Cons. Stato, Sez. III, 28 dicembre 2020, n. 8359

Al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale l'offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante.

La base d’asta deve essere certamente fissata in una misura che, seppure non deve essere corrispondente necessariamente al prezzo di mercato, tuttavia non può essere arbitraria perché manifestamente sproporzionata, con conseguente alterazione della concorrenza. Tuttavia, la determinazione del contenuto del bando di gara (in ordine alle prestazioni delle parti, e dunque a quelle da eseguire da parte dell’aggiudicatario e alle somme dovute dalla stazione appaltante) costituisce espressione di un potere discrezionale in base al quale l'Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare. Le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell'oggetto e all'esigenza di non restringere la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegi.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3298 del 2020, proposto da Azienda di servizi alla persona “Golgi – Redaelli", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Giuseppe Franco Ferrari, Giangiacomo Ruggeri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Franco Ferrari in Roma, via di Ripetta, n. 142;

contro

Filipendo Consorzio di cooperative sociali società cooperativa sociale onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Massimo Scalfati e Stefano La Marca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Consorzio Blu società cooperativa sociale, Il Cigno - cooperativa sociale societa' cooperativa a responsabilita' limitata, Social Care consorzio di cooperative sociali - societa'cooperativa sociale - onlus non costituiti in giudizio;



 

sul ricorso numero di registro generale 3303 del 2020, proposto da
Consorzio Blu società cooperativa sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Enrico Giuseppe Vallania, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Filipendo Consorzio di cooperative sociali società cooperativa sociale onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Massimo Scalfati e Stefano La Marca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Azienda di servizi alla persona "Golgi - Redaelli", Social Care consorzio di cooperative sociali - società cooperativa sociale onlus, Il Cigno - cooperativa sociale società cooperativa a responsabilità limitata, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

per la riforma

con entrambi i ricorsi,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 545/2020, resa tra le parti, in data 24 marzo 2020, nella parte in cui ha annullato gli atti inerenti la procedura di gara indetta dall’ASP “Golgi – Redaelli” ed afferente il “Servizio di gestione del servizio sanitario-assistenziale e di reparti di degenza R.S.A. degli Istituti Geriatrici “P. Redaelli” di Milano (CIG: 79530421E1) e Vimodrone (CIG: 79530545BC5)”, nonchè dell’aggiudicazione, unitamente a tutti gli atti e dei verbali successivi all’indizione della gara.


 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Filipendo Consorzio di Cooperative Sociali Società Cooperativa Sociale Onlus;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2020, svoltasi in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25, comma 1, d.l. 28 ottobre 2020, n. 37, il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e presenti, ai sensi di legge, mediante deposito di note di udienza, gli Avvocati delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

1.- Con determina del Direttore Generale dell’Azienda di servizi alla persona “Golgi – Redaelli”, n. 89 del 27.6.19, veniva indetta la gara avente ad oggetto l’affidamento della Gestione del Servizio Sanitario-Assistenziale e di Reparti di Degenza R.S.A. degli Istituti Geriatrici “P. Redaelli” di Milano e di Vimodrone per la durata di 36 mesi, “ripetibili fino a massimo 36 mesi oltre a eventuali 6 mesi di proroga”.

La procedura, suddivisa in due lotti (per un totale di 197 posti letto nell’istituto di Milano, lotto 1, e 135 posti letto nell’istituto di Vimodrone, lotto 2) era connotata da un importo a base d’asta pari complessivamente a €. 39.382.568,98, di cui €. 582.008,41 quali “oneri della sicurezza da rischio interferenza non ribassabili”.

La lex specialis, in particolare, fissava quale importo massimo annuale del servizio, posto a base di gara, le seguenti somme: € 3.459.393,00 per il lotto 1, pari a complessivi €. 22.486.054,50 per tutta l’eventuale durata dell’appalto (di cui €. 20.237.449,05 di costi stimati per la sola manodopera); €. 2.509.924,00 per il lotto 2, pari a complessivi €. 16.314.506,00 per tutta l’eventuale durata dell’appalto (di cui €. 14.683.055,40 di costi stimati per la sola manodopera).

2. - Filipendo Consorzio di Cooperative Sociali Società Cooperativa Sociale Onlus con ricorso n.r.g. 1710 del 2019, impugnava, dinnanzi al TAR per la Lombardia, le disposizioni della legge speciale di gara e tutti gli eventuali atti e verbali della procedura medio tempore sopravvenuti, chiedendone l’annullamento e la declaratoria di inefficacia del contratto, ove stipulato, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 121 e 122 cod. proc. amm., nonché la condanna dell’Amministrazione all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, con rinnovazione della procedura di gara.

Con motivi aggiunti, presentati il 5/12/2019, la ricorrente impugnava la determina del Direttore Generale dell’Azienda n. 160 del 5.11.2019, avente ad oggetto l’aggiudicazione alla Ditta Consorzio BLU Società Cooperativa Sociale del servizio oggetto di gara e la determina del medesimo Direttore Generale n. 164 del 6.11.2019, adottata a parziale rettifica della precedente Determinazione, nonché, specificamente, gli atti presupposti relativi alla costituzione della Commissione di gara e relativi verbali.

La ricorrente deduceva i seguenti motivi:

I)- sottostima, illogicità ed irragionevolezza dell’importo previsto a base d’asta - violazione e/o falsa applicazione degli artt. 23, 30, 35 e 97 del d.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE - violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 12 della l. 241/90 – violazione e falsa applicazione dei prezzi di riferimento ANAC – violazione della delibera ANAC n. 842 del 27.7.17 - violazione dei principi della libera concorrenza e di buon andamento dell’azione amministrativa - difetto di istruttoria - sviamento - travisamento – irragionevolezza.

L’importo posto a base di gara sarebbe insufficiente a coprire i costi imposti dalla stessa lex specialis, così oggettivamente precludendo la partecipazione; l’operato della stazione appaltante sarebbe, altresì, afflitto dalla mancanza di una adeguata istruttoria, come emerge dalla “drastica sottostima degli oneri necessari per i servizi ‘secondari’ richiesti dall’art. 7, 11 e 16 del c.s.a.” (in particolare, manutenzione e sostituzione dei beni concessi in uso, fornitura di farmaci, logistica dei degenti, trasporto sanitario, esami e visite, servizio di lavanolo, acquisto materiali di consumo, formazione, spese generali).

A fronte dell’importo posto a base d’asta, detratti gli importi indicati dall’art. 3 del disciplinare a titolo di costi per la manodopera, il valore delle prestazioni “secondarie” dedotte in capitolato sarebbe quantificabile “in appena €. 3.880.056,05 per 78 mesi”, nel mentre ne occorrerebbero, invece, “almeno €. 9.150.970,75”.

Ulteriore “sottovalutazione” caratterizzerebbe, altresì, il costo necessario alla remunerazione del personale da impiegare nell’esecuzione del servizio.

II) - eccesso di potere per irragionevolezza ed indeterminatezza della lex specialis - impossibilità di definire seriamente l’offerta. L’indeterminatezza degli obblighi “da assumere”, ovvero delle molteplici prestazioni richieste, sostanzialmente preclude la partecipazione; in particolare per quanto attiene alla manutenzione dei beni concessi in uso e di proprietà della stazione appaltante, ovvero alla loro sostituzione per vetustà (con i beni acquistati che “rimarranno in capo alla proprietà della s.a.”), non specificando l’Azienda resistente il grado di vetustà di tali beni. Anche per quanto attiene al trasporto sanitario degenti la stazione appaltante non avrebbe fornito i dati “storici” relativi alla “media di km” percorsi nel 2018, sì da impedire alla impresa potenzialmente interessata alla gara di prevedere e stimare i costi di tali elementi del servizio.

III) illegittimità dell’art. 2 del c.s.a. “durata del contratto e utilizzo della graduatoria” – violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 95 comma 12 e 109 del d.lgs. 50/16 - violazione e falsa applicazione degli artt. 1229 e 1355 del cod. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 28 e 97 Cost. - arbitrarietà – ingiustizia manifesta – illogicità – eccesso di potere – sviamento.

Le previsioni di gara sarebbero illegittime nella parte in cui subordinano la definitiva aggiudicazione al positivo decorso di un periodo di sei mesi di prova, durante i quali l’Azienda si è riservata la facoltà, “a suo insindacabile giudizio” di “recedere dal contratto mediante preavviso di 10 (dieci) giorni” e senza prevedere ulteriori indennizzi.

3.- Si costituiva in giudizio l’Azienda che eccepiva l’irricevibilità, inammissibilità e infondatezza del gravame.

4.- Con motivi aggiunti, la ricorrente deduceva l’ illegittimità derivata della sopravvenuta aggiudicazione, l’inesistenza dei presupposti per l’affidamento in via d’urgenza (art. 32 d.lgs. 50/16), l’omessa comunicazione della aggiudicazione, la violazione e/o omessa applicazione artt. 95 e 97 d.lgs. 50/16, il difetto di istruttoria e dei presupposti, l’irrazionalità, illogicità, incongruenza e ingiustizia manifesta, stante la mancata verifica di anomalia della offerta, la violazione dell’art. 216 del codice dei contratti e dell’art. 3 L. 241/90, la violazione dell’art. 77 del codice contratti, la violazione dei princìpi del giusto procedimento, del buon andamento della p.a., di imparzialità terzietà e trasparenza, della par condicio dei concorrenti, di non discriminazione e di concorrenza effettiva, l’ eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e incongruenza, lo sviamento, stante la illegittima composizione della commissione giudicatrice sotto plurimi profili, la violazione degli artt. 4, 72, 73 e 216 d.lgs. 50/16, la violazione dell’art. 1 l. 241/90, la violazione dell’obbligo di pubblicazione sulla GURI e sulla GUCE, pur essendo la gara “sopra soglia” (per un valore di oltre 39 milioni di euro).

5.- Si costituiva in giudizio il Consorzio controinteressato, aggiudicatario della gara, chiedendo la reiezione del gravame.

La resistente Azienda rimarcava l’inammissibilità dei nuovi e autonomi motivi proposti avverso l’atto di aggiudicazione, atto conclusivo di una procedura a cui la ricorrente non ha partecipato.

6.- Con la sentenza in epigrafe, il TAR, respinte le eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità formulate dalle parti resistenti, accoglieva il ricorso introduttivo e in parte i motivi aggiunti, con condanna delle soccombenti in via solidale tra loro alle spese di giudizio e al rimborso del contributo unificato.

Il Tar riteneva fondato il primo motivo di ricorso, perchè “sottostimati” nell’importo totale posto a base di gara per i due lotti gli oneri diretti a garantire l’espletamento dei cc.dd. “servizi secondari”, contemplati agli artt. 7, 11 e 16 del capitolato speciale, e riteneva incongruo il costo stimato per la remunerazione del personale da impiegare nel servizio.

In definitiva, il TAR riteneva “l’inattendibilità ed incongruità dell’importo posto a base di gara, comechè preclusivo in nuce della possibilità di formulare una offerta seria, attendibile ed economicamente sostenibile.”

Il Tar ha accolto anche il terzo motivo di ricorso, ritenendo che “la censurata disposizione contenuta all’art. 2 del capitolato speciale, benchè in sé legittima in relazione alla esistenza del diritto di recesso, si appalesa ictu oculi contrastante con la previsione di cui all’art. 109 del d.lgs. 50/216”.

7.- Con gli appelli in esame, l’Azienda e l’aggiudicataria lamentano l’erroneità e ingiustizia della sentenza, di cui chiedono la riforma.

8.- Si è costituita in giudizio Filipendo Consorzio di cooperative sociali società cooperativa sociale onlus chiedendo il rigetto degli appelli.

9.- Alla pubblica udienza del 26 novembre 2020, le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1.- Preliminarmente va disposta la riunione degli appelli, proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell’art.96, comma 1, c.p.a..

2.- Nel merito, gli appelli sono fondati.

2.1.- Il tema decidendum portato all’esame del Collegio da entrambi gli appelli concerne l’inadeguatezza dell’importo posto a base di gara che il primo giudice, aderendo alla prospettazione della ricorrente Filipendo Consorzio di Cooperative Sociali Società Cooperativa Sociale Onlus, operatore economico del settore, ha ritenuto oggettivamente insufficiente a coprire i costi imposti dalla lex specialis, asserendo anche l’indeterminatezza delle molteplici prestazioni richieste, che concorrerebbe ulteriormente a precludere oggettivamente la partecipazione alla gara di cui trattasi.

Solo ove si riscontri l’oggettiva impossibilità di partecipare alla gara, la ricorrente, che non ha formulato offerta, sarebbe stata legittimata a impugnare immediatamente il bando, per la sua portata escludente.

2.2.- L’Azienda contesta che la base d’asta rendesse oggettivamente impossibile l’offerta, non essendo dimostrata un’impossibilità in tal senso a carico di ogni potenziale concorrente, ma semplicemente l’impossibilità per l’odierna appellata di presentare la propria offerta competitiva, il che sarebbe irrilevante ai fini della legittimazione alla impugnazione immediata del bando e alla valutazione della legittimità della procedura di gara.

Di fatto, sono state presentate ben tre offerte, il servizio è stato aggiudicato, e nessuno degli offerenti ha impugnato il bando di gara; la gestione del servizio da parte dell’aggiudicataria prosegue ormai da quasi un anno senza alcuna contestazione o impossibilità in capo al gestore.

Il ricorso introduttivo doveva essere dichiarato inammissibile, non ricorrendo l’eccezione della immediata lesività che consente la disapplicazione della regola della impugnazione unitamente agli atti conclusivi della gara e consente l’impugnazione anche da parte di chi non vi ha partecipato.

2.3.- Afferma, ancora, l’Azienda che la determinazione degli importi a base d’asta si sottrae a qualunque sindacato da parte del giudice amministrativo.

In un regime di libera concorrenza, non sussisterebbe alcun obbligo da parte delle stazioni appaltanti di porre a base d’asta un prezzo remunerativo e l’eventuale erroneità del risultato è vizio interno del procedimento di formazione della volontà del soggetto che indice la gara, non sindacabile da terzi.

2.4.- L’appellata società cooperativa Filippendo, di contro, ribadisce, anche in questa sede, che la determinazione del prezzo posto a base d'asta non può prescindere da una verifica della reale congruità in relazione alle prestazioni e ai costi per l'esecuzione del servizio, comprese le condizioni di lavoro, che consentano ai concorrenti la presentazione di una proposta concreta e realistica, a rischio, in caso contrario, sia di carenze di effettività delle offerte e di efficacia dell'azione della Pubblica Amministrazione, sia di alterazioni della concorrenza tra imprese, profili tutti giudizialmente scrutinabili.

L’Azienda avrebbe totalmente omesso di esternare i criteri (verificabili) attraverso i quali sarebbe stata determinata la base d’asta e, sul punto, l’appellata chiede venga disposta istruttoria.

Insiste, quindi, sui profili di illegittimità illustrati in primo grado e condivisi dalla sentenza appellata.

3.- Ritiene il Collegio che il primo motivo dell’appello proposto dall’Azienda sia fondato.

Le clausole che impediscono la partecipazione alla gara (e soggiacciono all’onere di immediata impugnazione da parte di chi non ha formulato offerta) sono le sole clausole che impediscono astrattamente ad ogni tipo di concorrente la partecipazione alla gara o perché impongono oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, ovvero perchè rendano impossibile a qualunque operatore economico la stessa formulazione dell'offerta, impedendo il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara (Consiglio di Stato, sez. V, 30 aprile 2018, n. 2602; Sez. VI, 7 marzo 2018 n. 1469; Sez. III, 5 dicembre 2016, n. 5113).

Questa ultima ipotesi si verifica allorchè l’importo posto a base di gara sia così esiguo da dare luogo ad un'abnorme restrizione dell'accesso alla selezione, precludendo oggettivamente di formulare adeguate offerte in chiave competitiva, ovvero azzerando il margine di utile.

Sotto altro profilo, vero è, come asserisce la Società ricorrente, che pur disponendo l’Amministrazione di ampia discrezionalità nella determinazione della base d’asta, questa deve essere credibile, non basata su stime irrealistiche e disancorate dai reali valori di mercato, non deve ignorare listini e prezziari, eventuali rilevazioni statistiche e ogni altro elemento di conoscenza, e, con particolare riguardo al costo del lavoro, il valore economico deve essere adeguato e sufficiente.

  1. Tuttavia, la giurisprudenza consolidata afferma che “la determinazione del contenuto del bando di gara costituisce espressione del potere discrezionale in base al quale l'Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare; le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell'oggetto e all'esigenza di non restringere la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegi.

Nel settore degli appalti pubblici, infatti, le valutazioni tecniche, come quelle che riguardano la determinazione della base d'asta, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie ovvero fondate su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti, che non può dedursi dalla presentazione di conteggi e simulazioni, unilateralmente predisposti dalla parte, che non evidenziano alcun manifesto errore logico o di ragionevolezza e che, comunque, non dimostrano un'impossibilità oggettiva, a carico di ogni potenziale concorrente, di presentare un'offerta, ma dimostrano semplicemente l'impossibilità soltanto per l'attuale appellante, di presentare un'offerta, il che è irrilevante ai fini della valutazione della legittimità della procedura di gara” (Consiglio di Stato sez. V, 22/10/2018, n.6006).

Per tale ragione, è richiesta una prova particolarmente rigorosa circa gli elementi di difficoltà, lacunosità, genericità o irragionevolezza del bando (C.G.A., 8 agosto 2016 n. 258).

Va, pertanto, verificato, innanzitutto, ai fini della stessa ammissibilità del ricorso, che la base d’asta abbia impedito con certezza a tutti i potenziali concorrenti la partecipazione alla gara e, quindi, in modo oggettivo ed inequivocabile, abbia precluso la presentazione di offerte alle condizioni indicate dal bando (Cons. Stato, Sez. V, 22.10.2018, n. 6006).

3.1.- Ad avviso del Collegio, nel caso in esame, non sussiste la lamentata oggettiva impossibilità a presentare un’offerta; si è trattato, invece, di una impossibilità soggettiva della ricorrente.

A riprova di ciò, va rilevato che sono state presentate in gara tre offerte e che il servizio è stato aggiudicato senza che nessuno degli offerenti abbia impugnato il bando di gara, né immediatamente, né a conclusione della procedura.

L’utile stimato dalla Stazione appaltante, pari al 2% è stato ritenuto “assai esiguo” dal TAR, nonostante che l’Azienda abbia rimarcato che il margine teorico di utile indicato doveva essere considerato passibile di incremento a seguito di risparmio sui consumi.

L’aggiudicataria ha conseguito l’appalto con una offerta in cui l’utile è pari allo 0,66 % (lotto 1) e allo 0,60% (lotto 2).

Secondo la giurisprudenza, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale l'offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante (Consiglio di Stato, sez. III , 17/06/2019 , n. 4025; V, 29 dicembre 2017, n. 6158; 13 febbraio 2017, n. 607 e 25 gennaio 2016, n. 242; sez. III, 22 gennaio 2016, n. 211 e 10 novembre 2015, n. 5128).

Analogamente, può affermarsi che non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale la base d’asta debba considerarsi palesemente incongrua e irragionevole.

Una base d’asta che contempli un margine di utile esiguo è frutto di un contemperamento di interessi che rientra nella sfera di discrezionalità della stazione appaltante: è ovvio che un vantaggio in termini di risparmio possa comportare una perdita in termini di qualità, ma la scelta di quale sia il vantaggio da perseguire in via prioritaria appartiene pur sempre alle valutazioni interne dell’Amministrazione e non è escluso che, dato il carattere concorrenziale del mercato, la qualità del servizio non risulti eccessivamente penalizzata dalla scelta di privilegiare l’economia di spesa.

La circostanza che per il medesimo servizio il gestore uscente in prosecuzione per sei mesi abbia conseguito importi notevolmente maggiori rispetto alla base d’asta (pari a € 2.711.457,00 per il lotto 1 e a € 1.730.850 per il lotto 2) non ne dimostra l’irragionevolezza e incongruità, come vorrebbe la società ricorrente, quanto piuttosto l’utilità per la stazione appaltante di porre in essere la gara con base d’asta più contenuta.

Pertanto, alla luce di tali considerazioni, è fortemente dubbio che ricorra quell’impedimento assoluto alla formulazione di offerte prospettato dalla ricorrente in primo grado e che sussista quella lesività oggettiva del bando che ne determina l’impugnabilità immediata da parte del soggetto che non ha preso parte alla gara.

Sotto questo profilo, il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

4.- In ogni caso, il ricorso introduttivo era infondato.

La sentenza appellata, valutando nel merito le censure mosse dalla ricorrente, ha ritenuto che i costi per i servizi secondari e il costo stimato per la remunerazione del personale siano palesemente incongrui.

Ad avviso del Collegio, non si evidenzia alcun manifesto errore logico, né alcun palese e manifesto travisamento dei fatti nella determinazione della base d’asta, che rilevi ai fini del giudizio di legittimità.

4.1.- Quanto al primo di detti importi, l’incongruità degli oneri posti a base d’asta per tutti i servizi secondari è stata desunta, in via deduttiva, dalla esiguità della voce di costo del servizio di lavanolo, l’unico che tra i costi contestati sarebbe palesemente incongruo, in quanto difforme rispetto ai prezzi contenuti nella tabella n. 1 allegata alla delibera ANAC n. 842/2017.

Secondo il TAR, facendo applicazione della delibera ANAC, solo per il lavanolo sarebbe necessario un costo complessivo, per entrambi i lotti, pari ad € 5.119.63,20, mentre, per entrambi i lotti, per tutti i servizi secondari, l’ASP ha messo a base d’asta l’ammontare di € 3.880.056,05.

4.2. - Osserva il Collegio che i prezzi indicati dalla citata delibera ANAC n. 842/2017 hanno valore meramente indicativo e non vincolante per l’Amministrazione.

La delibera dell’ANAC (che trae la propria fonte di legittimazione dall’art. 17, comma 1, lett. a) del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 concernente la riduzione della spesa pubblica) ha lo scopo di mettere a disposizione delle regioni e delle centrali di acquisto ulteriori strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa, con funzione ricognitiva dei “prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza” dei beni e servizi anche sanitari, ponendosi, dunque, come strumento di ausilio alle Amministrazioni cui sono rivolte, per realizzare risparmi di spesa.

Difatti, lo stesso art. 17, comma 1, lett. a) prevede che nell’ipotesi in cui emergano differenze significative dei prezzi unitari, non giustificate da particolari condizioni tecniche o logistiche delle forniture o dei servizi, le aziende sanitarie locali sono tenute a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti che abbia l’effetto di ricondurre i prezzi unitari di fornitura ai prezzi di riferimento come individuati dall’attività di rilevazione dell’ANAC.

Dunque, la finalità dei prezzi standard indicati dall’ANAC è quella di fornire alle stazioni appaltanti elementi di conoscenza allo scopo di realizzare economie di spesa.

Nella specie, il discostamento (in peius) dai prezzi di cui alla citata delibera ANAC 842/2017 è motivato dall’Azienda appaltante con l’obiettivo prioritario della gara, quello di far fronte alla crescente onerosità delle prosecuzioni contrattuali dell’affidamento all’epoca in corso (verbale istruttorio del 7.6.2019), dunque in linea con l’obiettivo perseguito dal D.L. 98 del 2011.

4.3. - Occorre poi aggiungere che una valutazione di congruità e ragionevolezza circa l’entità degli esborsi necessari per far fronte al servizio di lavanolo, e più in generale ai servizi oggetto di affidamento, non può essere desunta acriticamente dalla mera adesione alle prospettazioni di parte ricorrente (tabelle riportate in ricorso e relazione tecnica).

E’ vero, piuttosto, che proprio per la difficoltà di contemperare l’esigenza di controllo e razionalizzazione della spesa con l’esigenza della qualità del servizio la scelta tecnico-discrezionale compiuta dalla stazione appaltante è suscettibile di un sindacato che si limiti ad evidenziare palesi illogicità ed errori di fatto, che nella specie non si riscontrano.

4.4.- Infine, l’appellante aggiudicataria ha prodotto le stime di costo per il lavanolo fatte in sede di gara (tabelle di pag. 8 dell’atto di appello) pari a circa €. 81.000,00 per il Loto 1 e circa €. 56.000,00 euro per il Loto 2, puntualmente circoscritte e giustificate anche dalle fatture prodotte in primo grado, idonee a comprovare la congruità del costo di lavanolo previsto dall'art. 7 del CSA.

Dall'analisi delle fatture si evince che conformemente al CSA il costo giornaliero del servizio di noleggio e lavaggio della biancheria, rapportato a ciascun posto letto, è pari ad € 0,93 giorno/ospite, che complessivamente corrisponde ad un costo annuo pari a € 66.871,65 (0,93 x 365 x 197) per il Loto 1 (197 posti letto) e € 45.825,75 (0,93 x 365 x 135) per il Lotto 2 (135 posti letto).

L’appellante Consorzio ha evidenziato che la differenza tra il costo annuo sopra indicato e quello rappresentato invece nelle tabelle (circa €. 81.000,00 per il Lotto 1 e circa €. 56.000,00 euro per il Lotto 2), pari ad € 0,21 giorno/ospite, tiene conto degli ulteriori servizi elencati nel chiarimento n. 80, ovverosia gli “ulteriori servizi” cui si riferisce la sentenza.

5. - Analoghe considerazioni devono essere svolte con riguardo alla remunerazione del personale, voce che il TAR ha ritenuto incongrua perché non terrebbe conto “di contributi Inps, premi Inail e imposte Irap, di guisa da essere sensibilmente inferiore (€ 3.113.453,70 per il lotto 1; € 2.258.931,60 per il lotto 2) rispetto a quello effettivo (€ 3.820.959,20 per il lotto 1; € 2.380.971,23 per il lotto 2), siccome desumibile dalle tabelle di cui alle pagg. 14-24, atto introduttivo e alla relazione tecnica versata in atti da parte ricorrente”.

5.1. - Anche in questo caso, la sentenza condivide acriticamente le risultanze della relazione tecnica di parte circa l’esistenza di costi effettivi sensibilmente superiori (rispetto a quelli presupposti dalla lex specialis) per quanto concerne il lotto 1 (oltre 700.000 euro) e, in ogni caso, più elevati (oltre 100.000 euro) per il lotto 2.

5.2. - La stazione appaltante sul punto afferma che l’allegato 2 del capitolato speciale (recante la tabella del personale attualmente impiegato) e sulla cui base sono stati effettuati i conteggi della ricorrente, cristallizzerebbe la situazione esistente al momento (con la forza lavoro impiegata dal gestore uscente), ma nulla vieta che la forza lavoro possa essere diversamente organizzata, anche con l’utilizzo “sia di personale dipendente che di lavoratori autonomi”, e utilizzando come base di calcolo il CCNL delle cooperative sociali, tenuto altresì conto che anche queste ultime possono impiegare “soci lavoratori liberi professionisti”.

5.3.- In effetti, la tesi della ricorrente accolta dal TAR presuppone che venga adottata la gestione del personale dipendente propria del gestore uscente; si tratta però di una ipotesi non verificata, né necessaria.

Pure in presenza della clausola sociale, il costo del personale può variare in dipendenza delle scelte organizzative dell’imprenditore e delle tipologie contrattuali applicate, oltre che dell’esperienza maturata nel settore, della formazione del personale, delle risorse logistiche e strumentali che consentono di ottimizzare la resa del personale (Cons. Stato, Sez. III, 25.2.2020, n. 1406; V, 21/09/2020, n.5483; Sez. V, 6.8.2019, n. 5574; Sez. III, 12.3.2018, n. 1574).

Si tratta di variabili che non sono state considerate adeguatamente dal primo giudice.

L’Azienda ha calcolato il costo del personale prevedendo l’impiego sia di personale dipendente sia di lavoratori autonomi, ma non ha imposto ai concorrenti di utilizzare una determinata forma contrattuale, allo scopo di favorire la competizione concorrenziale.

Tant’è che il Consorzio Blu, aggiudicatario, è riuscito a formulare un’offerta sostenibile applicando il CCNL delle Cooperative Sociali e privilegiando il rapporto di subordinazione.

Il Consorzio appellante ha dimostrato la sostenibilità della propria offerta, illustrandone i vari punti di forza con riferimento alle ore non lavorate per malattia, gravidanza e infortunio (che sono state indicate sulla base dell’esperienza maturata e addirittura in misura maggiore rispetto alle tabelle ministeriali), agli oneri per la rivalutazione del TFR (non considerata, in quanto il d.lgs. n. 252 del 2005 recante la " Disciplina delle forme pensionistiche complementari" prevede che tale onere sia in capo all'INPS o ad altri fondi scelti direttamente dagli operatori), all'indennità di turno (la cui incidenza è stata ridotta predisponendo un orario di lavoro meno gravoso per gli operatori), agli scatti di anzianità e alle sostituzioni dei lavoratori (cfr. tabelle di pag. 12 e 13 atto di appello).

Inoltre, il Consorzio ha precisato che i servizi oggi oggetto di affidamento sono completamente diversi rispetto a quelli delle precedenti gestioni, trattandosi non più di servizi integrati tra personale dell’Ente e di Cooperativa nei diversi reparti delle strutture, ma di affidamento completo dei servizi socio-assistenziali e sanitari, nonché di parte dei servizi accessori in specifici reparti, ove il personale della Cooperativa opererà in autonomia sulla base della propria organizzazione.

Questo cambiamento rappresenta certamente un discrimine importante per la valutazione della sostenibilità delle offerte, le quali vanno correlate alle modalità di gestione del servizio.

5.4.- Quanto al denunciato scostamento nella determinazione del costo del lavoro dalle apposite tabelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, va ricordato che si tratta di parametri medi e non vincolanti, frutto dell'attività di elaborazione del Ministero, desunti dall'analisi e dall'aggregazione di dati molteplici inerenti a più istituti contrattuali.

La difformità del costo del lavoro da quello indicato nelle tabelle ministeriali non è profilo dirimente per trarne la conclusione dell'incongruità della base d’asta, poiché le tabelle costituiscono un parametro di valutazione solo indicativo, a differenza dei minimi salariali (Cons. Stato, Sez. V, 18.2.2019, n. 1097; Sez. V, 29/07/2019, n. 5353; Consiglio di Stato sez. III, 15/05/2017, n.2252).

Il Consorzio aggiudicatario, d’altra parte, ha esposto le ragioni dello scostamento operato rispetto al costo medio orario risultante nelle predette tabelle e in sede di gara, con verbale del 4 novembre 2019, il RUP ha verificato i costi della manodopera proposti, concludendo per la loro attendibilità ritenendo che la divergenza rispetto alle tabelle ministeriali “sia compatibile con lo svolgimento dell’appalto come ipotizzabile dalle relazioni tecniche presentate, in ragione degli accorgimenti progettuali e organizzativi previsti dal concorrente” (cfr. all. 10, doc. 9, Appello Consorzio Blu).

Pertanto, anche sotto tale profilo, il calcolo proposto dalla società ricorrente anche in relazione alla voce remunerazione del personale non può ritenersi dimostrativo di una oggettiva incongruità della base d’asta.

6.- Con ultimo motivo dell’appello dell’Azienda, infine, viene censurata la sentenza nella parte in cui ha accolto il ricorso introduttivo ritenendo sussistere la violazione dell’art. 109 D.lgs. n. 50 del 2016.

Il primo giudice avrebbe violato il principio di corrispondenza con la domanda, pronunciandosi oltre la stessa.

L’odierna appellata aveva eccepito l’illegittimità del diritto di recesso in quanto tale.

Con la sentenza appellata, tuttavia, il TAR Milano ha respinto detta eccezione sostenendo che, nel nostro ordinamento, la Stazione appaltante può unilateralmente recedere da un contratto pubblico; ma ha poi accolto un vizio che la ricorrente non mai aveva formulato, statuendo che, nel caso di specie, la clausola contenuta all’art. 2 del capitolato speciale d’appalto fosse contrastante con le previsioni dell’art. 109, d.lgs. 50/2016.

Sostiene l’appellante che, in ogni caso, la decisione è erronea sul punto: entrambe le disposizioni garantiscono la remunerazione rispetto a quanto già eseguito dall’appaltatore.

In subordine, qualora la clausola del capitolato dovesse ritenersi contrastante con l’art. 109 cod. contratti, l’appellante invoca l’eterointegrazione della legge di gara o, al massimo, la cancellazione della clausola contestata, quale mero refuso, dai documenti di gara e non il totale annullamento della procedura.

6.1.- La censura è fondata in parte.

La ricorrente aveva dedotto l’impossibilità di predisporre un’offerta, come conseguenza anche dell’illegittimità dell’art. 2 del C.S.A., giacché detta disposizione configurerebbe una condizione “meramente potestativa” in favore della stazione appaltante., abilitando questa “insindacabilmente ed arbitrariamente” a decidere dopo i primi sei mesi di prova se dar seguito al contratto.

Secondo la tesi della ricorrente “detta clausola, infatti, rende inattuabile prestabilire a monte un’offerta basata su un servizio pluriennale e su cui poter “spalmare” i relativi costi e la programmazione economica, togliendo al concorrente ogni certezza in merito alla durata delle relative prestazioni e, conseguentemente, della loro effettiva remunerazione.”.

Nemmeno è garantito all’aggiudicatario il ristoro del decimo dell'importo dei servizi e forniture non eseguite come, invece, prevede l’art. 109 del D.Lgs. 50/16.

La censura, dunque, era stata formulata dalla ricorrente e, pertanto, il primo giudice non si è pronunciato in ultrapetizione.

6.2.- La disposizione dell’art. 2 del capitolato speciale censurata contrasta effettivamente con l’art. 109 del cod. contratti nella parte in cui la clausola prevede che nell’eventualità del recesso dal contratto nel periodo di prova, “all’aggiudicatario spetta il solo corrispettivo delle prestazioni già eseguite, escluso ogni altro rimborso o indennizzo a qualsiasi titolo e ogni ragione o pretesa di qualsiasi genere”.

Tale ultimo inciso viola la previsione normativa che attribuisce all’aggiudicataria il diritto al valore dei materiali utili esistenti in magazzino e il decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite.

Si tratta, tuttavia, di un profilo di illegittimità che la ricorrente, che non ha partecipato alla gara, ad avviso del Collegio, non aveva legittimazione a far valere mediante l’immediata impugnazione del bando, non potendosi considerare quale “clausola escludente” o che impedisce oggettivamente la formulazione dell’offerta, e men che mai nel senso riferito dalla ricorrente di impossibilità di “programmazione economica” dei costi.

L’applicazione della clausola censurata verrebbe in rilievo solo nella fase esecutiva del contratto e potrebbe dolere della sua lesività, nella eventualità del mancato superamento del periodo di prova, solamente l’aggiudicatario, il quale avrebbe, tra l’altro, interesse qualificato a chiederne l’integrazione mediante inserimento automatico della disposizione di legge omessa, analogamente a quanto avviene nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374 e 1339 c.c., colmandosi così, in via suppletiva, la lacuna del provvedimento adottato dalla Stazione appaltante.

7.- In conclusione, gli appelli vanno accolti e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, va rigettato il ricorso di primo grado.

8.- Le spese dei due gradi di giudizio, in considerazione delle questioni trattate, possono compensarsi tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposto, li riunisce e li accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso introduttivo del primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2020.

Guida alla lettura

Con la pronuncia in esame il Consiglio di Stato offre interessanti spunti interpretativi in merito alla soglia minima di utile conseguibile dall’impresa nell’ambito di un appalto pubblico.

Il contenzioso ha infatti ad oggetto una procedura di evidenza pubblica per l’affidamento della gestione del servizio sanitario-assistenziale e di reparti di degenza R.S.A, in relazione alla quale un operatore economico ha contestato le previsioni della lex specialis, censurando l’illogicità e l’irragionevolezza dell’importo previsto a base d’asta. Segnatamente, queste previsioni - secondo le prospettazioni del ricorrente - avrebbero impedito di partecipare alla gara e di formula un’offerta sostenibile. In primo grado, il tribunale amministrativo regionale aveva accolto il ricorso, ritenendo che gli oneri diretti a garantire l’espletamento dei “servizi secondari” fossero sottostimati e il costo previsto per la remunerazione del personale da impiegare nel servizio fosse incongruo. In particolare, il giudice di prime cure aveva rilevato che l’incongruità dell’importo posto a base di gara impediva di formulare un’offerta seria, attendibile ed economicamente sostenibile.

Avverso la predetta decisione la stazione appaltante e l’aggiudicataria hanno interposto appello contestando le argomentazioni esposte dal Tar.

In via generale, l’art. 30, comma 1, del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 stabilisce espressamente che “L’affidamento e l'esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza. Nell'affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”. Il comma successivo prevede inoltre che “Le stazioni appaltanti non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici o, nelle procedure di aggiudicazione delle concessioni, compresa la stima del valore, taluni lavori, forniture o servizi”.

In sostanza, queste previsioni di legge indicano chiaramente i principi che devono essere rispettati dalle stazioni appaltanti nell’espletamento di una procedura di evidenza pubblica. Conseguentemente, l’interrogativo circa la possibilità di stabilire una soglia minima di utile d’impresa ricavabile dall’aggiudicazione e successiva esecuzione di una commessa pubblica deve essere affrontato alla luce di tali indicazioni normative.

Nel dettaglio, la tematica ha sempre generato un notevole contenzioso soprattutto nell’ambito del procedimento di verifica delle offerte anormalmente basse. Al riguardo, la giurisprudenza ha più volte ribadito che “nella gara pubblica la valutazione di anomalia dell'offerta va fatta considerando tutte le circostanze del caso concreto, poiché un utile all'apparenza modesto può comportare un vantaggio significativo sia per la prosecuzione in sé dell'attività lavorativa (il mancato utilizzo dei propri fattori produttivi è comunque un costo), sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l'impresa dall'essere aggiudicataria e dall'aver portato a termine un appalto pubblico, cosicché nelle gare pubbliche non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l'offerta deve essere considerata anomala, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulta pari a zero” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158; 13 febbraio 2017, n. 607; 25 gennaio 2016, n. 242; Sez. III, 22 gennaio 2016, n. 211; 10 novembre 2015, n. 5128).

Quindi, nelle gare pubbliche l'esiguo utile d'impresa non denota di per sé l'anomalia dell'offerta, salvo che non si riduca ad una cifra meramente simbolica (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 2 marzo 2015, n. 1019).

Come noto, il giudizio sull’anomalia è espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza; infatti, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, ma non procedere ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci, che costituirebbe un'inammissibile invasione della sfera propria della Pubblica Amministrazione e tale sindacato rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto. (cfr. in questi termini, Cons. Stato, Sez. V, 2 dicembre 2015, n. 5450).

Orbene, i medesimi principi sono stati applicati dalla giurisprudenza anche nelle ipotesi - come nella fattispecie in esame - in cui la fissazione di un determinato importo a base d’asta avrebbe impedito ad un operatore economico di partecipare alla gara pubblica. A tal proposito, il collegio giudicante si è uniformato ad un precedente orientamento espresso dalla Quinta Sezione a mente del quale “la base d’asta deve essere certamente fissata in una misura che, seppure non deve essere corrispondente necessariamente al prezzo di mercato, tuttavia non può essere arbitraria perché manifestamente sproporzionata, con conseguente alterazione della concorrenza. Tuttavia, la determinazione del contenuto del bando di gara (in ordine alle prestazioni delle parti, e dunque a quelle da eseguire da parte dell’aggiudicatario e alle somme dovute dalla stazione appaltante) costituisce espressione di un potere discrezionale in base al quale l'Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare. Le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell'oggetto e all'esigenza di non restringere la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegi” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6006). I giudici di Palazzo Spada hanno dunque confermato che la determinazione della base d’asta rientra tra le valutazioni tecniche in quanto espressione di discrezionalità tecnica. Di talché, risulta sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente illogica, irrazionale, irragionevole, arbitraria ovvero fondata su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti. In sostanza, è necessario verificare e accertare in concreto che la base d’asta abbia impedito con certezza a tutti i potenziali concorrenti la partecipazione alla gara e, quindi, in modo oggettivo ed inequivocabile, abbia precluso la presentazione di offerte alle condizioni indicate dal bando.

Dunque, traslando tali coordinate ermeneutiche al caso de quo, il Consiglio ha rilevato soltanto un’impossibilità soggettiva della ricorrente e non un’impossibilità oggettiva a presentare un’offerta. Pertanto, ha accolto l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto il ricorso introduttivo.