il punto della situazione

1. L’accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica: inquadramento generale e disciplina;  2. Le cause di differimento dell’accesso; 3. Le cause di esclusione dell’accesso; 4. La vexata quaestio dell’applicabilità dell’accesso civico “generalizzato” alle procedure ad evidenza pubblica; 4.1 L’orientamento positivo della Sezione III del Consiglio di Stato (sentenza 5 giugno 2019, n. 3780); 4.2 L’orientamento negativo della Sezione V del Consiglio di Stato (sentenze gemelle 2 agosto 2019, nn. 5502 e 5503); 4.3 La storica sentenza 2 aprile 2020, n. 10 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato; Indice dottrinale

1. L’accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica: inquadramento generale e disciplina.

            Il principio di trasparenza, quale principio generale dell’azione amministrativa espressamente riconosciuto dall’articolo 1, comma 1 della legge sul procedimento amministrativo, trova terreno fertile anche nelle procedure ad evidenza pubblica di affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

            In tal senso  - come rilevato da attenta dottrina[1] - depone l’articolo 1, comma 15 della c.d. “Legge Severino” che, con disposizione di contenuto generale, stabilisce espressamente che la trasparenza sia assicurata “mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione”, aggiungendo, al comma 16, che questi obblighi di pubblicazione riguardano specificamente le procedure di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, servizi e forniture.

            A dare attuazione alla disposizione generale testè citata è intervenuto, poi, l’articolo 37 del c.d. “decreto trasparenza”, che, significativamente rubricato “obblighi di pubblicazione concernenti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, ha imposto alle amministrazioni pubbliche ed alle stazioni appaltanti[2] la pubblicazione obbligatoria dei dati previsti dall’articolo 1, comma 32 della sopra citata legge n. 190 del 2012 (la struttura proponente, l’oggetto del bando, l’elenco degli operatori invitati a presentare offerte, l’aggiudicatario, l’importo di aggiudicazione, i tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura, l’importo delle somme liquidate), nonché di tutti gli atti ed informazioni oggetto di pubblicazione ai sensi del Codice dei contratti pubblici approvato con decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

            Ulteriori obblighi di pubblicazione legale che sono espressivi della forma di trasparenza denominata “accesso civico semplice”, prevista dall’articolo 5 del sopra richiamato “decreto trasparenza”, sono stati individuati dal Codice dei contratti attraverso una disposizione ad hoc, espressamente intitolata al principio di trasparenza: si tratta dell’articolo 29 che ha, infatti, previsto: “Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l’affidamento di appalti pubblici ….compresi quelli tra enti nell’ambito del settore pubblico, alla composizione della commissione giudicatrice ed ai curricula dei suoi componenti ove non considerati riservati devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente”.

            Oltre ai cennati obblighi di pubblicazione legale, la trasparenza trova attuazione in materia contrattualistica pubblica mediante la previsione di una espressa statuizione normativa, rubricata “accesso agli atti e riservatezza”, racchiusa nell’articolo 53 del Codice, che - come osservato da autorevole opinione[3] - si muove in sostanziale continuità normativa con l’articolo 13 del previgente codice dei contratti[4], sia pure con alcune differenze applicative.

            Al riguardo, la dottrina prevalente[5] ha, correttamente, rilevato che la nuova disciplina, nel rinviare in termini generali alla disciplina dell’accesso eso-procedimentale contenuta nella legge n. 241 del 1990, pur facendo salve le disposizioni speciali previste nel Codice, “ha prestato adesione al modello di accesso condizionato previsto dalla legge generale sul procedimento amministrativo, rispetto al quale si è posto, peraltro, in rapporto di complementarietà” e non, di converso - come confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa[6] - “di accentuata differenziazione”, nella misura in cui le disposizioni (di carattere generale e speciale) racchiuse nella legge sul procedimento del 1990 devono trovare applicazione tutte le volte in cui non si rinvengono nel Codice dei contratti disposizioni derogatorie, dotate di una specialità ancor più elevata ratione materiae.

            Da tali premesse discende, pertanto, che l’articolo 53 del Codice dei contratti ha dato vita ad “una sorta di microsistema normativo collegato alla peculiarità del settore considerato”, secondo quanto unanimemente affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato[7].

            Come rimarcata da attenta dottrina[8], anche l’Autorità nazionale anticorruzione concorda sul punto, sostenendo, nella delibera 5 aprile 2017, n. 317, che il diritto di accesso di cui al Codice dei contratti pubblici sia da considerarsi speciale rispetto all’omologo diritto previsto, con carattere generale, dalla legge n. 241 del 1990”.

            Tuttavia - secondo una interessante chiave di lettura[9] - il Codice non detta una disciplina completa dell’accesso alle informazioni nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici di appalti (di lavori, servizi e forniture) e delle concessioni (di lavori e servizi), limitandosi a porre solo talune limitazioni di carattere temporale al suo esercizio attraverso la previsione di peculiari fattispecie di differimento in relazione ad alcuni atti delle procedure di gara e prevedendo fattispecie di esclusione speciali rispetto a quelle previste in materia di accesso documentale ex articolo 24 della legge n. 241 del 1990.  

            Se ciò è vero, è, però, altrettanto vero che ambedue i corpi normativi (quello speciale di cui all’articolo 53 del Codice dei contratti pubblici e quello generale di cui alla legge n. 241 del 1990) sono applicabili sia quanto ad ambito oggettivo, sia quanto ad ambito soggettivo, essendo le norme speciali di stretta interpretazione e, quindi, applicabili esclusivamente nei casi espressamente considerati.

            In linea generale, giova evidenziare come la disciplina codicistica trovi applicazione sia nei c.d. “settori ordinari”[10] (sopra e sotto-soglia di rilevanza comunitaria[11]), sia nei c.d. “settori speciali”, in forza del rinvio espresso contenuto nell’articolo 114, comma 1, nonché alle concessioni in virtù sia del richiamo generale di cui all’articolo 164, comma 2, sia di quello specifico di cui all’articolo 171, comma 6.

            Secondo la dottrina[12], pertanto, il diritto di accesso ha ad oggetto sia gli atti della procedura di affidamento, sia gli atti della fase esecutiva dei contratti (benchè questi ultimi siano di diritto privato), nonché le candidature e le offerte dei privati quali atti che entrano nel procedimento amministrativo e, dunque, divengono atti amministrativi.

            Tanto premesso in linea generale sulla relazione intercorrente tra le due discipline, occorre ora soffermarsi, specificamente, su quella “speciale” delineata dall’articolo 53 del Codice dei contratti.

            In via preliminare, autorevole opinione[13] ha inteso evidenziare che la tecnica normativa usata dal legislatore consiste in una regolamentazione dell’accesso “in termini impersonali”, in quanto basata sulla perimetrazione dei limiti del diritto senza indicazioni soggettive circa la platea dei soggetti tenuti a garantirlo (soggetti passivi) e di quella di chi se ne possa avvalere (soggetti attivi).

            Da tale impostazione deriva, pertanto, che il diritto di accesso spetta, in linea di principio, a tutti gli operatori economici che partecipano alla gara, così come il corrispondente dovere incombe sui soggetti responsabile della gara stessa.   

Per quanto concerne il campo di applicazione soggettivo, va rilevato, sul versante passivo, che destinatari dell’accesso sono, anzitutto, le stazioni appaltanti per i contratti nei settori ordinari, ivi compresi i concessionari di lavori pubblici, nonché tutti i soggetti privati sottoposti all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, quali, a titolo meramente esemplificativo, le società a partecipazione pubblica, i soggetti privati che beneficiano di finanziamento pubblico e gli enti aggiudicatori nei “settori speciali”.

            Si tratta - secondo la migliore dottrina[14] - di una soluzione perfettamente coerente con il sistema normativo risultante dalla legge n. 241 del 1990 e dalla sua applicazione giurisprudenziale: l’articolo 1, comma 1-ter di tale legge ha, infatti, previsto l’applicazione generalizzata (anche) ai tutti i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative dei principi generali vigenti in materia, fra i quali, segnatamente, quello di trasparenza ed, inoltre, l’articolo 23 della stessa legge ha previsto l’esercizio del diritto di accesso, oltre che nei confronti delle amministrazioni pubbliche, delle aziende autonome e speciali e degli enti pubblici, anche nei confronti dei gestori di servizi pubblici.

            Ulteriore e decisivo elemento di rinforzo della tesi sin qui riportata è offerto dall’articolo 22, comma 1, lettera e) della medesima legge, nella versione novellata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15[15], che, nell’enucleare una nozione lata di “pubblica amministrazione”, vi ricomprende anche “i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.

            Ne deriva, così, che qualsiasi soggetto privato che abbia la qualifica di stazione appaltante oppure di soggetto aggiudicatore sarà assoggettato al rispetto della normativa codicistica e, quindi, potrà essere soggetto passivo di puntuali istanze ostensive.

            Si è posta, inoltre, la questione dell’accessibilità agli atti di diritto privato posti in essere nell’ambito o, soprattutto, a conclusione di una procedura evidenziale, atteso che, in tale contesto, si è al cospetto di un’attività dell’amministrazione retta sia dal diritto pubblico che dal diritto comune.

            Se, infatti, ha natura pubblicistica la fase di gara (c.d. serie procedimentale), ha natura privatistica il contratto e la successiva fase di esecuzione (c.d. serie negoziale).

            Sul punto, la questione è stata rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con sentenza 22 aprile 1999, n. 5, si è espressa nel senso dell’accessibilità degli atti di dritti privato dell’amministrazione, in quanto riconducibili ad un’attività comunque amministrativa.

            A conferma della validità del principio di diritto espresso dall’Adunanza Plenaria, è intervenuto il legislatore, enucleando, all’articolo 22, comma 1, lettera d) della legge n. 241 del 1990, una nozione ampia di “documento amministrativo”, capace di ricomprendere “ogni rappresentazione del contenuto di atti detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.

            Ne discende, quindi, l’ammissibilità dell’accesso procedimentale nei confronti di tutti gli atti delle procedure ad evidenza pubblica e di quelle negoziate, sia che vengano posti in essere dalle stazioni appaltanti, sia da soggetti privati comunque soggetti al rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti.

            Per quanto riguarda gli atti della c.d. serie negoziale, posti in essere cioè successivamente alla stipulazione del contratto, la giurisprudenza amministrativa[16] ha sostenuto la tesi estensiva, purchè questi atti, ancorchè aventi forma privatistica, siano stati posti in essere dalle stazioni appaltanti aventi veste pubblicistica e, come tali, si siano formati nell’ambito dell’attività amministrativa volta al perseguimento di interessi pubblici ben determinati.

            Per quanto concerne le stazioni appaltanti aventi natura di soggetti privati, occorre, invece, verificare se nella fase di esecuzione del contratto esse siano tenute all’osservanza del Codice o se, di converso, la fase esecutiva sia retta, in toto, dalle norme del diritto civile.

            Per quanto riguarda la definizione dei soggetti attivi dell’accesso, resta fermo, in capo a costoro, l’onere di dimostrare la titolarità di un interesse, giuridicamente rilevante, che è ritenuto pacificamente ravvisabile in capo agli operatori economici partecipanti alla gara, ma anche in capo a coloro che ne siano stati legittimamente esclusi o ai quali è di fatto preclusa la partecipazione.

            In realtà, se la giurisprudenza amministrativa consolidata[17] ammette pacificamente la legittimazione attiva dei concorrenti alla gara, in quanto acconsentono implicitamente a che l’offerta tecnico-progettuale fuoriesca dalla sfera del proprio riservato dominio per il solo fatto della loro partecipazione alla gara e, quindi, per l’accettazione tacita delle regole di trasparenza ed imparzialità che la caratterizzano, non si è registrata uniformità di vedute in ordine alla legittimazione attiva dei concorrenti legittimamente esclusi dalla procedura evidenziale.

            Al riguardo, un primo filone giurisprudenziale[18] ha sostenuto che il concorrente legittimamente escluso non sia titolare di alcun diritto all’ostensione della documentazione di gara, poiché non ha la possibilità di ottenere l’affidamento del contratto stipulato a conclusione della stessa procedura, con la conseguenza che un’eventuale conoscenza dei predetti atti sarebbe utile soltanto alla mera conoscenza dell’offerta della controparte che è esplicitamente vietata dall’articolo 53 del Codice.

            Del resto in tale direzione sembra essere andato il legislatore quando ha accordato il diritto di accesso esclusivamente ai fini della difesa in giudizio, in una prospettiva più stringente di quella tratteggiata dall’articolo 24 della legge n. 241 del 1990, con ciò riferendosi solo al concorrente che non solo abbia preso parte alla selezione concorsuale, ma che sia titolare di una situazione soggettiva concreta, attuale, differenziata e qualificata dall’ordinamento giuridico, situazione che è da ritenersi insussistente nel caso di esclusione legittima dalla procedura.

            Tuttavia, di recente, qualche giudice amministrativo di prime cure[19] ha sposato la tesi estensiva, ritenendo l’accesso strumentale ai principi di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa nei confronti sia di soggetti titolari di posizioni giuridiche qualificate, che di portatori di interessi diffusi o collettivi, con l’effetto che esso deve essere assicurato, a prescindere dall’effettiva utilità che l’accedente ne possa trarre e, perciò, anche nei casi di decorso dei termini di impugnazione stabiliti a pena di decadenza e di infondatezza della pretesa sostanziale che vi è sottesa.

            Ne è seguito un sostanziale revirement, in forza del quale il Consiglio di Stato[20] è giunto ad affermare che “al di là della platea dei concorrenti che competono per il bene della vita dell’aggiudicazione e di quanto l’accesso è strumentale e in ragione del rinvio contenuto nel primo comma dell’articolo 53 alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le fattispecie, diverse da quelle ricordate dalla giurisprudenza circa i concorrenti, restano per i terzi disciplinate dalle disposizioni generali degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.  

            Ne discende, quindi, che, in ossequio alla disciplina generale del 1990, e, segnatamente, all’articolo 22, comma 1, lettera b), anche gli operatori economici-terzi che cioè non abbiano preso parte alla selezione possono esercitare l’accesso, a condizione che abbiano “un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.    

            Sotto tale profilo - secondo parte della giurisprudenza[21] - la disciplina dettata dall’articolo 53 del Codice appare, infatti, più stringente rispetto a quella generale racchiusa nella legge sul procedimento amministrativo, sia sul versante soggettivo, essendo l’accesso consentito soltanto al concorrente che abbia partecipato alla selezione, sia sul versante oggettivo, essendo l’accesso condizionato alla sola comprovata esigenza di una difesa processuale. 

            Altra parte della giurisprudenza amministrativa[22] e la dottrina[23] propendono, invece, per la tesi opposta, sostenendo che l’articolo 53 non contiene limitazioni soggettive espresse, facendo, anzi, al comma 3, esplicito riferimento ai “terzi” e, quindi, evidenziando che non sussista alcuna restrizione subiettiva.

            Secondo tale esegesi, perciò, l’accesso sarebbe esercitabile tanto dalle imprese partecipanti alla gara, quanto da quelle che non vi abbiano preso parte

            Da tale ricostruzione discende, pertanto, che la disciplina dell’accesso racchiusa nel Codice dei contratti pubblici impone un riconoscimento, sia pure implicito, del diritto di accesso a tutti gli atti afferenti al procedimento concorsuale, ad esclusione delle specifiche fattispecie di differimento e, soprattutto, di esclusione.

            In definitiva, la disciplina generale dell’accesso rimane, anche nel settore dei contratti pubblici, quella della legge n. 241 del 1990, costituendo le disposizioni del Codice dei contratti ed, in primis, l’articolo 53 “norme speciali” che introducono alcune deroghe rispetto alla prima, deroghe che, in ogni caso, devono essere interpretate alla luce del principio di tutela della concorrenza, in quanto sono poste a presidio anzitutto dei valori della par condicio e del mercato.

 

 

2. Le cause di differimento dell’accesso.

            La disciplina disegnata dall’articolo 53 del Codice dei contratti pubblici contempla, rispetto a quella generale racchiusa nella legge sul procedimento amministrativo, una serie di deroghe, fra le quali spiccano, anzitutto, le cause di differimento dell’esercizio dell’accesso.

            L’articolo 53, comma 2 prevede, infatti, specifiche fattispecie di differimento obbligatorio, in ciò differenziandosi dalla disciplina generale dell’articolo 24 della legge n. 241 del 1990, che si limita ad accordare al responsabile del procedimento una mera facoltà, senza peraltro indicare, in modo puntuale, nessuna situazione tassativizzante. 

            Poiché si tratta di eccezioni alla regola generale, dette fattispecie sono di stretta interpretazione, potendo trovare applicazione esclusivamente entro l’ambito tipicamente disegnato dal legislatore.

            La ratio di tali limitazioni temporali si presenta - secondo autorevole opinione[24], avallata dalla giurisprudenza amministrativa[25] - duplice, in quanto il legislatore, da un lato, ha inteso presidiare la riservatezza dei partecipanti alla gara, espressa - come vedremo più avanti - in termini di “segreti tecnici e commerciali” e, dall’altro e nel contempo, la libera concorrenza e la trasparenza delle offerte.

            Il differimento dell’accesso mira, dunque, ad evitare qualsiasi forma di agevolazione di condotte volte a turbare la regolarità e la genuinità del confronto concorrenziale, come, peraltro, confermato anche dall’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (oggi, Autorità nazionale anticorruzione), con determinazione 22 maggio 2000, n. 25, nella quale ha ravvisato le ragioni dell’istituto “nella necessità di salvaguardare l’effettività della libera concorrenza, nel senso che la genuinità della concorrenza stessa potrebbe essere pregiudicata dalla conoscenza, prima della definizione della gara, dei nominativi dei partecipanti alla gara (che) potrebbe suggerire accordi tra i candidati intesi ad alterarne i risultati ovvero consentire pressioni o minacce tra gli stessi al fine di limitare la libertà di determinazione in ordine al contenuto delle offerte”.

 

            Fatta salva la disciplina speciale riservata agli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza racchiusa nell’articolo 162 del Codice dei contratti, le ipotesi di differimento sono - secondo parte della dottrina[26] - “funzionali al corretto ed imparziale svolgimento di determinate fasi del procedimento”.

            L’obiettivo di tutela della concorrenza è, dunque, massimamente evidente nella casistica legale di differimento contenuta nell’articolo 53, comma 2 del Codice: in presenza di alcuna delle situazioni tipicizzate il differimento costituisce, infatti, un “limite oggettivo assoluto[27], non essendo modulabile discrezionalmente dalla amministrazione pubblica.

            In questi casi esiste, pertanto, una esigenza di segretezza, tutelata anche a livello penale, che mira ad evitare potenziale effetti distorsivi della concorrenza che potrebbero derivare dalla conoscenza dei soggetti partecipanti prima del termine per la presentazione delle offerte oppure delle offerte prima dell’aggiudicazione.

            Secondo una autorevole opinione[28], le fattispecie di differimento di cui all’articolo 53, comma 2 del Codice “appaiono spartire una ratio derogatoria alla disciplina ex legge n. 241/1990 in tema di esercizio dei diritti di partecipazione al procedimento”; in realtà, a ben vedere non si è al cospetto di una nullificazione del principio di partecipazione procedimentale, ma soltanto di una sua restrizione applicativa, che si concreta nella impossibilità di interloquire sugli specifici documenti tassativamente elencati dalla stessa disposizione.

            L’obiettivo perseguito dal legislatore è, quindi, di “preservare la fluidità di svolgimento del procedimento - che potrebbe, invece, essere pregiudicata da una partecipazione non regolata nei termini illustrati - il che avviene in modo piuttosto strutturato ed in maniera tale da garantire il rispetto dei diritti di interlocuzione degli interessati[29]”.

            La ragion d’essere dell’istituto, che si identifica nell’esigenza di non intralciare l’ordinato svolgimento delle operazioni di gara, evitando aggravi procedimentali nella delicata fase di valutazione delle offerte, viene meno nelle more dell’approvazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, che - come è noto - segna la conclusione della procedura ad evidenza pubblica. 

            Nel dettaglio, l’articolo 53, comma 2 individua quattro fattispecie legali di differimento, che sono, nell’ordine:

a) nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime;

b) nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, e in relazione all’elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare;

c) in relazione alle offerte, fino all’aggiudicazione;

d) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell’offerta, fino all’aggiudicazione”.

            Accanto alla ratio comune sopra analiticamente descritta, le fattispecie previste dall’articolo 53, comma 2, lettere a) e b) aggiungono anche il concorrente obiettivo di prevenire collusioni fra gli operatori economici che abbiano presentato offerte oppure anche intimidazioni di alcuni di essi, situazioni che sarebbero più facilmente verificabili ove l’identità dei potenziali offerenti sia rivelata prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte.

            A riprova di ciò sembra militare lo stesso articolo 53 che, ai commi 3 e 4, irrigidisce la disciplina del differimento, prevedendo, anzitutto, che “gli atti di cui al comma 2, fino alla scadenza dei termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti” e, subito dopo, che “l’inosservanza dei commi 2 e 3 per i pubblici ufficiali o per gli incaricati di pubblici servizi rileva ai fini dell’articolo 326 del codice penale” e, cioè, a titolo di rivelazione di segreti d’ufficio.

            Restano, però, fuori da ogni specifico addebito in termini di responsabilità penale i soggetti privati, per i quali potranno trovare applicazione esclusivamente fattispecie di responsabilità amministrativa (erariale, contabile o disciplinare) e contrattuale.

            Per quanto riguarda, in particolare, le fattispecie di cui all’articolo 53, comma 2, lettera b), giova rilevare come sia stata prevista una deroga in favore di coloro la cui candidatura sia stata respinta, al fine di consentire una celere ed efficace tutela giurisdizionale avverso il mancato invito.

            Invero, a tali soggetti è permesso l’accesso all’elenco degli operatori economici che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato tale interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte della stazione appaltante, dei nominativi dei candidati da invitare.

            Per quanto riguarda le fattispecie di differimento previste dall’articolo 53, comma 2, lettera c), attenta dottrina[30] ha, esattamente, osservato che il nuovo Codice dei contratti ha spostato ulteriormente in avanti il momento dell’accessibilità rispetto al Codice del 2006: secondo la giurisprudenza formatasi sulla corrispondente previsione di quest’ultimo (che faceva riferimento all’approvazione dell’aggiudicazione), il differimento dell’accesso alle offerte era, infatti, ritenuto operante solo fino all’aggiudicazione provvisoria, che, nel nuovo Codice, è stata sostituita dalla proposta di aggiudicazione.

            Ora, il riferimento all’aggiudicazione, che nel Codice vigente prende il posto della aggiudicazione definitiva, implica un ulteriore differimento dell’accesso.

            Per quanto concerne la fattispecie prevista dall’articolo 53, comma 2, lettera d), ci si limita ad evidenziarne il carattere “specializzante” rispetto alla lex generalis in materia di accesso ai documenti amministrativi, come, peraltro, suffragato ampiamente dall’Autorità nazionale anticorruzione in alcuni pareri precontenziosi[31] che, sebbene adottati nella vigenza del Codice del 2006, conservano tutta la loro attualità anche in relazione al nuovo Codice dei contratti.

 

 

3. Le cause di esclusione dell’accesso.

L’articolo 53, comma 5 del Codice dei contratti prevede quattro fattispecie di esclusione dell’accesso, che, “Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza”, hanno ad oggetto, nell’ordine:

a) le informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali;

b) i pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;

c) le relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto;

d) le soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale”.

            A ben vedere, si tratta di tre fattispecie di esclusione aventi natura assoluta (lettere b, c e d) ed una natura relativa (lettera a), in quanto il legislatore ha, espressamente, previsto, in riferimento a quest’ultima, una potenziale deroga nei casi in cui il concorrente agisca “ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto” (articolo 53, comma 6).

            In via preliminare, giova porre in risalto come il legislatore abbia previsto, sia per le fattispecie di differimento (comma 2), sia per quelle di esclusione (comma 5), una clausola di salvezza espressa per gli appalti secretati o per quelli la cui esecuzione sia accompagnata da speciali misure di sicurezza, rinviando ad una disciplina specifica che, in realtà, le due categorie contrattuali escluse non hanno in subiecta materia.

            Al riguardo - secondo una qualificata opinione, avallata da parte della giurisprudenza amministrativa[32] - in difetto di una disciplina ad hoc, spetterebbe all’interprete svolgere, caso per caso, “un’opera di bilanciamento tra l’interesse alla non divulgazione di notizie sensibili e il diritto di difesa, garantito dall’articolo 24 della Costituzione, al cui esercizio l’accesso è finalizzato”.

            In tale direzione sembra porsi l’articolo 24, comma 5 della legge n. 241 del 1990, la cui applicabilità alle procedure evidenziali è, espressamente, riconosciuta dallo stesso articolo 53, comma 1 del Codice dei contratti, con l’effetto che il segreto può precludere il diritto di accesso solo entro i limiti in cui sia necessario per garantire l’interesse a tutela del quale è preordinato.

            Resta pacifico - secondo parte della dottrina[33] - che, anche in queste situazioni, la sottrazione all’accesso non pregiudica in termini assoluti la tutela giurisdizionale degli interessati, i quali possono impugnare sia il provvedimento di segretazione, sia la procedura di appalto segretato, agendo, dapprima, con un’actio ad exhibendum volta ad ottenere l’esibizione in giudizio dei relativi atti e, successivamente, una volta avuta cognizione degli atti stessi mediante deposito in giudizio, con la  proposizione di un ricorso per motivi aggiunti.

            In ordine al campo di applicazione delle citate cause di esclusione, la più recente giurisprudenza amministrativa[34] e parte della dottrina[35] hanno, eloquentemente, chiarito che, “a fronte della regola generale dell’accessibilità in presenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso, le compressioni di cui ai commi 2 e 5 dell’articolo 53 del Codice dei contratti pubblici rappresentano norme speciali e, dunque, eccezionali, da interpretare perciò in modo restrittivo, attenendosi a quanto tassativamente ed espressamente previsto in esse”.

            Nel novero delle cause di esclusione dell’accesso di natura assoluta rientrano, anzitutto, le fattispecie previste dall’articolo 53, comma 5, lettere b) e c) relative, rispettivamente, “ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici” ed “alle  relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto”.

            Si tratta di fattispecie poste a tutela del diritto di difesa della stazione appaltante, secondo quanto sostenuto dalla dottrina[36] e dalla giurisprudenza amministrativa[37], nelle quali la sottrazione all’accesso assume carattere assoluto, nel senso che non è prevista alcuna deroga, nemmeno nel caso in cui l’operatore economico intenda agire in sede processuale (deroga, invece, ammessa in relazione alla fattispecie dei segreti tecnici o commerciali prevista dall’articolo 53, comma 5, lettera a), come vedremo nel prossimo paragrafo dedicato al c.d. accesso difensivo).

            In particolare, per quanto attiene ai pareri legali di cui all’articolo 53, comma 5, lettera b) del Codice, un’autorevole impostazione di pensiero[38] ha ravvisato la ratio dell’esclusione legale nelle “esigenze di riservatezza che tutelano le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante”, che vengono in rilievo con riferimento alla strategia difensiva e/o alla condotta processuale da assumere in una controversia giurisdizionale già instaurata o di imminente instaurazione.

            Nel rispetto della ragion d’essere, è prevalsa in giurisprudenza[39] un’esegesi restrittiva, volta cioè a fare applicazione della predetta causa di esclusione soltanto alla fase privatistica di stipulazione dei contratti pubblici e non, di converso, a quella propriamente pubblicistica, in cui le consulenze, piuttosto che orientate alla gestione di un contenzioso (reale o potenziale), rilevano come atti endo-procedimentali che rappresentano un “passaggio istruttorio del procedimento in corso e, perciò, costituiscono uno degli elementi che condizionano la scelta dell’amministrazione”. 

            Si tratta, più precisamente, di pareri tecnici resi nel corso di un contenzioso in atto, sebbene non ancora sfociato in un giudizio (ordinario o arbitrale), in relazione ai quali si giustifica la tutela del segreto professionale.

            Anche la fattispecie di esclusione prevista dall’articolo 53, comma 5, lettera c), relativa “alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto”, sembra rispondere alla stessa logica di quella avente ad oggetto i pareri legali sopra esaminata: le “relazioni riservate” redatte dai predetti soggetti esprimono, infatti, valutazioni sulla rilevanza delle domande e delle riserve presentate che confluiscono all’interno di una strategia difensiva della stazione appaltante verso le pretese economiche ulteriori vantate dal soggetto esecutore del contratto.  

            Diversa è, invece - secondo il Consiglio di Stato[40] - la natura delle riserve che, integrando un “dato storico che fotografa il contrasto tra le parti intercorso nella fase di esecuzione dell’appalto”, rappresentano uno stato di conoscenza oggettiva da cui tanto la stazione appaltante, quanto l’impresa “sono libere di trarre, ciascuna in modo autonomo, le rispettive valutazioni”.

            Ne discende, pertanto, che ad essere coperte dalla causa di esclusione prevista dall’articolo 53, comma 5, lettera d) del Codice sono esclusivamente le “relazioni riservate” del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo e non, invece, quelle che siano sprovviste di tale qualificazione, fra le quali rientra - secondo la giurisprudenza amministrativa[41] - la relazione del direttore dei lavori nell’ambito del procedimento di risoluzione per grave inadempimento dell’appaltatore disciplinata dall’articolo 108, comma 3 del Codice dei contratti.  

            Da tale ricostruzione ermeneutica sembra discendere che, in realtà, la fattispecie di esclusione in esame non ha carattere assoluto, in quanto - secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa[42] - si tratterebbe di un mero differimento fino all’esito del procedimento di accordo bonario, con la conseguenza che, venute meno le esigenze contingenti, il diritto di accesso si riespande, entrando le relazioni a far parte della fase istruttoria sulle domande dell’appaltatore.

            La causa di esclusione prevista dall’articolo 53, comma 2, lettera d) del Codice riguarda “le soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale”, essendo il divieto di accesso posto a presidio della proprietà intellettuale della stazione appaltante.

             Ha, invece, carattere relativo la fattispecie di esclusione di cui all’articolo 53, comma 2, lettera a) del Codice, che ha ad oggetto “le informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo comprovata e motivata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali”.

            Al riguardo, autorevole dottrina[43] ha, esattamente, rilevato che la fattispecie di esclusione in oggetto riguarda non l’offerta nel suo complesso, ma solo quella parte contenente informazioni che costituiscano, “secondo comprovata e motivata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali”.

            Si tratta di eccezione posta a tutela della “riservatezza aziendale”, al fine di impedire che gli operatori economici possano utilizzare, surrettiziamente, l’accesso al solo scopo di acquisire informazioni riservate sul know how di quelli concorrenti, costituenti “segreti tecnici o commerciali”.

            La disposizione amplia, così, i limiti oggettivi del segreto, dettando - secondo la giurisprudenza amministrativa[44] - regole speciali che devono ritenersi incondizionatamente prevalenti sulla disciplina generale della trasparenza amministrativa, anche in difetto di un’espressa previsione nell’ambito delle limitazioni oggettive previste dall’articolo 24 della legge n. 241 del 1990.

            Ai fini di un’esatta perimetrazione della causa di esclusione, occorre far luce sulla nozione centrale di “segreti tecnici o commerciali”.

            A tali fini, pare necessario rifarsi al c.d. “Codice della proprietà industriale”[45] che, all’articolo 98, reca la definizione dei “segreti commerciali” nei seguenti termini: “Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni: a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; b) abbiano valore economico in quanto segrete; c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete” ed aggiunge che “costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l'autorizzazione dell'immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l'uso di nuove sostanze chimiche”.

            Si tratta, comunque - secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente[46] - di una nozione più stringente rispetto al concetto di “riservatezza commerciale” prevista dall’articolo 24 della legge n. 241 del 1990, in quanto “nessuna (generica) esigenza di riservatezza può essere capace, nello specifico contesto dell’evidenza pubblica, di sottrarre all’accesso i dati economici che non sono così inestricabilmente avvinti a quelli tecnici da costituire parte di un segreto industriale”.

            Il legislatore ha inteso escludere dal raggio di azionabilità del diritto di ostensione la (sola) documentazione suscettibile di rivelare il know how industriale e commerciale contenuto nelle offerte delle imprese concorrenti, così da evitare che operatori economici in diretta concorrenza possano utilizzare lo strumento dell’accesso per giovarsi delle specifiche conoscenze possedute da altri in vista del conseguimento di un indebito vantaggio commerciale all’interno del mercato.

            Secondo attenta dottrina[47], nella definizione di “segreti tecnici o commerciali” non può, pertanto, “ricadere qualsiasi elemento di originalità dello schema tecnico del servizio offerto, perché è del tutto fisiologico che ogni imprenditore abbia una specifica organizzazione, propri contatti commerciali e idee differenti da applicare alle esigenze della clientela”, dovendosi in essa ricomprendere solo “elaborazioni e studi ulteriori, di carattere specialistico, che trovano applicazione in una serie indeterminata di appalti e sono in grado di differenziare il valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano mai a conoscenza”.

            Anche per dette ragioni, la giurisprudenza[48] ha dato un’esegesi restrittiva della fattispecie di esclusione prevista dall’articolo 53, comma 5, lettera a) del Codice, rilevando come essa ne condizioni il funzionamento alla manifestazione di interesse da parte della stessa impresa cui si riferiscono i documenti ai quali altro operatore economico richiede di accedere; ai fini dell’operatività della predetta causa di esclusione, è, quindi, necessaria una “comprovata e motivata dichiarazione dell’offerente”.

            Sul punto converge anche la dottrina[49], secondo cui il predetto “limite all’ostensibilità è comunque subordinato all’espressa “manifestazione di interesse” da parte dell’impresa interessata, cui incombe l’onere dell’allegazione di “motivata e comprovata dichiarazione”, mediante la quale dimostri l’effettiva sussistenza di un segreto industriale o commerciale meritevole di salvaguardia”.

            Ne consegue che, in caso contrario, l’accesso è consentito, con conseguente riespansione della lex generalis in tema di accesso procedimentale e, quindi, “riaffermazione del diritto generalmente riconosciuto nel nostro ordinamento di accedere agli atti[50]”.

            Questa causa di esclusione può, infatti, assumere carattere recessivo rispetto al c.d. “accesso defensionale” previsto dallo stesso articolo 53, al comma 6 e che si traduce nell’accesso del concorrente ai soli “fini della difesa in giudizio dei propri interessi” e limitatamente “alla procedura di affidamento del contratto”.

            Come osservato da attenta opinione[51], si tratta, pertanto, di un’applicazione specifica del principio generale che vieta di impiegare lo strumento dell’accesso ai fini di un controllo generalizzato dell’operato dell’amministrazione e che rinviene il suo fondamento normativo nell’articolo 24, comma 3 della legge n 241 del 1990.

            Ma il legislatore, attraverso la previsione dell’articolo 53, comma 6, ha inteso anche arginare un esercizio sviato e pretestuoso del diritto di accesso volto cioè all’acquisizione di informazioni sensibili su tecnologie, procedimenti, soluzioni commerciali o tecniche di altri operatori economici, senza riferimento ad alcuna procedura evidenziale.

            Sul punto, la giurisprudenza amministrativa prevalente[52] ha sostenuto la tesi secondo cui l’articolo 53, comma 6 del Codice introduca, nello specifico settore dei contratti pubblici, una figura “speciale” di accesso difensivo, che prevale sugli interessi aninomici di tutela del segreto tecnico o commerciale soltanto nel caso in cui l’accesso sia azionato in vista della difesa in giudizio degli  interessi dell’accedente e limitatamente alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale è formulata l’istanza ostensiva.

            Ne deriva, quindi, la prevalenza dell’accesso defensionale nelle sole ipotesi nelle quali si impugnino atti della procedura di gara in vista di una loro caducazione giurisdizionale o, comunque, del risarcimento del danno, anche in via autonoma.

            Nella giurisprudenza amministrativa ed in parte della dottrina[53] è, infatti, prevalsa una lettura volta a riconoscere all’accesso ex articolo 53, comma 6 del Codice “una valenza autonoma rispetto alla pretesa sostanziale sottostante”, dovendosi ricondurre al concetto di “difesa in giudizio” degli interessi dell’impresa concorrente ogni forma di tutela di posizioni soggettive giuridicamente tutelate.

            Secondo tale apprezzabile esegesi ampliativo-estensiva, “il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce un autonomo diritto all’informazione accordato per la tutela nel senso più ampio ed onnicomprensivo del termine”, che, oltre ad essere funzionale alla tutela giurisdizionale, consente agli amministrati di orientare i propri comportamenti sul piano sostanziale per curare o difendere i loro interessi giuridici”.

            Da questa ricostruzione discende, pertanto, che “attraverso la tutela giurisdizionale del diritto di accesso sono assicurate trasparenza ed imparzialità, indipendentemente dalla lesione in concreto da parte della P.A. di una determinata posizione di diritto o interesse legittimo facente capo alla sua sfera giuridica”.

            L’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi assurge, così, a “bene della vita autonomo”, meritevole di tutela separatamente dalle situazioni soggettive sulle quali abbia poi ed eventualmente ad impattare l’agere publico, anche in modo lesivo.

            Come sottolineato in alcune sentenze[54], l’accesso defensionale non può, inoltre, prevalere, ex se, sulla tutela dei segreti tecnici o commerciali, quando inerisce ad interessi diversi, quali il diritto di azione in sede civile nei confronti di soggetti privati per risarcimento danni da concorrenza sleale o per illecito aquiliano o quando sia volto a sollecitare l’intervento del giudice penale o l’esercizio dei poteri di autotutela da parte dell’amministrazione.            

            Altra giurisprudenza amministrativa[55] sottolinea, peraltro, che l’espressione “ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto” usata nell’articolo 53, comma 6 del Codice non pone particolari dubbi interpretativi in ordine all’esclusione dell’accesso defensionale nei casi in cui il concorrente richieda di accedere a documenti di gara che contengano segreti tecnici o commerciali di altre imprese per utilizzarli in giudizi diversi da quello concernente direttamente la procedura di gara oppure per invocare un intervento dell’amministrazione in autotutela oppure ancora per sollecitare l’intervento di un’Autorità amministrativa indipendente.

Sarà, dunque, onere della stazione appaltante lo svolgimento di un giudizio prognostico circa “l’effettiva utilità della documentazione di gara” ai fini dell’azione giurisdizionale, la cui ragion d’essere consiste nell’assicurare un giusto contemperamento tra esigenza di conoscibilità degli atti di gara e tutela dei segreti tecnici o commerciali e, quindi, un corretto bilanciamento tra principio di trasparenza amministrativa e principio di riservatezza.

Emerge, pertanto, l’esigenza dell’amministrazione destinataria dell’istanza ostensiva di valutare il nesso di strumentalità che deve intercorrere tra la pretesa conoscitiva e le esigenze difensive “in astratto”, cioè, prima ed a prescindere dall’effettivo esercizio di un’actio processuale, ed “in via prospettica”, ossia in relazione alla “conoscenza dell’oggetto della richiesta di accesso e al conseguenziale esercizio delle facoltà difensive da parte del richiedente[56]”.

Secondo attenta dottrina[57] e la giurisprudenza[58], l’intervento dell’amministrazione deve, pertanto, arrestarsi al riscontro della “effettiva utilità della documentazione richiesta …allo specifico fine di verificare la sussistenza del concreto nesso di strumentalità tra la documentazione oggetto dell’istanza di accesso e la difesa in giudizio degli interessi della impresa ricorrente, quale partecipante alla procedura di gara pubblica il cui esito è controverso”. 

            Più di recente, il Consiglio di Stato[59], nel ribadire questo orientamento, ha inteso rimarcare la funzione servente e strumentale della speciale forma di accesso prevista dall’articolo 53, comma 6 del Codice ai fini della difesa in giudizio, segnalando la necessità che la sua rilevanza deve essere valutata ex parte actoris e non, di converso, ex parte judicis: l’effettiva utilità della documentazione oggetto di accesso deve, infatti, essere apprezzata nel prisma delle facoltà difensive della parte accedente, suscettibili di sviluppare le loro modalità esplicative proprio sulla scorta della conoscenza della predetta documentazione di gara.

            In altri termini, l’effettiva utilità dei documenti ai fini dell’esplicazione delle facoltà difensive della impresa accedente va intesa - secondo la richiamata pronuncia - in termini di “pertinenza” dei medesimi al thema decidendum delineato con la domanda giurisdizionale di annullamento e non, invece, nel senso più ristretto di una loro idoneità a determinare l’accoglimento della stessa domanda.

            Sul piano procedimentale, ove l’accesso abbia ad oggetto atti di gara facenti parte dell’offerta di diversi operatori economici (come accade quasi sempre), verrà in considerazione la tutela della privacy di questi ultimi, che assumeranno la veste di soggetti contro-interessati, in conformità alla nozione enucleata dall’articolo 22, comma 1, lettera c) della legge n. 241 del 1990, secondo cui si intendono per tali “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.

            La stazione appaltante sarà, perciò, tenuta ad avviare, ai sensi dell’articolo 3 del d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184[60], il sub-procedimento di interpello dei soggetti contro-interessati ai sensi dell’articolo 22, comma 1, lettera c) della legge generale sul procedimento amministrativo, mediante la notifica nei loro confronti dell’istanza di accesso, al fine di ottenerne, nei successivi dieci giorni, una motivata opposizione che confermi la sussistenza di segreti tecnici o commerciali già dichiarata in sede di presentazione delle offerte.

            La parola conclusiva sulla vicenda compete, in ogni caso, alla stazione appaltante, in quanto l’accesso potrà essere riconosciuto anche in caso di opposizione delle imprese contro-interessate, non imponendo la legge alcuna regola di esclusione fondata su una presunzione assoluta valevole ex ante, bensì una valutazione in concreto dei motivi addotti a tutela del segreto.

            La stazione appaltante dovrà, pertanto, valutare, cum grano salis, anche le argomentazioni presentate dagli operatori economici controinteressati, ai fini dell’apprezzamento della “effettiva rilevanza” per l’operatività del regime di segretezza.

            Questa delicata e complessa attività valutativa deve, quindi, concretarsi in un ponderato giudizio di bilanciamento, che richiede l’indispensabilità della conoscenza delle informazioni segrete ai fini della tutela dell’accedente nell’ambito di un giudizio ben determinato.

            Secondo la dottrina[61] e la più recente giurisprudenza[62], deve, in ogni caso, essere consentito l’accesso difensivo anche alle informazioni contenenti “segreti tecnici o commerciali” nel caso in cui l’accedente alleghi un’idonea dimostrazione dell’indispensabilità della loro conoscenza ai fini della tutela nell’ambito di un determinato giudizio, prevalendo, in tal caso, il diritto all’accesso sulle contrapposte esigenze di riservatezza aziendale.

 

                                     

4. La vexata quaestio dell’applicabilità dell’accesso civico “generalizzato” alle procedure ad    evidenza pubblica.

            Una delle questioni più interessanti che hanno agitato, negli ultimi tempi, la giurisprudenza amministrava ha riguardato l’ammissibilità dell’accesso civico “generalizzato” nella materia dei contratti pubblici di appalti di lavori, servizi e forniture.

            Sul punto, va, anzitutto osservato che l’innesco della disputa trae, probabilmente, origine dalla pluralità di modelli di accesso presente nel nostro ordinamento giuridico, con tutte le oggettive difficoltà di coordinamento tra le rispettive discipline, nonché dalla previsione di ulteriori tipologie settoriali pur sempre espressive del principio di trasparenza amministrativa, fra le quali, appunto, la disciplina dell’accesso nei contratti pubblici.

            La questione si è posta, dapprima, nella giurisprudenza amministrativa di prime cure, che si è, sostanzialmente, divisa in due contrapposti filoni esegetici.

            Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale[63], la disciplina dell’accesso civico “generalizzato” non trova applicazione in materia di appalti pubblici, stante il combinato disposto dell’articolo 53 del “Codice dei contratti pubblici” con l’articolo 5-bis del “decreto trasparenza”: se, infatti, la disposizione codicistica contiene una disciplina in parte derogatoria in subiecta materia, rinviando in termini generali alla legge n. 241 del 1990, la disposizione del “decreto trasparenza” annovera, fra i casi di esclusione dell’accesso civico “generalizzato”, anche quelle fattispecie in cui l’accesso sia subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di “specifiche condizioni, modalità o limiti”.

            Ne discende - secondo tale orientamento - l’applicabilità alla materia contrattualistica pubblica del solo “accesso interessato[64]” disciplinato dalla lex generalis del 1990, anche in considerazione del fatto che il legislatore non è intervenuto, in modo espresso, neanche in sede di approvazione del c.d. “Correttivo al Codice dei contratti pubblici[65]”, sulla formulazione dell’articolo 53, inserendovi anche un rinvio alla disciplina dell’accesso civico universale.

            Altra parte della giurisprudenza amministrativa di primo grado[66] ha sposato la tesi favorevole all’operatività della disciplina prevista dal “decreto trasparenza” anche nel settore dei contratti pubblici, facendo leva, essenzialmente, sul rilievo secondo cui la normativa non prevedeva alcuna esclusione specifica: l’articolo 5-bis, comma 3 del predetto decreto si riferirebbe, infatti, ai divieti di accesso e non, invece, a restrizioni di minor rilievo, fra le quali quella prevista dall’articolo 53 del Codice dei contratti.

            Secondo questa impostazione ermeneutica l’indirizzo positivo sarebbe, pertanto, l’unica lettura compatibile con i principi di trasparenza e concorrenza, i quali non consentirebbero una lettura differente ed oltremodo restrittiva.

 

4.1 L’orientamento positivo della Sezione III del Consiglio di Stato (sentenza 5 giugno 2019,

n. 3780).

            La disputa, come era prevedibile, è giunta sino al Consiglio di Stato, che è così intervenuto con almeno tre sentenze significative.

            In particolare, con sentenza 5 giugno 2018, n. 3780, la Sezione III ha abbracciato l’indirizzo favorevole all’applicazione dell’accesso civico “generalizzato” alla materia dei contratti pubblici muovendo da una “lettura coordinata” e da “una interpretazione funzionale” dell’articolo 53 del Codice dei contratti pubblici, che rinvia alla disciplina generale in tema di accesso procedimentale racchiusa dalla legge n. 241 del 1990 con l’articolo 5-bis, comma 3 del “decreto trasparenza”.

            La disposizione codicistica richiama, al comma 1, la lex generalis del 1990, mentre elenca, al comma 2, una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso agli atti della procedura di gara, delle quali ci siamo già occupati al paragrafo 2 del presente lavoro.

           

Di converso, l’articolo 5-bis, comma 3 del decreto legislativo n. 33 del 2013, così come modificato dal decreto legislativo n. 97 del 2016, prevede che l’accesso civico “generalizzato” sia escluso nei casi tassativamente individuati dal legislatore, “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

            In considerazione della portata generale della disposizione da ultimo citata, la Sezione III del Consiglio di Stato ha sposato un’esegesi ampliativa, volta a non nullificare il principio fondamentale della trasparenza amministrativa, di cui l’accesso civico “universale” costituisce, ad oggi, l’ultima e più avanzata frontiera.

Secondo tale ricostruzione, infatti, ambedue le discipline mirano a garantire il rispetto di tale principio, di rilevanza costituzionale, di tal che risulterebbe incomprensibile escludere la disciplina sull’accesso civico “generalizzato” da quella dei contratti pubblici.

  In definitiva, la previsione di un’esclusione di tale forma di trasparenza non potrebbe essere interpretata nel senso di un’esclusione tout court dell’intera materia degli appalti pubblici.

            Secondo questa interpretazione, infatti, una differente esegesi porrebbe nel nulla la disciplina dell’accesso civico “generalizzato” con riguardo proprio ad un settore, quale quello dei contratti pubblici, in cui deve essere massimamente garantito il rispetto del principio fondamentale di trasparenza, unitamente a quello della concorrenza, di ascendenza comunitaria.

            Del resto, il mancato richiamo dell’articolo 53 del Codice dei contratti pubblici alla disciplina dell’accesso civico “universale” troverebbe spiegazione nella constatazione secondo cui il Codice è stato approvato nell’aprile del 2016, mentre la disciplina dell’accesso civico ha fatto ingresso nel nostro ordinamento solo nel maggio dello stesso anno attraverso il decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97.

            A sostegno della tesi positiva, il Supremo Consesso pone anche alcune argomentazioni tratte dal parere 18 febbraio 2016, n. 515, reso dallo stesso sullo schema di decreto legislativo n. 33 del 2013, in virtù delle quali le disposizioni in materia di accesso dovrebbero essere lette non secondo un’esegesi statica, bensì secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata di tipo dinamico fondata sulla valorizzazione dell’”impatto orizzontale” dell’istituto.

            Secondo tale interpretazione, due sarebbero gli aspetti dirimenti ai fini della decisione:

  1. la limitazione soltanto “oggettiva” dell’accesso civico “generalizzato” comporta che, oltre alle specifiche “materie“ sottratte, vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali possono prevedere “specifiche condizioni, modalità o limiti”, come, appunto, nei casi dell’articolo 24, comma 1 della legge n. 241 del 1990 espressamente richiamati dalla statuizione del “decreto trasparenza”;
  2. la normativa sull’accesso civico non ha, certamente, disciplinato positivamente il diritto di chiunque ad accedere agli atti per mera curiosità o per accaparrarsi dati sensibili utili, in quanto afferenti ad ambiti di una impresa concorrente coperti dalla ordinaria “segretezza aziendale”.

Come efficacemente rilevato da attenta dottrina[67], si tratta di un orientamento “integrativo” delle due discipline, che si caratterizza per due effetti, in quanto, su un versante, oblitera, in concreto, gli effetti dell’innegabile difetto di coordinamento normativo esistente tra il Codice dei contratti pubblici, il suo Correttivo del 2016 e la disciplina dell’accesso civico “generalizzato” e, su un altro versante, minimizza la rilevanza del principio di specialità.   

Secondo la Sezione III del Consiglio di Stato, dunque, “non si può ipotizzare una interpretazione statica e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso, allorchè, intervenuta la disciplina del decreto legislativo n. 97 del 2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’articolo 53 del Codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento”, dovendosi, invece, sostenere un’esegesi “dinamica”, che sia conforme ai canoni dell’articolo 97 della Costituzione e che, quindi, sia incline ad esaltare “l’impatto orizzontale dell’accesso civico generalizzato, non limitabile da norme preesistenti, ma soltanto dalla prescrizioni speciali e interpretabili restrittivamente che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno”.

           

4.2 L’orientamento negativo della Sezione V del Consiglio di Stato (sentenze gemelle 2 agosto 2019, nn. 5502 e 5503)

            In antitesi a tale orientamento, la Sezione V del Consiglio di Stato, in due sentenze gemelle[68], ha abbracciato la tesi negativa, “in favore dell’applicazione dell’accesso procedimentale come unico strumento di conoscibilità[69]”, osservando che l’articolo 5-bis, comma 3 del decreto legislativo n. 33 del 2013 esclude, senza dubbio, dall’accesso civico “generalizzato” i “casi di segreto di Stato” e gli “altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge”, nonché “quelli di cui all’articolo 24, comma 1 della legge n. 241 del 1990” ed, infine, “i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

            Tuttavia, con riguardo a questi ultimi, il Consiglio di Stato ne ha ritenuto, “anche in ragione della peculiare tecnica redazionale utilizzata”, la riferibilità “a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, subordinandolo a “condizioni, modalità o limiti”; queste cause di esclusione dell’accesso non riguarderebbero, pertanto - secondo la Sezione V - “le ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto (o relativo) di pubblicazione o di divulgazione, se non altro perché tale ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione”.

            Secondo tale chiave di lettura, la perifrasi “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti” non avrebbe un suo autonomo significato ove sia di mero richiamo di ben precise fattispecie legali di divieti di pubblicazione o di divulgazione, venendolo, di converso, ad acquisire, ove riferita alle discipline speciali vigenti in tema di accesso e, in particolare, a quella vigente in materia di contratti pubblici racchiusa nell’articolo 53 del Codice.

            Ne deriva, pertanto, che il richiamo testuale alla lex generalis in materia di accesso classico deve essere inteso “come rinvio alle condizioni, modalità o limiti fissati dalla normativa vigenti in subiecta materia, che devono sussistere ed operare perché possa essere esercitato il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”.

            La conclusione cui approdano i giudici della Sezione V è, dunque, nel senso dell’esclusione assoluta della disciplina dell’accesso civico “generalizzato” in riferimento agli atti delle procedure evidenziali, ivi compresi quelli afferenti la fase esecutiva dei contratti, conseguendo tale esclusione “non già ad un’incompatibilità morfologica o funzionale, ma al delineato rapporto positivo tra norme, che non è compito dell’interprete variamente atteggiare, richiedendosi allo scopo, per l’incidenza in uno specifico ambito di normazione speciale, un intervento esplicito del legislatore”.

            In tal senso - come correttamente rilevato da attenta dottrina[70] - il richiamo testuale alla disciplina degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 contenuto nell’articolo 53, comma 1 del Codice dei contratti va inteso come rinvio alle condizioni, modalità e limiti fissati dalla normativa in materia di accesso documentale, che devono, quindi, sussistere ed operare perché possa essere esercitato il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.

 

4.3 La storica sentenza 2 aprile 2020, n. 10 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

            La questione è stata portata al vaglio dell’Adunanza Plenaria, da parte della Sezione III del Consiglio di Stato, con ordinanza 16 dicembre 2019, n. 8501, sulla base di tre ordini di quesiti:

            “I. Se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;

- II. Se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lvo n. 33/2013, come modificato dal d.lvo n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;

- III. Se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato”.

            In via preliminare, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di dover ridefinire l’ordo quaestionum, poiché “la corretta delimitazione della questione controversa consente … di muovere all’esame delle questioni poste dall’ordinanza di rimessione, non senza però la preventiva disposizione delle stesse secondo il loro corretto ordine logico-giuridico”.

Sulla base di tale premessa, il Supremo Consesso ha esattamente rilevato come la terza questione posta dall’ordinanza di rimessione sia logicamente antecedente rispetto alle altre, in quanto, se, per ipotesi, l’istanza sia stata richiesta e respinta solo per una specifica tipologia di accesso (procedimentale o civico “generalizzato”), il tema controverso dovrebbe essere limitato all’esistenza dei presupposti del solo accesso richiesto, giacché sarebbe precluso al giudice riconoscere o negare in sede giurisdizionale i presupposti dell’altro, se questi non siano stati nemmeno rappresentati in sede procedimentale ab initio dall’istante.

Da questa precisazione discende - secondo l’Adunanza Plenaria che l’ordine delle questioni debba essere affrontato nel modo seguente:

“a) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, previste dal d. lgs. n. 33 del 2013, e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.

b) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria;

c) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice”.

            E così la Plenaria prende in esame anzitutto il terzo quesito, posto dall’ordinanza di rimessione e divenuto primo nel nuovo ordo quaestionum.

            In merito al primo quesito l’Alto Consesso ha riconosciuto che l’istanza di accesso documentale può concorrere con quella di accesso civico “generalizzato”, in quanto l’”anelito ostensivo” può estrinsecarsi nella medesima istanza formulata dall’accedente con riguardo ad ambedue gli strumenti della trasparenza.

            In tale direzione depone l’articolo 5, comma 11 del “decreto trasparenza”, che ammette, in modo inequivoco, il concorso tra tutte le diverse manifestazioni della trasparenza, nella misura in cui prevede che “restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dal Capo II” (c.d. accesso civico “semplice”), “nonché le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241” accesso ai documenti amministrativi).

            Sul punto, una qualificata dottrina[71] ha, correttamente, osservato che anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato consolidata ha ammesso il concorso tra le diverse declinazioni della trasparenza amministrativa, al di là della specifica questione circa la loro coesistenza in relazione alla materia dei contratti pubblici.

            Secondo tale chiave di lettura, è, perciò necessaria una valutazione “sostanziale” dell’istanza di accesso da parte dell’amministrazione, volta a verificare se essa racchiuda, sul piano contenutistico e a prescindere dagli aspetti meramente “formali” legati al tenore letterale dell’istanza, tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo il caso in cui l’accedente abbia inteso, espressamente, qualificare il proprio bisogno conoscitivo in un senso piuttosto che in un altro.

            Al riguardo, i Giudici della Plenaria hanno, infatti, affermato che “se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame”, aggiungendo che “con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione”.

            La letteratura più recente[72] ha, inoltre, precisato che la ricostruzione della natura dell’accesso civico “generalizzato” come “diritto fondamentale” ancorato all’articolo 10 della C.E.D.U. ha consentito di risolvere, da parte dell’Adunanza Plenaria, in una prospettiva assai attenta alla soddisfazione del bisogno conoscitivo del cittadino, anche il nodo gordiano della difficile coesistenza di due istituti generali in materia di accesso.

            Nella pronuncia n. 10 dell’aprile 2020, infatti, il Supremo Consesso giurisdizionale amministrativo ha messo in discussione, sia pure incidenter tantum, il principio secondo cui ciò che non si ottiene con l’accesso procedimentale non si può conseguire, per “ragioni di coerenza sistematica[73]”, con l’accesso civico universale.

            Secondo la Plenaria, pertanto, benchè le eccezioni in materia di accesso civico “generalizzato” siano molto ampi, non può escludersi che “un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato”. 

            Ed allora ecco enunciato il primo principio di diritto, secondo cui “la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento”.

            Quanto al secondo quesito, i giudici di Palazzo Spada hanno riconosciuto configurabile, in capo all’operatore economico utilmente collocato nella graduatoria determinata all’esito della procedura ad evidenza pubblica, la titolarità di un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata”, secondo quanto previsto dall’articolo 22, comma 1, lettera b) della legge n. 241 del 1990, all’accesso agli atti relativi (anche) alla fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere di autotutela dell’amministrazione di provocare la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatore ed il conseguente interpello  per la nuova procedura selettiva secondo le regole delle scorrimento della graduatoria.

            Si tratta - secondo la dottrina[74] - di una soluzione ermeneutica ampiamente corroborata dalla normativa vigente e, cioè, dall’articolo 53 del Codice dei contratti, nella parte in cui rinvia alla lex generalis del 1990 la regolamentazione dell’accesso agli atti anche nelle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, nonché dalla giurisprudenza amministrativa formatasi in materia, che è stata univoca nell’ammettere l’applicabilità di tale disciplina anche agli atti propriamente esecutivi, perché inseriti in una cornice procedimentale di indubbia rilevanza pubblicistica.

            Del resto, tale declinazione della trasparenza amministrativa costituisce - secondo quanto esattamente osservato da un autorevole studioso[75] - “il logico completamento del riconoscimento della rilevanza giuridica della posizione dei concorrenti anche dopo la conclusione della gara”, rappresentando “una naturale proiezione della tutela accordata all’interesse all’aggiudicazione della commessa o alla riedizione della gara anche una volta terminata la procedura ad evidenza pubblica”.

            Tale interesse - prosegue l’Autore citato – “riacquista concretezza ed attualità non solo quando si scoprono irregolarità rispetto alle modalità con cui si è svolta la procedura di gara, ma anche quando si verificano fatti nuovi nella fase di esecuzione che rendono (giuridicamente) impossibile la prosecuzione del rapporto”.

            Secondo l’organo di nomofilachia - “non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del servizio”.

            Esiste, in altri termini - prosegue la Plenaria - “una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto, dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del codice civile – applicabili «per quanto non espressamente previsto dal presente codice e negli atti attuativi»: art. 30, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016) – e questa disciplina si traduce sia nella previsione di disposizioni speciali nel codice dei contratti pubblici (artt. 100-113-bis del d. lgs. n. 50 del 2016), sia in penetranti controlli da parte delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la corruzione o l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del rapporto negoziale.”

            Allora il secondo principio di diritto enunciato dalla Plenaria è il seguente: “è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale”.

Trova una risposta positiva anche l’ultima questione circa l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico “aperto” alla materia dei contratti pubblici, ivi compresa la fase di esecuzione del contratto, fatte salve le eccezioni ed esclusioni oggettive previste dal “decreto trasparenza”.

            L’accesso civico “generalizzato”, quale “via elettiva della trasparenza”, soddisfa ampiamente il diffuso desiderio conoscitivo finalizzato alla garanzia della legalità nei contratti pubblici, che è la rinnovata e moderna cifra dell’evidenza pubblica non solo nella tradizionale fase pubblicistica di scelta del contraente culminante nell’aggiudicazione, ma anche in quella propriamente esecutiva, dovendo anche questa rispettarne, in modo speculare, “condizioni, modalità o limiti”.

            Ne discende, pertanto, che questo strumento della trasparenza amministrativa non solo è ammesso (anche) nella materia dei contratti pubblici, ma - secondo attenta dottrina[76] - “è doveroso, perché connaturato all’essenza stessa dell’attività contrattuale pubblica e perché opera, in funzione della c.d. trasparenza reattiva”, soprattutto in relazione a quegli atti rispetto ai quali non vigono i put numerosi obblighi di pubblicazione (c.d. trasparenza proattiva) previsti dalla legge”.

            Ecco, infine, il principio di diritto: “la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza”.

            Tale pronuncia, al di là degli importanti spunti esegetici offerti in ordine alla definizione della natura giuridica dell’accesso civico “generalizzato”, appare di assoluta rilevanza - secondo un attento Autore[77] - anche per la lettura evolutiva del complessivo assetto del sistema della trasparenza amministrativa nei confronti dei pubblici poteri.

            L’Adunanza Plenaria si segnala, perciò - secondo l’opinione richiamata - “da un lato, per il fatto di chiarire che la pluralità di discipline (generali e speciali) in materia di accesso deve essere interpretata in maniera tale da garantire la piena ed effettiva soddisfazione del concreto bisogno conoscitivo del richiedente e, dall’altro, per il fatto di escludere una lettura restrittiva dell’accesso civico alla luce dell’esistenza, in un determinato settore, di molteplici obblighi di pubblicazione, posto che entrambi gli istituti (accesso civico “generalizzato” ed accesso civico “semplice”) sono funzionali ad assicurare, in maniera integrata, ma da prospettive diverse, la piena realizzazione del principio di trasparenza.

            Ne deriva, in conclusione, che in materia di contratti pubblici la connotazione di “specialità” della disciplina di cui all’articolo 53 del Codice ha assunto - secondo recentissima giurisprudenza[78] e parte della dottrina[79] - “una portata non più derogatoria, ma complementare rispetto alle altre forme di accesso disciplinate dall’ordinamento”, come risulterebbe confermato proprio dal principio di diritto, sancito dalla Adunanza Plenaria, in ordine al dovere dell’amministrazione, in presenza di istanze ostensive generiche o massive, di provvedere con un’idonea motivazione circa l’assenza dei presupposti di ambedue le tipologie di accesso.

 

        

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[1] J. BERCELLI, P.G. NOVARO, I principi sull’assetto organizzativo delle stazioni appaltanti, in F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del nuovo codice, del decreto correttivo 2017 e degli atti attuativi, Torino, 2019, p. 233.

[2] La nozione di “stazione appaltante” è definita dall’articolo 3, comma 1, lettera o) del Codice dei contratti pubblici in termini estremamente ampi, in quanto comprensiva delle amministrazioni aggiudicatrici (amministrazioni dello Stato, enti pubblici territoriali, altri enti pubblici non economici, organismi di diritto pubblico, associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti), degli enti aggiudicatori relativamente alla disciplina in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari ed alle concessioni, i soggetti aggiudicatori limitatamente ai contratti di partenariato pubblico-privato, di contraente generale ed alle infrastrutture ed insediamenti prioritari e tutti gli altri soggetti aggiudicatori, ossia i soggetti privati tenuti all’osservanza delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici.

[3] F. CARINGELLA, Manuale dei contratti pubblici. Principi e applicazioni, Roma, 2019, p. 491. Di recente, anche F. ARMENANTE, Le procedure di affidamento dei contratti pubblici, Milano, 2020, p. 187.

[4] Si tratta del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

[5] G.D. COMPORTI, Il procedimento e il responsabile, M CLARICH (a cura di), Commentario al Codice dei contratti pubblici, Torino, 2019, p. 298-299.

[6] Consiglio di Stato, sezione V, 24 marzo 2014, n. 1446.

[7] Consiglio di Stato, sezione V, 29 marzo 2011, n. 1927; idem, 24 marzo 2014, n. 1446 e 17 giugno 2014, n. 3079.

[8] O. CUTAJAR, A. MASSARI, Il Codice dei contratti pubblici commentato con la giurisprudenza e la prassi, Santarcangelo di Romagna (Rimini), 2020, p. 383.

[9] R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, Bologna, 2020, p. 1122.

[10] Il Codice dei contratti reca una definizione espressa dei c.d. “settori ordinari”, prevedendo, all’articolo 3, comma 1, lettera gg), che si tratta dei “settori dei contratti pubblici, diversi da quelli relativi a gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come disciplinati dalla parte II del presente Codice, in cui operano le amministrazioni aggiudicatrici”, così come, all’articolo 3, comma 1, lettera ii), definisce, per sottrazione rispetto ai primi, la categoria dei c.d. “settori speciali”.

[11] L’articolo 3, comma 1, lettere ee) ed ff) fornisce le definizioni, rispettivamente, dei contratti di rilevanza europea e di quelli sotto-soglia, individuando i primi come “contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto è pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 e che non rientrino tra i contratti esclusi” ed i secondi come “i contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto è inferiore alle soglie di cui all’articolo 35”.

[12] J. BERCELLI, P.G. NOVARO, I principi sull’assetto organizzativo delle stazioni appaltanti, in F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del nuovo codice, del decreto correttivo 2017 e degli atti attuativi, op. ult. cit., p. 235.

[13] F. CARINGELLA, Manuale dei contratti pubblici. Principi e applicazioni, p. 492.

[14] R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, p. 1123.

[15] E’una prima legge di “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241”, alla quale sono seguite altre. 

[16] T.a.r. Lazio, sede Roma, sezione II, 30 ottobre 1997, n. 1720.

[17] Consiglio di Stato, sezione Vi, 30 luglio 2010, n. 5062; T.a.r. Campania, sede Napoli, sezione VI, 25 marzo 2013, n. 1657; Consiglio di Stato, sezione III, 15 luglio 2014, n. 3688.

[18] T.a.r Toscana, sede Firenze, sezione II, 21 luglio 2015, n. 1105; T.a.r. Lazio, sede Roma, sezione III, 30 marzo 2017, n. 4054.

[19] T.a.r. Sicilia, sede Palermo, sezione II, 10 settembre 2018, n. 1916.

[20] Consiglio di Stato, sezione V, 18 ottobre 2017, n. 4813.

[21] Consiglio di Stato, sezione V, 16 marzo 2016, n. 1056; idem, 18 ottobre 2017, n. 4813; idem, 27 giugno 2018, n. 3953.

[22] Consiglio di Stato, sezione V, 24 marzo 2014, n. 1446.

[23] R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, p. 1127.

[24] R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, p. 1128.

[25] Consiglio di Stato, sezione VI, 12 aprile 2005, n. 1678.

[26] G.D. COMPORTI, Il procedimento e il responsabile, M CLARICH (a cura di), Commentario al Codice dei contratti pubblici, p. 299.

[27] L’espressione è di . BERCELLI, P.G. NOVARO, I principi sull’assetto organizzativo delle stazioni appaltanti, in F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del nuovo codice, del decreto correttivo 2017 e degli atti attuativi, op. ult. cit., p. 236.

[28] F. CARINGELLA, Manuale dei contratti pubblici. Principi e applicazioni, op. ult. cit., p. 494.

[29] F. CARINGELLA, Manuale dei contratti pubblici. Principi e applicazioni, op. ult. cit., p. 494-495.

[30] R. DE NICTOLIS, Appalti e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, op. ult. cit., p. 1128.

[31] A.n.a.c., pareri precontenziosi 20 marzo 2008, n. 96 e 23 febbraio 2012, n. 19. Più di recente, l’A.n.a.c. ha adottato il parere 29 marzo 2017, n. 317, con il quale ha ribadito la “natura speciale” dell’accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica, affermando che tale diritto non può comunque consentire un controllo generalizzato dell’operato dell’amministrazione, potendo essere esercitato esclusivamente nelle forme e nei limiti previsti dalla normativa di riferimento.

[32] F. CARINGELLA, Manuale dei contratti pubblici. Principi e applicazioni, op. ult. cit., p. 496. T.a.r. Calabria, sede Catanzaro, sezione I, 22 maggio 2017, n. 830.

[33] R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, op. ult. cit., p. 1129.

[34] T.a.r Abruzzo, sede Pescara, sezione I, 23 maggio 2020, n. 162.

[35] M. SINISI, I diritti di accesso e la discrezionalità amministrativa, Bari, 2020, p. 154-155.

[36] R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, op. ult. cit., p. 1134.

[37] Consiglio di Stato, sezione IV, 28 gennaio 2016, n. 326.

[38] G.D. COMPORTI, Il procedimento e il responsabile, in M. CLARICH (a cura di), Commentario al Codice dei contratti pubblici, op. ult. cit., p. 301.

[39] Consiglio di Stato, sezione V, 23 giugno 2011, n. 3812, ripresa da Consiglio di Stato, sezione V, 16 marzo 2016, n. 1056.

[40] Consiglio di Stato, sezione IV, 28 gennaio 2016, n. 326.

[41] Consiglio di Stato, sezione VI, 14 novembre 2003, n. 7301.

[42] T.a.r. Lazio, sede Roma, sezione III, 27 novembre 2002, n. 10824.

[43] R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, op. ult. cit., p. 1131.

[44] Consiglio di Stato, sezione V, 9 dicembre 2008, n. 6121.

[45] Si tratta del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, coordinato ed aggiornato, da ultimo, con le modifiche apportate dal decreto legge 11 marzo 2020, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 maggio 2020, n. 31.

[46] Consiglio di Stato, sezione III, 17 marzo 2013, n. 1213.

[47] F. ARMENANTE, Le procedure di affidamento dei contratti pubblici, Milano, 2020, p. 190.

[48] Consiglio di Stato, sezione V, 7 gennaio 2020, n. 64.

[49] E. COGO, Diritto di accesso agli atti di gara, in www.italiappalti.it, p. 1.

[50] Il passaggio motivazionale è tratto da T.a.r Abruzzo, sede Pescara, sezione I, 23 maggio 2020, n. 162, citata. 

[51] F. CARINGELLA, Manuale dei contratti pubblici. Principi e applicazioni, op. ult. cit., p. 496-497.

[52] T.a.r. Lazio, sede di Roma, sezione I, 26 ottobre 2017, n. 10738; idem, sezione II-quater, 30 gennaio 2018, n. 1067; idem, sezione i-quater, 13 giugno 2018, n. 6614; idem, sezione III, 1ottobre 2018, n. 9655; Consiglio di Stato, sezione III, 26 ottobre 2018, n. 6083.

[53] T.a.r. Lombardia, sede Milano, sezione IV, 21 settembre 2011, n. 2264 e, recentemente, T.a.r Abruzzo, sede Pescara, sezione I, 23 maggio 2020, n. 162, citata; in dottrina, M. SINISI, I diritti di accesso e la discrezionalità amministrativa, op. ult. cit., p. 156.

[54] Consiglio di Stato, sezione IV, 28 luglio 2016, n. 3431.

[55] T.a.r. Lazio, sede Roma, sezione I, 26 ottobre 2017, n. 10738.

[56] T.a.r. Lazio, sede Roma, sezione I, 3 marzo 2020, n. 2780, che sul punto richiama Consiglio di Stato, sezione VI, 18 gennaio 2018, n. 293.

[57] M. SINISI, I diritti di accesso e la discrezionalità amministrativa, op. ult. cit., p. 157.

[58] Consiglio di Stato, sezione III, 26 ottobre 2018, n. 6083.

[59] Consiglio di Stato, sezione III, 11 ottobre 2017, n. 4724.

[60] E’ il “Regolamento recante la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi”, che ha sostituito il previgente d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352.

[61] I. TASSONE, L’accesso agli atti di gara e la tutela delle informazioni tecnico-industriali del concorrente: un punto di equilibrio tra esigenze di riservatezza e trasparenza, in www.italiaappalti.it, p. 2.

[62] Consiglio di Stato,, sezione V, ord. 27 marzo 2020, n. 2150.

[63] T.a.r Emilia Romagna, sede Parma, sezione II, 18 luglio 2018, n. 197; T.a.r. Marche, sezione I, 18 ottobre 2018, n. 677; T.a.r. Lazio, sede Roma, sezione II, 14 gennaio 2019, n. 425; T.a.r. Lombardia, sede Milano, sezione I, 25 marzo 2019, n. 630.

[64] C.N. SFORZA, “La casa di vetro”: l’applicabilità del diritto di accesso civico generalizzato negli appalti pubblici: il contrasto giurisprudenziale e la rimessione all’Adunanza Plenaria, in www.italiaappalti.it., p. 3.

[65] Si tratta del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56.

[66] T.a.r. Campania, sede Napoli sezione VI, 22 dicembre 2017, n. 6028; T.a.r. Lombardia, sede Milano, sezione IV, 11 gennaio 2019, n. 45; T.a.r. Toscana, sede Firenze, sezione I, 25 marzo 2019, n. 422 e sezione III, 17 aprile 2019, n. 577; T.a.r. Campania, sede Napoli, sezione VI, 10 dicembre 2019, n. 5837.

[67] P. RUBECHINI, Appalti pubblici e diritto di accesso, in Giornale di diritto amministrativo, Milano, n. 2/2020, p. 235-236.

[68] Si tratta delle sentenze 2 agosto 2019, nn. 5502 e 5503.

[69] M. SINISI, I diritti di accesso e la discrezionalità amministrativa, op. ult. cit., p. 163.

[70] F. RUSSO, Sentenze appalti. Rassegna sistematica e ragionata di giurisprudenza in tema di appalti e contratti pubblici, Roma, 2020, p. 354.

[71] L. GRASSUCCI, E’ ammesso l’accesso civico generalizzato agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in www.italiaappalti.it, p. 2.

[72] A. MOLITERNI, Pluralità di accessi, finalità della trasparenza e disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, Vicenza, fasc. 4/2020, p. 510.

[73] Sul punto, si sono pronunciate sia le Linee-guida dell’Autorità nazionale anticorruzione, oltre che le circolari F.O.I.A. della Ministro della Pubblica Amministrazione delle quali ci siamo occupati al paragrafo 4 del presente studio.

[74] L. GRASSUCCI, E’ ammesso l’accesso civico generalizzato agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in www.italiaappalti.it, p. 2, p. 4.; A. MUSIO, Il diritto di accesso in materia di contratti pubblici: l’Adunanza Plenaria n.10/2020 estende l’ambito di applicazione dell’accesso civico c.d. generalizzato, in www.italiappalti.it, p. 4.

[75] A. MOLITERNI, Pluralità di accessi, finalità della trasparenza e disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, Vicenza, fasc. 4/2020, p. 514.

[76] L. GRASSUCCI, E’ ammesso l’accesso civico generalizzato agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in www.italiaappalti.it, p. 3.

[77] A. MOLITERNI, Pluralità di accessi, finalità della trasparenza e disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, op. ult. cit., p. 516.

[78] T.a.r Lazio, sede Roma, sezione I-quater, 3 marzo 2020, n. 2780.

[79] M. SINISI, I diritti di accesso e la discrezionalità amministrativa, op. ult. cit., p. 169.