Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8100

La norma regolatrice della giurisdizione in materia di concessioni di beni pubblici, di cui al più volte richiamato art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm., devolve le controversie «aventi ad oggetto atti e provvedimenti» relativi a tale categoria di contratto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed in via di «eccezione» al giudice ordinario le controversie «concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi». La concentrazione davanti al giudice amministrativo delle controversie concernenti le concessioni di beni pubblici è dunque derogata per le ipotesi dichiaratamente eccezionali da essa previste e pertanto da interpretare in conformità al canone enunciato dall’art. 14 delle preleggi, secondo cui le leggi «che fanno eccezione a regole generali (…) non si applicano oltre i casi (…) in esse considerati».(…) l’adempimento della concessione è irriducibile agli aspetti di carattere meramente patrimoniale che fondano la giurisdizione ordinaria della materia. La corretta esecuzione del rapporto concessorio non è infatti indifferente rispetto alle ragioni di interesse pubblico che hanno a suo tempo indotto l’amministrazione ad affidare in uso speciale il bene pubblico, ma ne costituisce al contrario l’essenza sul piano causale. I rimedi spettanti all’autorità concedente per reagire all’inadempimento del privato concessionario non possono conseguentemente essere assimilabili a quelli spettanti alla parte di un contratto di diritto comune. Palese quanto ora rilevato quando l’amministrazione intenda porre termine al rapporto concessorio, nondimeno, anche laddove la stessa consideri opportuno proseguirlo, a fronte di inadempimenti del concessionario non ritenuti gravi, sono in ciò comunque ravvisabili i tipici caratteri della discrezionalità amministrativa orientata al pubblico interesse connesso alla gestione del bene affidato in concessione.

 

 

Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8749 del 2020, proposto da
Ssd Adriatika Nuoto a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ciro Testini, con domicilio digitale come p.e.c. tratto da registri di giustizia;

contro

Comune di Gioia del Colle, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Nicolò De Marco, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sandro De Marco in Roma, viale Giulio Cesare 71;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – sede di Bari (sezione prima) n. 1335/2020, resa tra le parti, che ha dichiarato il difetto di giurisdizione amministrativa nel giudizio di impugnazione della concernente l’applicazione della penale contrattuale nell’ambito della concessione ventennale della piscina comunale di Gioia del Colle;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Gioia del Colle;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2020 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Testini e De Marco, partecipanti al «collegamento da remoto», ai sensi degli artt. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La società sportiva dilettantistica Adriatika Nuoto a r.l., concessionaria della piscina comunale di Gioia del Colle, in forza di contratto in data 24 giugno 2014, ha impugnato in sede giurisdizionale amministrativa, davanti Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – sede di Bari, l’atto (di prot. n. 21753 del 12 agosto 2020) con cui l’amministrazione comunale le ha applicato la penale di € 9.450, ai sensi dell’art. 12 del contratto, per la mancata riapertura dell’impianto fino al termine della stagione natatoria dopo la chiusura imposta dall’emergenza epidemiologica nazionale [riapertura consentita con decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 17 maggio 2020; art. 1, comma 1, lett. f)].

2. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito ha declinato la propria giurisdizione, sul presupposto che la controversia sia relativa ad «altri corrispettivi», che nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle concessioni di beni pubblici ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm., rientra nella residuale giurisdizione ordinaria, unitamente alle controversie concernenti «indennità» e «canoni» prevista dalla medesima disposizione.

3. Adriatika Nuoto ha impugnato la declinatoria di giurisdizione.

Di essa contesta il fondamento, sulla base dell’assunto secondo cui la penale contrattuale applicata dall’amministrazione a fronte del preteso inadempimento di essa ricorrente agli obblighi derivanti dalla concessione è un profilo che esula dalla relazione di corrispettività di quest’ultima e dunque da quelli di carattere meramente patrimoniale concernenti «indennità, canoni ed altri corrispettivi» ai sensi della sopra citata norma regolatrice del riparto di giurisdizione in materia.

4. Resiste all’appello il Comune di Gioia del Colle. Per l’amministrazione la declinatoria di giurisdizione ex adverso impugnata sarebbe conforme alla più recente giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione sul riparto in materia di concessioni.

DIRITTO

1. La Adriatika Nuoto sostiene che secondo il convergente orientamento delle Sezioni unite della Cassazione e di questo Consiglio di Stato la controversia concernente un ipotesi di inadempimento agli obblighi concessori, quale quella oggetto del presente giudizio, sia devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, perché non riconducibile all’ipotesi di «indennità, canoni ed altri corrispettivi» che ai sensi del sopra citato art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm. radica la giurisdizione ordinaria nella materia delle concessioni di beni pubblici.

2. Per contro, il Comune di Gioia del Colle sottolinea che secondo il più recente indirizzo della Suprema Corte (in particolare è richiamata la sentenza dell’8 luglio 2019, n. 18267) ogni controversia concernente la fase esecutiva della concessione, ivi comprese le questioni inerenti all’adempimento della stessa, è devoluta alla giurisdizione ordinaria, poiché in tale fase l’amministrazione concedente non esercita i propri poteri pubblicistici, ma i diritti e le facoltà che le spettano nell’ambito di un rapporto paritetico tra le parti. In senso conforme l’amministrazione resistente richiama un’ulteriore pronuncia della Cassazione (Cass., SS.UU., 27 novembre 2019, n. 31029) e, da ultimo, nel corso della discussione in camera di consiglio, anche una recente decisione di questo Consiglio di Stato (Sez. III, 13 ottobre 2020, n. 6181).

3. L’orientamento da ultimo richiamato non è tuttavia applicabile al caso di specie, mentre sono corretti i rilievi dell’appellante.

4. La norma regolatrice della giurisdizione in materia di concessioni di beni pubblici, di cui al più volte richiamato art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm., devolve le controversie «aventi ad oggetto atti e provvedimenti» relativi a tale categoria di contratto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed in via di «eccezione» al giudice ordinario le controversie «concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi». La concentrazione davanti al giudice amministrativo delle controversie concernenti le concessioni di beni pubblici è dunque derogata per le ipotesi dichiaratamente eccezionali da essa previste e pertanto da interpretare in conformità al canone enunciato dall’art. 14 delle preleggi, secondo cui le leggi «che fanno eccezione a regole generali (…) non si applicano oltre i casi (…) in esse considerati».

5. Il riparto così delineato esprime la concezione, tuttora valida, secondo cui la concessione di beni pubblici è un istituto in cui è immanente l’interesse dell’amministrazione ad un corretto utilizzo e gestione del bene affidato in uso speciale al privato concessionario. In ragione di ciò è innanzitutto nel potere unilaterale di affidamento dell’uso del bene pubblico spettante all’amministrazione che va individuata la genesi della concessione, con regolamentazione dei profili di carattere patrimoniale, in funzione accessiva del presupposto provvedimento di concessione, mediante lo strumento contrattuale. Quest’ultimo è dunque dipendente sul piano logico-giuridico all’atto autoritativo di concessione. In secondo luogo, anche nel corso del rapporto concessorio all’amministrazione stessa sono riservati i poteri autoritativi necessari ad assicurare che la gestione privata del bene rimanga coerente con il superiore interesse pubblico ed a ricondurla ad esso ogniqualvolta se ne sia verificata una deviazione, sino al punto di porre termine all’uso speciale e così riacquisire il bene alla sfera pubblica. Alla posizione di supremazia così mantenuta dall’amministrazione fa riscontro la soggezione del privato concessionario, al quale è riconosciuto l’interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri autoritativi spettanti alla prima.

6. I profili di carattere sostanziale della concessione finora delineati sono alla base della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In conformità alle ragioni storiche che presiedono alla sua istituzione essa si giustifica per il possibile intreccio tra situazioni giuridiche aventi consistenza di interesse legittimo e altre invece qualificabili come diritto soggettivo, configurabili per i sopra menzionati profili di carattere patrimoniale insiti nel rapporto concessorio e regolati mediante contratto, e per la conseguente esigenza di concentrare le relative tutele.

7. Come rilevato sopra tale concentrazione non è assoluta, ma è derogata per le controversie «concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi». In conformità al canone interpretativo previsto dal sopra citato art. 14 delle preleggi la residuale ipotesi di giurisdizione ordinaria nelle controversie concernenti le concessioni di beni pubblici va pertanto limitata a quelle di carattere meramente patrimoniale, in cui non sono coinvolti profili di interesse pubblico, che per il resto conformano l’istituto della concessione amministrativa.

8. In questa prospettiva si afferma in giurisprudenza che tali profili sono ravvisabili anche nella determinazione del canone di concessione dovuto dal privato, ogniqualvolta si controversa sull’an della prestazione o la sua determinazione sia rimessa a valutazioni di carattere discrezionale dell’autorità concedente (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, 13 febbraio 2019, n. 1034). Sono per contro devolute alla giurisdizione ordinaria le controversie in cui si verta sul solo ammontare del corrispettivo dovuto al concessionario e la sua determinazione non dipenda dall’esercizio delle prerogative pubblicistiche dell’amministrazione (cfr. Cass., SS.UU., 18 giugno 2020, n. 11867; ord. 24 febbraio 2020, n. 4803; 4 ottobre 2019, n. 24857; ord. 31 dicembre 2018, n. 33688; Cons. Stato, II, 8 ottobre 2020, n. 5981; V, 20 agosto 2019, n. 5744; VI, 30 novembre 2020, n. 7540).

9. Sulla base di quanto finora rilevato l’adempimento della concessione è irriducibile agli aspetti di carattere meramente patrimoniale che fondano la giurisdizione ordinaria della materia. La corretta esecuzione del rapporto concessorio non è infatti indifferente rispetto alle ragioni di interesse pubblico che hanno a suo tempo indotto l’amministrazione ad affidare in uso speciale il bene pubblico, ma ne costituisce al contrario l’essenza sul piano causale. I rimedi spettanti all’autorità concedente per reagire all’inadempimento del privato concessionario non possono conseguentemente essere assimilabili a quelli spettanti alla parte di un contratto di diritto comune. Palese quanto ora rilevato quando l’amministrazione intenda porre termine al rapporto concessorio, nondimeno, anche laddove la stessa consideri opportuno proseguirlo, a fronte di inadempimenti del concessionario non ritenuti gravi, sono in ciò comunque ravvisabili i tipici caratteri della discrezionalità amministrativa orientata al pubblico interesse connesso alla gestione del bene affidato in concessione.

10. Non induce in contrario il fatto che i rimedi spettanti all’amministrazione, di carattere risolutorio o meno, siano previsti dal contratto stipulato con il privato. L’utilizzo di strumenti privatistici è infatti compatibile in linea generale con il «perseguimento del pubblico interesse», come sancito dall’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, a proposito degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo (in questo senso: cfr. Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204; § 3.4.2). Inoltre, in ogni fattispecie di utilizzo di istituti propri del diritto civile prevale presso la giurisprudenza la tesi secondo cui la pubblica amministrazione mantiene le prerogative di autorità pubblica: tanto nella fase prodromica alla conclusione di contratti (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2010, n. 11, con riguardo alla costituzione o partecipazione in società: § 17.6); quanto nel corso del rapporto con il privato una volta stipulato il contratto (così: Cons. Stato, Ad. plen., 20 giugno 2014, n. 14, che ha riconosciuto perdurante il potere di autotutela amministrativa nel corso dell’esecuzione di un contratto di appalto pubblico: § 3.5.2; in senso conforme può essere richiamata la giurisprudenza di legittimità che nel definire il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario in relazione ai contratti per l’acquisto di strumenti finanziari derivati da parte della pubblica amministrazione configura un ambito di giurisdizione del primo nelle ipotesi di esercizio del potere autoritativo di annullamento degli atti che precedono la conclusione del contratto: cfr. tra le altre: Cass., SS.UU., ord. 9 ottobre 2017, n. 23600 e 23 ottobre 2014, n. 22554).

11. A fortiori deve quindi ritenersi che nella concessione di beni pubblici, in cui gli interessi di carattere generale connessi all’uso del bene contraddistinguono il rapporto nel corso della sua durata, con il corollario processuale della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e l’eccezione delle controversie di carattere meramente patrimoniale relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi, ogni atto dell’amministrazione che non possa essere ricondotto a quest’ultimo ambito vada ascritto alla cognizione del giudice amministrativo. Ad esso sono dunque devolute le controversie in cui vi sia contestazione sull’esatto adempimento della concessione, come nel presente giudizio.

12. Peraltro, la non riconducibilità dei descritti poteri a quelli propri di un rapporto paritetico non si traduce in una diminuzione di tutela del concessionario. Vi è casomai in un rafforzamento della sua posizione, secondo lo statuto tipico del procedimento amministrativo, in primis per la necessità che gli atti adottati dall’autorità concedente di reazione all’inadempimento siano esercitati in coerenza con il pubblico interesse sotteso alla concessione, e che questo sia esternato in una motivazione adeguata, resa all’esito del contraddittorio con il concessionario.

13. Di ciò si ha conferma nel caso di specie.

In primo luogo, il provvedimento applicativo della penale nei confronti della società sportiva odierna appellante e la presupposta clausola contrattuale (art. 12 del contratto in data 24 giugno 2014) rispettivamente prefigurano, quest’ultima, e si sono sostanziati, il primo, in un confronto con la medesima appellante, all’esito del quale il Comune di Gioia del Colle ha esternato le ragioni per cui riteneva insufficienti le difese del concessionario e di applicazione della penale. Inoltre, rispetto all’impossibilità rappresentata dalla società sportiva (con nota in data 30 giugno 2020) di assicurare una tempestiva riapertura della piscina nel rispetto dei criteri previsti dalle linee guida nazionali emanate dal governo in occasione del superamento della prima fase di emergenza sanitaria epidemiologica e della parimenti esposta antieconomicità derivante dall’esigenza di approvvigionarsi di tutto quanto a ciò necessario, il provvedimento comunale conclusivo ha considerato che fosse comunque onere del concessionario sostenere i costi. Si tratta dunque di una tipica valutazione espressiva della posizione di supremazia dell’amministrazione concedente, incentrata sull’esigenza di interesse pubblico di assicurare il sollecito riavvio della gestione dell’impianto sportivo.

14. Non è infine decisivo rispetto a quanto finora considerato l’orientamento giurisprudenziale richiamato dal Comune di Gioia del Colle nelle proprie difese.

L’ordinanza delle Sezioni unite della Cassazione dell’8 luglio 2019, n. 18267, riguarda una fattispecie di concessione di lavori pubblici, per cui non è prevista una regola di riparto analoga all’art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm. concernente le concessioni di beni pubblici, ed in relazione alla quale è ormai ius receptum presso la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato l’assimilazione dell’istituto in questione all’appalto di lavori pubblici, sulla scorta dell’armonizzazione normativa di matrice euro-unitaria (sul punto si rinvia alla sentenza di questa Sezione del 16 gennaio 2013 n. 236). Del pari, la sentenza della III Sezione di questo Consiglio di Stato del 13 ottobre 2020, n. 6181, ha definito la questione di giurisdizione in una controversia inerente alla fase di esecuzione di una concessione di lavori pubblici.

15. Diverso è il caso deciso dall’ordinanza della Cassazione, Sezioni unite, del 27 novembre 2019, n. 31029, che in effetti ha affermato essere devoluta al giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la sanzione amministrativa comminata da un’ASL nei confronti di una struttura privata accreditata all’esito di un’attività di controllo sulla congruità ed appropriatezza del servizio pubblico reso da quest’ultima. Sennonché, nel fondare la decisione sul rilievo che l’adempimento degli obblighi relativi al regime di accreditamento e le conseguente reazione dell’autorità concedente costituisce «vicenda estranea al controllo delle modalità di esercizio del potere amministrativo discrezionale», in cui viene in rilievo «il profilo paritario e meramente patrimoniale del rapporto concessorio», la Suprema Corte non ha considerato che l’art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., nel regolare il riparto tra giudice amministrativo e giudice ordinario in conformità a quanto previsto dalla precedente lettera b) per le concessioni di beni pubblici, precisa ulteriormente che rientrano nella giurisdizione esclusiva del primo le controversie relative, tra l’altro, «a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione nell’ambito del suo potere di «vigilanza e controllo nei confronti del gestore». La previsione – ritenuta in parte qua conforme a Costituzione con la sopra citata sentenza della Corte costituzionale del 6 luglio 2004, n. 204 (in relazione all’antecedente costituito dall’art. 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80) – è indice normativo della rilevanza pubblicistica di ogni questione relativa all’adempimento della concessione di servizi pubblici (e in contrario a quanto stabilito dalla Cassazione, proprio con riguardo ai controlli delle ASL sulle strutture sanitarie accreditate, si veda Cons. Stato, III, 2 dicembre 2020, n. 7646; per una più approfondita ricostruzione delle caratteristiche del servizio pubblico e dei poteri dell’amministrazione concedente nel corso dell’esecuzione del rapporto si rinvia a Cons. Stato, Ad. plen., ord. 30 marzo 2000, n. 1). Identiche considerazioni valgono quindi per le concessioni di beni pubblici, oggetto della presente fattispecie controversa.

16. L’appello deve pertanto essere accolto, per cui la sentenza di primo grado va annullata con rinvio al Tribunale amministrativo, ai sensi dell’art. 105, comma 1, del codice del processo amministrativo. La natura delle questioni controverse giustifica la compensazione delle spese di causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la sentenza di primo grado, con rinvio ex art. 105 cod. proc. amm. della causa al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia;

compensa le spese di causa.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’attività amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con la sentenza in commento, la V Sezione del Consiglio di Stato chiarisce i confini della giurisdizione del giudice ordinario in materia di provvedimenti concessori, quale ipotesi residuale rispetto alle materie demandate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, declinate dall’art. 133 c.p.a.

Nonostante la decisione in esame non investa profili inerenti alla contrattualistica pubblica, la cui disciplina è demandata al codice dei contratti pubblici (di cui al d.lgs. n. 50 del 2016), la questione oggetto d’esame riveste importanza anche con riferimento alla diversa ipotesi di concessione, di cui al d.lgs. citato, laddove chiarisce i criteri finalizzati al riparto di giurisdizione, con precipuo riferimento agli aspetti patrimoniali.

Attraverso una comparazione tra il contratto pubblico di concessione, la cui definizione si rinviene all’art. 3 d.lgs. n. 50, e la concessione quale provvedimento contratto, è difatti possibile circoscrivere le ragioni sottese all’attuale criterio di riparto di giurisdizione, rispettivamente disciplinato per la prima fattispecie dall’art. 133, comma primo, lett. e, c.p.a. e per la seconda dalla lett. b della medesima disposizione.

È proprio sull’interpretazione di tale ultima norma che si attesta la decisione in esame, in particolare con riferimento all’esclusione dalla competenza del giudice amministrativo delle questioni concernenti i rapporti di concessione e inerenti «indennità, canoni e altri corrispettivi […]», di cui all’ultimo inciso dell’art. 133, comma primo, lett. b., ai sensi del quale tali materie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

Nel dettaglio, la questione prende le mosse dal ricorso promosso avverso l’atto col quale l’amministrazione concedente, imputando un inadempimento al concessionario, ha applicato la penale per la mancata apertura dell’attività oggetto del rapporto concessorio.

La controversia, pertanto, concerne specificatamente l’ipotesi di inadempimento degli obblighi concessori e vede opporsi le due tesi, con riferimento alla giurisdizione, della parte privata e dell’Amministrazione resistente. Da un lato, in attuazione del dato normativo, afferma il ricorrente, l’esame della controversia sarebbe devoluto al giudice amministrativo in quanto l’inadempimento, in sé considerato, non è riconducibile alle ipotesi derogatorie descritte dall’ultimo inciso della lett. b del primo comma dell’art. 133 c.p.a.; all’opposto, parte resistente, richiamando un orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., 8 luglio 2019, n. 18267), riconosce la competenza del giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva della concessione, in cui vi rientrano, appunto, le questioni attinenti all’inadempimento e al pagamento della penale.

Il Consiglio di Stato, aderendo alla posizione proposta dal privato ricorrente, individua la ratio sottesa all’art. 133, comma primo, lett. b., c.p.a., declinando la giurisdizione del giudizio ordinario, con riferimento alle controversie concernenti «indennità, canoni e altri corrispettivi […]» in termini di competenza residuale rispetto a quella del giudice amministrativo.

Nello specifico, i Giudici chiariscono il contenuto della norma regolativa, quale è appunto l’art. 133 c.p.a., e attribuiscono alle controversie devolute al giudice ordinario la natura di eccezione rispetto alla regola impressa dalla prima parte della norma, che ancora la materia delle concessioni alla giurisdizione del giudice amministrativo. La deroga per le ipotesi eccezionali relative a «indennità, canoni e altri corrispettivi […]», quindi, deve essere interpretata, si legge al punto 4 della parte in diritto della sentenza, «in conformità al canone enunciato dall’art. 14 delle preleggi, secondo cui le leggi “che fanno eccezione a regole generali (…) non si applicano oltre i casi (…) in esse considerati”».

Motivo fondante la decisione in commento è la permanenza del potere pubblicistico in capo all’Amministrazione procedente anche a seguito dell’adozione del provvedimento concessorio. Chiariscono, difatti, i Giudico al punto 5 della motivazione, come «la concessione dei beni pubblici è un istituto in cui è immanente l’interesse dell’amministrazione a un corretto utilizzo e gestione del bene affidato in uso speciale al privato concessionario».

È, pertanto, il perdurante interesse pubblico, al cui soddisfacimento è preposta l’azione amministrativa, a giustificare l’esercizio dell’azione di annullamento nei confronti del privato concessionario ed è in ragione dello stesso che la p.a. continua ad agire quale autorità.

In questo segmento si legge il divario rispetto alla disciplina prettamente contrattualistica, la cui regolazione è demandata all’innanzi citato d.lgs. n. 50 del 2016 nonché alle disposizioni contenute nel codice civile per la parte c.d. privatistica del contratto pubblico, quale è quella che segue la stipulazione. In quest’ultima ipotesi, difatti, con la conclusione del contratto si accede alla fase privatistica del rapporto, preceduta da quella di evidenza pubblica eminentemente amministrativa e in cui le posizioni di p.a. e privato si caratterizzano per una disparità in favore della prima, titolare del potere autoratitavo, al contrario di quanto avviene dalla stipula in poi, in cui le parti operano su una posizione di parità.

Un simile raffronto è, implicitamente, posto in essere anche dal Collegio per esplicitare ulteriormente le ragioni che conducono a incardinare la controversia sottoposta al suo esame nella giurisdizione del giudice amministrativo. Si legge, difatti, al punto 9 della motivazione, che in caso di provvedimento concessorio «i rimedi spettanti all’autorità concedente per reagire all’inadempimento del privato concessionario non possono conseguentemente essere assimilabili a quelli spettanti alla parte di un contratto di diritto comune».

Nucleo centrale ai fini dell’individuazione dell’autorità competente è la permanenza di un potere autoritativo di matrice pubblicistica in capo alla p.a. In tal senso, conclude la V Sezione, non può condividersi la posizione addotta dall’Amministrazione resistente, anche e soprattutto in ragione della persistenza, in capo alla stessa, del potere unilaterale in cui, specificano i Giudici, «si ravvisano (ancora) i tipici caratteri della discrezionalità amministrativa orientata al pubblico interesse connesso alla gestione del bene affidato in concessione».

Il carattere privatistico che connota il rimedio della penale quale reazione all’inadempimento del concessionario, poi, non può assurgere ad argomento valido per smentire la permanenza del potere pubblicistico. Sono, del resto gli stessi Giudici, a rimarcare come non sia sconosciuto al nostro ordinamento l’utilizzo di strumenti privatistici volti al perseguimento e alla realizzazione del vincolo finalistico che permea l’azione amministrativa. In particolare, al punto 10 della parte in diritto, il Consiglio di Stato, a conferma della compatibilità di strumenti propri del diritto privato «con il perseguimento dell’interesse pubblico», rimanda a istituti quali gli accordi tra p.a. e privato di cui all’art. 11 della l. n. 241 del 1990 ovvero a ipotesi di permanenza di poteri autoritativi, quale l’autotutela prevista sempre dalla legge sul procedimento, tanto con riguardo alla fase prodromica alla conclusione di contratti (richiamando in tal senso l’Adunanza Plenaria n. 3 giugno 2011, n. 11) quanto a quella inerente al rapporto in corso con il privato una volta stipulato il contratto (con espresso richiamo alla pronuncia n. 14 del 2011 dell’Adunanza Plenaria nonché alle Sezioni Unite della Cassazione, n. 23600 del 2017 e 22554 del 2014, attinenti ai contratti per l’acquisto di strumenti finanziari derivati da parte della p.a.).

Conclude, dunque, il Collegio nel senso di definire la competenza del giudice ordinario con riferimento alle controversie aventi a oggetto «indennità, canoni e altri corrispettivi […]» quale ipotesi residuale di giurisdizione ordinaria, limitata a quelle di carattere meramente patrimoniale, in cui la p.a. non eserciti, neppur in via mediata, poteri autoritativi finalizzati al soddisfacimento dell’interesse pubblico.