Cons. Stato, sez. V, 3 novembre 2020 n. 6786
Devono definirsi “costi indiretti della commessa” quelli relativi al personale di supporto all’esecuzione dell’appalto o a servizi esterni, da tener distinti dai “costi diretti” compresivi di tutti i dipendenti impiegati per l’esecuzione della specifica commessa.
L’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta – e la correlativa verifica della loro congruità imposta alla stazione appaltante – risponde all’esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l’offerta in gara maggiormente competitiva rispetto alle altre.
Tale essendo la ratio della citata prescrizione, è gioco forza riconoscere che l’esigenza di tutela è avvertita solo e proprio per quei dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente (nella vicenda de qua il dietista), ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti (il direttore del servizio), il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 433 del 2020, proposto da
All Food s.p.a. La Buona Ristorazione in proprio e quale capogruppo mandataria dell’associazione temporanea di imprese con Isola Coop.sociale e B+ Coop. sociale, quali mandanti, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Enrico Di Ienno, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale G. Mazzini, 33;
contro
Comune di Gubbio, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Alarico Mariani Marini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luisa Gobbi in Roma, via Ennio Quirino Visconti, 103;
Provincia di Perugia, in persona del Presidente della Provincia in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefania Pazzaglia, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia;
nei confronti
Vivenda s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Paolo Golini, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, 30;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria (Sezione Prima) n. 502 del 2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Gubbio, della Provincia di Perugia e di Vivenda s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2020 il Cons. Federico Di Matteo e preso atto della richiesta di passaggio in decisione, senza discussione, depositata dagli avvocati Enrico Di Ienno, Alarico Mariani Marini, Stefano Pazzaglia e Paolo Golini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con bando di gara del 3 ottobre 2018, rettificato il 10 ottobre 2018, la Provincia di Perugia in qualità di S.u.a. – stazione unica appaltante per il Comune di Gubbio – ente capofila in nome e per conto dei Comuni di Gualdo Tadino, Sigillo, Costacciaro, Scheggia e Pascelupo, Pietralunga, Montone, Valfabbrica – indiceva la procedura aperta per l’affidamento del servizio di ristorazione scolastica per l’area interna nord - est Umbria in favore delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie.
Nel servizio era compreso: a) la preparazione di pasti presso le cucine comunali messe a disposizione dalle amministrazioni comunali; b) la fornitura di pasti veicolati presso i plessi scolastici di cui all’art 6 del Capitolato speciale; c) il servizio di sporzionamento e sanificazione nei terminali ubicati nelle strutture del citato articolo del capitolato.
1.1. Espletate le operazioni di gara, Vivenda s.p.a. risultava prima graduata e, superata la verifica di anomalia, aggiudicataria del servizio con determinazione dirigenziale dell’11 giugno 2019, n. 913 per un importo contrattuale totale di € 4.025.077,79.
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, All food s.p.a., seconda graduata, domandava l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione in base a quattro motivi; precisamente la ricorrente lamentava:
a e b) di non aver potuto acquisire, nonostante formale accesso agli atti, l’integrale documentazione di gara relativa alla società aggiudicataria ed all’operato della stazione appaltante (e, per questo, la violazione dell’art. 24 l. n. 241 del 1990 e degli articoli 29, 53 e 76 d.lgs. n. 50 del 2016 in materi ai accesso ai documenti) e di non aver potuto verificare la correttezza del procedimento di verifica dell’anomalia espletato nei confronti dell’offerta aggiudicata (e, per questo, la violazione dell’art. 97 d.lgs. n. 50 del 2016)
c e d) l’illegittimità del criterio di valutazione tecnica n. 4 del disciplinare di gara relativo alla “fornitura di prodotti certificati” BIO, IGP, DOP e a Km 0, perché “estraneo a qualsivoglia aspetto qualitativo della prestazione”, come pure la genericità dei criteri di valutazione quantitativi, con conseguente attribuzione di un potere di valutazione eccessivamente discrezionale in capo alla commissione di gara (e, per questo, la violazione dell’art. 95 d.lgs. n. 50 del 2016 e dei principi relativi alle procedure di appalto da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, e comunque l’eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità);
con successivi motivi aggiunti, proposti a seguito della integrale conoscenza degli atti di gara, la ricorrente rilevava:
e) l’incongruità dell’offerta aggiudicataria per contrasto tra il numero dei lavoratori indicati nell’offerta tecnica e quello riportato nelle giustificazioni, anche in relazione alle figure del dietista e del direttore del servizio, i cui costi sarebbero stati esclusi senza ragione da quello generale di tutti i lavoratori, l’esiguità dell’utile previsto, di € 36.000,00 per la durata triennale dell’appalto, l’illegittima applicazione di tre diversi contratti di lavoro alle “medesime figure professionali sullo stesso appalto” ed, infine, l’assenza di qualsiasi riferimento alle spese relative alle utenze di luce e gas poste in capitolato a carico del gestore (e, così, la violazione dell’art. 97 d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 3 l. n. 241 del 1990 per difetto di motivazione e carenza di istruttoria, nonché l’eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e dei presupposti);
f) l’indeterminatezza dell’offerta dell’aggiudicataria per l’impossibilità di identificare il numero dei soggetti da impiegare nel servizio oggetto di gara anche in ragione del monte ore indicato nella tabella presente nei giustificativi (e così la violazione della lex specialis e degli articoli 95 e 97 d.lgs. n. 50 del 2016; violazione dei principi di par condicio e imparzialità).
2.1. Resistenti la Provincia di Perugia, il Comune di Gubbio e Vivenda s.p.a., il giudice di primo grado, con sentenza sez. I, 3 ottobre 2019, n. 502, respingeva il ricorso e i motivi aggiunti con spese a carico della ricorrente.
Il tribunale:
- dichiarava preliminarmente la cessazione della materia del contendere per l’impugnativa ex art. 116 cod. proc. amm. proposta nei confronti del diniego di accesso agli atti di gara, per aver la ricorrente ottenuto dalle amministrazioni la documentazione richiesta e potuto proporre motivi aggiunti;
- respingeva l’eccezione di inammissibilità per mancata notifica del ricorso a tutte le amministrazione beneficiarie del servizio da aggiudicare per il costante orientamento giurisprudenziale che, per il caso di gara d’appalto in forma aggregata, onera alla notifica solamente nei confronti della pubblica amministrazione che ha emesso gli atti impugnati e, quindi, nel caso di specie, la Provincia di Perugia e il Comune di Gubbio;
- riconosceva “valenza intrinsecamente qualitativa” alla richiesta “fornitura di prodotti certificati” in quanto connessa all’offerta di alimenti aventi determinate caratteristiche in termini di provenienza e qualità;
- stimava pienamente legittimi i criteri di valutazione delle offerte predisposti dalla stazione appaltante nel disciplinare di gara poiché pienamente trasparenti ed intellegibili, e ben definito il peso da attribuire a ciascuno di essi da parte dell’art. 18.1 del disciplinare di gara, con ampia possibilità per i concorrenti di calibrare la propria offerta tecnica senza che ne venisse un potere eccessivamente ampio alla commissione giudicatrice ovvero che se ne potesse affermare la macroscopica illogicità, irragionevolezza ed irrazionalità;
- riteneva, poi:
a) non significativa dell’incongruità dell’offerta l’esiguità dell’utile indicato per il costante orientamento giurisprudenziale per cui anche un utile apparentemente modesto può comportare vantaggi importanti per l’impresa in termini di qualificazione, pubblicità, curriculum;
b) condivisibile la mancata indicazione del costo delle figure del dietista e del direttore del servizio alla luce del chiarimento fornito dall’aggiudicatario per cui dette figure erano ricomprese nella propria struttura locale;
c) un mero errore di battitura l’incongruenza relativa al numero dei lavoratori e correttamente computati nell’ambito delle spese generali i costi relativi alle utenze di luce e gas;
d) consentito all’impresa applicare tre diversi contratti di lavoro alle medesime figure professionali sempreché l’adesione alle clausole del CCNL di riferimento risulti per relationem nel contratto individuale;
- valutava infondata la doglianza con cui si lamentava l’indeterminatezza del numero dei lavoratori in quanto dettagliatamente riportati nelle tabelle allegate all’offerta dell’aggiudicataria.
3. Propone appello All food s.p.a. La Buona Ristorazione nella qualità in epigrafe individuata; si sono costituiti il Comune di Gubbio e la Provincia di Perugia nonché Vivenda s.p.a..
Le parti hanno depositato memorie ex art. 73 cod. proc. amm., cui sono seguite rituali repliche.
All’udienza del 17 settembre 2020 la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
1. Il primo motivo di appello è diretto a censurare la sentenza di primo grado per “Errores in judicando …per inesatta applicazione dell’art. 97 del d.lgs. 50/2016 e dell’art. 3 della l. 241/90. Difetto assoluto di motivazione e carenza di istruttoria. Violazione dei principi di buon andamento, trasparenza e imparzialità. Eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e dei presupposti, perplessità, irragionevolezza, contraddittorietà, errato presupposto in fatto, travisamento. Violazione dell’art. 97 Cost”; il motivo è articolato in più doglianze da esaminare separatamente.
1.1. Con la prima di esse All food contesta al giudice di primo grado di aver ritenuto attendibile l’offerta nonostante Vivenda abbia ridotto il numero dei lavoratori impiegati per la prestazione del servizio tra l’offerta tecnica e le giustificazioni fornite in sede di anomalia; più esattamente, nella tabella di sviluppo dei costi della manodopera contenute nelle giustificazioni mancava il costo per il dietista e il direttore del servizio, nell’offerta impiegati per il servizio per 20 ore a settimana.
A parere dell’appellante, tale omissione non potrebbe essere giustificata dalla circostanza che dette figure professionali siano “ricompresi nella struttura locale”: a voler seguire tale ragionamento, fatto proprio dal giudice di primo grado, sarebbe consentito ad ogni concorrente aumentare a piacimento le figure professionali indicate nel progetto tecnico, ed ottenere per questa via un punteggio maggiore in sede di valutazione delle offerte, salvo poi ometterne il costo tra quelli per la manodopera, con la sola motivazione del loro impiego nell’esecuzione dei vari contratti in carico all’impresa.
La conclusione dell’appellante è che fosse doveroso l’inserimento di tali figure nell’ambito del costo della manodopera; l’alternativa sarebbe quella di ritenere l’offerta inattendibile per aver alterato, come detto, il numero dei lavoratori impiegati nell’esecuzione del servizio.
1.2. La prima critica rivolta alla sentenza è infondata.
1.2.1. E’ posta una questione ricorrente nella materia degli appalti pubblici, vale a dire le modalità di quantificazione del costo della manodopera per l’esecuzione del contratto di appalto la cui indicazione è prescritta in offerta dall’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016; più precisamente, si controverte sulla necessità di ricomprendere nel costo della manodopera anche la retribuzione di quei dipendenti o consulenti esterni che sono impiegati dall’operatore economico per diversi (o, tutti) gli appalti assunti e non per un singolo e specifico appalto.
Detti costi della manodopera sono efficacemente definiti “costi indiretti della commessa” poiché relativi al personale di supporto all’esecuzione dell’appalto o a servizi esterni, da tener distinti dai “costi diretti della commessa” compresivi di tutti i dipendenti impiegati per l’esecuzione della specifica commessa.
1.2.2. Nel caso di specie, infatti, l’ambiguità dell’offerta tecnica segnalata dall’appellante – in cui il Direttore del servizio era “dedicato n. 20 ore settimanali per il presente appalto e sempre reperibile telefonicamente” e per il dietista era riportata in tabella l’impiego per 20 ore – è stata spiegata da Vivenda nei propri scritti difensivi nel senso che l’impiego per venti ore non esclude il loro impiego per l’esecuzione di altri contratti di appalto con altre amministrazioni.
L’appellante ritiene tale spiegazione inidonea a giustificare il loro mancato inserimento tra le figure professionali da retribuire per l’esecuzione dell’appalto.
1.2.3. Ritiene il Collegio di dover confermare la ricostruzione accolta dal giudice di primo grado.
L’art. 95, comma 10, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 prescrive che: “Nell’offerta economica l’operatore economico deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e di sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lett. a)”.
Il dato letterale è neutro perché il significante è tale che il significato potrebbe essere sia quello ristretto, riferito ai soli dipendenti subordinati che prestano l’attività esecutiva per lo specifico appalto, sia quello più ampio che comprenda l’interno fattore – lavoro necessario all’esecuzione dell’appalto, e, dunque, in questa ottica anche i servizi di supporto e ai servizi esterni.
È preferibile, però, riferire il costo della manodopera di cui al citato art. 95, comma 10, ai soli costi diretti della commessa, esclusi, dunque, i costi per le figure professionali coinvolti nella commessa in ausilio e solo in maniera occasionale secondo esigenze non prevenibili (in termini Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2020, n. 6530; V, 21 ottobre 2019, n. 7135, che, in relazione alle figure professionali che prestano la propria opera a beneficio di più contratti di appalto riferiti alla stessa impresa, parla di attività “trasversale” e le enuncia in tutte quelle che hanno un ruolo direttivo o di coordinamento).
L’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta – e la correlativa verifica della loro congruità imposta alla stazione appaltante – risponde all’esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione (art. 36 Cost., cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 ottobre 2020, n. 6306; V, 22 giugno 2020, n. 3972; V, 10 febbraio 2020, n. 1008); serve ad evitare, infatti, manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l’offerta in gara maggiormente competitiva rispetto alle altre.
Tale essendo la ratio della citata prescrizione, è gioco forza riconoscere che l’esigenza di tutela è avvertita solo e proprio per quei dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente (nella vicenda de qua il dietista), ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti (il direttore del servizio), il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto.
1.2.4. In conclusione sul punto, escluso che Vivenda fosse tenuta ad inserire il costo del dietista e quello del direttore del servizio nell’ambito del costo complessivo della manodopera, viene da sé che non può neppure affermarsi che abbia modificato la sua offerta per non aver compreso nella tabella relativa al costo del lavoro fornita con le giustificazioni in sede di verifica di anomalia dette figure professionali, i cui servizi erano stati inseriti nell’offerta tecnica.
Ogni altra critica relativa alla rideterminazione del numero dei lavoratori impiegati – che si assume incerto per essere 100 nell’offerta tecnica e 98 nella tabella di sviluppo dei costi – vanno respinte poiché genericamente formulate a fronte delle spiegazioni fornite dal concorrente ed accolte dal giudice di primo grado (il riferimento è all’errore dovuto all’applicativo informatico nel generare il costo totale della manodopera).
1.3. Altra contestazione è rivolta alla sentenza di primo grado per aver ritenuto in facoltà dell’operatore economico applicare ai propri dipendenti contratti collettivi di lavoro diversi a parità di qualifica e mansione.
L’appellante ritiene che sia condotta del datore di lavoro suscettibile di generare forti contrasti tra i lavoratori e l’impresa, tali da mettere a rischio la buona riuscita del servizio e che, in ogni caso, si tratterebbe di una forma di “finanza creativa” perché, ove fosse applicato il CCNL Multiservizi e quello dei pubblici esercizi, ne deriverebbe un costo del lavoro significativamente più elevato.
1.4. Anche tale doglianza non convince.
1.4.1. Relativamente alla questione del CCNL applicabile ai lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto, le seguenti riflessioni sono consolidate in giurisprudenza:
- "l'applicazione di un determinato contratto collettivo non può essere imposta dalla lex specialis alle imprese concorrenti quale requisito di partecipazione né la mancata applicazione di questo può essere a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l'esclusione, sicché deve negarsi in radice che l'applicazione di un determinato contratto collettivo anziché di un altro possa determinare, in sé, l'inammissibilità dell'offerta" (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 2 marzo 2017, n. 975; 9 dicembre 2015, n. 5597);
- non rientra nella discrezionalità dell'amministrazione appaltante quella di imporre o di esigere un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro, tanto più qualora una o più tipologie di contratti collettivi possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto del servizio da affidare (Consiglio di Stato sez. V, 23 luglio 2018, n.4443; Consiglio di Stato, Sez. V, 5 ottobre 2016, n. 4109);
- resta fermo che la libertà imprenditoriale non è assoluta, ma incontra il limite logico, ancor prima che giuridico in senso stretto, della necessaria coerenza tra il contratto che in concreto si intende applicare (e in riferimento al quale si formula l'offerta di gara) e l'oggetto dell'appalto; la scelta del contratto collettivo di lavoro applicabile al personale dipendente, che diverge insanabilmente, per coerenza e adeguatezza, da quanto richiesto dalla stazione appaltante in relazione ai profili professionali ritenuti necessari, è idonea di per sé a determinare una ipotesi di anomalia, riflettendosi sulla possibilità di formulare adeguate offerte sotto il profilo economico incoerenti o incompatibili essendo i profili professionali di riferimento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20 ottobre 2020, n. 6336).
1.4.2. Nel caso di specie, l'appellante non ha dimostrato che, per il contenuto delle prestazioni oggetto di affidamento e per i livelli professionali richiesti agli operatori, vi fosse un unico (o solamente due ) CCNL applicabile – tanto più che essa stessa, quale gestore uscente del servizio aveva applicato ai lavoratori tre diversi contratti collettivi – ma ha sostenuto che l’applicazione di diversi contratti collettivi ai lavoratori con le stesse mansioni e qualifiche sarebbe indizio di un’offerta inattendibile per le conseguenze che ne potrebbero venire in punto di contrasto tra i lavori e dunque sull’esecuzione del servizio.
Esula, però, dall’accertamento spettante al giudice amministrativo valutare se il diverso trattamento dei lavoratori, che l’appellante assume svolgere le medesime mansioni ed avere la stessa qualifica, siano consentite dalla normativa lavoristica o comportino invece una responsabilità a carico del datore di lavoro; si è infatti affermato, in relazione all’attuazione della clausola sociale, ma con argomenti di portata generale, che avendo la cognizione del giudice amministrativo ad oggetto esclusivamente la fase di scelta del contraente, essa si arresta necessariamente all’accertamento della legittimità dell’affidamento alla luce degli impegni assunti dall’operatore economico nei confronti dei lavoratori nella sua offerta; in che modo, poi, detti impegni siano attuati (id est. come siano state rispettate le clausole del bando) attiene, infatti, alla fase di esecuzione del contratto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2019, n. 6148 richiamata da Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2020, n. 6615; e in precedenza Cons. Stato, sez. III, 29 gennaio 2019, n. 726; V, 15 dicembre 2016, n. 5311).
1.5. E’, infine, contestato al giudice di primo grado di aver ritenuto comprese nell’ambito delle spese generali anche i costi afferenti alle utenze di luce e gas, sebbene dalla lettura della documentazione fornita dall’aggiudicataria non v’è traccia delle stesse.
1.6. La censura va respinta.
1.6.1. Le “spese generali” costituiscono una voce di costo che comprende i costi di tutte le risorse - escluse quelle riconducibili alla manodopera e ad altre voci separatamente indicate – che l’operatore economico dichiara di impiegare per l’esecuzione della commessa; non è richiesto – salvo diversa indicazione del bando o della stazione appaltante in sede di verifica dell’anomalia – che esse siano dettagliatamente esposte.
Vivenda le ha quantificate nella tabella presente a pag. 1 delle prime giustificazioni (in € 44.950,313) e poi meglio specificate, ma in via meramente esemplificativa, nel primo paragrafo di pag. 8.
La circostanza che tra quelle indicate in via esemplificativa non siano state espressamente richiamate le spese per le utenze di luce e gas non può per ciò solo indurre a ritenere che esse non siano state considerate dall’impresa e non è indice di incongruità dell’offerta a meno che non sia provata la incapienza della somma indicata per le suddette “spese generali”.
Da questo punto di vista va detto che la quantificazione del costo per le utenze effettuato dall’appellante non ha riscontro in dati oggettivi, neppure richiamati.
1.7. Non è, poi, data prova alcuna che – contrariamente a quanto affermato dall’aggiudicataria – nel costo complessivo dell’offerta non siano stati compresi i pasti gratuiti che Vivenda ha messo a disposizione per le donazioni e per gli insegnanti.
2. Con il secondo motivo la sentenza di primo grado è censurata per “Error in judicando…per inesatta applicazione degli artt. 95 e 97 del d.lgs. 50/2016. Difetto assoluto di motivazione e carenza di istruttoria. Errata applicazione dei principi della par condicio e dell’imparzialità. Violazione dei principi in merito alla certezza, linearità, chiarezza e conformità della proposta con le prescrizioni e i requisiti di gara. Eccesso di potere per sviamento, errato presupposto di fatto, travisamento, contraddittorietà, illogicità. Violazione art. 97 Cost.”: l’appellante si duole che il giudice di primo grado non abbia accolto la censura diretta a far valere l’indeterminatezza dell’offerta tecnica di Vivenda, nonostante l’incertezza relativa al numero di lavoratori impiegati che, come già esposto nel primo motivo di appello, risultavano essere 100 nell’offerta tecnica e 98 nelle giustificazioni e, specialmente, visto il numero di settimane in cui gli stessi erano impiegati per l’esecuzione del servizio, che variavano dalle 98 settimane per tutto il triennio per alcuni alle 68,8 per altre.
2.1. Il motivo è infondato.
Sulla modifica del numero dei lavoratori impiegati nell’esecuzione della commessa si è già detto.
Vivenda ha fornito spiegazione delle modalità con le quali sono state calcolate le ore lavorative; le contestazioni dell’appellante nella memoria non danno prova del carattere indeterminato dell’offerta.
Per quanto sia vero che il disciplinare di gara prevede, in relazione ad ogni anno scolastico del triennio, l’avvio del servizio dall’ “inizio dell’anno scolastico al termine delle lezioni, secondo il calendario regionale” è pur vero che è precisato che “Ciascuna istituzione scolastica, in virtù della propria autonomia, può, tuttavia, introdurre alcune differenze nel suddetto calendario. I calendari, con le date di apertura e chiusura delle scuole e il giorno di avvio del servizio mensa saranno comunicati al gestore dal Comune prima dell’inizio dell’anno scolastico” (art. 4, punto 2, “calendario”); ne segue, pertanto, che elemento decisivo per definire l’esatto ammontare dell’offerta è costituito dal numero dei pasti garantiti sul quale, invero, non v’è contestazione.
D’altronde, non potrebbe l’offerta di Vivenda essere considerata indeterminata per il solo fatto che le unità lavorative siano impiegate per un numero differente di ore, rientrando tale aspetto – come quello dell’impiego degli autisti sui quali pure insiste l’appellante – nell’organizzazione dell’impresa.
3. Gli ultimi due motivi di appello possono essere congiuntamente esaminati; in entrambi sono reiterate le critiche già svolte con i motivi del ricorso di primo grado al disciplinare di gara come elaborato dalla Provincia di Perugia in qualità di stazione appaltante.
Segnatamente, con il terzo motivo di appello, è nuovamente affermata l’illegittimità del criterio di valutazione tecnica n. 4 del disciplinare di gara, relativo alla “fornitura di prodotti certificati”, per la valutazione solo quantitativa dell’offerta derivante dalla sua applicazione.
Con il quarto motivo, invece, è ribadita la genericità dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica, come tali inidonei ad indirizzare, dapprima i concorrenti circa le regola disciplinanti il confronto concorrenziale, e, successivamente, la valutazione della commissione giudicatrice.
3.1. Entrambi i motivi sono infondati.
3.1.1. Quanto al primo motivo, la “fornitura di prodotti certificati” è criterio qualitativo poiché riferito alle caratteristiche dei beni offerti (secondo l’indicazione dell’art. 95, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016); la circostanza, poi, che in dipendenza delle diverse caratteristiche dei prodotti impiegati – se BIO, IGP, DOP e Km 0 – siano stati previsti diversi punteggi, è conseguenziale alla necessità di tradurre in punteggio la valutazione effettuata.
3.1.2. Quanto ai criteri di valutazione dell’offerta, vale quanto già affermato dal giudice di primo grado: gli stessi risultano sufficientemente dettagliati mediante l’enumerazione dei sotto – criteri e la specificazione degli elementi dell’impresa oggetto di valutazione; non si ravvisa, tra gli elementi richiamati, l’eterogeneità contestata dall’appellante ed è del tutto indimostrata l’asserita impossibilità di presentazione di un’offerta tecnica consapevole.
4. In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado integralmente confermata.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna All food s.p.a. La Buona ristorazione al pagamento delle spese del presente grado del giudizio che liquida in € 2.000,00, oltre accessori e spese di legge, per ciascuna delle parti costituite, il Comune di Gubbio, la Provincia di Perugia e Vivenda s.p.a.,
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2020.
GUIDA ALLA LETTURA
Con la pronuncia in commento, la V Sezione del Consiglio di Stato di sofferma sulla questione relativa alla necessità, o meno, di indicare in offerta i costi indiretti delle commesse.
Per tali, tra gli altri devono essere intesi tutti quei costi ricompresi nel costo della manodopera attinenti la retribuzione di quei dipendenti o consulenti esterni che sono impiegati dall’operatore economico per diversi (o, tutti) gli appalti assunti e non per un singolo e specifico appalto, da tener distinti dai “costi diretti” compresivi di tutti i dipendenti impiegati per l’esecuzione della specifica commessa.
Nel risolvere la controversia, il Collegio ha posto l’accento sull’art. 95, comma 10, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il quale prescrive che: “Nell’offerta economica l’operatore economico deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e di sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lett. a)”.
L’estensore della pronuncia in commento ha quindi rilevato come il dato letterale del citato articolo appaia di contenuto neutro, perché potrebbe essere interpretato sia in modo ristretto (riferendosi ai soli dipendenti subordinati che prestano l’attività esecutiva per lo specifico appalto), sia in modo più ampio (il che comprende l’intero fattore – lavoro necessario all’esecuzione dell’appalto).
Tuttavia, sarebbe preferibile riferire il costo della manodopera di cui al citato articolo, ai soli costi diretti della commessa, escludendo, dunque, i costi per le figure professionali coinvolte nella commessa in ausilio e solo in maniera occasionale secondo esigenze non prevenibili, trattandosi di attività per loro natura “trasversali” (Cfr. Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2020, n. 6530; V, 21 ottobre 2019, n. 7135).
L’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta – e la correlativa verifica della loro congruità imposta alla stazione appaltante – risponde all’esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione (art. 36 Cost., cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 ottobre 2020, n. 6306; V, 22 giugno 2020, n. 3972; V, 10 febbraio 2020, n. 1008); serve ad evitare, infatti, manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l’offerta in gara maggiormente competitiva rispetto alle altre.
Tale essendo la ratio della citata prescrizione, è gioco forza riconoscere che l’esigenza di tutela è avvertita solo e proprio per quei dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente (nella vicenda de qua il dietista), ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti (il direttore del servizio), il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto.