equivalenti.
12.1. - Il motivo è fondato.
12.2. - Occorre muovere da quanto prevedeva l’art. 6 del bando di gara (dedicato al contenuto del plico telematico della “busta economica”), il quale – per i lotti dal n. 1 al n. 7 – stabiliva che nel «prospetto offerta» per ogni singolo lotto l’operatore economico dovesse «indicare, a pena di esclusione dell’offerta, il numero e il marchio di riferimento del lotto, nonché le offerte consistenti nelle seguenti percentuali di sconto, da applicare sui prezzi dei pezzi di ricambio risultanti dal listino originale della casa costruttrice dei mezzi:
- lo sconto commerciale offerto per la fornitura dei ricambi originali e/o di primo impianto;
- lo sconto commerciale offerto per la fornitura dei ricambi equivalenti».
Per i lotti 8-12 «dovrà indicare […] la percentuale di sconto, da applicare sui prezzi dei pezzi di ricambio risultanti dal listino equivalente di riferimento […]».
Alla luce delle regole dettate dall’art. 6, il criterio di aggiudicazione stabilito dall’art. 3 del bando va inteso nel senso che lo sconto percentuale offerto doveva distintamente riferirsi ai ricambi originali (o di primo impianto) e ai ricambi equivalenti, ma avendo come parametro esclusivamente i prezzi di listino del costruttore dei ricambi originali, da cui far scaturire (mediante la descritta operazione matematica) il prezzo offerto dal singolo operatore economico.
12.3. - Peraltro, come questo Consiglio di Stato ha avuto occasione di rilevare in altra, del tutto analoga, vicenda, il controverso meccanismo «determina un’evidente alterazione della regolarità del confronto concorrenziale ed una lesione della par condicio dei concorrenti, finendo per attribuire un palese ed ingiustificato vantaggio alle imprese partecipanti che offrono ricambi originali», imponendo alle imprese che offrono solo ricambi equivalenti (come consentito per tutti i sette lotti di cui trattasi) l’onere di una «complessa operazione di conoscenza del listino di riferimento, di individuazione in questo delle voci corrispondenti dei ricambi oggetto dell’offerta e di articolazione della propria proposta su parametri riferiti a prodotti aventi caratteristiche strutturali diverse da quelli (solo nella funzionalità) equivalenti» (cfr. Cons. St., V, 6 ottobre 2003, n. 5896, punto 4.2. del “diritto”). In altri termini, postulare l’equivalenza tra i due prodotti offerti è operazione che riguarda il solo piano funzionale, che non necessariamente si riflette sul piano della struttura dei pezzi di ricambio offerti, con la conseguenza che appare del tutto incongruo utilizzare come parametro di riferimento economico quello costituito dai prezzi determinati da un diverso costruttore (senza considerare che la diversità strutturale del ricambio equivalente potrebbe anche comportare la difficoltà o l’impossibilità di individuare, nei listini del costruttore del ricambio originale, una esatta corrispondenza con il ricambio equivalente offerto).
12.4. - La stazione appaltante, pertanto, avrebbe dovuto prendere come riferimento per la formulazione dello sconto percentuale per l’aggiudicazione dei lotti da 1 a 7, il listino del produttore dei ricambi equivalenti offerti dai singoli operatori economici (così come stabilito per i lotti da 8 a 12).
12.5. - E’ fondata, inoltre, anche l’ulteriore censura, inserita sempre nel secondo motivo, volta a revocare in dubbio la legittimità dell’art. 10 del bando (rubricato “Perfezionamento del contratto”) nella parte in cui dispone che i listini dei prezzi dei ricambi sui quali è stata basata l’offerta economica «rimarranno validi per l’AMAT, per la emissione dei buoni d’ordine, fino alla ricezione dei nuovi listini» (i quali, come precisato dalla stessa clausola, «dovranno essere nuovamente prodotti ad ogni loro variazione», fermo restando che «non saranno accettati incrementi dei prezzi, rispetto a quelli indicati negli ordini»). E’ stato ben rilevato come una clausola così formulata espone l’offerente aggiudicatario alle variazioni dei prezzi (in particolare, alle variazioni in ribasso) e a qualsiasi altra modifica in pejus del listino utilizzato quale parametro per determinare l’offerta, variazioni e modifiche «deliberate da un'impresa produttrice concorrente (in evidente spregio delle più elementari regole poste a presidio della concorrenza)» (Cons. St., V, n. 5896/2003, cit.).
13. - Dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso introduttivo (qui riproposto), da cui consegue l’illegittimità delle clausole del bando che hanno stabilito i criteri di aggiudicazione (gli articoli 3 e 6), deriva come logica conseguenza che il terzo e il quarto motivo (aventi per oggetto l’illegittimità dei chiarimenti adottati dalla stazione appaltante, asseritamente integrativi o modificativi degli anzidetti articoli 3 e 6 del bando) sono assorbiti, posto che dal loro eventuale accoglimento l’appellante non otterrebbe alcuna ulteriore utilità giuridica.
14. - In conclusione, l’appello va accolto.
15. - La disciplina delle spese giudiziali segue la regola della soccombenza nei confronti dell’appellata AMAT, a carico della quale devono essere poste le spese per entrambi i gradi del giudizio, liquidate come in dispositivo.
Sussistono giusti motivi, in considerazione delle ragioni che hanno determinato l’accoglimento dell’appello, per disporre la compensazione nei confronti delle società controinteressate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione terza, 6 marzo 2020, n. 314, accoglie il ricorso di primo grado e annulla, per quanto di ragione, i provvedimenti con esso impugnati.
Condanna l’Azienda per la Mobilità nell’Area di Taranto S.p.A. al pagamento delle spese giudiziali del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante VAR s.r.l., che liquida in euro 10.000,00 (diecimila/00).
Compensa le spese tra l’appellante e le società controinteressate Di Pinto & Dalessandro S.p.A. e Bellizzi s.r.l.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
GUIDA ALLA LETTURA
Con il pronunciamento in commento, la V Sezione del Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare la corretta collocazione temporale della fase di valutazione dell’equivalenza tecnica delle offerte nell’iter di svolgimento della procedura evidenziale.
La compiuta disamina della tematica de qua impone una riflessione di carattere preliminare in merito alla disciplina settoriale di cui all’art. 68, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
Com’è noto, la citata disposizione detta la regolamentazione relativa alle specifiche tecniche, da inserire nei documenti di gara nell’ottica di enucleare in termini dettagliati gli standards prestazionali richiesti e concretanti l’oggetto dello stipulando contratto.
Specificamente, secondo la definizione dettata dall’art. 1.1 della direttiva 98/34/CEE, le specificazioni in rassegna identificano le caratteristiche di un prodotto, come i livelli di qualità o di proprietà di utilizzazione, la sicurezza, le dimensioni, i simboli, le prove e i metodi di prova, l'imballaggio, la marchiatura e l'etichettatura (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2020, n. 4996).
Sotto il profilo della ratio, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di evidenziare che la dettagliata esposizione di tali dati è funzionale a rendere intellegibile le esigenze contrattuali che la stazione appaltante intende soddisfare mediante l’indizione della gara, in guisa da consentire agli aspiranti concorrenti di formulare proposte negoziali serie e attendibili (cfr. C.G.A.R.S., 20 luglio 2020, n. 634).
Emerge con chiarezza la particolare importanza assunta dalle specifiche tecniche nell’ambito delle pubbliche commesse: esse rappresentano il parametro di riferimento alla luce del quale valutare l’ammissibilità delle offerte presentate dagli operatori economici in concorrenza.
Costituisce jus receptum il principio secondo cui l’attività valutativa in parola non debba risolversi in un formalistico e meccanico riscontro di congruità, ostando a ciò il criterio di equivalenza.
In forza del menzionato principio, gli operatori di mercato sprovvisti delle particolari caratteristiche fissate dalla legge di gara possono comunque partecipare alla procedura, dimostrando che la soluzione proposta è in grado di soddisfare le esigenze dell’amministrazione in termini equipollenti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 18 settembre 2019, n. 6212).
Il canone generale di equivalenza rende dunque valutabili prestazioni da ritenersi omogenee sul piano funzionale, secondo criteri di conformità sostanziale, così da garantire la massima concorrenzialità nel settore dei pubblici contratti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 25 novembre 2020, n. 7404).
Tanto premesso, la statuizione in commento merita particolare menzione per aver identificato la fase procedimentale durante la quale deve essere compiuta la valutazione di equivalenza dell’offerta rispetto alle specifiche tecniche indicate nei documenti di gara.
Nella fattispecie evidenziale portata al vaglio del Supremo Consesso Amministrativo, la lex specialis dislocava tale adempimento in sede di esecuzione del contratto.
Ebbene, il Consiglio di Stato ha censurato siffatta previsione, rilevando che grava sull’operatore economico l’onere di fornire la prova di equivalenza all’atto della formulazione dell’offerta.
Al riguardo, i Giudici di Palazzo Spada hanno altresì precisato che la valutazione della rispondenza di tale offerta alle specifiche tecniche fissate in sede di gara debba essere compiuta dalla stazione appaltante prima dell’adozione del provvedimento conclusivo di aggiudicazione.
L’orientamento che precede è stato motivato alla luce delle coordinate ermeneutiche eurounitarie (cfr. Corte di Giustizia U.E., sentenza 12 luglio 2018, in causa C-14/17).
In conclusione, con riferimento alla tematica in rassegna, si segnala la recentissima ordinanza 14 dicembre 2020, n. 7964, mediante la quale la V sezione del Consiglio di Stato ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E. ex art. 267 T.F.U.E. di questione involgente anche la collocazione temporale della prova di equivalenza dei prodotti offerti.