Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967
Nel catalogo degli illeciti professionali possono quindi rientrare non solo gli addebiti che hanno comportato l’applicazione di penali, ovvero quelli che abbiano dato origine ad una conclusione transattiva del contenzioso avviato dalle parti (Cons. Stato, sez.III, sentenza n. 3628 del 13 giugno 2018), ma, come in astratto riconosciuto da questo Consiglio proprio nei confronti dell’odierna appellante (Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 2553 del 19 aprile 2019) anche l’avere reso una falsa dichiarazione in una precedente gara, indipendentemente dal fatto che vi sia stata annotazione da parte dell’ANAC
La vicenda in esame origina dall’esclusione di un operatore economico dalla procedura di gara per l’affidamento di un servizio in materia ambientale da effettuarsi nel territorio di Napoli.
In specie, parte ricorrente aveva reso una dichiarazione nella quale faceva dettagliata menzione di altre gare, di cui s’era resa aggiudicataria, ma che erano sfociate in contenziosi giudiziari per applicazioni di penali, o risoluzioni anticipate del contratto.
La Stazione appaltante escludeva la ricorrente in forza dell’art. 80, comma 5, lettera c) del D.Lgs. n. 50/2016, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 56/2017, per aver reso false informazioni in una delle precedenti procedure, e in quanto destinataria dell’applicazione di penali in altre.
Nel suddetto ricorso, la società rilevava l’illegittimità dell’esclusione da parte della Stazione appaltante per due ordini di ragioni:
- l’attribuzione di rilievo all’avvenuta dichiarazione di informazioni false o fuorvianti in altra procedura;
- l’applicazione delle penali, ciascuna di lieve entità, non era definitivamente accertata.
Il TAR Campania, nel corso del processo, disponeva la sospensione del giudizio, in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia su una vicenda analoga, riguardante l’interpretazione del comma 5, lett. c), dell’art. 80 del D.Lgs. 50/2016.
I Giudici del Lussemburgo, con sentenza del 19 giugno 2019, dichiaravano la non compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che non consenta alla Stazione appaltante di valutare le risoluzioni contrattuali sub judice pronunciate nei confronti di un operatore economico.
All’esito della decisione di primo grado, il TAR respingeva il ricorso.
Parte soccombente impugnava la sentenza innanzi al Consiglio di Stato deducendo l’irrilevanza dell’applicazione delle penali, che non costituiscono ex se un grave illecito professionale, tanto da non essere neppure state iscritte nel Casellario informatico dell’ANAC.
La IV Sezione del Consiglio di Stato, nella pronuncia in oggetto, definisce il confine tra sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo e discrezionalità della pubblica amministrazione.
In ossequio, infatti, al principio di separazione dei poteri, di cui è corollario la riserva di amministrazione, ex art. 97 Cost., il giudice non può interferire sul giudizio relativo all’affidabilità dell’operatore economico, poiché, altrimenti, si determinerebbe un’ingerenza in una sfera di competenza della pubblica amministrazione.
In tale caso, pertanto, il sindacato sulle motivazioni addotte dall’ente pubblico deve limitarsi a verificare la “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto, operata dal soggetto pubblico.[1]
I giudici di Palazzo Spada hanno, inoltre, precisato la natura esemplificativa, e non esaustiva, dell’elenco dei gravi illeciti professionali contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50 del 2016.
In particolare, da un’esegesi della norma in oggetto, è possibile individuare, inequivocabilmente, la sottostante ratio del legislatore, rinvenibile in una mera elencazione casistica, non tassativa, delle ipotesi di illecito professionale.
Tale considerazione discende dal dato letterale della norma, dalla possibilità data alla stazione appaltante di fornire la dimostrazione della commissione dei gravi illeciti professionali “con mezzi adeguati”, oltre che dall’incipit del secondo inciso, in base al quale: “Tra questi (gravi illeciti professionali) rientrano […]”.
Nel primo caso, si evince la possibilità di ampliare il novero dei gravi illeciti professionali, laddove vengano dimostrati con mezzi adeguati; nel secondo caso, proprio l’utilizzo della locuzione “Tra questi rientrano”, è indice del fatto che possano essere individuati altri gravi illeciti professionali.
La Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 19 giugno 2019, in causa C-41/18, richiamata dal Consiglio di Stato, sostiene che “[...] dal testo dell'articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 risulta che il legislatore dell'Unione ha inteso affidare all'amministrazione aggiudicatrice, e a essa soltanto, nella fase della selezione degli offerenti, il compito di valutare se un candidato o un offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto”[2].
D’altro canto il TAR, nella sentenza di primo grado, ha ricordato che l’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016 “[…] Anche prima della novella legislativa […] aveva una portata molto più ampia rispetto a quella contenuta nell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 in quanto, da un lato, non operava alcuna distinzione tra precedenti rapporti contrattuali con la medesima o con diversa stazione appaltante, dall'altro non faceva riferimento solo alla negligenza o all'errore professionale, ma più in generale all'illecito professionale, che abbraccia molteplici fattispecie, anche diverse dall'errore o negligenza, e include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, ma anche in fase di gara”.
Il Consiglio di Stato, confermando quanto sostenuto dal giudice di prime cure, giunge alla conclusione per cui nel catalogo degli illeciti professionali possono, quindi, rientrare non solo gli addebiti che hanno comportato l’applicazione di penali, ovvero quelli che abbiano dato origine ad una conclusione transattiva del contenzioso avviato dalle parti, ma, anche l’avere reso una falsa dichiarazione in una precedente gara, indipendentemente dal fatto che vi sia stata annotazione da parte dell’ANAC.
Vi è da specificare che, recentemente, il legislatore è intervenuto, dapprima con il Decreto Semplificazioni n. 135/2018, che ha “spacchettato” la lettera c) in c bis) e c ter), e poi con il Decreto Sblocca-Cantieri, (D.L. 32/2019 convertito dalla L. 55/2019), che ha introdotto la lettera c quater).
Così facendo, in sostanza, il legislatore ha riconosciuto la discrezionalità della pubblica amministrazione nella valutazione dei “gravi illeciti professionali”.
Nel caso di specie, pertanto, il Consiglio di Stato rigetta il ricorso, precisando che ai sensi dell’art. 80, comma 5, D. Lgs. n. 50 del 2016, nella categoria dei gravi illeciti professionali, che legittimano la mancata aggiudicazione dell’appalto, rientrano gli addebiti che hanno comportato il pagamento di penali e l’aver reso false dichiarazioni in precedenti gare, prescindendo da eventuali annotazioni da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.
[1] Cfr., Cass. civ., Sez. Un., 17 febbraio 2012, n. 2312.
[2] La Corte di Giustizia precisa che la mera contestazione, da parte dell’impresa, della risoluzione di un precedente contratto pubblico dinanzi a un giudice civile, non può privare la Stazione Appaltante del potere di valutare l’affidabilità del concorrente.
LEGGI LA SENTENZA
Pubblicato il 08/10/2020
N. 05967/2020REG.PROV.COLL.
N. 03980/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 3980 del 2020, proposto dalla S.r.l. Tekra, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Giannì e Gennaro Terracciano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
contro
La S.p.a. Asia Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alfonso Erra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
nei confronti
La S.r.l. Lrs Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitasi in giudizio.
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede di Napoli, n. 787 del 2020, resa tra le parti, in materia concernente l’affidamento di un appalto pubblico di fornitura.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società Asia Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020 – tenutasi in videoconferenza da remoto - il consigliere Silvia Martino;
Uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Giannì, Gennaro Terracciano e Alfonso Erra che partecipano alla discussione orale ai sensi dell'art. 4 del d.l. n. 28 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Campania, l’odierna appellante impugnava i provvedimenti con i quali ASIA Napoli S.p.a. l’aveva esclusa dalla procedura per l'affidamento del "servizio di raccolta e trasporto ad impianto di rifiuti differenziati di cartone da raccolta selettiva"(Gara 408/ACU/2018).
Si trattava di una procedura aperta il cui bando era stato pubblicato sulla G.U.U.E. il 2 ottobre 2018, suddivisa in n. 4 lotti, per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto agli impianti degli imballaggi cellulosici assimilabili al cartone prodotti nel territorio di Napoli, dal valore complessivo pari a € 12.924.000,00 per 24 mesi di servizio.
La ricorrente aveva partecipato alla gara per il lotto n. 2 il cui valore era pari a € 3.762.000,00, rendendo una dichiarazione, allegata al DGUE, nella quale faceva dettagliata menzione di altre procedure di cui s’era resa aggiudicataria, ma che erano sfociate in contenziosi giudiziari per applicazioni di penali, o risoluzioni anticipate del contratto.
2. Dopo aver richiesto informazioni alle varie amministrazioni, l’ASIA Napoli, all’esito dell’istruttoria, decideva di non aggiudicare la gara per il lotto n. 2 alla Tekra (d’ora in poi “T.”), in forza dell’art. 80, comma 5, lettera c) del d.lgs. n. 50/2016, nel testo modificato dal d.lgs. n. 56/2017, in quanto la società era responsabile di aver reso false informazioni in una delle precedenti procedure (quella indetta dal Comune di Casola), e comunque in quanto destinataria dell’applicazione di penali da parte di molti altri Comuni, per i quali si era a suo tempo aggiudicata gare per lo svolgimento di servizi di igiene urbana ed ambientale.
In conseguenza di detta esclusione, la gara andava deserta.
3. Avverso il provvedimento di esclusione, T. deduceva le seguenti censure.
I. Illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 80, co. 5, lett. c), Cod. Appalti perché applicato dalla Stazione appaltante attribuendo rilievo escludente all’annullamento dell’aggiudicazione - disposto da un altro Ente e in una precedente gara - nella procedura in corso ove è stato ricondotto al “grave illecito professionale” costituito dal “fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione”; Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 80, co. 5, lett. c), nei termini sopra riferiti, e dell’art. 80, co. 10 Cod. Appalti che comunque fissa un termine di rilevanza giuridica degli illeciti professionali - Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 57. par. 4 e par. 7 della Direttiva 2014/24/UE in relazione al periodo massimo di esclusione degli operatori economici dalle gare d’appalto; Violazione del principio di legalità sostanziale e violazione del principio di irretroattività delle norme giuridiche sfavorevoli in difetto di norme specifiche di diritto transitorio, in relazione agli artt. 3, 23, 41, 97, 113, Cost., all’art. 1, L. 241/1990 e all’art. 80, co. 5, lett. c), Cod. Appalti – Eccesso di potere per carenza e/o erroneità dei presupposti in fatto e per violazione delle norme modali – Violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, favor partecipationis e proporzionalità;
L’esegesi che l’amministrazione aveva fatto della norma a sostegno del provvedimento impugnato sarebbe stata errata, perché le informazioni false o fuorvianti, per costituire una causa di esclusione, devono essere informazioni rese alla stessa stazione appaltante che ha bandito la gara in corso e non quelle fornite ad altre amministrazioni in precedenti e diverse procedure di affidamento che hanno portato all’esclusione.
Se così non fosse, e si attribuisse all’art. 80, co. 5, lett. c) una portata così ampia da rendere irrilevante il profilo temporale del mendacio - che sarebbe sempre rilevante, sia se reso nella presente procedura, sia se reso in una precedente gara - l’aver fornito in passato, anche a notevole distanza di tempo, un’informazione falsa o fuorviante ad una diversa stazione appaltante, finirebbe per assumere i caratteri di un illecito professionale permanente, valorizzabile sine die dalle amministrazioni e parimenti strumentalizzabile dagli altri concorrenti in gara senza alcuna limitazione.
La ricorrente richiamava quella giurisprudenza del Consiglio di Stato (ad esempio Sez. V, sentenza n. 597/2019) secondo cui “la preclusione alla partecipazione alle gare per effetto della produzione di false dichiarazioni o falsa documentazione resti confinata alle due ipotesi tipiche: a) dell’esclusione dalla medesima gara nel cui ambito tale produzione è avvenuta; b) dell’esclusione da ulteriore e successive gare (ma soltanto nel caso in cui sia intervenuta l’iscrizione dell’impresa nel casellario informatico nelle ipotesi e con i limiti di cui al comma 5, lett. f-ter) e di cui al comma 12 dell’articolo 80)”.
Nel caso di specie, tuttavia, la ricorrente non aveva reso ad ASIA Napoli nessuna informazione non veritiera e, rispetto all’episodio del 2013, il Comune di Casola - che aveva disposto l’annullamento dell’aggiudicazione - non aveva ritenuto di inviare all’ANAC la richiesta di annotazione nel casellario informatico.
L’art. 80, comma 5 lett. c) andava letto, pertanto, in combinato disposto con il successivo comma 10 che, secondo il testo applicabile ratione temporis, prevede che “Se la sentenza di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero non sia intervenuta riabilitazione, tale durata è pari a cinque anni, salvo che la pena principale sia di durata inferiore, e in tale caso è pari alla durata della pena principale e a tre anni, decorrenti dalla data del suo accertamento definitivo, nei casi di cui ai commi 4 e 5 ove non sia intervenuta sentenza di condanna”.
Sul punto le Linee Guida ANAC n. 6, al paragrafo V, rubricato “Rilevanza Temporale”, hanno precisato che “La durata dell’interdizione alla partecipazione alle procedure di affidamento conseguente all’accertamento delle fattispecie di cui al comma 5, lett. c) dell’art. 80 del codice è stabilita ai sensi del comma 10 del predetto articolo. Essa è pari a cinque anni, se la sentenza penale di condanna non fissa la durata della pena accessoria; è pari alla durata della pena principale se questa è di durata inferiore a cinque anni. La durata dell’interdizione è pari a tre anni, decorrenti dalla data dell’accertamento del fatto individuata ai sensi delle presenti linee guida, ove non sia intervenuta una sentenza penale di condanna. Il periodo rilevante deve essere conteggiato a ritroso a partire dalla data di pubblicazione dell’avviso o del bando di gara”.
Nel caso di specie, sarebbero state presenti tutte le condizioni per ritenere che la rilevanza temporale della vicenda di Casola fosse cessata.
Infatti:
1) non era stata emanata alcuna sentenza penale di condanna;
2) l’accertamento del fatto era stato oggetto, in via definitiva, della sentenza del Consiglio di Stato n. 2775 pubblicata il 28 maggio 2014;
3) il bando di gara era stato pubblicato sulla G.U.U.E. il 2.10.2018;
4) conteggiando il periodo rilevante a ritroso, come proposto dall’ANAC, si ricava che dalla data di pubblicazione del bando sulla G.U.U.E. e fino alla data dell’accertamento definitivo ad opera del Consiglio di Stato, era decorso più di un triennio, sicché l’episodio di Casola di Napoli non avrebbe potuto, anche sotto tale profilo, essere posto dall’amministrazione a fondamento del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla gara.
II. Illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 80, co. 5, lett. c), Cod. Appalti perché applicato dalla Stazione appaltante attribuendo rilievo escludente alle penali che comporrebbero una cornice più ampia che risulta costellata da una serie di inadempienze, tutte poste in essere nell’esecuzione di appalti di servizi per l’igiene urbana (analoghi a quelli oggetto della presente gara) che hanno comportato l’applicazione di penali da parte di ben sei diverse amministrazioni committenti…l’insieme degli episodi descritti è sintomatico di una condotta recidiva…tale da non consentire ad ASIA Napoli di poter confidare sull’affidabilità…”; Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 80, co. 5, lett. c), nei termini sopra riferiti, e dell’art. 80, co. 10 Cod.Appalti che comunque fissa il principio della rilevanza giuridica degli illeciti professionali condizionandolo alla definitività dell’accertamento; Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 57. par. 4 e par. 7 della Direttiva 2014/24/UE in relazione ai principi in esso contenuti della definitività e della significativa gravità dell’inadempimento; Violazione del principio di legalità sostanziale e violazione del principio di irretroattività delle norme giuridiche sfavorevoli, in difetto di norme specifiche di diritto transitorio, in relazione agli artt. 3, 23, 24, 41, 97, 113, Cost., all’art. 1, L. 241/1990, all’art. 80, co. 5, lett. c), Cod.Appalti e agli artt. 1322, 2697, 2946 c.c. – Eccesso di potere per carenza e/o erroneità dei presupposti in fatto, per violazione delle norme modali e per difetto di istruttoria e conseguente motivazione apparente – Violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, favor partecipationis e proporzionalità.
Ad ogni buon conto l’amministrazione, senza alcuna reale valutazione dei fatti sottostanti e senza accertarne e dimostrarne la significatività e la gravità, aveva tradotto le penali in una “serie di inadempienze” che avrebbero “costellato” l’esperienza professionale di T..
In particolare, era stato rimproverato all’impresa di non aver fornito sufficienti chiarimenti, essendosi quest’ultima limitata ad asserire, in modo generico e senza fornire alcun riscontro documentale delle iniziative intraprese, che “le penali in questione sono state contestate e per alcune di esse (v. Comune di Acerra) è già pendente (innanzi al Tribunale di Napoli) giudizio per l’accertamento dell’infondatezza delle contestate penali e, comunque, fermo restando la volontà di essa TEKRA Srl di procedere nei tempi e nei modi consentiti dalla Legge a procedere ad instaurare giudizi finalizzati al riconoscimento formale e definitivo dell’infondatezza delle penali comminate”.
La decisione non era fondata su una adeguata istruttoria e la discrezionalità sulla valutazione di inaffidabilità sarebbe stata esercitata in maniera irragionevole.
In particolare ASIA aveva “sommato” l’episodio di Casola - che afferiva alla fase pubblicistica della gara - con l’applicazione delle penali, che riguardano la diversa fase di esecuzione del contratto; dopo di che, a seguito dell’indebita sovrapposizione, aveva formulato un giudizio di “condotta recidiva” richiamando l’applicazione dell’art. 80, coma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016, applicabile ratione temporis.
La corretta esegesi di tale disposizione, avrebbe tuttavia dovuto tenere conto del fatto che:
1) l’applicazione di una penale è cosa diversa rispetto al provvedimento definitivo di risoluzione per grave inadempimento;
2) la sola applicazione di una clausola penale non è di per sé sintomo di grave illecito professionale;
3) se un’impresa ha tanti contratti con la p.a. e se questi contratti sono ancora in corso, gli inadempimenti cui si riferiscono le penali sono necessariamente non significativi e si collocano tra le ipotesi fisiologiche della dialettica contrattuale.
Nel caso di specie si era comunque trattato di mere contestazioni non definitive applicate unilateralmente nell’ambito di rapporti contrattuali ancora in corso, che perciò non potevano oggettivamente assurgere a “significative carenze”.
Oltretutto, l’amministrazione aveva valutato le penali come un complemento (“cornice”) di un quadro complessivo in cui l’elemento di peso sarebbe stata la vicenda di Casola, a suo dire non valutabile.
4. Con motivi aggiunti depositati il 18.3.2019, la T. impugnava poi la determina a contrarre n. 26 dell'8 marzo 2019 con cui ASIA Napoli aveva disposto di bandire una nuova gara, in ragione del fatto che alcuni lotti della precedente (tra cui quello a cui la ricorrente aveva partecipato, e cioè il lotto n. 2) erano andati deserti.
Con ulteriori motivi aggiunti depositati il 4 luglio 2019, la società impugnava anche la determinazione n. 63 del 12 giugno 2019 di aggiudicazione della procedura aperta n. 413/ACU/2019 limitatamente al lotto n. 2, a favore della Società LRS Trasporti srl.
Avverso tale provvedimento sollevava una censura di illegittimità derivata stante l’illegittima dell’indizione della nuova gara, e questo per effetto del vizio originario collegato alla esclusione della ricorrente dalla gara n. 408/ACU/2018, già impugnata con il ricorso principale.
5. Nel corso del processo di primo grado, con ordinanza n.583/2019 del 5 aprile 2019, il TAR, richiamata la propria ordinanza del 13 dicembre 2017 n. 5893, con la quale aveva rimesso alla Corte di Giustizia una questione riguardante l’interpretazione del comma 5 lett. c) dell’art. 80 del d.lgs. 50 del 2016, sorta su vicenda analoga, disponeva la sospensione del giudizio.
6. La Corte di Giustizia, con la sentenza del 19 giugno 2019 nella causa C- 41/18, stabiliva che “l'articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g) della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto d'appalto pubblico assunta da una amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella esecuzione impedisce all'amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d'appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase di selezione degli offerenti sull'affidabilità dell'operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce”.
7. All’esito del processo di primo grado, nella resistenza della società ASIA Napoli s.p.a., il TAR:
- respingeva l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale;
- respingeva il ricorso principale nel merito;
- dichiarava improcedibili i motivi aggiunti;
- condannava alle spese l’odierna appellante.
8. La sentenza è stata impugnata dalla società T. rimasta integralmente soccombente.
La società ha dedotto:
I. Erroneità in diritto della sentenza impugnata per violazione e/o falsa interpretazione e applicazione dell’art. 80, co. 5 lett. c) e co. 10, D.Lgs. n. 50/2016; violazione e/o falsa interpretazione e applicazione dell’art. 57. par. 4 e par. 7, Direttiva 2014/24/UE in relazione al periodo massimo di esclusione degli operatori economici che hanno commesso illeciti professionali dalle procedure di gare; violazione e/o falsa applicazione dei principi comunitari di libera concorrenza, favor partecipationis e proporzionalità; violazione e/o falsa interpretazione e applicazione del principio di legalità sostanziale ex artt. 24, 97, 103, 113, Cost., 1, 3, 21-octies, L. 241/1990 e 30, D.Lgs 50/2016; violazione e/o falsa applicazione dei principi generali di imparzialità, buon andamento, proporzionalità, tipicità e nominatività dell’azione amministrativa e dei suoi provvedimenti.
Secondo l’appellante, la questione interpretativa rimessa alla Corte di giustizia non era decisiva ai fini della definizione della lite, perché il profilo della mancanza di definitività nell’illecito professionale costituito dall’applicazione delle penali sarebbe stato un elemento marginale rispetto alla complessiva illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado, che non avrebbe correttamente applicato l’art. 80 comma 5, lettera c) e comma 10, d.lgs. n. 50/2016 e ss.mm.ii.
Era invece rilevante il fatto, pure dedotto dalla società, che le penali non costituiscono ex se un grave illecito professionale e che in ogni caso, ai fini della formazione del giudizio prognostico di inaffidabilità, occorre un’adeguata istruttoria che, nella fattispecie, non vi era stata.
A ciò si aggiunga che le penali applicate alla società (e da questa regolarmente dichiarate) non sono mai state iscritte nel Casellario informatico dell’ANAC.
Inoltre, ASIA non aveva conseguito dalle amministrazioni interpellate informazioni sufficienti per fondare un ragionevole giudizio di inaffidabilità dell’operatore economico; né avrebbe potuto ribaltare sulla stessa ricorrente il relativo onere probatorio.
L’appellante ha poi sottolineato che in relazione all’episodio di Casola, il TAR avrebbe erroneamente interpretato la norma regolatrice della fattispecie contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c) e comma 10 del d.lgs. n. 50/2016 la quale – come già dedotto in primo grado - si riferirebbe alle sole false informazioni rese alla stessa stazione appaltante che bandisce la gara (e non – invece - alle informazioni fornite in gare precedenti).
Il TAR non avrebbe tenuto conto del fatto che dall’accertamento definitivo dell’episodio alla gara di cui si discute erano trascorsi più di quattro anni e che ben tre sentenze del Consiglio di Stato hanno giudicato illegittime le esclusioni che si fondavano su questa stessa vicenda.
In sostanza, “per integrare l’illecito professionale rilevante ex art. 80, c. 5, lett. c), non appartenente all’elenco di quelli tipizzati (aver subito l’annullamento in via di autotutela di un’aggiudicazione di una precedente gara per aver fornito una falsa dichiarazione sul possesso di un requisito di capacità tecnica), era necessaria la specifica motivazione sull’incidenza del comportamento del concorrente ai fini della permanenza dei requisiti di integrità e affidabilità nella gara in questione” (così Cons. di Stato, sez. V, n. 2553, del 19 aprile 2019; sempre sull’episodio di Casola si vedano Cons. di Stato, Sez. V, n. 771 del 2016 e Sez. IV, n. 85 del 2016).
9. Si è costituita, per resistere, ASIA Napoli s.p.a., riproponendo, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, dichiarata assorbita dai primi giudici.
10. La società ha sviluppato le proprie difese nella memoria del 29 giugno 2020.
11. L’appellante ha depositato una memoria di replica.
12. L’appello è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 16 luglio 2020 previa discussione “da remoto” ai sensi dell’art. 4 del d.l. n. 28 del 2020.
13. E’ possibile prescindere dalla riproposta eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto l’appello è infondato nel merito e deve essere respinto.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
14. In via preliminare va dato atto che sono rimaste prive di critica in sede di appello le argomentazioni della sentenza impugnata, circa l’irrilevanza, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE 19 giugno 2019, in causa C – 41/18, dei giudizi civili posti in essere dalla società “avverso le penali comminate” (par. 3, parte in diritto, prima parte).
D’altro canto, a seguito di tale pronuncia, il d.l. 135/2018, convertito nella legge 12/2019, ha successivamente eliminato dal comma 5 dell’art. 80 ogni riferimento alla esistenza di una contestazione in giudizio (prevedendo, alla lettera c-ter, l’esclusione qualora “l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”).
15. Per una migliore comprensione dei fatti di causa, giova altresì riportare, in sintesi, il contenuto del provvedimento di esclusione impugnato.
Al punto 6) viene dato atto del fatto che il RUP, in considerazione di quanto dichiarato dalla società odierna appellante, “dovendo procedere ad una valutazione in ordine all’integrità e all’affidabilità del concorrente de quo ha richiesto apposite informazioni a ciascuna delle Amministrazioni innanzi citate [...]”.
In particolare sono state richieste informazioni al Comune di Casola, alla Alia s.p.a. (già Publiambiente), al Comune di Villa Literno, al Comune di Gela, al Comune di Riesi, al Comune di Acerra, al Comune di Acireale, al Comune di Marano, al Comune di Piazza Armerina.
Tuttavia (par. 9) hanno dato riscontro a tale informativa solo il Comune di Casola e la società Alia Servizi Ambientali s.p.a..
La vicenda “Casola”, relativa alla revoca del provvedimento di aggiudicazione nei confronti di T., è stata definita in appello dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2775 del 2014, secondo cui, in quella gara, il contratto di collaborazione professionale presentato dalla società per la comprova del requisito di partecipazione richiesto non era “corrispondente al vero”.
La revoca dell’aggiudicazione disposta da Publiambiente (punto 15) traeva invece fondamento da una serie di inadempimenti tra cui “numerosi episodi di mancato recupero dei servizi tralasciati”, “utilizzo di mezzi non conformi”, “accesso agli impianti in orari non autorizzati” etc..
Quanto ai chiarimenti richiesti dalla società, quest’ultima, oltre ad invocare l’irrilevanza dell’episodio Casola (per le stesse ragioni esposte nella presente sede contenziosa), con la nota del 14 gennaio 2019 si limitava, relativamente al “recesso unilaterale” di Publiambiente, a dedurre l’esistenza di un contenzioso in sede civile (avviato peraltro verso una definizione in via transattiva).
Per quanto riguarda le penali applicate dal Comune di Villa Literno e la conseguente iscrizione della società nel casellario informativo dell’ANAC, la società riferiva delle iniziative contenziose intraprese, nonché, in particolare, della pronuncia resa in sede cautelare dalla Sezione V^ di questo Consiglio di Stato, n. 3879 del 6 luglio 2018, con cui era stato disposto il riesame del provvedimento dell’ANAC impugnato.
Relativamente alle penali applicate dai Comuni di Gela, Riesi, Piazza Armerina, Acerra, Acireale e Marano di Napoli, la società faceva presente che “attenendosi al dato testuale dell’art. 80, co. 5, lett. c), D.Lgs 50/2016 e al suo ambito di applicazione, alla luce anche delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 19/04/2017 n. 56, e al suo contenuto precettivo, come interpretato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cds 2063/2018; 4266/2018 e Linee Guida ANAC n. 6 applicabili ratione temporis) non sarebbe, invero, stata tenuta a nessun adempimento dichiarativo rispetto alle penali citate, ciò, in primis in relazione agli importi poco rilevanti rispetto al valore degli appalti in questione e anche considerando che tutte le penali in questione sono state contestate e per alcune di esse (v. Comune di Acerra) è già pendente (innanzi al Tribunale di Napoli) giudizio per l’accertamento della infondatezza delle contestate penali [...]. In ogni caso penali, per costante dottrina e giurisprudenza, non costituiscono, né in termini concreti né in termini astratti, indici sintomatici di inaffidabilità imprenditoriale se non conducono alla risoluzione del contratto, e se, come nei casi che riguardano la scrivente, sono contestate e quindi neppure definitive rispetto al credito dell’Appaltatore, e anche perché essendo state applicate nell’ambito di contratti ancora in corso di esecuzione, si iscrivono nell’alveo delle normali vicende contrattuali tra le parti. Si sottolinea, altresì, che nessuno dei Comuni di cui supra ha giammai proceduto alla segnalazione all’ANAC ed infatti rispetto ai rapporti contrattuali in parola non v’è nel casellario ANAC alcuna annotazione”.
Nel provvedimento di esclusione, dopo aver richiamato il testo dell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice dei contratti, nella versione vigente al momento della pubblicazione del bando di cui trattasi, il RUP ha considerato, in particolare:
“[...] 21) che la condotta posta in essere da T., allorquando ha partecipato alla gara indetta dal Comune di Casola può essere ricompresa nell’illecito professionale “tipizzato” dall’art. 80, comma 5 lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016 che si concretizza quanto il concorrente fornisca “anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione”;
22) che come rilevato dal Consiglio di Stato la società T., avendo comprovato il possesso del requisito richiesto dalla lex di gara mediante un contratto di collaborazione “non corrispondente al vero” e, pertanto, “non genuino”, ha influenzato, alterandolo, il processo decisionale del Comune di Casola tanto da conseguire l’aggiudicazione dell’appalto, in modo non rispettoso dei principi di par condicio e di correttezza che dovrebbero contraddistinguere ogni procedura finalizzata all’affidamento di un contratto pubblico;
23) che tale circostanza, la cui gravità è stata stigmatizzata dai Giudici Amministrativi che hanno parlato di documento non genuino e non corrispondente al vero, è destinata a minare la fiducia che ASIA Napoli S.p.A. dovrebbe riporre nel concorrente T.;
24) che l’episodio innanzi descritto, di per sé grave, deve essere inquadrato nell’ambito di una cornice più ampia che risulta costellata da una serie di inadempienze, tutte poste in essere nell’esecuzione di appalti di servizi per l’igiene urbana (analoghi a quello oggetto della presente gara), che hanno comportato l’applicazione di penali da parte di ben sei diverse Amministrazioni Committenti (Gela, Riesi, Piazza Armerina, Acerra, Acireale e Marano di Napoli), rispetto alle quali T. si è limitata ad asserire, in modo generico e senza fornire alcun riscontro documentale delle iniziative intraprese, che “le penali in questione sono state contestate e per alcune di esse (v. Comune di Acerra) è già pendente (innanzi al Tribunale di Napoli) giudizio per l’accertamento dell’infondatezza delle contestate penali e, comunque, fermo restando la volontà di essa T. Srl di procedere nei tempi e nei modi consentiti dalla Legge a procedere ad instaurare giudizi finalizzati al riconoscimento formale e definitivo dell’infondatezza delle penali comminate”;
25) che l’insieme degli episodi descritti è sintomatico di una condotta recidiva da parte della società T. tale da non consentire ad Asia Napoli di poter confidare sull’integrità (vedasi episodio Casola) e sull’affidabilità (vedasi penali) della stessa quale potenziale affidatario di un servizio di igiene urbana, la cui corretta esecuzione è destinata a riflettersi sull’utenza cittadina”.
16. Ai fini dell’interpretazione dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 nella versione applicabile alla fattispecie, è utile richiamare, alcuni passaggi della cit. sentenza della Corte di Giustizia UE, del 19 giugno 2019.
La Corte ha valorizzato, in particolare, il “considerando 101” della direttiva 2014/24/UE, secondo cui “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili, per esempio a causa di violazioni di obblighi ambientali o sociali, comprese le norme in materia di accessibilità per le persone con disabilità, o di altre forme di grave violazione dei doveri professionali, come le violazioni di norme in materia di concorrenza o di diritti di proprietà intellettuale. È opportuno chiarire che una grave violazione dei doveri professionali può mettere in discussione l'integrità di un operatore economico e dunque rendere quest'ultimo inidoneo ad ottenere l'aggiudicazione di un appalto pubblico indipendentemente dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l'esecuzione dell'appalto.
Tenendo presente che l'amministrazione aggiudicatrice sarà responsabile per le conseguenze di una sua eventuale decisione erronea, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l'operatore economico ha violato i suoi obblighi, inclusi quelli relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali, salvo disposizioni contrarie del diritto nazionale. Dovrebbero anche poter escludere candidati o offerenti che in occasione dell'esecuzione di precedenti appalti pubblici hanno messo in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi sostanziali, per esempio mancata fornitura o esecuzione, carenze significative del prodotto o servizio fornito che lo rendono inutilizzabile per lo scopo previsto o comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull'affidabilità dell'operatore economico. Il diritto nazionale dovrebbe prevedere una durata massima per tali esclusioni.
Nell'applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità. Lievi irregolarità dovrebbero comportare l'esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali. Tuttavia, casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull'affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l'esclusione”.
Definendo nel merito la questione del contrasto con la normativa europea, del cit. art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui considerava ostativa ai fini della valutazione dell’affidabilità dell’operatore la contestazione in giudizio di una decisione di risoluzione anticipata del contratto di appalto o concessione, la Corte ha poi in particolare osservato che:
(par. 31) «ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 5, della direttiva 2014/24, le amministrazioni aggiudicatrici devono poter escludere un operatore economico “in qualunque momento della procedura” e non solo dopo che un organo giurisdizionale ha pronunciato la sua sentenza, il che costituisce un indizio ulteriore della volontà del legislatore dell'Unione di consentire all'amministrazione aggiudicatrice di effettuare la propria valutazione sugli atti che un operatore economico ha commesso o omesso di compiere prima o durante la procedura di aggiudicazione di appalto»;
(par. 32) «se un'amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un'attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell'applicazione dei motivi facoltativi di esclusione. Orbene, secondo il considerando 101 della direttiva 2014/24, tale principio implica in particolare che, prima di decidere di escludere un operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la ripetizione di lievi irregolarità»;
(par. 34) «[...] dal testo dell'articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 risulta che il legislatore dell'Unione ha inteso affidare all'amministrazione aggiudicatrice, e a essa soltanto, nella fase della selezione degli offerenti, il compito di valutare se un candidato o un offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto»;
(par.37) «È evidente che una disposizione nazionale quale l'articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici non è idonea a preservare l'effetto utile del motivo facoltativo di esclusione previsto dall'articolo 57, paragrafo 4, lettera c) o g), della direttiva 2014/24»;
(par. 38) «il potere discrezionale che l'articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 conferisce all'amministrazione aggiudicatrice è infatti paralizzato dalla semplice proposizione da parte di un candidato o di un offerente di un ricorso diretto contro la risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico di cui era firmatario, quand'anche il suo comportamento sia risultato tanto carente da giustificare tale risoluzione»;
(par. 39) «Inoltre, una norma come quella prevista all'articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici non incoraggia manifestamente un aggiudicatario nei cui confronti è stata emanata una decisione di risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico ad adottare misure riparatorie. Sotto tale profilo, una regola di questo tipo può essere in contrasto con le prescrizioni di cui all'articolo 57, paragrafo 6, della direttiva 2014/24».
16.1. Alla luce delle coordinate ermeneutiche fornite dal giudice europeo, può convenirsi con la premessa dell’appellante secondo cui la stazione appaltante debba compiere una approfondita analisi degli elementi in suo possesso che riguardino la posizione degli operatori, al fine di decidere se un dato fatto costituisca o meno grave illecito professionale.
Tuttavia, le medesime statuizioni forniscono ulteriore supporto anche alla giurisprudenza nazionale secondo cui la disposizione in esame, nella parte in cui individuava alcune condotte da qualificarsi ex lege come “gravi illeciti professionali” (attualmente spostate nelle lettere c –bis e c – ter), reca una elencazione puramente esemplificativa e riconosce alla stazione appaltante di poter desumere la sussistenza di “gravi illeciti professionali” da ogni altra vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico di cui venga accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa, se reputata idonea a metterne in dubbio l’integrità o l’affidabilità (ex multis, Cons. Stato, V, 24 gennaio 2019, n. 586; V, 25 gennaio 2019, n. 591; V, 3 gennaio 2019, n. 72; III, 27 dicembre 2018, n. 7231).
In tal senso il TAR, nella sentenza impugnata, ha ricordato che l’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 “- anche prima della novella di cui al d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12), che ha previsto che integrino distinte cause di esclusione le circostanze già contemplate nel testo originario - già aveva una portata molto più ampia rispetto a quella contenuta nell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 in quanto, da un lato, non operava alcuna distinzione tra precedenti rapporti contrattuali con la medesima o con diversa stazione appaltante, dall'altro non faceva riferimento solo alla negligenza o all'errore professionale, ma più in generale all'illecito professionale, che abbraccia molteplici fattispecie, anche diverse dall'errore o negligenza, e include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, ma anche in fase di gara”.
Il relativo giudizio quindi è espressione di ampia discrezionalità da parte della p.a., cui il legislatore ha voluto riconoscere “un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell'affidabilità dell'appaltatore. Ne consegue che il sindacato che il g.a. è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della "non pretestuosità" della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera "non condivisibilità" della valutazione stessa” (cfr. Cass. Civ., S.U., 17 febbraio 2012, n. 2312), mentre “L'elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella lettera c) del comma 5 dell'art. 80 è meramente esemplificativa, per come è fatto palese sia dalla possibilità della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione «con mezzi adeguati», sia dall'incipit del secondo inciso («Tra questi (id est, gravi illeciti professionali) rientrano: [...]») che precede l'elencazione” (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299” (Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1367).
Nel catalogo degli illeciti professionali possono quindi rientrare non solo gli addebiti che hanno comportato l’applicazione di penali, ovvero quelli che abbiano dato origine ad una conclusione transattiva del contenzioso avviato dalle parti (Cons. Stato, sez.III, sentenza n. 3628 del 13 giugno 2018), ma, come in astratto riconosciuto da questo Consiglio proprio nei confronti dell’odierna appellante (Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 2553 del 19 aprile 2019) anche l’avere reso una falsa dichiarazione in una precedente gara, indipendentemente dal fatto che vi sia stata annotazione da parte dell’ANAC.
Vero è che tale circostanza, in una gara successiva, non rileva ex se, come causa di esclusione automatica, ma richiede una “specifica motivazione sull’incidenza del comportamento del concorrente ai fini della permanenza dei requisiti di integrità e affidabilità nella gara in questione” (sentenza n. 2553 del 2019, cit.).
Tuttavia ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, in cui l’episodio “Casola” non è stato considerato in sé, bensì come sintomatico di una quadro di complessiva inaffidabilità dell’impresa che si proietta all’attualità, per effetto di risoluzioni contrattuali e/o dell’applicazione di penali, intervenute non già in epoca risalente, bensì nel triennio antecedente l’indizione della gara di cui trattasi.
16.2. Al riguardo, deve poi riconoscersi alla stazione appaltante di avere condotto una approfondita istruttoria, in contraddittorio con la ricorrente.
Quest’ultima, però, non ha nemmeno tentato di dimostrare il carattere di “lievità” degli inadempimenti che le erano stati contestati ai fini dell’applicazione delle penali, o comunque di descrivere, in concreto, le vicende che avevano alterato i rapporti contrattuali pregressi (financo con la risoluzione), quantomeno al fine di evidenziarne l’inconferenza a fini estromissivi o il preteso carattere “fisiologico”.
Si è visto infatti che la società si è limitata a richiamare l’esistenza dei contenziosi in atto, ma non ha fornito ulteriori elementi concreti (come peraltro sottolineato dallo stesso RUP).
E’ quindi anche con tale comportamento, sostanzialmente reticente, che essa, a ben vedere, ha impedito l’instaurazione di un rapporto fiduciario con la stazione appaltante o, quantomeno, non ha consentito una possibile, eventuale diversa ricostruzione dei fatti.
Né può rimproverarsi – invero - alla Stazione appaltante, di avere “rovesciato l’onere probatorio”.
E’ infatti evidente che - poiché ASIA era terza rispetto ai rapporti contrattuali in cui si erano manifestate le criticità sanzionate con le penali e/ o con le risoluzioni contrattuali - in assenza di un concreto apporto collaborativo delle amministrazioni interpellate, essa poteva in definitiva contare solo sulla leale collaborazione della stessa T. , per ricostruire la reale portata di tali vicende.
16.3. Così ricostruito il quadro procedimentale e processuale, risulta allora corretta la conclusione del TAR, secondo cui “ciò che rileva non è la circostanza che le dichiarazioni non veritiere attengano ad altra procedura, ma la complessiva inaffidabilità per la gestione del servizio dimostrata dalla T. nel corso della sua storia imprenditoriale e discrezionalmente valutate dalla stazione appaltante secondo parametri che la Corte di Giustizia, in caso analogo, ha ritenuto perfettamente aderenti al disposto dell’art. 50 comma 3 lett. c) codice dei contratti, interpretato conformemente alla Direttiva europea 2014/24”.
Si è visto infatti che, secondo la Corte UE, anche la ripetizione di “lievi irregolarità” può giustificare un giudizio di inaffidabilità.
17. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Sembra tuttavia equo – essendo il quadro normativo e giurisprudenziale tuttora in evoluzione – compensare integralmente tra le parti le spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, n. 3980 del 2020, di cui in premessa, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2020 ai sensi dell’art. 4 d.l. n. 28/2020, con l'intervento dei magistrati:
Daniela Di Carlo, Presidente FF
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere