il punto della situazione

“ESTRAGONE: Che facciamo adesso? VLADIMIRO: Aspettiamo Godot. ESTRAGONE: Già, è vero”[1]

 

1. Introduzione – 2. Disciplina – 2.1 Composizione del Collegio – 2.2 Vincolatività delle determinazioni – 2.3 Il Collegio Consultivo Tecnico nella fase antecedente all’esecuzione – 2.4 Il ruolo del Collegio Consultivo Tecnico in caso di sospensione dell’esecuzione – 3. Riferimenti di diritto comparato. Il paradigma del Dispute Board – 4. Problematicità e rapporti con gli altri rimedi ADR del Codice dei Contratti – 5. Considerazioni finali


[1] SAMUEL BECKETT, Aspettando Godot, Einaudi, Torino, 1956 a proposito dei reiterati tentativi del legislatore di risolvere stragiudizialmente il contenzioso dei contratti pubblici una volta espunto l’istituto arbitrale dall’ordinamento.

 

1. Introduzione

L’istituto del Collegio Consultivo Tecnico (di seguito anche C.C.T.) ha una storia legislativa senza dubbio articolata da ultimo confluita nel D.L. n. 76/20 (di seguito, anche il Decreto)[1].

Neppure il tempo, quindi, di meditare sulla comparsa, repentina abrogazione e altrettanto rapida reintroduzione dello strumento, che la recente previsione normativa ha ritenuto di delineare un nuovo (e, come si vedrà, più incisivo) assetto del Collegio Consultivo Tecnico all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale.

Estraneo alla diffusione avuta nel mondo anglosassone, l’istituto ha riscosso scarsa fortuna nella prassi degli appalti italiani, in un reciproco rapporto di causa-conseguenza con una tecnica legislativa non sempre puntuale ed efficace.

In disparte tale aspetto, e dal punto di vista sostanziale, nella denominazione si colgono già natura e finalità dell’istituto: la previsione di un organismo terzo composto da membri (“Collegio”) “dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell’opera[2], con una formazione specialistica ma variegata (“Tecnico”), riuniti al fine di proporre soluzioni per prevenire ovvero agevolare la risoluzione delle “controversie e delle dispute tecniche[3] insorgenti nella fase esecutiva di un contratto pubblico ovvero, come da ultimo introdotto, con lo scopo di affrontare problematiche emergenti in fase antecedente all’esecuzione (“Consultivo”).

Prospettiva ambiziosa, dunque, che si inserisce all’interno del mai sopito dibattito sull’efficienza dei procedimenti di risoluzione delle controversie legati alla contrattualistica pubblica e sulla necessità di combinare, specie in fase esecutiva, principi e paradigmi dell’agire amministrativo con schemi e rapporti improntati alla logica privatistica e di diffusione, anche nel nostro ordinamento procedimentale, della teoria della negoziazione e del componimento bonario all’interno dei rapporti di durata, per definizione suscettibili di variazione.

Il presente contributo si propone l’obiettivo di comprendere le concrete possibilità applicative dell’istituto, a partire dall’indagine sulle ragioni dello scarso successo riscosso nella prassi del nostro ordinamento, nonché dalla constatazione che le recenti modifiche normative – nella direzione di un più incisivo utilizzo nella prassi – sono avvenute in un contesto politico-economico segnato dalla drammatica contingenza sanitaria.

Si tenterà, pertanto, di indagare le prospettive di diffusione dello strumento che, a prescindere dall’intelaiatura normativa, è da considerarsi, in ogni caso, lecito all’interno delle previsioni contrattuali ai sensi dell’art. 1 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

 

2. Disciplina

Come premesso, la disciplina dell’istituto del Collegio Consultivo Tecnico è stata incisivamente modificata ad opera del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 il quale si pone quale ultimo passaggio di un percorso normativo all’interno del quale, inevitabilmente, possono cogliersi forti parallelismi fra le differenti formulazioni legislative, succedutesi peraltro in un arco temporale decisamente esiguo[4].

Analogie si rintracciano, inevitabilmente, a partire dalle perplessità che l’istituto ha fatto sorgere in dottrina, sin dalle originarie formulazioni normative.

Fra le questioni più dibattute, l’ambito di applicazione dello strumento, genericamente delineato con il riferimento all’“opera”.

Invero, il comma 12 dell’art. 1 del c.d. “Sblocca Cantieri”, nel prescrivere il requisito della professionalità tecnica dei membri del Collegio, faceva esplicito riferimento alle opere, e solo a queste, lasciando ipotizzare una applicabilità dell’istituto ai soli appalti di lavori.

Sul tema, l’interpretazione dottrinaria non è stata unanime neppure nella vigenza dell’art. 207, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, sebbene, sulla scorta di una lettura teleologica della norma, si finì per convergere sulla non esclusione aprioristica degli appalti di servizi e forniture, per i quali l’istituto del Collegio Consultivo Tecnico avrebbe potuto essere richiamato convenzionalmente.

Infatti, anche quella parte della dottrina che leggeva l’inequivoco dato letterale (“opera”) alla luce dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, osservava d’altro canto l’ipotizzabilità di una concorde volontà delle parti di un appalto di servizi o forniture di aderire ad un regolamento della fase esecutiva che preveda l’intervento del Collegio Consultivo Tecnico[5].

Ora, l’art. 6 del Decreto n. 76/20 riprende l’esclusivo riferimento agli appalti di lavori mediante la riproposizione del concetto di “opere pubbliche”.

È evidente che le considerazioni operate dalla dottrina con riferimento alla normativa previgente possono essere rimodulate anche con riferimento al Collegio Consultivo Tecnico così come delineato dall’attuale assetto legislativo; tuttavia, quest’ultimo, rispetto al Codice e al successivo Decreto cd. “Sblocca Cantieri”, si compone di una tecnica legislativa più puntuale e dettagliata e, contemporaneamente, di un intento rafforzato di perseguire la ratio già insita nelle formulazioni precedenti, id est semplificazione, speditezza e innovazione digitale delle commesse pubbliche, con particolare riferimento alle grandi opere infrastrutturali.

Una potenziale applicabilità dell’istituto agli appalti di servizi, soprattutto relativamente alla particolare fattispecie prevista dall’art. 6, comma 5 del D.L. 76/20 ovvero agli affidamenti sopra soglia, dovrà in ogni caso valutarsi con riferimento da un lato alla stretta consensualità delle parti, dall’altro ponendo particolare attenzione alle previsioni di dettaglio sul funzionamento dell’istituto.

Non sembra, di contro, ingenerare grandi incertezze l’assenza di riferimenti ai contratti nei settori speciali, cui l’applicazione della disciplina sul Collegio Consultivo Tecnico andrebbe estesa sulla scorta di una interpretazione teleologica della norma[6].

Procedendo nell’analisi della disciplina di dettaglio, v’è, anzitutto, da osservare che il D.L. 16 luglio 2020, n. 76 per la prima volta fa riferimento a tre differenti articolazioni operative del Collegio Consultivo Tecnico.

Invero, la relativa costituzione è obbligatoria sino alla data del 31 luglio 2021 per i lavori diretti alla realizzazione di opere di importo pari o superiore alle soglie di cui all’art. 35 del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e deve avvenire prima dell’avvio dell’esecuzione ovvero al più tardi entro dieci giorni dall’inizio della medesima[7].

Quale novità legislativa[8] viene prevista, altresì, l’obbligatorietà del ricorso al C.C.T. per i contratti sopra soglia in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del Decreto, col termine di trenta giorni per la relativa costituzione.

Di contro, per i contratti sotto soglia, la costituzione del Collegio è facoltativa, con rimessione alle parti della scelta sull’applicabilità integrale o parziale delle disposizioni relative ai compiti e alle funzioni dell’organo di cui ai commi 1-3 dell’art. 6 e all’art. 5 del Decreto.

Si trae, dunque, la conclusione che le norme relative alla composizione e al funzionamento dell’istituto risultano comuni ad entrambe le articolazioni del Collegio, le quali differiscono per l’ambito di applicazione oggettivo (individuato alla luce delle soglie di cui all’art. 35 del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50).

Ciò posto, risulta opportuno soffermarsi sin da ora sulle caratteristiche tecniche ed operative dell’organo, prima di procedere all’illustrazione della disciplina relativa alla terza possibile tipologia funzionale dello strumento, senz’altro la più complessa dal punto di vista interpretativo.

 

2.1 Composizione del Collegio

Con riferimento alla composizione del C.C.T., è essenziale considerare che i membri del Collegio possono essere nominati nel numero di tre ovvero (novità legislativa del Decreto) cinque «in caso di motivata complessità dell'opera e di eterogeneità delle professionalità richieste» (art. 6, comma 2).

La scelta dei componenti può essere condivisa dalle parti in toto ovvero può demandarsi a ciascuna di esse l’individuazione di uno o due membri, lasciando che il terzo ovvero il quinto vengano designati dagli altri due.

A soccorso della lacuna normativa riscontrata in seno alle previgenti disposizioni, il D.L. 16 luglio 2020, n. 76  disciplina espressamente l’ipotesi di disaccordo sulla nomina del Presidente del Collegio, il quale «è designato entro i successivi cinque giorni [rispetto al termine di cui al comma 1] dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di rispettivo interesse» (art. 6, comma 2).

La norma non sembra, di contro, riportare la previsione di cui all’art. 1, comma 12, D.L. 18 aprile 2019, n. 32, contenuta già nell’art. 207, comma 2 del Codice, in base alla quale «in ogni caso, tutti i componenti devono essere approvati dalle parti», che aveva concesso agio in dottrina alle speculazioni sulla corretta individuazione nel caso di specie della portata applicativa della categoria giuridica della “approvazione”[9].

Quanto alla qualificazione professionale dei membri del Collegio, rispetto alla previgente normativa, il Decreto non si limita ad indicare la necessità che gli stessi siano «dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell'opera»[10], ma si spinge ad indicare espressamente le categorie professionali d’elezione (ingegneri, architetti, giuristi ed economisti), richiedendo che l’esperienza «nel settore degli appalti delle concessioni e degli investimenti pubblici» venga rapportata anche all’oggetto contrattuale e alla conoscenza di metodologie e strumentazioni elettroniche quali il Building Information Modeling (BIM) e che venga comprovata da specifici conseguimenti accademici (dottorato di ricerca) ovvero dall’esercizio della professione per un arco temporale ritenuto adeguato[11].

Ora, è evidente l’intento del Legislatore di conferire, attraverso delle previsioni espresse e dettagliate (certamente già implicite nelle disposizioni ormai abrogate), carattere di piena attuabilità pratica alle finalità di semplificazione e innovazione digitali insite nella ratio del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, come – non può tacersi – anche delle discipline sul tema che si sono succedute negli scorsi anni e che hanno, tuttavia, incontrato lo sfavore degli operatori (cfr. infra).

Senza dubbio, la sfida insita in siffatte previsioni si configurerà in termini di individuazione di una solida compagine di professionisti stabilmente adeguati, in quanto, al di là della specifica applicazione al singolo affidamento, deve guardarsi all’istituto da un punto di vista programmatico e sistemico.

Dal medesimo angolo prospettico, andranno altresì valutate la disponibilità e la prontezza della Pubblica Amministrazione ad accogliere all’interno dei propri procedimenti di nomina un meccanismo di affiancamento alla stazione appaltante di un organo a matrice consensual-privatistica, ma improntato al rispetto dei principi che regolano l’attività amministrativa (di cui all’art. 1 della L. 7 agosto 1990, n. 241)[12].

Il Decreto da ultimo emanato ha, altresì, disciplinato l’ipotesi di scioglimento del Collegio Consultivo Tecnico, che deve avvenire al termine della esecuzione del contratto ovvero, nei casi di costituzione facoltativa, in data anteriore su accordo delle parti. Nelle ipotesi di cui al comma 1, il Collegio può essere sciolto a partire dal 31 dicembre 2021.

Di poi, altra essenziale tematica connessa al funzionamento del Collegio ed intimamente legata alla facies pubblicistica della tematica in esame – nella sua declinazione squisitamente contabile – riguarda la remunerazione dell’attività dell’organo.

L’art. 6, comma 7 del Decreto cd. Semplificazioni stabilisce che i membri hanno diritto ad un compenso «proporzionato al valore dell'opera, al numero, alla qualità e alla tempestività delle determinazioni assunte», con la previsione di un gettone unico e omnicomprensivo in caso di assenza di determinazioni ovvero pareri finali.

La norma contempla, altresì, il riferimento alle tariffe professionali di cui all’art. 9 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, aumentate fino a un quarto.

Tuttavia, se da un lato si evince il tentativo di voler prevenire comportamenti opportunistici volti alla dilazione delle tempistiche decisionali finalizzata alla maturazione dei compensi[13], dall’altro permane incertezza sulla corretta distribuzione dell’onere di liquidazione delle somme.

Invero, il comma 7 prescrive tale onere «a carico delle parti», di fatto non sciogliendo i dubbi che erano sorti già all’interno del dibattito sulle previgenti discipline, con particolare riferimento a quella del 2019, all’interno della quale mancava integralmente anche solo un accenno a siffatta tematica.

Alla luce di tale lacuna, era stata avanzata l’ipotesi di una disciplina convenzionale dei costi del Collegio, con tutte le connesse problematiche in termini di non applicabilità tout court del principio di “soccombenza” e congruità del compenso pattuito[14].

Ad oggi, parte di quelle perplessità finiscono per riaffiorare, considerato che, se la normativa deve essere interpretata nel senso che ciascuna parte sopporterà l’onere della liquidazione dei membri da essa nominati, rimarrebbero aperte una serie di questioni di dettaglio quali, a titolo esemplificativo: (i) la sopportazione dell’onere economico relativo al componente nominato per cooptazione; (ii) la liquidazione dei compensi in caso di nomine effettuate integralmente su accordo delle parti; (iii) problematiche squisitamente contabili con riferimento alle nomine effettuate dalla parte pubblica (applicabilità del principio di omnicomprensività per i designati interni all’amministrazione ovvero affidamento di incarichi a professionisti esterni)[15].

La voce di costo relativa all’operatività dell’istituto con riferimento al singolo contratto dovrà, pertanto, essere presa in considerazione sin dalla fase di progettazione.

Le conseguenze in termini di incertezza ingenerata fra gli operatori sono evidenti.

Una fra tutte, legata alla facoltatività del Collegio per gli affidamenti sotto soglia e la sua costituzione anche ad esecuzione già iniziata, con la riviviscenza della questione sulla opportunità di inserire già nella lex specialis la previsione del possibile ricorso all’istituto[16].

Da ultimo, è essenziale evidenziare che continuano a mancare disposizioni specifiche su indipendenza e incompatibilità dei membri del Collegio, con l’esclusiva indicazione che «ogni componente del collegio consultivo tecnico non può ricoprire più di cinque incarichi contemporaneamente e comunque non può svolgere più di dieci incarichi ogni due anni» (cfr. comma 8 del Decreto), con previsioni interdittive e decadenziali nelle ipotesi di ritardo nell’assunzione delle determinazioni.

 

2.2 Vincolatività delle determinazioni

Il comma 3 dell’art. 6 del Decreto, dopo aver posto sinteticamente le linee guida per il rispetto dei principi di semplificazione dell’attività amministrativa e par condicio fra i contraenti (possibilità di operare da remoto, nonché di ascoltare le parti in contraddittorio), introduce la novità legislativa di maggiore impatto: «le determinazioni del collegio consultivo tecnico hanno la natura del lodo contrattuale previsto dall'articolo 808-ter del codice di procedura civile, salva diversa e motivata volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti stesse».

La determinazione del Collegio, subordinatamente alla volontà delle parti, assume, pertanto, forza vincolante, imprimendo un corso positivo all’effettiva applicabilità dell’istituto, conferendo carattere di certezza all’intervenuta composizione della disputa e, conseguentemente, all’assetto degli interessi contrapposti delle parti.

Tale previsione normativa risalta per contrasto rispetto alla previgente disciplina, ove non veniva neppure utilizzato il termine “determinazioni” con riferimento agli esiti dell’attività del Collegio, bensì quello di “proposta di soluzione” (art. 207, comma 5, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e art. 1, comma 13, D.L. 18 aprile 2019, n. 32).

Del resto, l’atteggiamento più cauto assunto in passato dal Legislatore – in contrasto con la ratio innovativa perseguita sin dall’introduzione dell’istituto in esame nel Codice del 2016 – si può cogliere anche con riferimento al valore transattivo riconosciuto alla proposta del Collegio nell’ivi contenuto art. 207, sconfessato in sede di Decreto cd. Sblocca Cantieri, nel quale si faceva salva sul punto la diversa volontà delle parti.

Nell’attuale disciplina, di contro, la previsione dell’applicazione delle disposizioni sull’arbitrato irrituale – in combinato con l’obbligatorietà del ricorso all’istituto per i contratti sopra soglia – tradiscono una volontà legislativa indirizzata ad una maggiore incidenza nella prassi degli affidamenti pubblici dello strumento in esame, il quale il tal modo non si limiterà alla finalità meramente deflattiva del contenzioso giurisdizionale, ma potrà costituire un valido supporto tecnico-giuridico agli operatori e, primariamente, alle stazioni appalti, come indice di velocizzazione della realizzazione soprattutto di grandi commesse infrastrutturali. 

Fra i meccanismi approntati dalla norma affinché le decisioni del Collegio possano avere piena attuabilità e l’organo stesso non si riduca ad un ulteriore aggravio dei tempi e dei costi delle opere (rischio principale connaturato ad un siffatto strumento e, ancor di più, ai farraginosi ingranaggi della macchina pubblica), il menzionato comma 3 prevede che l’inosservanza delle determinazioni «viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali», con la conseguenza che, di contro, l’osservanza delle determinazioni adottate esclude tale forma di responsabilità, salva l’ipotesi dolosa.

In tal modo, viene a delinearsi anche un più chiaro scenario prognostico – rispetto alla previgente normativa – relativamente agli sviluppi di eventuali giudizi contabili ovvero civili.

 

2.3 Il Collegio Consultivo Tecnico nella fase antecedente all’esecuzione

La terza articolazione operativa dell’istituto, e forse la più dirompente, è disciplinata dal comma 5 dell’art. 6 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76.

Anch’essa facoltativa, prevede la possibilità per il RUP di costituire un Collegio Consultivo Tecnico di tre membri in fase pre-esecutiva, al fine di risolvere insorgenti problematiche tecniche o giuridiche, «ivi comprese le determinazioni delle caratteristiche delle opere e le altre clausole e condizioni del bando o dell'invito, nonché la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione, dei criteri di selezione e di aggiudicazione».

In tale caso, è evidente che la scelta di due dei tre componenti è rimessa alla sola stazione appaltante, mentre la nomina del terzo compete al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale e alle regioni, alle province autonome di Trento e Bolzano o alle città metropolitane per le opere di interesse locale.

La portata innovativa di tale disposizione è manifesta, così come perfettamente intuibili le incertezze che sopraggiungeranno fra gli operatori del settore e in primis fra le stazioni appaltanti.

Di fatto, quindi, i membri del Collegio finiranno inevitabilmente per svolgere attività in parte coincidenti con l’attività procedimentale pubblica, tanto che – come già riportato – nel caso di specie le nomine sono rimesse esclusivamente alla stazione appaltante e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (ovvero alle autorità locali competenti per le opere che non siano di interesse nazionale)[17].

Ulteriori elementi di stimolo alla riflessione critica si possono trarre proprio con riferimento alla nomina dei membri, uno dei quali – prescrive il comma 5 – può essere sostituito in caso di necessità da un membro di nomina privata. Peraltro, nell’ultimo capoverso si precisa che «le funzioni di componente del collegio consultivo tecnico nominato ai sensi del presente comma non sono incompatibili con quelle di componente del collegio nominato ai sensi del comma 1».

Da una lettura orientata delle predette disposizioni e considerata la ratio dell’istituto, si trae che il Legislatore ha inteso prevenire l’insorgenza di eventuali impasse nella prosecuzione dei lavori nei casi in cui vengano censurate dalla parte privata ed eventualmente poste sub iudice questioni relative proprio ad elementi della fase procedimentale pre-esecutiva (determinazione di caratteristiche delle opere, possesso dei requisiti…).

Alla luce della particolare attenzione posta dalla norma agli affidamenti infrastrutturali (cfr. l’obbligatorietà dello strumento per i contratti sopra soglia) e considerato che scopo ultimo dell’introduzione dell’istituto in esame è la velocizzazione dell’esecuzione delle commesse strategiche (v. sul punto il ruolo del Collegio delineato dall’art. 5), anche la previsione di cui all’art. 6, comma 5 deve essere interpretata quale ulteriore meccanismo per superare qualunque ostacolo possa incidere sulla esecuzione e, di fatto, finire per inibire la speditezza nella realizzazione dell’opera.

 

 

2.4 Il ruolo del Collegio Consultivo Tecnico in caso di sospensione dell’esecuzione

L’art. 5 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 disciplina le ipotesi di sospensione dell’esecuzione dell’opera pubblica, ritagliando un ruolo preminente all’istituto in esame.

È interessante notare come l’analisi di questa peculiare disciplina possa in qualche modo costituire la chiave di lettura delle finalità e della ratio perseguite attraverso le disposizioni del successivo art. 6.

Invero, la norma prevede che nei casi di «gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere, ivi incluse le misure adottate per contrastare l'emergenza sanitaria globale da COVID-19» (comma 1, lett. b), nonché «gravi ragioni di pubblico interesse» (lett. d) il Collegio Consultivo Tecnico assumerà una determinazione che tenga conto delle «esigenze sottese ai provvedimenti di sospensione adottati» (comma 2) sulla base della quale la stazione appaltante autorizzerà la prosecuzione dei lavori.

La valutazione, pertanto, sulla compatibilità fra causa di sospensione e prosecuzione dei lavori è rimessa alla competenza tecnica del Collegio, il quale, in tale circostanza, dovrà operare un contemperamento di interessi che esorbita dal mero bilanciamento fra le contrapposte posizioni delle parti contrattuali.

Del resto, è la stessa norma che, seppur con riferimento al ruolo del giudice in caso di attivazione del contenzioso, al comma 6 pone alcune linee guida per la comparazione dell’interesse nazionale alla celere realizzazione dell’opera con quello dell’appaltatore, con subordinazione di quest’ultimo alla preminenza del primo.

In caso, invece, di «gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d'arte dell'opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti» (comma 1, lett. c) – ciò che sembrerebbe precipuamente coincidere con le ipotesi di attivazione dell’istituto ex art. 6 –, il C.C.T. adotta una determinazione con cui, accertata la causa della sospensione, indica le modalità di prosecuzione dei lavori e le eventuali modifiche necessarie per la realizzazione dell'opera a regola d'arte.

In tali casi, la prosecuzione dei lavori potrà avvenire sulla base delle prescrizioni di cui al successivo comma 4 – da applicarsi anche nei casi di sospensione per cause previste da disposizioni di legge penale ovvero dal codice delle leggi antimafia ovvero da vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea (comma 1, lett. a); detta previsione stabilisce un’ipotesi di risoluzione contrattuale derogatoria delle disposizioni di cui all’art. 108, commi 3 e 4 del Codice, attivabile nei casi di impossibilità di prosecuzione dei lavori da parte del soggetto designato.

Al configurarsi delle occorrenze descritte dalla norma, il C.C.T. rilascerà parere circa le motivazioni giuridiche, economiche e tecniche alla base della sospensione e della eventuale inibizione per l’affidatario al compimento dell’esecuzione, cosicché la stazione appaltante potrà valutare l’opportunità della prosecuzione dei lavori con altro soggetto; in tali ipotesi si procederà alla scelta tra le seguenti alternative: (i) affidamento diretto, (ii) interpello dei partecipanti all’originaria procedura, (iii) indizione di nuova procedura ad evidenza pubblica (iv) nomina di un commissario straordinario governativo.

Alla luce della ricostruita disciplina, il ruolo di “bussola” tecnico-giuridica dell’esecuzione attribuito al Collegio Consultivo Tecnico risulta ancor più marcato.

Del resto, prevedere esplicitamente una siffatta disciplina di dettaglio per le ipotesi sospensive, avvalora maggiormente l’interpretazione dello strumento quale organo di affiancamento alle parti nel corso di tutta l’esecuzione contrattuale, con funzione non meramente risolutiva della singola controversia, bensì di vera e propria consulenza specialistica.

 

3. Riferimenti di diritto comparato. Il paradigma del Dispute Board

La prassi dei contratti pubblici internazionali è nutrita di ipotesi di efficace applicazione di strumenti di risoluzione alternativa delle controversie[18].

La fattispecie cui il Collegio Consultivo Tecnico tende per assimilazione è il Dispute Board, sistema internazionale di gestione delle liti articolato nelle due varianti del Dispute Adjudication Board (DAB) e del Dispute Review Board (DRB) in base al carattere vincolante (o meno) delle proprie deliberazioni.

L’esigenza da cui nasce l’istituto si lega non solo alla deflazione del contenzioso (in modo più semplificato rispetto ai giudizi arbitrali) ma anche alla necessità che l’esecuzione delle grandi commesse pubbliche (contratti di durata per definizione) proceda con speditezza, perseguendo l’obiettivo di una risoluzione stragiudiziale delle controversie e, prima ancora, della loro prevenzione in sede consultiva con valutazione direttamente on site da parte dei tecnici rispetto alle criticità oggetto di un possibile futuro contenzioso.

Gli appartenenti a tali organismi sono dotati delle qualificazioni professionali più specialistiche, posto che le divergenze insorgenti fra le parti non sempre hanno natura prettamente giuridica, ben potendo avere ad oggetto questioni squisitamente tecniche.

Sulla scia del fenomeno di standardizzazione contrattuale (in seno al quale ruolo centrale riveste sulla scena internazionale la FIDIC – Fédération Internationale des Ingénieurs-Conseils) ed alla luce delle circostanze (di fatto e di diritto) necessariamente sopravvenienti la stipula del contratto, sin dagli anni ’60 del secolo scorso, in occasione delle grandi commesse nel settore underground statunitense, iniziarono a sperimentarsi le prime forme di comitati consultivi, che portarono alla costituzione del primo Dispute Review Board nel 1975[19].

Caratteristiche essenziali di tali comitati sono l’indipendenza dei membri (da uno a tre) e la possibilità che i relativi pareri abbiano carattere vincolante.

A tale ultimo riguardo, si osserva l’utilizzo di un particolare meccanismo di “adesione” al parere del Board, esplicantesi nella previsione della possibilità per una delle parti di comunicare il proprio dissenso all’altra entro un termine stabilito, decorso il quale la raccomandazione si intende vincolante.

Tale previsione è contenuta sia nel Regolamento della International Chamber of Commerce (ICC) con riferimento al Dispute Review Board (termine per la manifestazione del dissenso: 30 giorni) sia nelle clausole disciplinanti il Dispute Adjudication Board dei contratti predisposti da FIDIC (la NOD – Notice of Dissatisfaction deve pervenire entro 28 giorni).

Peraltro, v’è da considerare che sul punto emerge una problematica ampiamente dibattuta in dottrina, che non riesce ad essere risolta neppure in sede giurisprudenziale: l’effettiva ottemperanza di tali decisioni (c.d. “enforcement”) una volta che le stesse siano divenute vincolanti[20].

Invero, non essendovi alcun valido presidio normativo al riguardo, nella prassi l’unica via percorribile risulta il ricorso giurisdizionale ovvero arbitrale, al fine di far valere quello che si caratterizza quale inadempimento contrattuale.

Come è evidente, ciò ingenera ulteriori profili critici: una volta adita la Corte ovvero il Collegio Arbitrale, deve essere rimesso in discussione anche il merito della controversia sottoposta al Board ovvero la rispondenza col petitum impone di affrontare il solo breach of contract? E nel caso di pareri non ancora definitivi, in quanto la questione originaria è stata sottoposta ad una ulteriore istanza (magari arbitrale), può trovare spazio una pronuncia di condanna al pagamento, seppur “temporanea”?[21]

Sicuramente, in disparte le criticità connaturate ad un istituto così complesso (anche dal punto di vista dell’ambito di applicazione, coincidente spesso con grandi commesse infrastrutturali), anche da una analisi superficiale della relativa disciplina si coglie la ratio eminentemente pratica dell’istituto da applicare “on site”, ossia per la definizione di aspetti propriamente tecnici.

Volendo traslitterare una simile esperienza internazionale nell’ambito del Codice dei Contratti del nostro ordinamento, il Collegio Consultivo Tecnico, che pur mira a tali paradigmi, dovrebbe essere ben più corazzato legislativamente (o comunque “vestito” attraverso linee guida dell’ANAC), seppure – è essenziale a questo punto sottolineare – si coglie l’evidente sforzo del Legislatore, manifestatosi attraverso le successive manipolazioni della matrice normativa originaria, di approntare una disciplina la più efficace ed operativa congegnabile.

Un aspetto, fra i molti che dovrebbero essere sottoposti ad un intervento di potenziamento, riguarda senz’altro l’indipendenza dei membri, baluardo della credibilità dell’istituto, nonché della garanzia avverso comportamenti opportunistici delle parti che esporrebbero la Stazione Appaltante a continue censure in sede contabile.

 

4. Problematicità e rapporti con gli altri rimedi ADR del Codice dei Contratti

Già nella prima versione l’istituto del C.C.T. è stato fortemente criticato dall’ANAC e dal Consiglio di Stato rispetto alle altre modalità stragiudiziali di risoluzione delle controversie in tema di contratti pubblici.

Secondo il rappresentante dell’ANAC l’istituto “trasformandosi in una sorta di arbitrato libero, influisce sui compiti e sulle funzioni della Camera arbitrale e aggira, nella sostanza, il criterio di delega di cui alla lett. aaa) [art. 1, comma 1, L. 28 gennaio 2016, n. 11], secondo cui l’arbitrato nei contratti pubblici può essere solo amministrato[22].

Alle medesime conclusioni è giunto anche il Consiglio di Stato, con il parere n. 855/2016, all’interno del quale si sottoponeva a censura la genericità con la quale era stato individuato l’ambito di applicazione e l’assenza di coordinamento con gli altri strumenti di cui al Capo II, Titolo I, Parte V, D. Lgs. n. 50/2016[23], con particolare riferimento all’accordo bonario.

I punti più critici rilevati riguardavano, soprattutto, la genericità del dettato normativo e la conseguente mancata delimitazione puntuale delle differenze con gli altri rimedi ADR del Codice.

Sui medesimi profili problematici, l’Autorità di regolazione si è soffermata anche di recente nelle osservazioni presentate al Senato della Repubblica relativamente alla disciplina introdotta con il D.L. 16 luglio 2020, n. 76.

Ivi, in particolare, l’ANAC ha ritenuto di sottoporre al Legislatore le seguenti censure:

(i) i meccanismi di nomina dei membri del Collegio vengono considerati non idonei a garantire la leale collaborazione fra le parti, peraltro nella critica assenza di disposizioni in tema di incompatibilità e conflitto di interessi;

(ii) la previsione della forza vincolante delle decisioni assunte, con il richiamo alla disciplina di cui all’art. 808 ter c.p.c. e la connessa limitazione della relativa ricorribilità, allontanano l’istituto dai paradigmi internazionali e dai presidi di garanzia di tutti gli interessi in gioco e si pongono in contrasto con il principio della ritualità dell’arbitrato amministrato;

(iii) peraltro, pur ritenendo ammissibile l’istituto del lodo arbitrale, oggetto del medesimo possono essere esclusivamente questioni di diritto, non già dispute «su mere questioni che non configurano necessariamente una minima unità azionabile in giudizio»;

(iv) l’obbligatorietà della costituzione del Collegio per i contratti sopra soglia contrasta col principio di volontarietà e consensualità dello strumento arbitrale;

(v) le attribuzioni dell’organo in esame finiscono per confliggere con i compiti assegnati dal Legislatore all’Autorità stessa, mediante le previsioni dei pareri di precontenzioso e dell’esercizio della funzione consultiva e di vigilanza.

L’ANAC, alla luce dei premessi rilievi, aveva quindi concluso per l’opportunità della integrale espunzione dell’istituto dalla normativa.

Sia a livello istituzione che dottrinario, il bersaglio principale è sempre stata la scarsa specificità e conseguente inefficacia delle prescrizioni legislative, che reca con sé il rischio di una mancata incisività della norma ed inevitabile superfluità rispetto a strumenti ADR già in vigore.

In realtà, a ben vedere, il dato che dal punto di vista sostanziale rende il Collegio Consultivo Tecnico sensibilmente dissimile, pertanto potenzialmente valido per l’ordinamento giuridico, è la sua vocazione spiccatamente consultiva, connessa con la possibilità di una cognizione flessibilmente estesa anche a questioni spiccatamente tecniche.

È innegabile che l’istituto in esame differisca percettibilmente, dal punto di vista della procedimentalizzazione, dall’arbitrato, per il quale, è bene ricordare, ruolo centrale riveste la Camera Arbitrale incardinata presso l’ANAC, quale garante di “indipendenza, imparzialità, correttezza, riservatezza e disinteresse personale” degli arbitri (cfr. Codice Deontologico).

Per il Collegio Consultivo Tecnico, di contro, non è disciplinato alcun meccanismo che possa garantirne l’indipendenza dei componenti, neppure per rinvio alle disposizioni all’art. 209 del Codice.

Ma, al di là delle lacune testuali, è essenziale interrogarsi sull’effettiva finalità che il Legislatore ha inteso perseguire con l’introduzione di una disciplina che, pur nel suo processo di rimodulazione nel corso delle successive formulazioni, non ha la pretesa di sostituirsi al meccanismo arbitrale, fondandosi su presupposti, funzionalità e obiettivi altri e non confliggenti.

Tale considerazione valga anche con riferimento al rapporto con l’accordo bonario, rispetto al quale differenza cardinale è costituita dal non necessario ancoraggio all’istituto delle riserve, relativamente al quale, peraltro, si pone un diverso interrogativo legato alla possibilità per il Collegio di conoscere in ogni caso delle riserve, con particolare riferimento a quelle questioni squisitamente tecniche che potrebbero costituire un ostacolo alla spedita prosecuzione dei lavori.

Siffatte perplessità si ipotizza che possano essere superate agevolmente con la prassi delle singole stazioni appaltanti, sempre qualora l’istituto non sia nuovamente abrogato.

Certo è che, osservando la fattispecie da una prospettiva più ampia, che non colga i pur essenziali aspetti di dettaglio della disciplina ma che si estenda a considerare l’intima finalità e le potenzialità dello strumento, il meccanismo di garanzia delineato dal Legislatore attribuisce un ruolo essenziale al rapporto fra le parti e alla logica paritaria del necessario dialogo fra pubblico e privato in fase esecutiva[24].

Dialettica, questa, probabilmente ancora poco praticabile nella prassi di una Amministrazione Pubblica che, incassando i colpi di una penetrante magistratura contabile e di una pervasiva lotta anticorruzione, difende strenuamente i basilari principi a presidio dei costituzionali valori dell’efficienza e del buon andamento (art. 97 Cost.).

In ogni caso, si potrebbe configurare la realistica opportunità di attribuire anche per l’istituto in esame un ruolo dirimente alla Camera Arbitrale ANAC, quantomeno per recuperare l’effige di terzietà dei membri del Collegio.

In tale ottica, se si decida di non ritenere superflua l’introduzione del Collegio Consultivo Tecnico nell’ordinamento – presupposto dal quale muove la compagine critica degli addetti ai lavori –, è necessario abbandonare l’idea di una imprescindibile coincidenza con la logica arbitrale (in disparte il riferimento all’art. 808 ter c.p.c., introdotto con l’evidente fine di conferire certezza alle decisioni del Collegio).

La de-ritualizzazione e la de-formalizzazione cui viene sottoposta la normativa in tema di Collegio Consultivo Tecnico non costituiscono ex se la causa della scarsa adattabilità delle previsioni alla prassi degli appalti italiani. Ciò che viene censurato, di contro, è la mancata precisione delle disposizioni e la persistente omissione di aspetti cruciali per il funzionamento del comitato.

Lacune, tuttavia, facilmente colmabili, come premesso, dalla stessa Autorità di settore, alla quale, al di là della possibilità di un auspicabile ruolo attivo della Camera Arbitrale, si demanderebbe il delicato e cruciale compito di profilare una chirurgica disciplina di dettaglio.

 

5. Considerazioni finali

Alla luce delle superiori considerazioni può essere utile tracciare alcune riflessioni conclusive sulla portata ed efficacia dell’istituto.

È necessario, in primo luogo, interrogarsi sul significato profondo dello sfavore manifestato da più parti verso gli eterogenei tentativi di introdurre e dare concreto impulso applicativo a strumenti la cui finalità ultima si concreta non solo nella deflazione del contenzioso, ma anche nella velocizzazione dei processi esecutivi insiti nella contrattazione pubblica.

Nell’incessante e doveroso speculare sulla inefficacia della tecnica legislativa, si omette sovente di accentuare l’aspetto più puramente consultivo del Collegio.

Il disposto degli artt. 5 e 6 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, infatti, ci delinea il contorno di un comitato auspicabilmente permanente che, in sede di costituzione, riceve «copia dell’intera documentazione inerente al contratto» (art. 6, comma 2) e che ha facoltà di ascoltare le parti, anche in contraddittorio, e, presumibilmente (in quanto non disciplinato), di procedere on site per avere diretta contezza degli aspetti prettamente tecnici.

Peraltro, dichiarato intento del Legislatore è quello di rendere il Collegio non già un rimedio attivabile in riferimento alla singola disputa, ma un meccanismo con spiccata vocazione consultivo-preventiva, di indirizzo dei rapporti fra committenza ed appaltatore.

Non un incomprensibile patchwork degli elementi essenziali degli altri meccanismi deflattivi previsti dal Codice dei Contratti, bensì un vero e proprio organo assistenziale delle parti, una sorta di collegio di probiviri dell’esecuzione contrattuale, di “autodichia” della stessa (con tutte le conseguenze – se ne ha piena coscienza – che l’utilizzo di tale espressione comporta).

Soprattutto intervenendo (a differenza degli altri istituti stragiudiziali) prima che le criticità si acuiscano e diventino forieri di ulteriori danni legati all’anomalo andamento della commessa.

Del resto, quanto alla fortuna dei sistemi alternativi al ricorso giurisdizionale v’è da considerare che, se il legislatore indugia sovente in una tecnica redazionale poco incisiva e puntuale – quando non decide ab origine di dare spazio limitatissimo a siffatte previsioni – la fumosità della lettera della legge più che una causa costituisce la mancata soluzione all’inveterata preferenza degli operatori per i farraginosi rimedi giurisdizionali.

Certamente, il nostro è un ordinamento fortemente giurisdizionale, che grande importanza attribuisce alla pronuncia giudiziale dal punto di vista della certezza del diritto e della legalità dei procedimenti decisionali[25].

Cionondimeno, è manifesto che il mondo della contrattualistica pubblica è pervaso dal metus della componenda[26] pubblico-privata, dal timore che, nel generale clima di polizia anticorruzione, qualunque forma di “incontro” fra l’autorità pubblica e l’interesse del privato possa essere sottoposto all’impietosa lente di ingrandimento della magistratura.

Timore, più che cautela, generante una politica del diritto tranciante che emargina gli istituti ritenuti a rischio, evitando di legare la legittimità delle procedure di gara e della conseguente esecuzione a strumenti che comportino il connubio pubblico-privato[27].

Il “fantasma” della trasparenza “ad ogni costo” rende di fatto ancora impraticabile quel dialogo necessario fra committente ed appaltatore, percorribile strada attraverso la quale possa concretizzarsi la piena attuabilità dei principi di efficienza e buon andamento della P.A.[28].

Eppure, nella rubrica del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 le intenzioni programmatiche sono più che entusiastiche. Rilancio, accelerazione, semplificazione del sistema Italia le parole chiave, con cui la rigidità della fredda teca di cristallo della trasparenza tout court e la scarsa flessibilità di un apparato monadico stridono non poco.

Affinché tale opportunità si concretizzi quanto all’istituto che qui interessa, occorre fare appello ad una tecnica legislativa estremamente puntuale, che tenga conto di tutte le variabili del caso e che delimiti in maniera chirurgica i labili confini rispetto agli altri strumenti ADR.

Flessibilità, mancato irrigidimento, duttilità del dettato normativo non devono essere sinonimi di fumosità redazionale, ma strumento di adattabilità alle circostanze esecutive, le più eterogenee.

Su tale percorso sembra essersi avviato il Legislatore, posto che l’analiticità dell’attuale disciplina segna, senza dubbio, una soluzione di continuità rispetto alla minor puntualità delle formulazioni precedenti.

In disparte ciò e alla luce delle critiche da più parti mosse al Collegio ex se, l’impressione è che non si avverta, sia a livello istituzionale che degli operatori, l’esigenza di dare concreta attuazione allo strumento de quo. Manca, in altri termini, la pars construens di un gioco di distruzione letterale e finalistica di un istituto ritenuto, evidentemente, poco dirimente nello scacchiere della contrattualistica pubblica italiana contemporanea.

In definitiva, nella piena presa di coscienza di tutti gli aspetti problematici dell’istituto, sia dal punto di vista legislativo che della prassi, il Collegio Consultivo Tecnico sembra configurarsi quale ennesimo tentativo di scioglimento del rigido formalismo dietro il quale la Pubblica Amministrazione sovente trincera il principio di legalità, correndo il rischio di trasformare la “casa di vetro[29] in una gabbia dorata.

Ciò senza comprendere fino in fondo come l’ordinamento italiano non possa non prendere atto, all’interno del sistema globale dei contratti pubblici, che le teorie della negotiation (della quale il partenariato pubblico-privato e la mediation costituiscono diretto precipitato) siano ormai strumenti imprescindibili anche per le Pubbliche Amministrazioni[30].


[1] Il tracciato discontinuo della sua vigenza prende le mosse dall’introduzione avvenuta ad opera del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”), passa attraverso una subitanea abrogazione ad opera del D. Lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (Decreto cd. “Correttivo”), per poi giungere ad una rinnovata disciplina delineata dal Legislatore con il D.L. 18 aprile 2019, n. 32 (Decreto cd. “Sblocca Cantieri”), convertito con modificazioni dalla L. 14 giugno 2019, n. 55.

Da ultimo, in un contesto normativo che aveva già favorito intense speculazioni sulla portata delle alterne vicende legislative dell’istituto, il D.L. 16 luglio 2020, n. 76 (Decreto cd. “Semplificazioni”), convertito in L. 120/20, ha inciso sensibilmente sulla relativa disciplina, introducendo importanti modificazioni all’assetto regolamentare previgente.

[2]  Cfr. art. 6, comma 2, D.L. n. 76/20.

[3]  Ibidem, comma 3.

[4] Per una ricognizione su disciplina e prospettive del Collegio Consultivo Tecnico, con riferimento alle previgenti disposizioni, sia consentito rinviare, ex multis, a: D’OTTAVI L., Il Collegio Consultivo Tecnico previsto dall’art. 207 del nuovo Codice dei Contratti pubblici: verso un nuovo approccio alla mediazione nella contrattualistica delle P.A., Il nuovo Diritto Amministrativo, 2016, 6, 105 e ss.; CARBONE P., L’“inopinata” resurrezione del collegio consultivo tecnico, Rivista trimestrale degli appalti, 2019, 4, 1135 e ss.

[5] CARBONE P., cit.

[6] CARBONE P., cit., ove, relativamente all’art. 1, commi 11-14, D.L. 18 aprile 2019, n. 32, si riporta una considerazione sull’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto ai settori speciali, non espressamente menzionati nella norma, ma nemmeno esclusi (cfr., in particolare, il richiamo al combinato disposto degli artt. 114 e 207, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50).

[7] In sede di prima applicazione dello strumento le stazioni appaltanti si sono interrogate sulla perentorietà del termine indicato dalla legge anche prima dell’intervenuta conversione. In assenza di sanzioni sembrerebbe prevalere la natura ordinatoria della tempistica indicata dal legislatore. È appena il caso di sottolineare che la previsione sull’operatività dell’istituto anche per i contratti pendenti potrebbe ingenerare nella prassi qualche incertezza applicativa, anche alla luce delle stringenti tempistiche imposte dalla norma e della non facile interpretazione della littera legis (peraltro, come si avrà modo di evidenziare infra, connotata, quanto all’istituto in oggetto, da una ormai tipica fumosità).

[8] Comunque in soluzione di continuità rispetto alle previgenti disposizioni espressamente abrogate dal comma 9 del menzionato art. 6.

[9] CARBONE P., cit., ove si pone in rilievo la scarsa completezza della norma di cui al Decreto cd. Sblocca Cantieri, la quale mancava di disciplinare le ipotesi di disapprovazione in merito alla scelta di uno dei membri ovvero di defezione di questi (con la conseguente necessità di individuare il soggetto dotato di poteri sostitutivi di nomina). L’Autore, peraltro, si sofferma sul significato dell’espressione “approvazione” di cui al comma 12, ritenendola “maggiormente conciliabile con l’ipotesi in cui ciascuna parte designi un componente” rispetto al caso in cui le parti nominino tutti i componenti. Ciò alla luce della sua qualificazione come negozio unilaterale e non come dichiarazione di volontà (“l’approvazione è realmente riferita ad un negozio altrui che acquista efficacia nei confronti dell’approvante solo per effetto di tale approvazione”).

[10] Cfr. art. 6, comma 2 del Decreto; cfr. i previgenti artt. 207, comma 2 del Codice e 1, comma 12 del D.L. 18 aprile 2019, n. 32.

[11]  Almeno dieci anni nella versione convertita dalla L. 120/20.

[12]  La questione non è di poco momento avuto riguardo alla natura fiduciaria dei professionisti rispetto a quell’orientamento nazionale volto a ricomprendere la necessità delle procedure di evidenza pubblica rispetto alla scelta dei consulenti esterni. La questione riguarda anche i compensi sia in riferimento al principio di omnicomprensività della retribuzione dei professionisti interni alle stazioni appaltanti che in relazione al parametro rappresentato dalle liquidazioni dei consulenti di parte esterni. Peraltro, si è deciso di non reintrodurre la previsione di cui all’art. 207, comma 2, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 relativa al tetto massimo di euro 100.000,00 per il compenso spettante al Collegio, individuato con rinvio alla normativa di cui all’art. 209, comma 16.

[13] Stabilisce il comma 7 del Decreto che «In caso di ritardo nell'assunzione delle determinazioni è prevista una decurtazione del compenso stabilito in base al primo periodo da un decimo a un terzo, per ogni ritardo»; cfr. anche le previsioni interdittive di cui al successivo comma 8.

[14] CARBONE P., cit.

[15] Vale la pena a questo punto osservare che, proprio con riferimento alla centrale tematica contabile, il Legislatore, per mezzo della Relazione Tecnica del Decreto, precisa che «le disposizioni introdotte dall’articolo non determinano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica perché i compensi dei membri del Collegio sono computati all’interno del quadro economico dell’opera».

[16] Cfr. D’OTTAVI L., cit., in cui, con riferimento all’art. 207, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, si riteneva quantomeno opportuna una indicazione di siffatto tenore.

[17] Le prime manifestazioni in tal senso sono pervenute da parte dell’Autorità di Settore che, in occasione dell’audizione presso le Commissioni riunite 8^ Lavori pubblici, comunicazioni e 1^ Affari costituzionali del Senato della Repubblica, ha fornito alcune osservazioni di dettaglio sulle disposizioni contenute nel Decreto. In particolare, l’ANAC rileva che il Collegio costituto con le finalità predette «si sovrappone all’amministrazione ordinaria, come una sorta di “amministrazione parallela” con rilevanti poteri di condizionamento delle scelte della stazione appaltante, poteri che sono affidati a soggetti non reclutati come pubblici funzionari e non in grado di garantire la necessaria imparzialità».

Le perplessità dell’Autorità – peraltro, estese all’istituto nel suo complesso sin dalla sua originaria introduzione – si legano all’evidenza che il Collegio costituito in fase pre-esecutiva con i compiti di cui al predetto comma 5 opererà nella sfera non già dei rapporti convenzionali fra le parti, ove sono in gioco diritti soggettivi (fase esecutiva), bensì in quella pubblicistica che coinvolge anche interessi legittimi usualmente sottratti alla libera disponibilità delle parti.

[18] Per una ricognizione comparatistica sui sistemi ADR negli appalti pubblici v. PADOVAN M., In merito al Collegio Consultivo Tecnico, alcuni spunti comparatistici, Rivista Trimestrale degli appalti, 2017, 1, 5 e ss.

[19] Per il progetto Eisenhower Tunnel, in Colorado. Cfr., PADOVAN M., cit.

[20] È interessante osservare come la tematica dell’enforcement delle decisioni assunte da un organismo ADR sia quanto mai attuale e, soprattutto, connaturata al funzionamento dei meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie, in qualunque settore essi operino e indipendentemente dall’oggetto delle relative determinazioni. A mero titolo esemplificativo, si potrebbe fare riferimento alle funzioni dell’Arbitro Bancario Finanziario, sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie di modesta entità (fino ad euro 100.000,00; cd. small claims) insorgenti fra banche e intermediari finanziari e clienti in materia di servizi bancari e finanziari, incardinato quanto alla sola struttura tecnico-organizzativa presso la Banca d’Italia, ma pienamente indipendente e terzo rispetto alle parti. Ebbene, le decisioni dei singoli Collegi Arbitrali non sono dotate di efficacia esecutiva. L’unico meccanismo di coazione all’adempimento delle prescrizioni contenute nelle decisioni si concretizza nell’effetto indiretto prodotto da una sanzione reputazionale consistente nella pubblicazione online dell’elenco degli intermediari inadempienti, con l’allegazione del testo della decisione non ottemperata. Tale spunto induce a riflettere sulle criticità legate all’effettivo rispetto delle prescrizioni adottate all’esito di un procedimento di risoluzione delle controversie che non sia giurisdizionale e alla crucialità della previsione di meccanismi di disincentivazione all’inadempimento.

[21] Per l’analisi di tali aspetti si rimanda, ex multis, a PETTERSON L., HIGGS N., Dispute Boards, The Guide to Construction Arbitration – Third Edition, 2019, disponibile su https://globalarbitrationreview.com/chapter/1209105/dispute-boards#footnote-011, ove, peraltro, si considera il richiamo alla disciplina dell’arbitrato quasi come un elemento connaturale ad un istituto (Dispute Board) deliberatamente più irrituale: “It is advisable, even where the rules or member’s agreement do not expressly provide for this, that a member or prospective member apply the same rules of disclosure regarding any possible conflicts of interest as it would when acting as an arbitrator”; DEDEZADE T., Are ‘binding’ DAB decisions enforceable?, Construction Law international, 2011, 6(3), disponibile su http://corbett.co.uk/wp-content/uploads/Fidic-are-binding-decisions-enforceable.pdf.

[22] Cfr. dichiarazione del Presidente dell’ANAC in audizione presso la VIII Commissione (Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici) della Camera dei Deputati in data 11 giugno 2019 , relativamente alla normativa introdotta con il Decreto cd. Sblocca Cantieri e riprendendo le considerazioni già riferite nel 2016 sulla previsione del Collegio Consultivo Tecnico di cui all’art. 207, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

[23] Secondo il Consiglio di Stato “L’art.  207, al fine di razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, introduce l’istituto del collegio consultivo tecnico, con lo scopo di prevenire le controversie che potrebbero sorgere in sede di esecuzione del contratto ed in particolare con “funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle dispute di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto” (comma 1).  Così definito, il presupposto non risulta espresso in modo chiaro, non essendo agevolmente definibili i casi di dispute (espressione atecnica) che si prevede possano nascere. La norma, in particolare, non chiarisce se ricorso al collegio consultivo costituisca un sistema alternativo all’accordo bonario e come i due istituti si rapportino tra loro. Infine tale previsione potrebbe influire sui compiti della Camera arbitrale e pone problemi di compatibilità con il criterio di delega di cui alla lett. aaa), art. 1 n. l. 11/2016. Alla luce di tali profili di criticità si propone la soppressione della norma” (Consiglio di Stato, Comm. Spec.,1° aprile 2016, parere n. 855).

[24] Il riferimento alla logica del consenso e al tentativo di predisporre un meccanismo che abbia contemporaneamente vocazione consultiva, preventiva e altamente tecnica fa sorgere una riflessione che esorbita dall’oggetto del presente contributo, ma che offre uno spunto sul ripensamento dei concetti di “garanzia”, “terzietà” e “fiducia” all’interno del mondo pubblicistico. Tali concetti, infatti, sono al centro dell’intenso dibattito sorto in seno al fenomeno della blockchain, tecnologia che permette di iscrivere in una piattaforma digitale il consenso prestato da più soggetti operanti nella rete relativamente alle singole transazioni da loro stessi autorizzate. L’ideologia trustless alla base di tale sistema digitale ci offre la possibilità di accennare ad una riflessione parallela relativa al Collegio Consultivo Tecnico: può, in un sistema pubblicistico e, più nel dettaglio, all’interno della disciplina della contrattualistica pubblica, trovare spazio un istituto giuridico (magari ADR) che, di fatto, porti il paradigma prettamente privatistico dell’accordo fra le parti a sostituirsi ai sistemi pubblicistici a presidio dei principi di indipendenza, efficienza e par condicio? Il dibattito è più che mai attuale e aperto, neppure sintetizzabile in questa sede, ma si ritiene che possa essere fortemente connesso alle riflessioni in tema di effettiva utilizzabilità dello strumento del Collegio Consultivo Tecnico. Della ormai sempre più nutrita dottrina sul tema, si richiamano gli essenziali riferimenti per l’inquadramento ontologico del fenomeno blockchain-smart contract: CAPACCIOLI S., Smart contract. Traiettoria di un’utopia divenuta attuabile, Ciberspazio e diritto, vol. 17 n. 55 (1/2 – 2016), pp. 25-45; SWAN M., Blockchain: Blueprint for a new economy, O’Reilly, Sebastopol, 2015; SZABO N., Smart contracts: Building blocks for digital markets, Extropy n.16/1996, disponibile su http://www.fon.hum.uva.nl/rob/Courses/InformationInSpeech/CDROM/Literature/LOTwinterschool2006/szabo.best.vwh.net/smart_contracts_2.html.

[25] Così FRANCONIERO F., ne Il Collegio Consultivo Tecnico ex art. 207 del D.lgs. 50/16: verso un nuovo approccio alla mediazione dedicata nei contratti pubblici, 4 agosto 2016, disponibile su www.italiappalti.it, con riferimento alle critiche mosse all’allora art. 207 del Codice: “probabilmente confermano la bontà dell’istituto e la sensazione che i veri nodi che imbrigliano la complessa tematica del contenzioso in materia di contratti pubblici non siano tanto la correttezza o meno degli istituti stragiudiziali ma la generale sfiducia (motivata rispetto alle esperienze nazionali passate) verso gli strumenti di tutela alternativa alla giurisdizione, per ciò solo flessibili nella loro definizione”.

[26] CAMILLERI A., La bolla di componenda, Sellerio, Palermo, 1993. L’Autore, ripercorrendo la storia di questo peculiare termine, ne delinea il significato di compromesso atto a sanare un contenzioso fra parti, connotato da un velo di sospetta illegalità e di fumosità degli intenti.

[27] Talvolta dimenticando che la cooperazione pubblico-privato (e di converso anche le modalità di risoluzione di possibili controversie) rappresentano un’indicazione di fonte sovraordinata promanando dallo stesso diritto comunitario.

[28] Cfr. le condivisibili considerazioni nel saggio di F. CINTIOLI, Per qualche gara in più: Il labirinto degli appalti pubblici e la ripresa economica, Rubbettino Editore, 2020.

[29]Dove un superiore pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro”, TURATI F., Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, sess. 1904-1908, 17 giugno 1908, p. 22962.

[30] Del resto, un indice della domanda di strumenti alternativi (anche per recuperare l’abolizione de facto dell’istituto arbitrale nell’ordinamento italiano) può essere desunto dal sovente ricorso, da parte degli appaltatori, allo strumento di accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c. con funzione anche conciliativa, all’interno dei quali alcuni giudici togati non rinvengono profili di inammissibilità rispetto ai tipici strumenti previsti per i contratti pubblici. Questo conferma l’esigenza sempre più imprescindibile di promuovere le best practices internazionali attraverso la sistematizzazione del Collegio Consultivo Tecnico, istituto che non è comunque inibito nella scelta negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, ma che potrebbe essere meglio garantito e promosso attraverso un’opportuna attività di adozione di linee guida da parte dell’ANAC. Peraltro, in un momento in cui il sistema giudiziario appare ingessato a motivo dell’emergenza sanitaria, il ricorso a tale strumento permetterebbe lo svolgimento di accertamenti tecnici anche attraverso l’ausilio di modalità telematiche e senza incidere sull’ordinamento processuale ordinario.