Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 2020, n. 7000
Per pacifico e consolidato principio di diritto (ex pluribus, Cons. Stato, VI, 15 giugno 2018, n. 3706; V, 14 aprile 2016, n. 1495), l'interesse a ricorrere – che deve persistere per tutto il corso del giudizio – è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che caratterizzano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 Cod. proc. civ., vale a dire la prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e l'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato.
Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2073 del 2020, proposto da ST Protect s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Simona Motta e Max Diego Benedetti, con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;
contro
Sistemi per la meteorologia e l'ambiente Campania - SMA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
nei confronti
Rap Professional s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Napoli, Sezione III, n. 348/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2020 il Cons. Valerio Perotti e preso atto della richiesta congiunta di passaggio in decisione della causa depositata in atti dagli avvocati Motta e Benedetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con bando pubblicato su G.U.U.E. n. S151 del 7 agosto 2019, G.U.R.I. n. 91 del 5 agosto 2019 e BURC n. 49 del 12 agosto 2019, SMA Campania s.p.a. indiceva una “Procedura aperta telematica ai sensi dell'art.60 D.Lgs. 50/2016 per l'affidamento della fornitura di dispositivi di protezione individuale per le attività di antincendio boschivo, protezione civile e manutenzione delle tecnologie - anno 2019”, per un importo pari ad euro 243.863,00, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso, ai sensi dell'art 95, comma 4 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Entro i termini fissati dal bando di gara presentavano un'offerta, tra gli altri, le società ST Protect s.p.a. e RAP Professional s.r.l.
All'apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa, il seggio di gara rilevava, per la prima di esse, “la mancata indicazione all'interno del DGUE degli atti di gara, di segnalazione ANAC per ritardo su contratto, ai sensi dell'art. 80 comma 5, lett. f bis”, in relazione a precedente risoluzione di un contratto stipulato nel 2013 con il Ministero dell'interno, cui faceva seguito, da parte di ANAC, l'annotazione nel casellario informatico della notizia non interdittiva ai sensi dell'art. 8, d.P.R. n. 207 del 2010, con la precisazione che essa non comportava l'automatica esclusione dalla partecipazione alle gare pubbliche.
Attivato il soccorso istruttorio ai sensi dell'art. 83 comma 9 del d.lgs. n. 50 del 2016, l'operatore economico rispondeva allegando i chiarimenti già trasmessi in
occasione di una precedente procedura di evidenza pubblica indetta sempre da SMA s.p.a., altresì rappresentando la pendenza di
procedimento innanzi il Tribunale civile di Roma avente ad oggetto la contestazione della risoluzione contrattuale disposta dal Ministero e la contemporanea pendenza di vertenza innanzi al Tribunale amministrativo del Lazio contro l'annotazione “non interdittiva” disposta da ANAC.
All'esito dell'istruttoria, ST Protect s.p.a. veniva esclusa per violazione dei principi sanciti degli artt. 80 e 85 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Successivamente la stazione appaltante approvava la proposta di aggiudicazione della procedura di gara in favore di RAP Professional s.r.l.
Avverso la propria esclusione, così come l'aggiudicazione in favore della controinteressata RAP Professional s.r.l., ST Protect s.p.a. proponeva ricorso al Tribunale amministrativo della Campania,
deducendo i seguenti profili di doglianza:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e 85, d.lgs. 50/2016. Eccesso di potere illogicità ed irragionevolezza.
Le circostanze in oggetto erano ben note alla stazione appaltante, che ne era già stata messa a conoscenza nel corso di altra gara espletata pochi mesi prima della pregressa risoluzione
contrattuale, essendo stata lì dichiarata l'annotazione nel casellario informatico di ANAC: in tale circostanza l'amministrazione le aveva giudicate irrilevanti, di talché la contestata omissione avrebbe al più integrato un errore materiale di allegazione documentale rispetto ad un fatto noto, poiché comunque segnalato dalla ricorrente.
2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 80, comma 5, lettere c-ter) e f-bis), d.lgs. 50/2016. Violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 14 del disciplinare di gara. Eccesso di potere per violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.
La condotta di ST Protect s.p.a. non integrava una falsa dichiarazione, atteso che la precedente risoluzione contrattuale e la conseguente annotazione erano già note alla stazione appaltante e da essa in precedenza già considerate irrilevanti; non si sarebbe quindi in presenza di una falsa dichiarazione, ma al più di un'omissione dichiarativa. L'applicazione di una sanzione automaticamente espulsiva sarebbe stata pertanto sproporzionata e lesiva anche del legittimo
affidamento suscitato nella ricorrente circa il giudizio di irrilevanza già espresso dalla stazione appaltante nell'ambito di una diversa gara, giungendosi così a punire una sorta di “falso innocuo”.
3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 80, comma 5, lettera f-bis), d.lgs. 50/2016 e dell'art. 57 della direttiva 2014/24/UE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 76, d.P.R. 445/2000.
Violazione e falsa applicazione dell'art. 483 cp. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di diritto, irragionevolezza e sproporzione.
La norma interna deve comunque essere interpretata in conformità alla disciplina eurounitaria, in particolare l'art. 57, par. 4, lett. h) della direttiva 2014/24/UE, laddove prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possono disporre l'esclusione dalla partecipazione alle procedure d'appalto “se l'operatore economico si è reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni richieste […]”.
Ne consegue che la falsa o la mancata attestazione dei requisiti non rilevano in termini puramente
oggettivi, la sanzione dell'esclusione dovendo essere altresì riconnessa alla ricorrenza dell'elemento soggettivo, nella misura in cui la condotta, per dar luogo all'espulsione, deve essere stata posta in essere con colpa grave.
4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 83, d.lgs. 50/2016. Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità. Difetto di motivazione.
La stazione appaltante, sebbene si fosse riservata una valutazione “in concreto”, dopo aver inizialmente acquisito i chiarimenti richiesti, purtuttavia concludeva che il contegno tenuto “a monte” da ST Protect s.p.a. le precludesse qualsiasi indagine in merito all'effettiva rilevanza, a fini partecipativi, della precedente risoluzione contrattuale. Il che avrebbe dato vita ad un'esclusione illegittima e sproporzionata, per contraddittorietà con gli atti precedentemente adottati da SMA Campania sullo stesso oggetto.
Costituitasi in giudizio, la stazione appaltante contestava nel merito le doglianze proposte dalla ricorrente, previamente eccependone l'inammissibilità per mancata impugnativa del provvedimento di aggiudicazione all'impresa controinteressata.
Con sentenza 24 gennaio 2020, n. 348, il giudice adito dichiarava inammissibile il ricorso per mancata dimostrazione dell'interesse ad agire, relativamente all'omessa integrazione della cd. prova di resistenza, consistente nella deduzione che senza l'esclusione ritenuta illegittima, la ricorrente si sarebbe resa aggiudicataria della gara.
Avverso tale decisione ST Protect s.p.a. interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Error in iudicando per: violazione dell'art. 35, comma 1, lettera b) cpa. Contraddittorietà intrinseca.
2) Error in iudicando per: violazione dell'art. 35, comma 1, lettera b) cpa. Travisamento dei presupposti di fatto e contraddittorietà.
3) Error in iudicando per: violazione dell'art. 35, comma 1, lettera b) cpa. Travisamento dei presupposti di diritto. Violazione dell'art. 1 della direttiva 89/665/CEE come modificata dalla direttiva 2007/66/CE e dell'art. 1 cpa.
4) Error in iudicando per: violazione dell'art. 35, comma 1, lettera b) cpa. Violazione dell'art. 1 cpa. Violazione dell'art. 1 della direttiva 89/665/CEE come modificata dalla direttiva 2007/66/CE.
5) Error in iudicando per: violazione dell'art. 35, comma 1, lettera b) cpa. Violazione degli artt. 24, comma 1, 103, comma 1, 111, comma 2, 113, commi 1 e 2, e 117, comma 1 Cost. Violazione dell'art. 13 CEDU. Violazione dell'art. 39 cpa e dell'art. 100 cpc.
6) Error in iudicando per: violazione dell'art. 35, comma 1, lettera b) cpa. Violazione degli artt. 24, comma 1, e 113 Cost. Eccesso di potere giurisdizionale.
7) Error in iudicando per: violazione dell'art. 35, comma 1, lettera b) cpa. Violazione dell'art. 100 cpc e 39 cpa. Violazione degli artt. 24, comma 1, e 113 Cost. Eccesso di potere giurisdizionale.
8) Error in iudicando per: violazione dell'art. 35, comma 1, lettera b) cpa e 34 cpa. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
Riproponeva inoltre i motivi di ricorso non esaminati dal giudice di primo grado.
Le controparti, pur ritualmente evocate in giudizio, non si costituivano.
Con successive memorie a data 4 maggio 2020 e 6 ottobre 2020, la società appellante ulteriormente precisava le proprie difese ed all'udienza del 22 ottobre 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello si contesta la ritenuta inammissibilità del ricorso introduttivo di primo grado “per mancata dimostrazione dell'interesse ad agire, relativamente alla omessa integrazione della cd. prova di resistenza, consistente nella deduzione che, senza l'esclusione ritenuta illegittima, la ricorrente si sarebbe resa aggiudicataria della gara”.
La conclusione raggiunta dal primo giudice, secondo l'appellante, sarebbe contraddittoria poiché “se come affermato dal Giudice di prime cure, il travolgimento del provvedimento di esclusione è idoneo a ripercuotersi in via caducante sull'aggiudicazione, allora, non solo l'odierna appellante non era tenuta a superare qualsivoglia prova di resistenza, ma addirittura, non sarebbe stata neppure onerata dell'impugnazione dell'atto di attribuzione della commessa, posto che esso sarebbe in ogni caso venuto meno per effetto dell'illegittimità dell'esclusione ad esso presupposta”.
Per l'effetto, alla luce del capo della sentenza con cui il primo giudice ha respinto l'eccezione di improcedibilità sollevata da SMA Campania, lo stesso avrebbe dovuto anzitutto vagliare le censure sollevate da ST Protect avverso la propria esclusione e, ove ritenute fondate, travolgere tanto il provvedimento espulsivo quanto la successiva aggiudicazione, prescindendo dalla relativa prova di resistenza.
Il motivo non è fondato.
Per pacifico e consolidato principio di diritto (ex pluribus, Cons. Stato, VI, 15 giugno 2018, n. 3706; V, 14 aprile 2016, n. 1495), l'interesse a ricorrere – che deve persistere per tutto il corso del giudizio – è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che caratterizzano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 Cod. proc. civ., vale a dire la prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e l'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato.
In conseguenza di ciò, il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente.
Nel caso di specie, come evidenziato nella sentenza appellata, il criterio di aggiudicazione scelto dalla stazione appaltante era quello del minor prezzo ex art. 95, comma 4 d.lgs. n. 50 del 2016, relativamente al quale la posizione in graduatoria delle offerte non segue ad una valutazione di carattere tecnico-discrezionale, bensì ad un mero riscontro automatico del prezzo ivi indicato.
Quest'ultimo, proprio in ragione della sua oggettività vincolata e dell'assenza di qualsiasi profilo valutativo discrezionale, ben può essere effettuato anche dal giudice amministrativo, il quale, nel caso di specie, ben avrebbe potuto verificare l'effettivo assolvimento, in concreto, della prova di resistenza da parte della società
ricorrente, che aveva agito in giudizio sul presupposto di essere stata lesa nel proprio interesse all'aggiudicazione.
Invero, la prova di resistenza all'impugnazione di un provvedimento amministrativo, ossia l'interesse di un soggetto ad agire avverso quest'ultimo se reputato lesivo della sua sfera giuridica,
va verificata in relazione alla certezza dell'utilità giuridica che il ricorrente potrebbe ritrarne dall'annullamento (ex multis, Cons. Stato, V, 7 agosto 1996, n. 884).
A tal fine ST Protect s.p.a. avrebbe quindi dovuto indicare il ribasso offerto, al fine di verificare se lo stesso fosse realmente maggiore di quello indicato dall'aggiudicataria RAP Professional s.r.l. (pari al 22%) e così dar atto che, in caso di annullamento della propria esclusione, si sarebbe vista aggiudicare con certezza (in modo automatico) la gara.
Va dunque condivisa la considerazione del primo giudice, secondo cui “la previsione nella gara che interessa del criterio del massimo ribasso, di carattere automatico e di immediata evidenza, rende agevole la dimostrazione della prova di resistenza, e non comporta la necessità di comparazione in senso stretto tra le offerte, tale da configurarsi come attività riservata in via esclusiva all'amministrazione. In tal senso la dimostrazione dell'interesse concreto ed attuale all'annullamento degli atti di gara discenderebbe in via immediata dalla applicazione di un criterio matematico, proprio di scienze esatte con risultati non opinabili, senza che venga coinvolta alcuna attività valutativa di carattere discrezionale, ancorché tecnico”.
Alla luce di tali considerazioni va poi respinto anche il secondo motivo si appello, dovendo la parte indicare in modo preciso la percentuale di ribasso offerta, anziché limitarsi – in modo apodittico e non verificabile da parte del giudice – la presunta maggior convenienza della propria offerta rispetto a quella poi risultata aggiudicataria.
Per le medesime ragioni non può neppure accogliersi il terzo motivo di gravame, secondo il quale già solo l'astratta possibilità che un'ulteriore attività valutativa della
stazione appaltante si traduca in termini più favorevoli per il ricorrente ne radicherebbe l'interesse all'impugnativa.
Invero, parte appellante omette di considerare che l'interesse al gravame – come già ricordato in precedenza – non va valutato in astratto, bensì in concreto, alla luce delle peculiarità del caso in esame; né, al riguardo, è pertinente il richiamo della sentenza di questa Sezione n. 5834 del 23 agosto 2019, atteso che in quella circostanza la parte appellata aveva in realtà indicato, nel proprio ricorso, la specifica percentuale di ribasso offerta – indicazione invece assente nel caso su cui attualmente si verte – laddove oggetto della contestazione, nel caso di cui al richiamato precedente, era la ritenuta inattendibilità di tale (puntuale) indicazione (“[…] il patrocinio avverso afferma, nel corpo del gravame introduttivo, che «l'eventuale riammissione in gara dell'impresa concorrente, comporterebbe l'aggiudicazione in suo favore perché […] ha offerto un prezzo pari al ribasso del 34.480%». Tanto, per rito, abbisognava di una formale prova di resistenza tesa ad appurare testé in termini di verifica istruttoria, indispensabile al riguardo”, come veniva precisato nel relativo atto di appello).
Le stesse considerazioni portano a concludere per l'infondatezza del quarto e del quinto motivo di gravame, laddove si ribadisce, nella sostanza, che sarebbe comunque ipotizzabile, in capo all'appellante, un interesse giuridicamente tutelato ad ottenere già solo l'annullamento del provvedimento di esclusione, un interesse autonomo e disancorato dalla possibilità di conseguire immediatamente l'aggiudicazione o a seguito della riedizione della gara.
Le considerazioni svolte dall'appellante risultano del resto generiche quanto alla reale natura dello specifico interesse (o della pluralità di essi) che, in concreto, dovrebbe fondare l'interesse al ricorso, come non può non rilevarsi nel riferimento – a titolo d'esempio – ad un vago “interesse morale”, non meglio definito nel suo contenuto specifico, “a veder riconosciuta la correttezza del proprio operato”.
Né, sotto distinto profilo, è convincente il richiamo a possibili “conseguenze lesive” per l'operatore economico conseguenti alla (eventuale) segnalazione all'Anac ovvero alle misure sanzionatorie che quest'ultima potrebbe adottare nei suoi confronti, ovvero ancora alle possibili preclusioni alla partecipazione a future gare, tanto più a fronte di un'esclusione comminata da SMA Campania per “falsa dichiarazione”).
Al riguardo, il Collegio condivide quanto evidenziato dal primo giudice circa il presunto interesse ad evitare l'applicazione delle sanzioni Anac di cui all'art. 80, comma 12, d.lgs. n. 50 del 2016, laddove tale disposizione prevede che la sanzione inibitoria in danno dell'operatore che sia stato escluso per aver reso dichiarazioni mendaci non è automatica, bensì richiede il preventivo accertamento, da parte dell'Autorità, del dolo ovvero della colpa grave in capo allo
stesso, in ragione della rilevanza e della gravità della falsa dichiarazione.
Ne deriva che un'eventuale segnalazione all'Autorità da parte della stazione appaltante costituisce solamente un atto prodromico ed endoprocedimentale, privo in sé di lesività autonoma (questa essendo propria della sola annotazione da parte dell'ANAC: ex multis Cons. Stato, VI, 5 luglio 2010, n. 4243).
Queste considerazioni valgono inoltre ad escludere la fondatezza del sesto motivo di appello, parimenti volto a censurare la rilevata carenza di interesse all'autonoma impugnazione dell'esclusione dalla gara, in assenza della dimostrazione dell'effettiva possibilità di ottenere un risultato utile ai fini della successiva aggiudicazione della gara.
Al riguardo, va ricordato come oggetto del giudizio introduttivo non fosse sic et simpliciter – come sembrerebbe doversi desumere dai predetti motivi di appello – l'annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara – quest'ultima domanda essendo in realtà dichiaratamente strumentale all'aggiudicazione della procedura concorrenziale.
Tali erano infatti le conclusioni rassegnate nel precedente grado di giudizio: “[…] annullare i provvedimenti impugnati per le ragioni gradatamente indicate, con ogni conseguente statuizione di legge anche ai fini del subentro della ricorrente nell'appalto, di cui si fa espressa richiesta come indicato in atti;
in ogni caso previa declaratoria di illegittimità dell'aggiudicazione definitiva dell'appalto in favore di RAP Professional S.r.l. e previa caducatoria del contratto d'appalto eventualmente stipulato e con espressa domanda di subentro […]”.
Il petitum giudiziale non è affatto mutato, in grado di appello, per effetto di eventuali rinunce, in tutto o in parte, alle domande precedentemente poste, essendo state queste ultime integralmente ribadite nelle rassegnate conclusioni: “nel merito: - in via principale, annullare e/o riformare in tutto o in parte la medesima pronuncia per le ragioni di cui in esposizione, con conseguente accoglimento delle domande contenute nel ricorso di primo grado, da intendersi qui integralmente riprodotte, ivi incluse quelle di rinvio pregiudiziale alla Corte UE e di inefficacia del contratto e di subentro”.
Ne consegue l'inscindibilità, in ragione della strumentalità impressale dalla domanda giudiziale, dell'istanza demolitoria (relativa all'esclusione dalla gara) rispetto a quella di subentro nel contatto di appalto, conseguentemente dovendosi escludere, nel caso di specie, una qualche autonoma rilevanza. Deve dunque essere confermata la conclusione cui è giunto il primo giudice, di non riconoscere, alla luce delle particolarità del caso di specie, un'autonoma rilevanza processuale all'interesse, dichiarato da ST Protect s.p.a., di veder rimossa la propria esclusione, a prescindere dalla possibilità di conseguire l'aggiudicazione.
Con il settimo motivo di appello si deduce che il giudice di prime cure sarebbe incorso nel vizio di eccesso di potere giurisdizionale sotto un ulteriore profilo, desumibile a contrario dalla necessità della preventiva impugnazione del provvedimento di esclusione per potersi successivamente impugnare quello di
incameramento della cauzione provvisoria (intervenuto dopo lo spirare dei termini decadenziali), se non per vizi propri di quest'ultimo.
Da tale premessa, conclude l'appellante, “deriva che la pronuncia di primo grado che ha dichiarato inammissibile il ricorso anche nella parte in cui esso era diretto avverso l'esclusione avrebbe l'effetto di privare l'odierna appellante, nonostante questa abbia provveduto alla tempestiva impugnazione dell'atto espulsivo, della possibilità di contestare l'atto di escussione della garanzia provvisoria intervenuto il 20/2/2020 per i vizi afferenti all'atto presupposto, con palese violazione dell'art. 24 Cost., che si traduce anche in un vero e proprio diniego di giustizia”.
Neppure questo motivo può essere accolto.
L'inammissibilità del ricorso di primo grado discende, come già detto, dal fondamentale principio di carattere processuale in base al quale per potersi validamente proporre un ricorso è necessario avervi interesse (ossia, per il ricorrente, la possibilità di conseguire il bene della vita cui si aspira, come desumibile dal petitum e dalla causa petendi rappresentati nell'atto introduttivo del giudizio).
Nel caso di specie, come già detto in precedenza, non è stato riscontrato un tale interesse alla luce delle difese svolte dalla società ricorrente, che in ordine all'oggetto della domanda di subentro non ha compiutamente assolto il proprio onere probatorio. E' pertanto possibile che da tale originaria carenza possano discendere – in un secondo momento – delle ulteriori conseguenze di natura processuale, anche di carattere preclusivo alla possibilità di ulteriormente agire in giudizio per la tutela di posizioni processuali collegate.
Tale eventualità, del resto, necessariamente consegue allo svolgimento del processo amministrativo secondo un'ordinata articolazione per fasi, il cui rispetto è presidiato anche da puntuali preclusioni di carattere istruttorio e difensivo, la cui disciplina di ordine pubblico processuale è tesa ad assicurare la concentrazione ed
il sollecito svolgimento del processo, che rappresenta un obiettivo del sistema processuale imposto al giudice.
Esigenza, questa, che trova copertura costituzionale nella previsione dell'art. 111 Cost.
La natura pubblicistica della disciplina delle preclusioni comporta che la decadenza dall'attività processuale, conseguente al verificarsi della preclusione, deve essere rilevata d'ufficio dal giudice e non può essere rimessa all'accordo delle parti.
Le considerazioni in precedenza esposte comportano infine la reiezione anche dell'ottavo motivo di appello, nel quale si contesta il provvedimento di esclusione adottato da SMA Campania eccependo il contrasto tra la disciplina interna e quella europea, ove la prima vada interpretata nel senso di imporre l'estromissione automatica in via oggettiva, senza richiedere la prova (anche) del dolo, o quanto meno della colpa, del partecipante alla gara.
La soluzione della questione posta dall'appellante, si pone in un momento logicamente successivo al preliminare ostacolo di carattere processuale individuato dal giudice di primo grado, ragion per cui il cui mancato superamento di quest'ultimo preclude l'esame della prima.
Alla reiezione dei motivi di appello consegue l'impossibilità di esaminare i motivi di ricorso non esaminati dal primo giudice e riproposti con l'atto di gravame.
Conclusivamente, alla luce dei rilievi che precedono l'appello va respinto.
Nulla va disposto in ordine alle spese di lite, non essendosi costituite in giudizio le parti appellate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Con la sentenza in commento, la quinta sezione del Consiglio di Stato ribadisce l’estensione al processo amministrativo dei principi e delle regole che informano il processo civile, prima fra tutte quella declinata dall’art. 100 c.p.c. che individua nell’interesse ad agire una condizione dell’azione.
In particolare, il Collegio ascrive alla mancata integrazione, da parte del ricorrente, della c.d. prova di resistenza il significato di assenza dell’interesse a ricorrere, dichiarando, pertanto, il ricorso in appello inammissibile.
La questione esaminata, nello specifico, prende le mosse dall’avvenuta esclusione dell’operatore economico, già soccombente in primo grado, dalla «procedura aperta telematica ai sensi dell’art. 60 D.lgs. 50/2016 per l’affidamento della fornitura di dispositivi di protezione individuale per le attività di incendio boschivo, protezione civile e manutenzione di tecnologie – anno 2019», da aggiudicarsi sulla base del criterio del prezzo più basso, previsto dall’art. 95 d.lgs. cit.
Le doglianze proposte in primo grado erano volte a ottenere una pronuncia caducatoria del provvedimento di esclusione, per il conseguimento dell’interesse (meramente strumentale secondo la ricostruzione dei Giudici) alla riedizione nella gara.
Già il Tar, rigettando il ricorso, pronunciava sentenza di rito dichiarandolo inammissibile «per mancata dimostrazione dell'interesse ad agire, relativamente all'omessa integrazione della cd. prova di resistenza».
Riprendendo, difatti, le osservazioni dei Giudici di primo grado, il Collegio ribadisce la necessaria sussistenza in capo al ricorrente dell’interesse ad agire, collegato alla prospettazione di una lesione concreta e attuale della propria sfera giuridica e, per ciò, al conseguimento del bene della vita finale.
Attraverso la clausola di rinvio esterno che l’art. 39 c.p.a. opera alle disposizioni, per quanto compatibili, del codice di procedure civile, trova piena cittadinanza anche nel processo amministrativo la regola espressa dall’art. 100 c.p.c.
In tal senso, dunque, è onere dell’operatore economico che impugni il provvedimento di esclusione dimostrare la titolarità di un interesse personale, concreto e attuale, finalizzato a ottenere non solo l’annullamento del suddetto provvedimento, quanto piuttosto la possibilità di conseguire l’aggiudicazione della gara.
Ciò che, del resto, si contesta al ricorrente è la mancata integrazione della prova di resistenza all’impugnazione del provvedimento, espressione, se ottemperata, della titolarità della posizione differenziata. Un tale specifico interesse, inoltre, non può arrestarsi al mero annullamento del provvedimento, dovendo altresì coinvolgere il bene finale, quale è quello dell’aggiudicazione della gara, o meglio, della possibilità di conseguirla.
Chiariscono, sul punto, i Giudici che l’interesse al gravame deve essere valutato nella sua dimensione concreta, «alla luce delle peculiarità del caso in esame». Tuttavia, le considerazioni svolte dall’appellante, collegate alla richiesta di annullamento, sembrerebbero generiche proprio con riferimento alla «reale natura dello specifico interesse […] che, in concreto, dovrebbe fondare l’interesse al ricorso». Trattasi, in particolare, di un «interesse autonomo e disancorato dalla possibilità di conseguire immediatamente l’aggiudicazione o a seguito della riedizione della gara».
È proprio in ragione delle peculiarità del caso in esame, derivanti dal criterio di scelta individuato dalla stazione appaltante, che il Consiglio di Stato esclude che il ricorso possa dirsi effettivamente finalizzato al conseguimento del bene finale, quindi all’aggiudicazione.
Confermando le statuizioni dei Giudici di primo grado, il Collegio ribadisce come il ricorso al criterio del prezzo più basso, di cui all’art. 95, comma quarto, d.lgs. n. 50 del 2016, implichi un mero riscontro automatico del prezzo, non richiedendo, all’opposto, l’espletamento di alcuna valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante. Stante, dunque, la sua «oggettività vincolata» e vista inoltre l’assenza di qualsiasi attività valutativa, il riscontro automatico del prezzo indicato «ben può essere effettuato anche dal giudice amministrativo».
Per il carattere vincolato del vaglio delle offerte, i Giudici escludono che l’appellante possa conseguire l’utilità giuridica fondante l’interesse al conseguimento del bene della vita. È, difatti, l’applicazione del criterio matematico a rendere agevole, attenuandola, la prova di resistenza, dal cui esito emerge l’impossibilità per il ricorrente, in considerazione della sua offerta, di ottenere l’aggiudicazione.
In questo modo, quindi, il Collegio, pur non pronunciandosi nel merito della vicenda adottando una sentenza di rito in ragione dell’inammissibilità del ricorso in appello, stante il dettato dell’art. 35, comma primo, lett. b), c.p.a., indirettamente respinge le doglianze avanzate dalla parte soccombente.
Dai motivi di ricorso, difatti, emerge la paventata contraddittorietà della decisione di primo grado, confermata in ogni sua parte dal Consiglio di Stato, laddove i Giudici sembrerebbero non aver considerato idonea a fondare l’interesse a ricorrere la possibilità di una nuova partecipazione alla gara, a seguito dell’annullamento del provvedimento di esclusione.
È, però, proprio il carattere vincolato e oggettivo che connota la ponderazione delle offerte finalizzata a individuare il prezzo più basso a smentire le obiezioni mosse tanto col ricorso in primo grado quanto con l’appello. In questi termini, infatti, si spiega la centralità della prova resistenza quale dimostrazione della sussistenza delle condizioni dell’azione, ex art. 100 c.p.c.: anche qualora i Giudici decidessero per l’illegittimità dell’esclusione, la caducazione del provvedimento non garantirebbe la realizzazione dell’interesse finale, stante l’insufficienza dell’offerta avanzata dal ricorrente che condizionerebbe la sua mancata aggiudicazione della gara.