Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101

La norma del codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario, come affermato dalla Corte di Giustizia (Corte di Giustizia U.E., Sezione Quinta, 26 settembre 2019, C-63/18; Id., 27 novembre 2019, C-402/18; in termini Cons. St., V, 16 gennaio 2020, n. 389, che ha puntualmente rilevato come “i limiti ad esso relativi (30 per cento “dell’importo complessivo del contratto di lavoro, servizi o forniture”, secondo la formulazione del comma 2 della disposizione richiamata applicabile ratione temporis, (…) devono ritenersi superati per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea”).

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10313 del 2019, proposto da Vivenda S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Michele Perrone, Giuseppe Lo Pinto e Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fabio Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna n. 32;

contro

Camst Soc. Coop. A R.L., Soc. Dussmann Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Sanino, Alessandro Sciolla e Sergio Viale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mario Sanino in Roma, viale Parioli n. 180;

nei confronti

Comune di Asti, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Mazza e Manuela Sanvido, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione Prima, 5 settembre 2019, n. 962, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Camst Soc. Coop. a r.l. e di Soc. Dussmann Service S.r.l. e di Comune di Asti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2020 il Cons. Giorgio Manca e preso atto della richiesta di passaggio in decisione, senza discussione, depositata dagli avvocati Perrone, Lo Pinto, Cintioli, Sanino, Sciolla, Viale, Mazza e Sanvido;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. - La società Vivenda s.p.a. ha partecipato alla procedura di gara, indetta dal Comune di Asti, per la concessione del “servizio di ristorazione a basso impatto ambientale per le mense scolastiche ed i centri diurni socio terapeutici riabilitativi”, del medesimo Comune. All’esito delle operazioni di gara è stata disposta l’aggiudicazione definitiva nei suoi confronti.

2. - Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (allibrato al n. di R.G. 777/2018), l’aggiudicazione è stata impugnata da Camst soc. coop. e Dussmann Service s.r.l., componenti della costituenda associazione temporanea di imprese seconda classificata nella procedura, deducendo la sua illegittimità sotto i seguenti profili:

- violazione dell’art. 5.2 del capitolato speciale, per la mancata disponibilità, da parte dell’aggiudicataria Vivenda s.p.a., di un centro di cottura pasti idoneo allo svolgimento del servizio, entro il termine previsto dalla lex specialis di gara:

- violazione degli artt. 19 e 19-bis della legge n. 241 del 1990, nonché degli artt. 100, 124 e 125 del d.lgs. n. 152 del 2006, per il mancato conseguimento delle autorizzazioni edilizie, ambientali ed igienico-sanitarie per la costruzione e l’avvio dell’attività del centro di cottura indicato dall’aggiudicataria per la preparazione dei pasti;

- anomalia dell’offerta economica dell’aggiudicataria;

- violazione dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici (approvato con il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), in relazione alla volontà dell’aggiudicataria di subappaltare a terzi il trasporto e la distribuzione dei pasti, in misura eccedente il limite del 30% dell’importo complessivo dell’appalto;

- violazione degli artt. 30, 32 e 164 del Codice dei contratti pubblici, in relazione all’illegittima consegna dell’appalto in via d’urgenza.

3. - Con autonomo ricorso (R.G. n. 120/2019), le ricorrenti impugnavano, altresì, le autorizzazioni e i nulla-osta formatisi, anche per implicito, a seguito della presentazione della comunicazioni di inizio lavori e delle segnalazioni certificate di inizio attività per il centro di cottura indicato dall’aggiudicataria.

4. - Il Tribunale amministrativo per il Piemonte, con la sentenza segnata in epigrafe, riuniti i ricorsi, previa reiezione del ricorso incidentale e dei relativi motivi aggiunti proposti dall’aggiudicataria Vivenda, ha accolto il ricorso principale per l’assorbente motivo della violazione dell’art. 5.2 del capitolato speciale, in relazione alla mancata disponibilità da parte dell’impresa aggiudicataria, entro il termine previsto dalla lex specialis di gara, del centro di cottura, il che avrebbe dovuto comportare la sua esclusione e la revoca dell’aggiudicazione definitiva disposta in suo favore.

5. - La sentenza è stata impugnata, in via principale, da Vivenda, che ne chiede la riforma sulla base di plurime doglianze che saranno esaminate nel prosieguo.

6. - Si è costituito in giudizio il Comune di Asti, il quale, aderendo alle tesi dell’appellante principale, ribadisce che il requisito del centro di cottura era richiesto per l‘avvio del servizio; e quindi dopo la stipula del contratto (o la consegna anticipata del servizio). Conseguentemente, anche nella documentazione allegata al bando di gara non è stato richiesto che il concorrente ne dimostrasse la disponibilità in fase di gara, né che l’aggiudicatario dovesse comprovarla ai fini della stipula del contratto. Non essendo requisito di partecipazione, non potrebbe incidere sul provvedimento d’aggiudicazione della gara o ai fini dell’esclusione.

7. - Resistono in giudizio le società Camst soc. coop. e Dussmann Service s.r.l., che preliminarmente eccepiscono il difetto del contraddittorio per l’omessa notifica dell’appello principale alla A.S.L. di Asti, parte del giudizio di primo grado, chiedendo sia disposta l‘integrazione del contradditorio ai sensi dell’art. 95, comma 3, del Codice del processo amministrativo; l’inammissibilità delle memorie del Comune di Asti nelle parti in cui estende le censure dell’appellante principale Vivenda, posto che - non avendo proposto appello autonomo - può solo aderire alla posizione dell’appellante principale; l’inammissibilità dell’eccezione di difetto di giurisdizione formulata da Vivenda, per la prima volta in appello. Le società propongono, altresì, appello incidentale avverso il capo della sentenza che ha dichiarato improcedibile, per carenza di interesse, l’autonomo ricorso avverso le autorizzazioni e i titoli necessari per l’apertura del centro di cottura indicato da Vivenda.

Ai sensi dell’art. 101, comma 2, del c.p.a., reiterano i motivi del ricorso in primo grado assorbiti dal primo giudice (in particolare sull’anomalia dell’offerta economica dell’aggiudicataria e per la violazione dei limiti del subappalto, ex art. 105 del Codice dei contratti pubblici, da parte della medesima Vivenda) e ripropongono le eccezioni, non esaminate dal T.a.r., di inammissibilità e nullità dei motivi aggiunti al ricorso incidentale di Vivenda.

8. - All’udienza pubblica del 24 settembre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

9. - Preliminarmente occorre procedere all’esame delle eccezioni di rito formulate dalle appellanti incidentali.

9.1. - Le eccezioni sono infondate.

9.2. - Quanto all’integrità del contraddittorio, deve osservarsi che l’appello di Vivenda (controinteressata in primo grado) è ammissibile, né occorre disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della A.S.L. di Asti. Invero, l’azienda sanitaria è stata correttamente evocata in primo grado in quanto parte resistente (solo) rispetto alle censure svolte dalle società ricorrenti con il secondo ricorso (R.G. n. 120/2019), mentre la stessa azienda non è parte resistente con riguardo al gravame proposto da Vivenda, con il quale si impugnano i soli capi della sentenza con cui è stato accolto il primo ricorso (R.G. n. 777/2018), che non conteneva (così come non le contiene l’appello) domande giudiziali rivolte alla A.S.L. di Asti.

Rileva, pertanto, quanto previsto dall’art. 95, comma 1, del Codice del processo amministrativo, nella parte in cui (salve le ipotesi di «sentenza pronunciata in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti», che non ricorrono nella fattispecie) impone «negli altri casi» di notificare l’impugnazione esclusivamente «alle parti che hanno interesse a contraddire» (in senso conforme Cons. St., IV, 27 maggio 2020, n. 3355).

Non è, quindi, necessario integrare il contraddittorio nei confronti della A.S.L. di Asti.

9.3. - Passando all’esame delle riproposte eccezioni di irricevibilità e inammissibilità dei motivi aggiunti al ricorso incidentale in primo grado di Vivenda, va osservato che:

- con riguardo alla eccezione di tardività, le appellanti incidentali (su cui grava il relativo onere probatorio) non dimostrano che Vivenda abbia avuto piena conoscenza della documentazione (concernente il centro di cottura utilizzato da Camst e Dussmann Service) prima dei trenta giorni dalla notifica dei motivi aggiunti al ricorso incidentale; per cui i motivi aggiunti, notificati il 29 novembre 2018 a seguito di accesso agli atti da parte di Vivenda completatosi dopo il 31 ottobre 2018, sono tempestivi (in generale, nel senso che il termine per proporre ricorso nelle controversie in materia di affidamento di contratti pubblici, quando la conoscenza del vizio dipende dal contenuto di atti non pubblicati, inizia a decorrere dal momento dell’accesso, anche informale, cfr. Cons. St., Ad. plen., 2 luglio 2020, n. 12);

- quanto all’inammissibilità di detti motivi aggiunti, fermo restando che l’atto di Vivenda contiene la compiuta (anche se necessariamente sintetica) esposizione del fatto e dei vizi dedotti, va rilevato che le norme processuali invocate dalle appellanti incidentali (art. 43 del c.p.a., il quale rinvia alla disciplina prevista per il ricorso introduttivo), limitano la sanzione dell’inammissibilità al solo caso dei motivi non dotati di sufficiente specificità [art. 40, comma 2, del c.p.a., con riferimento al comma 1, lettera d), della medesima disposizione], insussistente nella fattispecie, come si evince dalla piana lettura dell’atto; mentre, se si allarga il discorso ai casi di nullità del ricorso, l’art. 44 del c.p.a. li circoscrive al difetto di sottoscrizione [lettera a)] ovvero alla incertezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda [lettera b)], nessuno dei quali si riscontra nel caso di specie;

- è manifestamente infondata la questione di inammissibilità dell’eccezione di difetto di giurisdizione (eccezione formulata nell’appello di Vivenda: cfr. p. 13 ss. dell’atto), posto che l’art. 9 del c.p.a. consente alla parte resistente in primo grado (anche nella posizione di controinteressata) di dedurre il difetto di giurisdizione con uno specifico motivo di impugnazione del «capo della pronuncia […] che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione».

10. - Passando all’esame dell’appello principale, con il primo motivo, l’appellante sostiene che il T.a.r., pur muovendo dalla premessa che la disponibilità del centro di cottura è stato previsto dal bando di gara quale requisito di esecuzione, non s’è avveduto che l’applicazione in concreto della clausola in questione ha trasformato il requisito di esecuzione in un requisito di partecipazione. Sottolinea l’appellante come, per giurisprudenza pacifica e costante, il centro cottura costituisce un requisito di esecuzione del contratto in conformità al principio di massima tutela della concorrenza tra imprese. Trattandosi di requisito di esecuzione, che deve sussistere al momento dell’avvio dell’affidamento, la stazione appaltante è tenuta a verificarne la sussistenza solo al momento del concreto avvio del servizio.

10.1. - Peraltro, anche se di dovesse considerarlo come requisito di partecipazione, la clausola in questione sarebbe illegittima per i tempi imposti per la disponibilità del centro di cottura da parte dell’aggiudicatario (60 gg. dalla stipula del contratto e comunque entro l’avvio del servizio), onere assolutamente sproporzionato ed irragionevole oltre che impossibile da adempiere se si considerano i termini procedimentali previsti per il rilascio delle autorizzazioni (si osserva, infatti, che per il solo rilascio dell’autorizzazione unica ambientale è previsto un termine di 90 o 120 giorni, incompatibile con l’obbligo dell’aggiudicataria di disporre del centro di cottura entro l’1 settembre 2018 o al più entro il 10 settembre 2018). Il che - secondo l’appellante - integra una interpretazione della clausola che genera una violazione sia del principio di non discriminazione, sia del principio di parità di trattamento, richiamati dall'art. 2 del Codice dei contratti pubblici; e, altresì, dei principi del Trattato UE e delle direttive appalti, perché giunge ad imporre a tutti i concorrenti di procurarsi anticipatamente, e comunque prima di aver conseguito l'aggiudicazione definitiva, un centro di cottura. Il che configurerebbe un illegittimo vantaggio competitivo per gli operatori economici – qual è la Camst - già operanti sul territorio di riferimento e, a causa della richiesta capacità organizzativa aggiuntiva per l'impresa, un elemento di distorsione dei costi del partecipante alla procedura di gara. Il primo giudice, pertanto, avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità della clausola del bando, in accoglimento del ricorso incidentale di Vivenda, oppure rigettare il ricorso introduttivo, vagliando la possibilità che la clausola medesima fosse applicabile nel rispetto dei principi eurounitari.

10.2. - Se, invece, si qualifica quello di cui si discute come requisito di esecuzione del contratto, allora il T.a.r. avrebbe dovuto dichiarare il ricorso inammissibile e declinare la propria giurisdizione in favore di quella del giudice ordinario.

10.3. - Ribadisce che la sentenza è contraddittoria nella parte in cui qualifica il requisito sulla disponibilità del centro di cottura come condizione per l’esecuzione e allo stesso tempo come requisito di partecipazione (dal momento che la sua mancanza è ritenuta dal primo giudice idonea a determinare l’esclusione dalla procedura e il ritiro dell’aggiudicazione).

11. - Le censure sono fondate.

11.1. - Secondo l’art. 5.2. (rubricato «Centro di cottura») del capitolato speciale d’appalto, il servizio «potrà essere espletato utilizzando uno o più centri cottura» di cui il concessionario dovrà dotarsi «entro l’avvio del servizio». La disponibilità dei centri di cottura, così come la loro conformità alle norme edilizia, igieniche e ambientali, in vista dell’utilizzazione per la preparazione e la distribuzione dei pasti, è prevista, quindi, in una fase del rapporto che non riguarda il procedimento di gara, nè la fase successiva all’aggiudicazione e alla stipula del contratto. La stessa collocazione nel capitolato speciale, che di regola è destinato a contenere il regolamento delle prestazioni contrattuali, e non nel bando di gara o nel disciplinare di gara che invece dettano le norme per lo svolgimento della procedura di gara e, con queste, individuano anche i requisiti di partecipazione e di selezione dei concorrenti, è un indice che, in sede di interpretazione della lex specialis di gara, deve indurre l’interprete ad attribuire alla prescrizione in esame la natura e la funzione di presupposto indispensabile per l’esecuzione del servizio (come questo Consiglio di Stato ha costantemente affermato, la «funzione principale» del capitolato speciale d’appalto «è quella di definire i contenuti del futuro rapporto contrattuale [mentre] nella prodromica procedura di affidamento svolge invece il ruolo di fonte integratrice delle regole di gara rispetto al bando e al disciplinare, senza alcuna portata modificatrice di questi ultimi (cfr., tra le altre: Cons. Stato, III, 29 aprile 2015, n. 2186, 11 luglio 2013, n. 3735; V, 9 ottobre 2015, n. 4684, 18 giugno 2015, n. 3104)»: così, di recente, Cons. St., V, 3 maggio 2019, n. 2881) .

11.2. - La natura di requisito di esecuzione del contratto e del servizio, trova conferma, d’altronde, anche nella giurisprudenza formatasi sulla specifica questione dell’impegno a dotarsi (ovvero, della disponibilità) di centri di cottura (tra le più recenti, in tal senso, cfr. Cons. Stato, III, 28 luglio 2020, n. 4795; in precedenza v. Cons. St., V, 29 luglio 2019, n. 5308, che registra «il diffuso intendimento della disponibilità di un centro di cottura localizzato quale requisito di esecuzione delle prestazioni negoziali e non di partecipazione alla gara», richiamando precedenti conformi, tra i quali: Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2019, n. 2190; Id., 18 dicembre 2017, n. 5929; Id., 24 maggio 2017, n. 2443, nella quale si sottolinea come la previsione della legge di gara che imponga all’operatore economico la titolarità delle autorizzazioni sanitarie per centro di cottura deve essere intesa come «elemento certamente indispensabile per l’esecuzione dell’appalto [e quindi] rileva in quest’ultima fase, mentre in assenza di una previsione puntuale di lex specialis lo stesso non può tradursi in un requisito di ammissione alla gara»).

11.3. - Una soluzione in senso diverso, ossia nel senso della prescrizione della attuale ed effettiva disponibilità del centro di cottura come requisito di ammissione alla gara (e non solo come impegno a dotarsi della sede per la preparazione dei pasti in vista dell’esecuzione del servizio), nondimeno rischierebbe di porsi in contrasto con la tutela della concorrenza tra gli operatori economici del settore (sarebbero discriminati, infatti, coloro i quali non dispongono di un centro di cottura localizzato nel territorio oggetto del servizio, per i quali la regola del bando costituirebbe una barriera all’ingresso nel mercato non solo materiale ma anche economica, per i costi derivanti dalla necessità di procurarsi l’effettiva disponibilità del centro di cottura fin dal momento della presentazione dell’offerta); e, conseguentemente, anche con i principi di massima partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici e di proporzionalità.

11.4. - Da quanto osservato discende che non può ritenersi corretta la conseguenza tratta dal primo giudice, il quale – pur muovendo dall’esatto presupposto che «[s]ul piano giuridico, non è qui controverso che la disponibilità del centro cottura non costituisse un requisito di partecipazione, da possedere al momento della presentazione delle offerte in gara» - giunge, tuttavia, alla conclusione che «la violazione dell’impegno assunto con la partecipazione alla gara e la presentazione dell’offerta spiega effetti vizianti diretti sul provvedimento di aggiudicazione e comporta l’impossibilità di addivenire alla stipula del contratto d’appalto», assegnando all’eventuale accertamento della indisponibilità (al momento dell’aggiudicazione o della stipula del contratto) del centro di cottura il valore di causa di esclusione dalla gara. Anche i casi in cui potrebbe rilevare l’accertata indisponibilità del centro di cottura, ai fini dell’aggiudicazione o della stipula del contratto, sono differenti dal caso di specie: si tratta, infatti, di fattispecie in cui l’indicazione della disponibilità del centro di cottura (ma come centro di riserva o di emergenza) sia richiesta dalla legge di gara quale elemento dell’offerta tecnica soggetto a valutazione e attribuzione di punteggio; ovvero, il caso in cui (come nella fattispecie decisa da Cons. St., V, 3 aprile 2019, n. 2190, sopra richiamata e citata anche dalla sentenza impugnata) il capitolato di gara imponga di indicare nell’offerta la disponibilità di un centro di cottura dimostrando, in sede di gara, che abbia i titoli (edilizi, urbanistici, ambientali, sanitari) necessari per l’utilizzo. Nel caso per cui è controversia, invece, come si è veduto, il capitolato speciale prevede esclusivamente l’impegno dell’impresa appaltatrice a dotarsi di centri di cottura al momento dell’avvio del servizio (non della stipula del contratto o dell’aggiudicazione).

11.5. - Né si può giungere a riqualificare i requisiti attinenti alle modalità di esecuzione delle prestazioni (in termini di mezzi, personale, strutture indicate nell’offerta) come requisiti di ammissione alla gara sulla scorta della regola di buona fede e correttezza contrattuale che obbliga il contraente, debitore della prestazione, ad acquisire e predisporre per tempo i mezzi necessari per l’esecuzione, posto che anche la regola richiamata opera quale criterio di valutazione dell’esatto e tempestivo adempimento delle prestazioni contrattuali. In linea di principio, quindi, se tali mezzi non siano richiesti espressamente dal bando di gara ai fini dell’ammissione (nei limiti consentiti dall’art. 83 del Codice dei contratti pubblici, limiti presidiati, per un verso, dalla sanzione di nullità di cui al comma 8 della medesima disposizione e, per altro verso, dai principi sopra richiamati in tema di tutela della concorrenza, non discriminazione, proporzionalità), l’eventuale mancato rispetto da parte dell’aggiudicataria degli impegni, pur se assunti con la presentazione dell’offerta in sede di gara, rileva quale inadempimento contrattuale, sanzionabile con i rimedi apprestati dall’ordinamento, ma non costituisce motivo di esclusione per mancanza dei requisiti di partecipazione.

11.6. - La natura di condizione necessaria per l’avvio e l’esecuzione del servizio, che occorre riconoscere al requisito della disponibilità del centro di cottura, comporta – inoltre - che i diversi profili di illegittimità degli atti autorizzativi richiesti per l’apertura del centro di cottura e per l’esercizio dell’attività, dedotti col ricorso introduttivo del raggruppamento Camst/Dussmann, ritenuti fondati dal primo giudice (in quanto risulterebbe evidente «che il procedimento autorizzativo relativo al centro cottura della Vivenda s.p.a. era ancora in corso al febbraio del 2019. Il centro cottura non era agibile sino a tale data») e contrastati da Vivenda dapprima con il ricorso incidentale e, ora, con il terzo motivo d’appello (p. 18 e ss. dell’atto di gravame), non possono costituire oggetto del presente giudizio giacché finiscono con l’investire tematiche esulanti dall’ambito proprio della giurisdizione amministrativa esclusiva in materia di controversie «relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture» (ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera e), n. 1, del Codice del processo amministrativo, e secondo i noti principi affermati dal giudice del riparto, che assegna alla giurisdizione ordinaria la cognizione sulle controversie relative alla fase esecutiva dei contratti pubblici: per tutte, Cassazione, Sezioni Unite civili, ordinanza 10 gennaio 2019, n. 489).

12. - Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte, l‘appello di Vivenda deve essere accolto.

13. - Occorre, quindi, passare all’esame dei motivi del ricorso in primo grado non esaminati in sentenza e riproposti dalle società Camst soc. coop. e Dussmann Service s.r.l., ai sensi dell’art. 101, comma 2, del Codice del processo amministrativo.

14. - Va ribadito, anzitutto, con riferimento ai primi tre motivi (di cui alle pp. 7-13 della memoria di costituzione contenente anche l’appello incidentale) con i quali si contesta la conformità del centro di cottura (sotto i diversi profili urbanistico-edilizi, ambientali, sanitari), quanto già rilevato, ossia che le questioni sollevate riguardano profili dell’esecuzione del servizio e quindi fuoriescono dalla giurisdizione esclusiva amministrativa in materia di affidamento di contratti pubblici.

Profili che non assumono rilievo nemmeno ai sensi dell’art. 80 del Codice dei contratti pubblici, non essendo configurabile (né in base alla lex specialis, né in base ad altre norme applicabili alla procedura di gara) un obbligo dichiarativo in tal senso.

Pertanto, i predetti motivi sono in parte inammissibili e in parte infondati.

15. - Con il quarto motivo riproposto (e con un profilo inserito nel terzo motivo: cfr. punto III.B di p. 13 della memoria citata), le società deducono l’illegittimità dell’aggiudicazione a Vivenda, per l’erroneità del giudizio di congruità dell’offerta formulato dalla stazione appaltante.

15.1. - In particolare, l’inaffidabilità dell’offerta emergerebbe sotto i seguenti profili:

a) in merito ai costi relativi al centro di cottura indicato, l’aggiudicataria avrebbe dichiarato di non averli imputati per intero sull’appalto del Comune di Asti in quanto il centro avrebbe una capacità produttiva di n. 7.000 pasti al giorno, eccedente quanto richiesto dal servizio in questione (4.000 pasti) e quindi utilizzabile anche per altre commesse; tuttavia, secondo le ricorrenti in primo grado, il centro avrebbe una capacità produttiva inferiore anche ai 4.000 pasti giornalieri, per cui l’intero importo dei costi di costruzione e di gestione doveva gravare sul solo appalto del Comune di Asti;

b) il costo indicato da Vivenda per le utenze (energia elettrica, gas, acqua, tassa comunale sui rifiuti), pari a euro 101.919,30 per l’intero contratto, corrispondenti a euro 16.986,55 all’anno, sarebbe insufficiente ed incongruo, posto che dalle stime dalle ricorrenti risulterebbero maggiori costi, non stimati, pari a euro 68.557,17 all’anno;

c) anche il costo del personale quantificato da Vivenda sarebbe stato sottostimato dell’importo di euro 30.496,68, che andrebbero, quindi, sommati a euro 5.846.460,66, importo complessivo indicato dall’aggiudicataria per i 6 anni di appalto;

d) quanto agli oneri di sicurezza aziendale, indicati da Vivenda in euro 5.250,00 annui, comporterebbero una spesa annuale per dipendente pari a euro 46,40, incongrua rispetto ai costi determinati nelle tabelle ministeriali sul costo del lavoro;

e) insufficiente sarebbero, infine, anche la copertura per le “spese contrattuali”, che le appellanti calcolano in complessivi euro 21.125,28.

Sommando i maggiori costi sopra indicati, emergerebbe maggiori costi per euro 575.278,03, oltre il doppio di quanto previsto come utile d’impresa (€ 250.569,21).

16. – Il motivo è infondato.

16.1. – Premesso che il sindacato giurisdizionale di legittimità sull’espressione del giudizio di anomalia si conforma ai noti limiti della manifesta illogicità, contraddittorietà e irragionevolezza delle valutazioni tecniche riservate alla stazione appaltante, tenendo conto dell’eventuale travisamento o errore sui presupposti di fatto di dette valutazioni; e che il giudizio sulla congruità va conclusivamente formulato in termini di complessiva affidabilità dell’offerta, va osservato, sui diversi aspetti contestati dalle appellanti incidentali, quanto segue:

a) in ordine ai costi del centro di cottura, la questione (che qui rileva per il profilo della congruità dell’offerta), è infondata in fatto, atteso che nella documentazione in atti (e segnatamente nelle giustificazioni presentate da Vivenda nel corso del sub-procedimento di verifica dell’anomalia) risulta prevista una quota di ammortamento pari a euro 27.021,43 annui, per un totale complessivo di euro 162.128,58;

b) per quanto concerne i costi delle utenze, appare errato il presupposto che l’intero edificio del centro di cottura sia destinato allo svolgimento del servizio di cui trattasi (dovendosi considerare che la capacità produttiva del centro eccede quella necessaria per l’appalto), per cui, di converso, appare corretta l’imputazione all’appalto solo di una quota di tali costi;

c) con riferimento ai maggiori costi del personale, degli oneri di sicurezza aziendale e per le “spese contrattuali”, in ragione del criterio che impone di operare una valutazione complessiva dell’affidabilità dell’offerta sotto il profilo economico, va rilevato come dalle giustificazioni presentate da Vivenda emerge la previsione di utili e accantonamenti idonei a far fronte a eventuali passività delle voci di costo evidenziate dalle appellanti, che dovessero sopravvenire nel corso dell’appalto.

17. - Con il quinto motivo riproposto, le società deducono la violazione dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici, in quanto la quota del servizio che Vivenda intende subappaltare eccede il limite del 30% fissato dalla norma citata.

17.1. - Il motivo è infondato, posto che la norma del codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario, come affermato dalla Corte di Giustizia (Corte di Giustizia U.E., Sezione Quinta, 26 settembre 2019, C-63/18; Id., 27 novembre 2019, C-402/18; in termini Cons. St., V, 16 gennaio 2020, n. 389, che ha puntualmente rilevato come «i limiti ad esso relativi (30% per cento “dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”, secondo la formulazione del comma 2 della disposizione richiamata applicabile ratione temporis, […] deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea»).

18. - Quanto all’appello incidentale delle società Camst soc. coop. e Dussmann Service s.r.l. vengono, anzitutto, reiterati i motivi dedotti col ricorso R.G. n. 120/2019 (con il quale sono stati autonomamente impugnati gli atti e i titoli relativi al centro di cottura di Vivenda) non esaminati con la sentenza impugnata, sull’assunto della erroneità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nella parte in cui ha statuito la improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, quale conseguenza dell’accoglimento del ricorso proposto dalle medesime società avverso il risultato della gara (R.G. n. 777/2018). Secondo le appellanti incidentali, e contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, le motivazioni dell’accoglimento di quest’ultimo ricorso avrebbero dovuto comportare l’accoglimento anche dell’impugnazione avente per oggetto gli atti e i titoli necessari per l’apertura del centro di cottura, che in tal modo sarebbero stati rimossi dal mondo giuridico.

Inoltre, trattandosi di ricorso che investiva anche la materia dell’edilizia, il giudice di prime cure non doveva limitarsi a considerare in via esclusiva l’interesse delle ricorrenti all’aggiudicazione dell’appalto ma avrebbe dovuto valutare (“in astratto”, si sostiene) anche la sussistenza dell’interesse ad ottenere l’annullamento dei predetti atti. In ogni caso, ove venisse accolto l’appello principale, risorgerebbe anche l’interesse delle odierne appellate alla riforma della sentenza sul punto.

18.1. - Di conseguenza, con il primo motivo si ribadisce l’illegittimità della SCIA unica per la somministrazione di bevande e alimenti, giacché alla data di presentazione da parte di Vivenda non risultavano soddisfatti i presupposti indicati dalla normativa di settore, con la conseguente violazione di quanto previsto dall’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990 (per l’inerzia dell’amministrazione nel verificare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti della SCIA e, in caso di carenza, di adottare i “provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti”), nonché la violazione dell’art. 6 del Reg. CE n. 852/2004, il quale impone che i locali adibiti alla preparazione di alimenti, oggetto di notifica e registrazione, siano idonei a garantire l’igiene e la salubrità.

18.2. - Con il secondo motivo (p. 31 ss. dell’appello incidentale), le appellanti contestano il diniego di esercizio dei poteri inibitori ai sensi dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990, e il silenzio serbato dalle amministrazioni (A.S.L. e Comune di Asti), con riferimento alle pratiche di comunicazione inizio lavori (CILA), di SCIA e di comunicazione fine lavori, presentate da Vivenda per il centro di cottura, nella considerazione che il Comune di Asti avrebbe dovuto adottare i provvedimenti inibitori, essendo stato informato della sussistenza dei vizi e delle false dichiarazioni ivi contenute, fin dal 24 settembre 2018 e dall’1 ottobre 2018; in ogni caso, avrebbe dovuto adottare i provvedimenti di cui all’art. 19, comma 4, e all’art. 21-nonies, della legge n. 241 del 1990.

18.3. - Con il terzo motivo (p. 32 ss. dell’incidentale), le appellanti insistono per l’annullamento dei provvedimenti impugnati in quanto consequenziali di procedimenti di SCIA (anche in sanatoria) che, per i motivi già indicati, avrebbero dovuto concludersi con l’adozione di provvedimenti inibitori da parte dell’amministrazione.

18.4. - Con il quarto motivo (p. 33 ss. dell’incidentale), le appellanti denunciano l’illegittimità della nota del 10 maggio 2019 con cui i funzionari comunali hanno integrato e modificato le dichiarazioni che avevano reso nel verbale del sopralluogo presso il centro cottura di Vivenda del 7 settembre 2018, il cui vizio di eccesso di potere sarebbe dimostrato anche dal contrasto con quanto documentato nelle fotografie effettuate dai tecnici nel sopraluogo e allegate all’anzidetto verbale.

19. - I motivi sinteticamente esposti sono inammissibili sotto due profili differenti.

19.1. - Per un verso, per quanto già rilevato sopra, vale a dire che l’elemento della disponibilità del centro di cottura non è requisito di partecipazione ma di esecuzione, con la conseguenza che anche l’idoneità dei locali o la conformità degli stessi alle norme urbanistiche, edilizie o ambientali, attiene alla fase esecutiva del contratto.

19.2. - Per altro verso, ove si valutasse l‘ammissibilità delle censure sul piano di un diverso interesse ad agire, questo dovrebbe essere il riflesso di un interesse protetto diverso e ulteriore rispetto all’interesse all’aggiudicazione della gara, la cui esistenza non solo non è dimostrata o provata dalle appellanti ma non è nemmeno affermata. Nè appare ammissibile l’invocata valutazione “in astratto” di un interesse a contestare la legittimità degli atti impugnati, che con tutta evidenza contraddice la fondamentale regola dell’interesse ad agire quale concreto bisogno di tutela giurisdizionale, corollario (sul piano della tutela) della situazione giuridica soggettiva che si assume lesa.

In conclusione, l’appello incidentale è inammissibile. I motivi riproposti ai sensi dell’art. 101, comma 2, del c.p.a. sono in parte inammissibili e nel resto infondati.

20. – Le spese giudiziali, per entrambi i gradi del giudizio, devono essere integralmente compensate tra le parti, in ragione della complessità delle questioni esaminate e decise.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione Prima, 5 settembre 2019, n. 962, rigetta i ricorsi in primo grado.

Dichiara inammissibile l‘appello incidentale.

Compensa tra le parti le spese di lite per entrambi i gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia dello scorso 17 dicembre la V Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto non fondato il motivo di ricorso riproposto dalle società resistenti ai sensi dell’art. 101, comma 2 c.p.a. con il quale si deduceva la violazione dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici, in quanto la quota del servizio che la società aggiudicataria intendeva subappaltare eccedeva il limite del 30% fissato dalla norma citata (soglia, invero, innalzata al 40% fino al 31 dicembre 2020 dal d.l. n. 32/2019 “Sblocca Cantieri”, convertito in l. n. 55/2019).

A parere dei Giudici di Palazzo Spada la norma di cui all’art. 105 va disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario, così come affermato dalla Corte di Giustizia con le pronunce del 26 settembre 2019 (in causa “Vitali” C-63/18) e del 27 novembre 2019 (in causa “Tedeschi” C-402/18).

Per la giurisprudenza comunitaria, infatti, condizioni ulteriori rispetto a quelle prescritte dalla legislazione europea ostacolano l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi (artt. 49 e 56 TFUE), scoraggiando operatori economici di altri Paesi dell’Unione a partecipare alla gara; inoltre, i suddetti limiti non favoriscono l’accesso al mercato delle piccole e medie imprese che, potendo subappaltare solo una quota limitata dei lavori, non sarebbero messe, già a monte, in condizioni di ottemperare ai vincoli imposti dalla gara.

Se queste motivazioni non fossero state da sole sufficienti a stigmatizzare l’illegittimità comunitaria del limite della quota subappaltabile imposto dal secondo comma dell’art. 105 d.lgs 50/2016, la Corte europea ha richiamato il principio di proporzionalità, quale parametro di valutazione della incompatibilità della normativa nazionale rispetto a quella europea. L’attuazione del principio di proporzionalità, infatti, deve assicurare che le scelte del legislatore garantiscano il minor sacrificio possibile ai privati e che, nel positivizzare la misura che si ritiene più idonea per raggiungere il fine, il legislatore nazionale opti per quella scelta che non ecceda quanto necessario e opportuno. Orbene, secondo la Corte di Lussemburgo il vincolo della proporzionalità non risulterebbe correttamente rispettato in presenza dell’inserimento del predetto limite del 30% (o 40%) di quota subappaltabile a fronte del fine perseguito da parte del legislatore, ovvero quello di prevenire il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nelle commesse pubbliche.

Nel silenzio del legislatore, la soluzione proposta dal Supremo Consesso amministrativo appare, dunque, l’unica possibile. Come già sostenuto da una precedente pronuncia del Consiglio di Stato (sez. V., 16 gennaio 2020, n. 389) “non è pertinente neppure il richiamo all’istituto del subappalto previsto dall’art. 105 del codice dei contratti pubblici e ai limiti ad esso relativi (30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”, secondo la formulazione del comma 2 della disposizione richiamata applicabile ratione temporis), che per altro devono ritenersi superati per effetto delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 26 settembre 2019 (C-63/18) e 27 novembre 2019 (C-402/18)”.

Al fine di stimolare un intervento legislativo, invero, nel novembre 2020 l’Antitrust ha inviato una segnalazione al Parlamento, ricordando che il tetto previsto dalla norma italiana in materia di subappalti nei contratti pubblici risulta contrastare con le prescrizioni europee in materia.

L’Autorità ha rilevato come i limiti posti al subappalto per essere comunitariamente legittimi dovrebbero qualificarsi in termini di proporzionalità rispetto all’interesse generale da perseguire e giustificati da casi specifici motivati dalla Stazione appaltante, come ad esempio nel caso di un limitato numero di partecipanti a una gara che potrebbe dal luogo a intese spartitorie oppure per ragioni di sicurezza.

L’AGCM ha ritenuto che, eliminando i limiti del subappalto, i rischi di corruzione e collusione potrebbero essere evitati indicando, già in sede di offerta, la quota di lavori da subappaltare e l’identità dei subappaltatori. In questo modo, la stazione appaltante potrebbe effettuare i dovuti controlli.  

Non resta, dunque, che attendere il legislatore cui spetta il compito di riformare la disciplina in materia, rendendola, così, comunitariamente legittima.