Consiglio di Stato, sez. IV, 18 novembre 2020, n. 7161
È rimessa alla Corte di Giustizia la questione se l’art. 12 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 osti ad una normativa nazionale la quale imponga un’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a seguito della quale l’operatore economico succeduto al concessionario iniziale a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, prosegua nella gestione dei servizi sino alle scadenze previste, nel caso in cui: a) il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato; b) l’operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara; c) a seguito dell’operazione societaria di aggregazione i requisiti del controllo analogo pluripartecipato più non sussistano rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 3708 del 2020, proposto dal Comune di Lerici, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Fantappié', con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marco Selvaggi in Roma, via Adda 55;
contro
la Provincia di La Spezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Veronica Allegri e Pietro Piciocchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Piciocchi in Genova, corso Torino 30/18;
nei confronti
delle società IREN S.p.a. e ACAM Ambiente S.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Daniela Anselmi e Alessandro Lolli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Anselmi in Roma, via Amendola 46/6;
per l’annullamento ovvero la riforma
della sentenza del TAR Liguria, sezione II 6 novembre 2019 n.847, che ha respinto il ricorso n.693/2018 R.G., proposto dal Comune di Lerici per l’annullamento della deliberazione 6 agosto 2018 n.48, pubblicata all’albo pretorio da giorno imprecisato, con la quale il Consiglio provinciale di La Spezia ha approvato l’aggiornamento al piano d’area per la gestione integrata dei rifiuti urbani della provincia, nella parte in cui ha indicato la società Acam Ambiente S.p.a. quale gestore del servizio per il Comune di Lerici stesso sino al 31 dicembre 2028 in forza di affidamento in house;
e degli atti connessi, collegati e presupposti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di La Spezia e delle società IREN e ACAM Ambiente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Andrea Fantappié, Daniela Anselmi, Alessandro Lolli e Pietro Piciocchi;
1. PREMESSE IN FATTO E NORMATIVA NAZIONALE
1. Nella Provincia di La Spezia una società per azioni denominata ACAM, a totale partecipazione pubblica e capitale ripartito fra i Comuni interessati, gestiva tramite proprie controllate i servizi pubblici dei Comuni stessi. Per quanto poi qui direttamente interessa, la ACAM gestiva - tramite la seconda ricorrente appellata, ovvero la ACAM Ambiente S.p.a. - in particolare il ciclo integrato dei rifiuti nel Comune di Lerici intimato appellante, come da deliberazione del relativo Consiglio comunale 15 giugno 2005 n.28, qualificata espressamente come delibera di affidamento in house, il tutto con scadenza prevista al 31 dicembre 2028 (doc. 2 in I grado Comune appellante; doc. 44 in I grado Comune, accordo di investimento, da p. 12, ove si riassume tutta la vicenda).
2. Per vicende che ai fini del giudizio non rilevano, il gruppo ACAM è entrato in crisi, e il giorno 12 luglio 2013 ha dovuto concludere con i creditori un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182 bis l. fallimentare, omologato con successivo decreto del Tribunale di La Spezia 19 luglio 2013; nel quadro di questo accordo, ha poi ricercato, fra le altre società a partecipazione pubblica di gestione di servizi pubblici attive sul mercato italiano, un soggetto adatto a concludere un’operazione aggregativa, prevista in modo espresso dall’art. 1 commi 611 e 612 della l. 23 dicembre 2014 n.190. In tal caso, l’art. 3 bis comma 2 bis del d.l. 13 agosto 2011 n.138 dispone che “L'operatore economico succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, fermo restando il rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste”.
3. A seguito della pubblica gara indetta allo scopo, la ACAM ha selezionato come soggetto col quale aggregarsi la IREN S.p.a. prima ricorrente appellata, nota società cd multiutility a controllo pubblico, altresì quotata in Borsa; di conseguenza, in esecuzione di un apposito accordo di investimento concluso il 29 dicembre 2017, i Comuni soci aderenti hanno ceduto alla stessa le azioni ACAM da loro possedute ed hanno acquistato, sottoscrivendo un aumento di capitale riservato, una quota corrispondente di azioni della prima ricorrente appellata: come effetto finale, le azioni ACAM sono diventate azioni IREN e quest’ultima, tramite le controllate dell’ACAM, divenute controllate proprie, ha continuato a gestire i servizi ad esse in origine affidati (doc. 44 in I grado Comune, accordo di investimento).
4. Il Comune intimato appellante, viceversa, aveva espresso l’intento di non approvare l’aggregazione già con deliberazione del Consiglio 21 febbraio 2017 n.4 (doc. 4 in I grado Comune); previe delibere del Consiglio in tal senso 16 gennaio 2018 n.2 e n.3 (doc. ti 5 e 6 in I grado Comune), ha ritenuto il 19 gennaio 2018 di aderire all’accordo di investimento soltanto per quanto riguardava la cessione delle proprie azioni ACAM alla IREN (doc. 44 in I grado Comune, ove l’adesione), e le ha in fatto cedute il successivo 11 aprile 2018 (doc. 14 in I grado Comune, delibera di Giunta 187/2018, in cui se ne dà atto). Con ciò, non essendo più ad alcun titolo socio della prima ricorrente appellata, divenuta affidataria del servizio nei termini che si è detto, ha ritenuto che i presupposti del relativo affidamento in house non esistessero più.
5. Parallelamente, la Provincia, con deliberazione 6 agosto 2018 n.48, ha approvato l’aggiornamento al piano d’area per la gestione integrata dei rifiuti urbani della provincia, nella parte in cui ha indicato la società Acam Ambiente S.p.a. quale gestore del servizio per il Comune di Lerici stesso sino al 31 dicembre 2028 in forza di affidamento in house (doc. 1 in I grado Comune), che il Comune ha impugnato in I grado
6. Per parte sua, il Comune stesso, sempre sul presupposto dell’illegittimità della delibera provinciale impugnata ha poi avviato una serie di procedimenti intesi a sottrarre la gestione del servizio integrato rifiuti nel proprio territorio alle società appellate, per affidarlo tramite pubblica gara ad un terzo soggetto. La Provincia e le società, come si evidenzia per completezza, hanno ritenuto l’operazione illegittima, e per opporvisi hanno presentato contro questi atti una serie di ricorsi, iscritti ai numeri 101/2019 per la Provincia e 755/2018 e 756/2018 R.G. per le società del competente TAR Liguria, integrati da motivi aggiunti, proposti per l’annullamento degli atti successivamente adottati dal Comune. Questi ricorsi sono stati accolti rispettivamente con le sentenze TAR Liguria sez. II 20 novembre 2019 n. 884 e 6 novembre 2019 n.845, impugnate dal Comune con gli appelli iscritti rispettivamente al n. 3727/2020 e 1437/2020 R.G. della Sezione, chiamati anch’essi all’udienza del 1 ottobre 2020. Gli appelli in questione, si precisa per completezza, sono stati riuniti e respinti con sentenza della Sezione 30 ottobre 2020 n.6655, per ragioni che hanno escluso la rilevanza della questione di compatibilità con il diritto europeo che in questa sede interessa.
7. Tornando alla vicenda per cui è causa, con la sentenza 847/2019 meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso ritenendo in sintesi estrema che l’affidamento in house del servizio per il Comune ricorrente appellante, legittimo nel momento in cui fu originariamente disposto, fosse rimasto tale anche dopo il venir meno della partecipazione dell’ente nella società divenuta affidataria.
8. Contro questa sentenza, il Comune ha proposto impugnazione, con appello che contiene otto censure, riconducibili secondo logica a sei motivi. Di essi, rileva il primo, corrispondente alla prima censura a p. 7 dell’atto, con il quale deduce violazione dell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE e dell’art. 4 del d. lgs. 19 agosto 2016 n.175, e sostiene in sintesi estrema la legittimità dei propri atti, dato che dell’originario affidamento diretto in house del servizio più non esistevano i presupposti. Il Comune stesso, con il paragrafo intestato come ottava censura, a p. 29 dell’atto, chiede che questo Giudice promuova rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea per accertare la compatibilità con le norme europee in tema di in house delle norme nazionali di cui si è fin qui detto, nella parte in cui consentono di continuare una gestione originariamente affidata in house quando i relativi presupposti, in particolare il controllo analogo, più non sussistano.
9. Hanno resistito la Provincia, nonché la IREN e la sua controllata. Queste due ultime società, per quanto qui direttamente rileva, nella replica 9 settembre 2020 hanno affermato che la scelta della IREN per l’aggregazione, in quanto effettuata tramite gara, soddisferebbe ai requisiti necessari per proseguire il servizio, sì che non vi sarebbe alcun affidamento diretto senza i presupposti dello in house.
10. All’udienza del 1 ottobre 2020, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.
11. All’esito, questo Giudice ritiene, per le ragioni che seguono, di accogliere la richiesta del Comune appellante, nel senso di sollevare la questione pregiudiziale di compatibilità con le norme del diritto europeo delle norme nazionali fin qui descritte, e di seguito meglio precisate, nei termini di cui subito.
11.1 In primo luogo e in termini generali, ai sensi dell’art. 267 comma 3 TFUE, questo Giudice è “giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno”, e quindi è in linea di principio obbligato a sollevare la questione stessa nel momento in cui essa venga proposta.
11.2 In secondo luogo, la Corte costituzionale nazionale, in particolare con le sentenze 21 febbraio 2019 n.20 e 21 marzo 2019 n.63, ha stabilito che nei casi di cd doppia pregiudizialità come il presente, ovvero in cui siano prospettate contemporaneamente nello stesso procedimento le questioni di legittimità costituzionale e di conformità con il diritto dell’Unione delle medesime norme, spetta al Giudice a quo di decidere quale delle due questioni sollevare per prima.
11.3 Nel caso di specie, questo Giudice ritiene appunto di sollevare anzitutto la questione di compatibilità con il diritto dell’Unione, perché in linea di fatto la gestione dei servizi pubblici, e in particolare quella del ciclo integrato dei rifiuti è un settore economico rilevante per tutto il relativo mercato, e non soltanto per quello nazionale; è quindi opportuno, a fini di chiarezza e certezza del diritto, promuovere per primo il rinvio il cui esito ha conseguenze di più ampia portata, valide appunto per tutta l’Unione.
2. NORMATIVA DELL’UNIONE EUROPEA
1. Ciò posto, si riporta la normativa europea rilevante ad avviso di questo Giudice.
2. La direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 dispone: “Art. 12 (Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico) Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice (comma 1). (…)
Un’amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; e
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Ai fini del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti (comma 3).
3. La norma, come è del tutto noto, traduce in termini positivi i requisiti per disporre il cd affidamento in house, ovvero affidamento diretto senza gara, già individuati dalla giurisprudenza di codesta Corte.
3.1 È fondamentale anzitutto la sentenza Corte di giustizia sez. V 18 novembre 1999 C-107/98 Teckal, che ha definito i due requisiti dell’attività prevalente e del controllo analogo, che qui interessa. Rilevano poi Corte di giustizia 13 novembre 2008, C-324/07, Coditel Brabant SA, per cui il controllo analogo è possibile anche in presenza di una pluralità di soci pubblici, i quali singolarmente considerati siano titolari di partecipazioni di entità modesta, ma agiscano congiuntamente, anche nelle forme di una delibera a maggioranza, nonché questa stessa sentenza e Corte di giustizia 17 luglio 2008 C -371/05 Commissione vs. Repubblica Italiana, nonché 10 settembre 2009, C-573/07, per cui il controllo analogo, in linea di principio sussiste quando gli organi statutari dell’ente affidatario partecipato siano composti da rappresentanti dei soci pubblici, e tramite tali organi si eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società.
3.2 Codesta Corte ha poi notoriamente stabilito che in linea di principio il controllo analogo è escluso quando accanto ai soci pubblici, esista un socio privato, anche di minoranza, in quanto questi da un lato persegue logiche di profitto incompatibili con quella del controllo pubblico, dall’altro si ritroverebbe indebitamente favorito rispetto alle imprese concorrenti non socie: così la sentenza sez. I 11 gennaio 2005 C- 26/93 Stadt Halle.
3.3 Infine, ad avviso della Sezione rimettente, dalla giurisprudenza di codesta Corte si desume il principio secondo il quale per mantenere il controllo analogo la struttura del capitale sociale dell’affidataria deve rimanere la medesima nel periodo di riferimento. In tal senso, è sez. III 10 settembre 2009 C -573/07 SEA la quale ha escluso che il requisito sussista se quando l’affidamento è disposto il capitale è interamente in mano pubblica, ma in base allo statuto si può successivamente cedere, anche in parte, a privati.
3. NORMATIVA NAZIONALE
1. L’originario affidamento in house disposto dal Comune, con la citata deliberazione 15 giugno 2005 n.28, si fondava sull’art. 113 del T.U. 18 agosto 2000 n.267 nel testo allora vigente, che dava in generale competenza ai Comuni in materia di servizi pubblici di rilevanza economica di proprio interesse. Come è notorio, i Comuni sono amministrazione aggiudicatrici, tenute a procedere per mezzo di pubbliche gare; peraltro, la possibilità di affidamento in house, nella specie del servizio di gestione dei rifiuti urbani, esisteva già a quell’epoca, anche se né la direttiva 2014/24/UE né le norme nazionali di recepimento erano state ancora approvate, e ciò sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza di codesta Corte che si è citata sopra.
2. Attualmente, nell’ordinamento nazionale, il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani ai sensi della norma sopravvenuta dell’art. 200 d. lgs. 3 aprile 2006 n.152 è gestito dalle Regioni, che vi procedono individuando ambiti territoriali ottimali ed hanno potestà legislativa integrativa al riguardo. Nella Regione Liguria, in cui si sono svolti i fatti di causa, ai sensi degli artt. 14 e ss. della l.r. 24 febbraio 2014 n.1, gli ambiti territoriali coincidono con le Province, le quali gestiscono il servizio per i Comuni che ne fanno parte, ed essendo a loro volta amministrazioni aggiudicatrici devono provvedere sempre per pubblica gara o per affidamenti in house nei casi consentiti. L’atto con cui, viceversa, la Provincia disponesse un affidamento in house senza che ne ricorrano i presupposti, sarebbe quindi illegittimo, ed è questa la tesi sostenuta dal Comune ricorrente appellante. Il Comune stesso avrebbe comunque interesse ad impugnarlo, come ha fatto, perché è suo interesse che il servizio nel proprio territorio sia gestito in modo legittimo.
3. Ciò posto, l’art. 12 della direttiva 2014/24/UE è stato recepito quasi alla lettera dall’art. 5 del d. lgs. 18 aprile 2016 n.50, ma come si è detto si tratta di una norma soltanto ricognitiva di un istituto già esistente.
4. La possibilità per gli enti locali di affidare il servizio costituendo a tale scopo una società di capitali a partecipazione pubblica all’epoca della delibera 15 giugno 2005 era pacificamente ammessa sulla base dei principi, dato che gli enti locali stessi sono nell’ordinamento nazionale persone giuridiche con piena capacità, e quindi titolari anche della capacità di costituire enti del tipo descritto.
5. Attualmente, dispone in modo espresso il d. lgs. 19 agosto 2016 n.175, che in particolare all’art. 2 comma 1 lettere c) e d) definisce il controllo analogo e il controllo analogo congiunto di cui si è detto in termini conformi a quanto previsto dall’art. 12 della direttiva 2014/24/UE. Anche in questo caso, però, si tratta di norme ricognitive, e non innovative.
6. Il fenomeno delle partecipazioni sociali da parte di enti pubblici è stato di recente disciplinato dal legislatore nazionale, essenzialmente allo scopo di contenere la spesa pubblica, nel senso di imporne una riorganizzazione e quindi di limitarlo. In particolare, i citati commi 611 e 612 dell’art. 1 della l. 23 dicembre 2014 n.190 prevedono che gli enti locali svolgano “un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse” entro un dato termine, tenendo conto di una serie di criteri indicati in modo espresso, uno dei quali è la “aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica”.
7. L’operazione di cui si è detto è stata conclusa in base alla norma citata, e non è controverso che essa fosse giustificata, dato che l’originaria società ha concluso un accordo di ristrutturazione del debito, come si è detto ai sensi dell’art. 182 bis l. fallimentare.
8. Quanto alle riorganizzazioni in esame, ha infine disposto il ricordato art. 3 bis comma 2 bis del d.l. 13 agosto 2011 n.138, nel senso della continuità di gestione fra l’originario affidatario e il soggetto a lui subentrato. Nel caso di specie, non è poi controverso che il soggetto subentrato, ovvero la IREN, sia stato selezionato all’esito di una pubblica gara. È poi fatto notorio che la IREN è una società per azioni quotata alla Borsa valori italiana, e quindi pacificamente può avere come soci i privati che ritengano, senza particolari formalità, di acquistarne le azioni stesse.
4. ILLUSTRAZIONE DEI MOTIVI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE
1. Vi sono dubbi sulla compatibilità della sopra citata normativa nazionale con il diritto dell’Unione, nei termini prospettati dal Comune appellante, che questo Giudice condivide.
2. Il risultato ultimo dell’operazione che si è descritta è che il servizio di gestione dei rifiuti urbani nel Comune ricorrente appellante, a suo tempo affidato in house alla ACAM S.p.a., rispetto alla quale sussistevano in modo pacifico i presupposti del controllo analogo congiunto, è ora affidato alla IREN, e per essa alla sua controllata, senza che rispetto a nessuna di queste due società il controllo analogo più sussista.
3. Come si è spiegato, all’esito dell’aggregazione, le azioni ACAM già di proprietà del Comune ricorrente appellante sono diventate azioni IREN, e i presupposti del controllo analogo congiunto sono scomparsi già in questo momento. Infatti, la partecipazione nella IREN così acquistata dal Comune era di peso assolutamente trascurabile, comunque non tale da potere influenzare le scelte della società in questione la quale oltretutto, come è notorio, opera in tutta Italia, e quindi anche in aree del tutto estranee alla Provincia di La Spezia. Va poi considerato che, come si è detto, la IREN è una società quotata, e quindi la presenza di privati nel suo capitale è normale e fisiologica.
4. Tali considerazioni vanno ribadite nel momento in cui il Comune, come è avvenuto, ha ceduto la propria partecipazione nella IREN così acquisita: in questi termini, è venuto a mancare qualsiasi collegamento – e quindi, ogni possibile controllo- del Comune sulla società stessa.
5. Nella situazione descritta, la Provincia di La Spezia, con l’atto impugnato, ha disposto l’affidamento del servizio per il Comune ricorrente appellante in via diretta, senza procedere ad alcuna gara: secondo la tesi sostenuta dal Comune, ciò realizzerebbe un affidamento diretto illegittimo, per mancanza – in questo caso sopravvenuta- dei requisiti dell’affidamento in house.
6. La tesi opposta è quella sostenuta dalla IREN e dalla sua controllata, le quali evidenziano che la IREN è stata selezionata come “operatore economico”, con il quale effettuare l’aggregazione, proprio all’esito di una pubblica gara (il fatto è pacifico in causa), e quindi il risultato ultimo dell’operazione, l’affidamento del servizio, consegue non all’affidamento disposto dalla Provincia, ma consegue già a monte dalla gara esperita, in modo del tutto coerente con i principi di diritto europeo. È vero che la gara per la selezione dell’operatore economico non aveva, all’evidenza, per oggetto l’affidamento del servizio in questione, né per vero l’affidamento di alcun servizio; si può però ragionevolmente sostenere che lo comprendesse indirettamente, in base al principio logico e pratico per cui nel più sta il meno. Accogliendo questa tesi, nessun illegittimo affidamento diretto si potrebbe configurare.
7. La questione è sicuramente rilevante ai fini della decisione: se fosse corretta la tesi sostenuta dal Comune appellante, il relativo motivo di appello andrebbe accolto, e con esso andrebbe accolto il ricorso di I grado, con annullamento dell’atto impugnato nonché necessità per la Provincia, competente in base alla legge regionale citata, di disporre un nuovo affidamento in modo consentito, ovvero mediante pubblica gara oppure mediante affidamento in house a soggetto che ne abbia i requisiti. Seguendo invece la tesi opposta, il motivo di appello andrebbe respinto, perché sotto il profilo da esso considerato l’affidamento sarebbe stato disposto in modo legittimo.
5. PUNTO DI VISTA DEL GIUDICE DEL RINVIO
1. Il punto di vista di questo Giudice del rinvio è nel senso sostenuto dalla IREN e dalla sua controllata, sopra esposto. Si osserva infatti che lo scopo ultimo delle norme del diritto europeo qui rilevanti è quello di promuovere la concorrenza, e che questo risultato nell’affidamento dei servizi pubblici si raggiunge, in termini sostanziali, quando più operatori competono, o possono competere, per assicurarsi il relativo mercato nel periodo di riferimento, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dello strumento con il quale ciò avviene. In questi termini, è irrilevante che l’affidamento di un dato servizio, nella specie quello relativo al Comune ricorrente appellante, avvenga per mezzo di una gara il cui oggetto è quel singolo servizio -isolatamente considerato ovvero assieme ai servizi per gli altri comuni dell’ambito- ovvero avvenga mediante una gara il cui oggetto è l’attribuzione del pacchetto azionario della società che tali servizi svolge, perché in entrambi i casi la concorrenza è garantita. Si sarebbe nella sostanza di fronte ad un fenomeno simile a quello del negozio indiretto, a titolo di esempio come nel caso in cui, invece di cedere un immobile con un contratto di compravendita, si preferisca cedere il pacchetto azionario della società che ne è proprietaria: il risultato economico finale è il medesimo, e quindi è corretto, in linea di principio, che le operazioni siano soggette alla stessa disciplina.
2. Si precisa che nella giurisprudenza di questo Giudice non esistono precedenti in termini.
6. FORMULAZIONE DEI QUESITI E RINVIO ALLA CORTE
1. In conclusione, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale solleva questione di pregiudizialità invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sul seguente quesito:
“se l’art. 12 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 osti ad una normativa nazionale la quale imponga un’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a seguito della quale l’operatore economico succeduto al concessionario iniziale a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, prosegua nella gestione dei servizi sino alle scadenze previste, nel caso in cui:
(a) il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato;
(b) l’operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara;
(c) a seguito dell’operazione societaria di aggregazione i requisiti del controllo analogo pluripartecipato più non sussistano rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta.”
2. Ai sensi delle “Raccomandazioni all’attenzione dei Giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” 2012/C 338/01 in G.U.C.E. 6 novembre 2012, vanno trasmessi in copia alla cancelleria della Corte mediante plico raccomandato i seguenti atti: 1) il provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado, ovvero la deliberazione 6 agosto 2018 n.48 del Consiglio provinciale di La Spezia; 2) il ricorso di primo grado; 3) la sentenza del TAR appellata; 4) l’atto di appello e la memoria di replica 9 settembre 2020 delle società IREN e ACAM Ambiente; 5) la presente ordinanza; 6) la copia delle seguenti norme nazionali: a) art. 113 d. lgs. 18 agosto 2000 n.267; b) art. 200 d. lgs. 3 aprile 2006 n.152; c) l.r. Liguria 24 febbraio 2014 n.1; d) art. 5 d. lgs. 18 aprile 2016 n.50, codice dei contratti pubblici; e) d. lgs. 19 agosto 2016 n.175, testo unico delle società a partecipazione pubblica; f) art. 1 commi 611 e 612 della l. 23 dicembre 2014 n.190; g) art. 182 bis del R.D. 16 marzo 1942 n.267, legge fallimentare; h) art. 3 bis del d.l. 13 agosto 2011 n.138.
3. Il presente giudizio viene sospeso nelle more della definizione dell’incidente euro unitario, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto (ricorso n.3708/2020), così provvede:
1) dispone a cura della Segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia degli atti ivi indicati;
2) dispone la sospensione del presente giudizio;
3) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.
Guida alla lettura
Con la pronuncia in esame, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di pregiudizialità avanti la Corte di Giustizia dell’Unione europea, circa la compatibilità dell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 con una normativa nazionale che impone ad un’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica di proseguire nella gestione dei servizi sino alle scadenze previste, nel caso in cui:
(a) il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato;
(b) l’operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara;
(c) a seguito dell’operazione societaria di aggregazione, i requisiti del controllo analogo pluripartecipato non sussistano rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta.
Più nel dettaglio, i giudici di Palazzo Spada, nel rinviare la questione alla CGUE, hanno preliminarmente evidenziato come la normativa europea (art. 12 della direttiva 2014/24/UE) traduce in termini positivi i requisiti per disporre il c.d. “affidamento in house”, ovvero affidamento diretto senza gara. La giurisprudenza europea (ex multis, CGUE, 18 novembre 1999 C-107/98), poi, ha definito i due requisiti dell’attività prevalente e del controllo analogo: con riferimento a quest’ultimo, in particolare, è stato specificato che esso sussiste “anche in presenza di una pluralità di soci pubblici, i quali singolarmente considerati siano titolari di partecipazioni di entità modesta, ma agiscano congiuntamente, anche nelle forme di una delibera a maggioranza” (CGUE, 17 luglio 2008 C -371/05) e che, in linea di principio, esso “sussiste quando gli organi statutari dell’ente affidatario partecipato siano composti da rappresentanti dei soci pubblici, e tramite tali organi si eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società”. Il controllo analogo, anche ai sensi della giurisprudenza sopra richiamata, è escluso quando accanto ai soci pubblici, esista un socio privato, anche di minoranza, in quanto questi da un lato persegue logiche di profitto incompatibili con quella del controllo pubblico, dall’altro si ritroverebbe indebitamente favorito rispetto alle imprese concorrenti non socie (CGUE, 11 gennaio 2005 C- 26/93).
Sull’affidamento in house, a livello nazionale, il Consiglio di Stato ha richiamato dapprima l’art. 113 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267, nel testo allora vigente, che dava in generale competenza ai Comuni in materia di servizi pubblici di rilevanza economica di proprio interesse. Attualmente, nell’ordinamento nazionale, l’art. 12 della direttiva 2014/24/UE è stato recepito quasi alla lettera dall’art. 5 del d. lgs. n. 50/2016, norma de facto ricognitiva di un istituto già esistente. In particolare, il d. lgs. n. 175/2016 definisce il controllo analogo e il controllo analogo congiunto di cui si è detto in termini conformi a quanto previsto dall’art. 12 della direttiva 2014/24/UE. Anche in questo caso, però, si tratta di norme ricognitive, e non innovative. Il fenomeno delle partecipazioni sociali da parte di enti pubblici è stato di recente disciplinato dal legislatore nazionale, essenzialmente allo scopo di contenere la spesa pubblica, nel senso di imporne una riorganizzazione e quindi di limitarlo. In particolare, i commi 611 e 612 dell’art. 1 della l. n. 190/2014 prevedono che gli enti locali svolgano “un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse” entro un dato termine, tenendo conto di una serie di criteri indicati in modo espresso, uno dei quali è la “aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica”.
Ciò brevemente detto, con riferimento al merito della questione oggetto di rinvio, il servizio sub specie di gestione dei rifiuti urbani nel Comune ricorrente appellante, a suo tempo affidato in house, rispetto alla quale sussistevano in modo pacifico i presupposti del controllo analogo congiunto, è stato affidato ad un nuovo soggetto, e per essa alla sua controllata, senza che rispetto a nessuna di queste due società il controllo analogo più sussista. Detto servizio, dunque, è stato affidato in via diretta, senza procedere ad alcuna gara: a tal proposito, (i) secondo la tesi sostenuta dal Comune, ciò realizzerebbe un affidamento diretto illegittimo, per mancanza – in questo caso sopravvenuta – dei requisiti dell’affidamento in house; (ii) secondo la tesi opposta,
il nuovo soggetto sarebbe stato selezionato come “operatore economico”, con il quale effettuare l’aggregazione, proprio all’esito di una pubblica gara e quindi il risultato ultimo dell’operazione, l’affidamento del servizio, conseguirebbe non all’affidamento disposto, ma già a monte dalla gara esperita, in modo del tutto coerente con i principi di diritto europeo.
Sul punto, il giudice di seconde cure, in particolare, ha evidenziato che lo scopo ultimo delle norme del diritto europeo qui rilevanti è quello di promuovere la concorrenza, e che questo risultato nell’affidamento dei servizi pubblici “si raggiunge, in termini sostanziali, quando più operatori competono, o possono competere, per assicurarsi il relativo mercato nel periodo di riferimento, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dello strumento con il quale ciò avviene”. In questi termini, secondo il Consiglio di Stato, “è irrilevante che l’affidamento di un dato servizio, nella specie quello relativo al Comune ricorrente appellante, avvenga per mezzo di una gara il cui oggetto è quel singolo servizio -isolatamente considerato ovvero assieme ai servizi per gli altri comuni dell’ambito- ovvero avvenga mediante una gara il cui oggetto è l’attribuzione del pacchetto azionario della società che tali servizi svolge, perché in entrambi i casi la concorrenza è garantita”. In buona sostanza, si sarebbe di fronte ad un fenomeno simile a quello del “negozio indiretto”, come nel caso in cui, invece di cedere un immobile con un contratto di compravendita, si preferisca cedere il pacchetto azionario della società che ne è proprietaria: il risultato economico finale è il medesimo, e quindi è corretto, in linea di principio, che le operazioni siano soggette alla stessa disciplina.