Cons. Stato, sez. V, 19 agosto 2020, n. 5097

É rilevante e non manifestamente infondata la questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2, Cost., dell’art. 1, comma 1, lett. iii), l. 28 gennaio 2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea, di affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle professionalità, prevendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house di cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8857 del 2019, proposto da 
A2A Illuminazione Pubblica s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Flavio Iacovone, Bernardo Giorgio Mattarella e Francesco Sciaudone, con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, via Pinciana, n. 25;

contro

ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata ope legis, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 

nei confronti

Comune di Cassano D’Adda, Utilitalia non costituiti in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione prima, n. 9309/2019, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 25 giugno 2020, tenutasi con le modalità previste dall’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il consigliere Fabio Franconiero e uditi da remoto per le parti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, gli avvocati Iacovone, Mattarella, Sciaudone e l’avvocato dello Stato Pluchino;

Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La A2A Illuminazione Pubblica s.r.l., società facente parte del Gruppo A2A, gestore di impianti d’illuminazione pubblica, artistica, semaforica e lampade votive, operante nei territori dei comuni di Milano, Brescia, Bergamo, Cassano d’Adda, Stradella, Pieve Emanuele e San Giuliano Milanese, chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’annullamento delle Linee Guida A.NA.C. n. 11 (approvate con deliberazione n. 614 del 4 luglio 2018 e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 178 del 2 agosto 2018), recanti «Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’art. 11, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici o provati titolati di concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ed evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea» (d’ora in avanti anche solo Linee Guida n. 11); con successivi motivi aggiunti al ricorso originario era impugnato l’Atto di segnalazione A.NA.C. n. 4 del 17 ottobre 2018 «Concernente la verifica degli affidamenti dei concessionari ai sensi dell’art.177 del D.lgs. n. 50/2016 e adempimenti dei concessionari autostradali ai sensi dell’art. 178 del medesimo codice». 

La ricorrente lamentava l’illegittimità delle Linee Guida n. 11: per violazione dell’art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, sviamento ed eccesso di potere e difetto di competenza, a causa dell’«occupazione di spazi di regolazione non autorizzati dalla fonte primaria», relativi all’adeguamento delle concessioni in essere a quanto previsto dai commi 1 e 2 della medesima disposizione; per l’introduzione di un obbligo generalizzato di esternalizzazione e il divieto per i concessionari di esecuzione diretta dei lavori e servizi; per la mancata esclusione dal suo ambito di applicazione dei concessionari operanti nei settori speciali; per violazione delle Direttive e dei principi europei a tutela degli investimenti; per la mancata esclusione dal suo ambito di applicazione concessionari di servizi pubblici locali titolari di affidamento precedenti al 31 dicembre 2004 e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 34, comma 22, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese; convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221).

In via subordinata prospettava l’illegittimità costituzionale delle Linee Guida n. 11 e dell’art. 177 del D. Lgs. n. 50 del 2016 in relazione agli artt. 76, 11, 117, 97 e 3 Cost., anche con riferimento alla violazione dell’art. 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea), dell’art. 14, commi 24-bise ss. della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), dell’art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2016, n. 11, di delega per l’attuazione delle direttive europee in materia di contratti pubblici e dell’art. 2 della Direttiva 2014/23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, oltre che dei principi europei di tutela degli investimenti; ed ancora, quanto all’obbligo di esternazione delle attività svolte, per violazione degli artt. 41 e 97 della Costituzione, violazione dei principi di certezza del diritto, irretroattività della norma e proporzionalità.

2. L’adito tribunale amministrativo con la sentenza segnata in epigrafe, nella resistenza dell’A.NA.C. e con l’intervento ad adiuvandumdi Utilitalia (Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua, ambiente, energia elettrica, gas e telecomunicazioni), in accoglimento dell’eccezione preliminare sollevata dalla difesa erariale, dichiarava inammissibile il ricorso ed i motivi aggiunti per carenza di immediata e concreta lesività degli atti impugnati.

Dopo aver premesso che le Linee Guida impugnate erano state emanate in attuazione del sopra citato art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, il giudice di primo grado evidenziava che il potere dell’A.NA.C. di emanare direttive in materia doveva intendersi limitato alla sola individuazione delle modalità di verifica e calcolo delle percentuali di esternalizzazioni imposte dal comma 1 della medesima disposizione, senza poter estendersi all’emanazione di direttive interpretative di quest’ultimo comma o riguardanti l’ammontare della sanzioni; di conseguenza la parte I delle Linee Guida, «deputata a delimitare l’ambito oggettivo e soggettivo nonché l’ambito temporale di applicazione delle nuove percentuali di esternalizzazione», poteva considerarsi espressione del potere regolatorio attribuito all’ANAC non già ai sensi dell’art. 177, comma 3, ma dell’art. 213, comma 2, del medesimo codice dei contratti pubblici, ovvero di linee guida non vincolanti, come tali prive di «una portata lesiva, assolvendo allo scopo, al pari delle circolari interpretative, di supportare l’amministrazione e favorire comportamenti omogenei».

Identica carenza di carattere lesivo il giudice di primo grado riconosceva anche alla parte II delle Linee guida n. 11 - benché autoqualificata come vincolante e recante la specificazione di taluni obblighi in capo al concedente e ai concessionari anche in relazione alla pubblicazione di dati riguardanti la concessione – sul rilievo che la lesione della posizione giuridica dei concessionari sarebbe derivata non già immediatamente dalle mere prescrizioni in esse contenute, quanto piuttosto dal successivo atto applicativo di contestazione dell’esistenza di una “situazione di squilibrio”, all’esito della prima verifica annuale successivo alla scadenza del termine per l’adeguamento alle previsioni dell’art. 177, comma 3, del D. Lgs. n. 50 del 2016.

Uguale carenza di lesione concreta ed attuale era riconosciuto anche all’atto impugnato con i motivi aggiunti, trattandosi di un generico invito rivolto agli enti concedenti a collaborare per assicurare il rispetto degli obblighi nascenti dalla disposizioni e nel raccogliere i dati necessari.

3. Con rituale e tempestivo atto di appello A2A Illuminazione Pubblica s.r.l. ha chiesto la riforma di tale sentenza, deducendo l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di tre ordini di motivi.

Con il primo, denunciando «Error in iudicando. Illogicità e contraddittorietà della motivazione», ha rilevato che, pur avendo correttamente premesso che il potere dell’A.NA.C. doveva ritenersi limitato alla sola individuazione delle modalità di verifica e di calcolo delle percentuali di esternalizzazione imposte dall’art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, e che conseguentemente la parte I delle Linee Guida n. 11 non costituiva espressione del potere regolatorio dell’Autorità e non aveva pertanto portata immediatamente lesiva, nondimeno contraddittoriamente il tribunale aveva escluso il carattere lesivo anche della parte II delle Linee Guida, espressamente qualificata di natura vincolante, ritenendo che la lesività fosse da riconoscere solo ai successivi atti sanzionatori adottati nei confronti dei concessionari per situazioni di squilibrio.

Secondo l’appellante, invece, innanzitutto non poteva negarsi che anche le indicazioni contenute nella parte I delle Linee Guida (laddove - punto 2.1. - prevedeva l’applicazione dell’art. 177 del D.lgs. n. 50 del 2016, non già ai soli contratti affidati all’esterno, ma a tutte le attività rientranti nelle concessione, vietandone l’esecuzione diretta se non nella limitatissima misura del 20% e laddove – punto 1.4. – conteneva l’indicazione delle fattispecie di esclusione) erano immediatamente lesive; quanto poi alle indicazioni contenute nella parte II, eccedevano l’ambito di intervento previsto dal comma 3 del medesimo art. 177 quelle concernenti le modalità di calcolo delle penali da applicare in caso di squilibrio rispetto ai limiti percentuali, gli obblighi di pubblicazione e le modalità di verifica delle quote percentuali indicate dall’art. 177 del D. Lgs, n. 50 del 2016, con conseguente illegittimità delle Linee Guida nel loro complesso per mancanza di base normativa.

Secondo A2A Illuminazione Pubblica il tribunale avrebbe pertanto errato nel ritenere le Linee Guida prive di immediata lesività e non immediatamente impugnabili, malgrado l’irragionevole alternativa da esse posta a carico dei concessionari: il rispetto delle stesse, con immediati effetti negativi sui loro processi produttivi a causa della massiccia esternalizzazione di attività, foriera di gravi conseguenze anche sotto il profilo sociale; oppure il loro mancato rispetto, col rischio di subire la sanzione. Sotto quest’ultimo profilo – ha aggiunto l’appellante - si trarrebbe conferma dell’immediata lesività delle Linee Guida n. 11 che, lungi dall’essere atto meramente interpretativo, esplicano effetti lesivi diretti e immediati sui concessionari.

Carattere di immediata e diretta lesività, secondo A2A Illuminazione Pubblica, doveva riconoscersi anche all’Atto di segnalazione dell’A.NA.C., impugnato con i motivi aggiunti, col quale veniva ribadito l’obbligo di applicazione generalizzato delle Linee Guida n. 11 e dell’art. 177, comma 3, del D. Lgs. n. 50 del 2016, e riaffermato il potere/dovere di verifica su tutti i concessionari e di applicazione delle sanzioni in caso di inosservanza dei limiti percentuali di cui al comma 1 del medesimo art. 177.

Con il secondo, rubricato «A. Illegittimità delle Linee Guida 11», sono state riproposte le censure sollevate col ricorso ed i motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado a causa della declaratoria di inammissibilità e cioè: «I. Illegittimità delle Linee Guida 11, per violazione dell’art. 177, co. 3 – Sviamento ed eccesso di potere – Difetto di competenze»; «II. Illegittimità delle Linee Guida 11, per l’introduzione di un obbligo generalizzato di esternalizzazione e divieto di esecuzione diretta per i Concessionari – Violazione dell’art. 177 – Necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata»; «III. Illegittimità delle Linee Guida 11 – Mancata esclusione dei concessionari attivi nei settori speciali – Violazione dell’art. 177, delle Direttive e dei principi europei a tutela degli investimenti»; «IV. Illegittimità delle Linee Guida 11 – Mancata esclusione dei concessionari titolari di affidamenti antecedenti al 31 dicembre 2004 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 34, comma 22 del D. Lgs. n. 179/2012».

Con il terzo, intitolato «B. Illegittimità costituzionale delle Linee Guida 11 e dell’art. 177», sono stati prospettati anche i dubbi di legittimità costituzionale delle basi normative delle Linee Guida [art. 177 del D. Lgs. n. 50 del 2016 e art. 1, lett. iii) della legge delega n. 11 del 2016], così articolati: «V. Sulla violazione degli artt. 76, 11, 117, 97 e 4 della Costituzione anche con riferimento alla violazione degli artt. 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, dell’art. 14, commi 24 bis e ss. della legge 28 novembre 2005 n. 245, art. 1, comma 1, legge 11/2006 e dell’art. 2 della Dir. 2014/23 nonché dei principi europei di tutela degli investimenti»; «VI. Sull’obbligo di esternalizzazione delle attività. Violazione artt. 41 e 97 della Costituzione. Violazione del principio di certezza del diritto. Violazione del principio di irretroattività della norma. Violazione del principio di proporzionalità». 

4. Ha resistito al gravame l’A.NA.C. che ne ha chiesto il rigetto per inammissibilità ed infondatezza.

5. All’udienza pubblica del 25 giugno 2020, tenuta da remoto ai sensi del comma 6 dell’art. 84 del d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020, sentiti gli avvocati, come in epigrafe segnati, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 28 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione. 

DIRITTO

6. Ai fini della decisione occorre premettere quanto segue.

6.1. La legge 28 gennaio 2016, 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) ha delegato il Governo «…ad adottare, entro il 18 aprile 2016, un decreto legislativo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, rispettivamente sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, di seguito denominato «decreto di recepimento delle direttive», nonché, entro il 31 luglio 2016, un decreto legislativo per il riordino complessivo della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di seguito denominato «decreto di riordino», ferma restando la facoltà per il Governo di adottare entro il 18 aprile 2016 un unico decreto legislativo per le materie di cui al presente alinea, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, e dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici, tenendo conto delle migliori pratiche adottate in altri Paesi dell’Unione europea (art. 1, comma 1):…iii) obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici già esistenti o di nuova aggiudicazione, di affidare una quota pari all’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica, stabilendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house per i soggetti pubblici ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato, nonché modalità di verifica del rispetto di tali previsioni affidate anche all’ANAC, introducendo clausole sociali per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità e prevedendo, per le concessioni già in essere, un periodo transitorio di adeguamento non superiore a ventiquattro mesi ed escludendo dal predetto obbligo unicamente le concessioni in essere o di nuova aggiudicazione affidate con la formula della finanza di progetto e le concessioni in essere o di nuova aggiudicazione affidate con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea per le quali continuano comunque ad applicarsi le disposizioni in materia di affidamento di contratti di appalto vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge» [art. 1, comma 1, lett. iii)].

6.2. In attuazione di tali deleghe è stato emanato il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, Codice dei contratti pubblici, successivamente modificato ed integrato dal decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56.

6.2.1. In particolare, in attuazione del ricordato criterio di delega sub iii), l’art.177, nel testo originario, ha stabilito quanto segue:

«1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all’articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

2. Le concessioni di cui al comma 1 già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice.

3. La verifica del rispetto dei limiti di cui al comma 1, pari all’ottanta per cento, da parte dei soggetti preposti e dell’ANAC viene effettuata annualmente, secondo le modalità indicate dall’ANAC stessa in apposite linee guida, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Eventuali situazioni di squilibrio rispetto ai limiti indicati devono essere riequilibrate entro l’anno successivo. Nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi, il concedente applica una penale in misura pari al 10 per cento dell’importo complessivo dei lavori, servizi o forniture che avrebbero dovuto essere affidati con procedura ad evidenza pubblica».

6.2.2. Il predetto art. 177 è stato oggetto di una pluralità di interventi di modifica ed integrazione (artt. 1, comma 568, lett. a) e lett. b) della legge 27 dicembre 27 dicembre 2017, n. 205; art. 1, comma 20, lett. bb) del decreto legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14 giugno 2019, n. 55; art. 1, comma 9 bis del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8). Attualmente esso è del presente tenore:

«1. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all'articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Per i titolari di concessioni autostradali, ferme restando le altre disposizioni del presente comma, la quota di cui al primo periodo è pari al sessanta per cento.

2. Le concessioni di cui al comma 1 già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro il 31 dicembre 2021. Le concessioni di cui al comma 1, terzo periodo, già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro il 31 dicembre 2020. 

3. La verifica del rispetto dei limiti di cui al comma 1 da parte dei soggetti preposti e dell’ANAC viene effettuata annualmente, secondo le modalità indicate dall’ANAC stessa in apposite linee guida, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Eventuali situazioni di squilibrio rispetto ai limiti indicati devono essere riequilibrate entro l’anno successivo. Nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi, il concedente applica una penale in misura pari al 10 per cento dell’importo complessivo dei lavori, servizi o forniture che avrebbero dovuto essere affidati con procedura ad evidenza pubblica».

6.2.3. E stato evidenziato (parere Cons. Stato, comm. Spec., n. 1582 del 20 giugno 2018) che si tratta di una disposizione «estranea al perimetro delle direttive UE 23, 24 e 25/2014, diretta ai concessionari in quanto tali, a prescindere dalla loro natura pubblica o privata, la cui ratio evidentemente risiede nella volontà del legislatore di restituire, a valle, parte della concorrenza “per il mercato” mancata a monte, secondo uno schema che ovviamente ha ad oggetto, in quota parte, le prestazioni relative alle concessioni a suo tempo affidate direttamente…»; in tal modo il legislatore ha quindi inteso adeguare «…seppure in via mediata e indiretta, l’originario rapporto concessorio alla “concorrenza per il mercato”, fatto proprio…per il tramite del recepimento della direttiva 2014/23/UE e soprattutto dei principi generali della Costituzione e del Trattato in modo da garantire al mercato quelle quote di lavori, servizi e forniture per lungo tempo affidate senza l’uso di procedure ad evidenza pubblica, atteso il regime previgente al codice, al riparo dalla competizione, senza con ciò incidere sull’esistenza e a durata dell’originaria concessione, in una logica che può dirsi riequilibratrice e non sanzionatorie».

E’ da aggiungere peraltro che, come pure evidenziato nel citato parere, una norma analoga era contenuta anche nel precedente codice del contratti (D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163) per i concessionari stradali (art. 253, comma 25; identica ratioispirava anche l’art. 146 quanto ai concessionari di lavori pubblici), anch’essa da considerarsi espressiva della preoccupazione del legislatore che nelle concessioni, tanto più se affidate senza gara, possa determinarsi una sostanziale situazione di monopolio della domanda in grado di alterare la concorrenza con aumento dei costi per la gestione della concessione stesse e traslazione dei relativi oneri sugli utenti e contribuenti.

A base delle disposizioni di legge ora richiamate si pone la considerazione che negli affidamenti senza gara il concessionario possa dunque sterilizzare il «rischio operativo» su di esso gravante per norme di legge tipizzatrici della istituto [art. 3, comma 1, lett. uu) e vv); rispettivamente per le concessioni di lavori e per le concessioni di servizi].

6.3. L’A.N.A.C. ha dato applicazione alla previsione del terzo comma dell’art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, come successivamente modificato ed integrato, approvando con deliberazione n. 614 del 4 luglio 2018 le Linee Guida n. 11.

Esse sono articolate in due parti: la parte I, di natura dichiaratamente interpretativa, resa ai sensi dell’art. 213, comma 2, del codice dei contratti pubblici, al fine di favorire la corretta e omogenea applicazione della normativa, e quindi di carattere non vincolante, contiene indicazioni su «Ambito di applicazione dell’articolo 177 del codice dei contratti pubblici» (par. 1); «I contratti assoggettati alle previsioni dell’articolo 177 del codice dei contratti pubblici» (par. 2); «Ambito temporale di applicazione dell’articolo 177 del codice dei contratti pubblici» (par. 3); la parte II contiene indicazioni operative rese ai sensi dell’art. 177, comma 3 del codice dei contratti pubblici, di carattere dichiaratamente vincolante, concernenti la «Situazione di squilibrio e quantificazione della penale» (par. 4); gli «Obblighi di pubblicazione» (par. 5) e le «Attività di verifica» (par. 6). 

7. Ciò premesso, passando all’esame del primo motivo d’appello, si osserva quanto segue.

7.1. A2A Illuminazione Pubblica sostiene in sintesi innanzitutto che, diversamente da quanto erroneamente e contraddittoriamente ritenuto dal tribunale, alla apprezzata natura vincolante della parte II delle Linee Guida avrebbe dovuto conseguire l’accertamento della loro immediata lesività, per cui il ricorso sarebbe ammissibile (e analoga lesività dovendo riconoscersi all’Atto di segnalazione dell’A.NA.C., impugnato con motivi aggiunti).

Peraltro, sempre secondo la tesi dell’appellante, anche la parte I delle predette Linee Guida avrebbe natura vincolante e carattere immediatamente lesivo con riguardo al punto 2.1. (che prevede l’applicazione dell’art. 177 non già ai soli contratti affidati all’esterno, bensì a tutte le attività rientranti nelle concessioni, vietando di conseguenza l’esecuzione diretta) e al punto 1.4 (che elenca le fattispecie escluse dall’applicazione dell’art. 177).

Sotto altro concorrente profilo, per A2A Illuminazione Pubblica, le indicazioni di natura vincolante contenute nella parte II, relative alle modalità di calcolo delle penali da applicare in caso di squilibrio rispetto ai limiti percentuali, agli obblighi di pubblicazione e alle modalità di verifica delle quote percentuali indicate nell’art. 177, avrebbero ecceduto l’ambito di intervento riservato alle Linee Guida ai sensi del comma 3 della disposizione in esame. 

A detta dell’appellante il vulnusdella sua posizione giuridica deriverebbe poi direttamente dal ricordato contenuto delle Linee Guida n. 11, nella misura in cui esso impone agli enti concedenti e ai concessionari di adottare specifici comportamenti che non necessitano di ulteriori atti o provvedimenti (di individuazioni degli obblighi o di concessione di termini per l’adempimento), erroneo essendo in definitiva il rinvio operato dal giudice di primo grado al successivo atto sanzionatorio, quale atto effettivamente lesivo.

7.2. Il motivo è fondato.

7.2.1. Sebbene formalmente le Linee Guida in esame siano articolate in due parti, tuttavia esse nel complesso costituiscono dal punto di vista logico e sistematico un corpusregolatorio unico, in cui la parte I (di natura dichiaratamente interpretativa) è finalizzata ad individuare il corretto ambito di applicazione dell’art. 177, su cui sono destinate ad incidere le indicazioni contenute nella seconda parte. La descritta unicità dell’atto regolatorio impugnato fa sì che la distinzione fra la natura interpretativa e non vincolante della parte I e quella prescrittiva e vincolante della parte II receda nell’apprezzamento della portata immediata e direttamente lesiva – e quindi impugnabile in sede giurisdizionale amministrativa – delle Linee Guida nel loro complesso.

7.2.2. A tal fine deve piuttosto ricordarsi che la giurisprudenza afferma, in linea generale, che l’atto programmatorio, pianificatorio, a contenuto generale o regolamentare (categoria in cui possono annoverarsi latu sensuanche le linee guida vincolanti), non è di per sé impugnabile se non in una con l’atto applicativo che ne abbia in concreto reso attuale la lesione nella sfera giuridica di un determinato soggetto (ex multis, Cons. Stato, V, 19 luglio 2018, n. 4401; 2 febbraio 2009, n. 529; VI, 2 marzo 2015, nn. 994 e 995; 5 marzo 2015, n. 1095; 18 aprile 2013, n. 2144), ciò anche in ragione del fatto che solo a seguito di tale atto applicativo può acquisirsi la pena conoscenza e percezione della prescrizione generale pregiudizievole per l’interessato (Cons. Stato, V, 6 ottobre 2016, n. 4130). Tuttavia è stata riconosciuta l’impugnabilità degli atti anche generali o regolamentari aventi portata immediatamente prescrittiva ovvero che vincolino la successiva attività amministrativa di guisa che il successivo atto si atteggi quale atto meramente dichiarativo o ricognitivo (Cons. Stato, V, 23 aprile 2019, n. 2572).

7.2.3. Nel caso di specie, anche a voler prescindere dalla circostanza che la censura con cui l’appellante ha lamentato che con le Linee Guida in questione l’A.NA.C. avrebbe regolato in concreto aspetti non rientranti nei limiti indicati dal comma 3 dell’art. 177 sarebbe già di per sé sufficiente a rendere lesive le predette Linee Guida ed ammissibile il relativo ricorso (indipendentemente dalla sua fondatezza), in ogni caso costituiscono vincoli conformativi puntuali alla successiva attività degli enti concedenti e dei concessionari, in capo ai quali non residuano facoltà di modulazione quanto al contenuto e all’estensione, neppure sotto il profilo temporale (quest’ultimo in realtà già fissato direttamente dalla legge), le seguenti indicazioni in esse contenute:

- le modalità operative, attraverso nuove esternalizzazioni; il rinnovo con procedure di evidenza pubblica delle esternalizzazioni già avvenute a mezzo di contratto man mano che scadono; la cessazione degli affidamenti diretti a società in houseo collegate, eventualmente previo recesso, e temporali, entro l’anno successivo, per il riequilibrio delle situazioni di criticità;

- le modalità di calcolo della sanzione (sull’importo complessivo dei contratti affidati senza gara oltre i limiti percentuali consentiti dalla norma nella misura in cui lo squilibrio non sia recuperato nell’anno successivo);

- gli obblighi di pubblicazione dei dati sulle concessioni a carico degli enti concedenti e dei concessionari (in particolare, per gli enti concedenti: data della sottoscrizione del contratto; oggetto della concessione; valore stimato della concessione; stato della concessione, con indicazione delle attività svolte e delle attività residue; dati del concessionario; per i concessionari: dati ed informazioni riferiti ai contratti affidati con procedura ad evidenza pubblica; programma annuale degli affidamenti; incidenza percentuale dei contratti affidati con gara sul totale dei contratti relativi alla concessione; entità delle eventuali situazioni di squilibrio e interventi proposti per il riequilibrio, con indicazione del relativo cronoprogramma; informazioni circa i contratti affidati senza gara) e la altrettanto puntuale indicazione delle modalità di verifica delle quote di affidamento da parte degli enti concedenti.

Le indicazioni ora richiamate oltre ad essere immediatamente applicabili, senza bisogno dell’intermediazione di ulteriori provvedimenti attuativi, sono pertanto da ritenersi del pari immediatamente lesive, nella misura in cui, come sottolineato dall’appellante, pongono i concessionari di fronte all’alternativa tra l’adeguarsi ad esse o subirne le conseguenze a mezzo del successivo provvedimento applicativo della penale.

7.3. Per tutte le ragioni esposte in accoglimento del primo motivo di appello la sentenza impugnata deve essere riformata e il ricorso di primo grado della A2A Illuminazione Pubblica va dichiarato ammissibile.

8. Deve di conseguenza procedersi all’esame delle censure sollevate in primo grado col ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti ed espressamente riproposte con l’appello in trattazione.

Esse sono articolate in due autonome serie, la prima delle quali riguarda la dedotta illegittimità delle Linee Guida n. 11 (in particolare per violazione dell’art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, sviamento ed eccesso di potere, difetto di competenza; mancata esclusione dei concessionari attivi nei settori speciali, violazione delle Direttive e dei principi europei a tutela degli investimenti; mancata esclusione dei concessionari titolari di affidamenti antecedenti al 31 dicembre 2004, violazione e falsa applicazione dell’art. 34, comma 22 del D. Lgs. n. 179/2012); la seconda concernente i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 177 del D. Lgs. 50 del 2016 e dell’art. 1, lett. iii) della legge n. 18 del 2016 (per violazione degli artt. 76, 11, 117, 97 e 3 della Costituzione, anche con riferimento alla violazione degli artt. 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, dell’art. 14, commi 24-bise ss. della legge 28 novembre 2005 n. 247, art. 1, comma 1, della legge n. 11 del 2016 e dell’art. 2 della Dir. 2014/23, nonché dei principi europei di tutela degli investimenti e sull’obbligo di esternalizzazione delle attività; violazione degli artt. 41 e 97 della Costituzione, violazione dei principi di irretroattività della norma e di proporzionalità).

9. Essendo pacifico ed incontestato che le Linee Guida n. 11 sono state emanate in applicazione dell’art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, e affermata l’ammissibilità della loro immediata impugnazione, priorità logico – giuridica impone di iniziare l’esame delle censure da quelle che appuntano sotto vari profili dubbi di costituzionalità della norma di delega, di cui al sopra citato art. 1, comma 1, lett. iii) della legge n. 11 del 2016, e di quella delegata, contenuta nel medesimo art. 177.

10. Come si è già avuto modo di osservare in precedenza, la norma di delega è «estranea al perimetro delle direttive UE 23, 24 e 25/2014, diretta ai concessionari in quanto tali, a prescindere dalla loro natura pubblica o privata, la cui ratio evidentemente risiede nella volontà del legislatore di restituire, a valle, parte della concorrenza “per il mercato” mancata a monte, secondo uno schema che ovviamente ha ad oggetto, in quota parte, le prestazioni relative alle concessioni a suo tempo affidate direttamente…». Si è con essa inteso adeguare «…seppure in via mediata e indiretta, l’originario rapporto concessorio alla “concorrenza per il mercato”, fatto proprioper il tramite del recepimento della direttiva 2014/23/UE e soprattutto dei principi generali della Costituzione e del Trattato in modo da garantire al mercato quelle quote di lavori, servizi e forniture per lungo tempo affidate senza l’uso di procedure ad evidenza pubblica, atteso il regime previgente al codice, al riparo dalla competizione, senza con ciò incidere sull’esistenza e a durata dell’originaria concessione, in una logica che può dirsi riequilibriatrice e non sanzionatorie» (parere Cons. Stato, comm. Spec., n. 1582 del 5 giugno 2018).

La circostanza che tali disposizioni, per un verso, non costituiscano recepimento delle direttive comunitarie, mentre, per altro verso, rappresentino (meri) strumenti attuativi dei principi comunitari di concorrenza e di massima apertura al mercato, escludono in radice la fondatezza dei prospettati dubbi di violazione delle direttive comunitarie e più in generale dei principi comunitari.

Ciò anche con riguardo al divieto del c.d. gold plating(ex art. 32 della l. 24 dicembre 2012, n. 234, e art. 14, commi 24 bisterquaterdella l. 28 novembre 2005, n. 245), in relazione al quale possono essere richiamati i rilievi svolti dalla Corte Costituzione nella sentenza 27 maggio 2020, n. 100, secondo cui con esso si vuole impedire che siano introdotti «oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini».

Resta da aggiungere per completezza che la sopra ricordata ratiodelle norme (delegante e delegata) esclude altresì la pretesa violazione dell’articolo 43 della direttiva 2014/23, su cui ha insistito l’appellante per evidenziare che nella disciplina comunitaria tra le cause che legittimano la modifica dei contratti non è prevista quella che si ricollega all’esigenza di aprire alla concorrenza il mercato su cui incide la concessione stessa: ciò per l’intuitiva constatazione che la norma invocata presuppone che la concessione sia stata affidata a mezzo di procedura ad evidenza pubblica, il che pacificamente non è avvenuto per quella di cui alla stato risulta titolare l’appellante.

11. Posto poi che, diversamente da quanto prospettato dall’appellante, né dal criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 1, lett. iii), della legge n. 11 del 2016, né dal tenore letterale dell’art. 177 del codice dei contratti pubblici si evince che l’obbligo dei concessionari di esternalizzare l’attività complessivamente svolta abbia un qualche effetto retroattivo, resta da verificare la conformità a Costituzione dell’obbligo in questione, in particolare con gli artt. 41, 3 e 97 della Carta fondamentale.

12. Innanzitutto deve escludersi la possibilità di percorrere la pur suggestiva interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di legge ora richiamate proposta da A2A Illuminazione Pubblica. Con essa si sostiene che per escludere l’effetto di una intera (e per l’appellante devastante) dismissione della concessione affidatale si dovrebbe computare la «quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni» sulla sola parte della concessione che il suo titolare intenda effettivamente esternare. Sul punto, anche a voler prescindere dalla già decisiva considerazione che il tenore letterale della norma non lascia dubbi sull’intenzione del legislatore, è dirimente la considerazione che in tal modo la finalità perseguita dal legislatore finirebbe per essere irragionevolmente rimesso alla sola volontà del concessionario, senza che siano stati neppure vagamente indicati i criteri, oggettivi e inequivoci, cui tale volontà dovrebbe essere improntata per il rispetto degli interessi pubblici in gioco. 

Inoltre la tesi proposta dall’appellante è stata già respinta dal Consiglio di Stato in sede consultiva, in occasione sia del parere reso sul decreto correttivo al codice dei contratti pubblici (parere 30 marzo 2017, n. 782), sia di quello sulle Linee Guida n. 11 (parere 20 giugno 2018, n. 1582, più volte richiamato), in cui è stato evidenziato che quella avversata dall’appellante è l’unica interpretazione plausibile, oltre che conforme al criterio direttivo di cui alla legge delega; né sono stati evidenziati nuovi e diversi profili idonei a far rimeditare le conclusioni già così raggiunte.

13. Esclusa l’interpretazione costituzionalmente conforme, le questioni di legittimità costituzionale sollevate da A2A Illuminazione Pubblica divengono allora rilevanti nel presente giudizio, nella misura in cui le Linee Guida in esso impugnate, con specifico riguardo alla parte I, si manifestano come coerente interpretazione e diretta applicazione dell’art. 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici, a sua volta emanato in attuazione del criterio direttivo enunciato nel più volte citato art. 1, comma 1, lett. iii), della legge delega n. 11 del 2016, oltre che - in relazione all’interesse all’immediata impugnazione, positivamente sopra accertato - come presupposto per l’esercizio dei poteri di controllo e sanzionatori dell’Autorità di vigilanza di settore previsti nella parte II delle medesime Linee Guida.

13.1. Le medesime questioni di legittimità costituzionale risultano inoltre non manifestamente infondate, innanzitutto sotto il profilo della libertà di impresa sancito dall’art. 41 della Costituzione.

Si pone in particolare in tensione con la citata garanzia costituzionale l’obbligo imposto ai concessionari (titolari di concessioni di importo pari o superiore a €. 150.000, come nel caso di specie) di dismettere l’intera concessione: a terzi, mediante procedura ad evidenza pubblica, per una quota all’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alla concessione; a soggetti riconducibili al medesimo concessionario per il restante 20% (società in housedi cui all’art. 5 D. Lgs. n. 50 del 2016 per i soggetti pubblici; società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati); ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato (le indicate percentuali variano peraltro per i concessionari autostradali rispettivamente al 60% e al 40%).

Come in precedenza esposto, l’obbligo di messa a gara è giustificato sul piano logico - giuridico e su quello sistematico dall’esigenza di ripristinare la concorrenza “per il mercato” mancata in occasione dell’affidamento della concessione, avvenuto senza gara. Sennonché, attraverso una sua applicazione riferita all’intera concessione l’obbligo in questione è suscettibile di comportare uno stravolgimento degli equilibri economico – finanziari sottesi allo stesso rapporto concessorio in questione, su cui si fondano le scelte di pianificazione ed operative del concessionario/imprenditore. L’attività di quest’ultimo viene quindi ridotta a quella di una mera stazione appaltante, con l’unico compito di disciplinare ed attuare, secondo le direttive delle Linee Guida e degli enti concedenti, l’affidamento a terzi, estranei o a sé riconducibili, di quella che originariamente costituiva il propriumdell’unitaria concessione affidata dall’amministrazione.

Come inoltre plausibilmente sostenuto dall’appellante, un simile svuotamento della concessione appare foriero di una vera e propria disgregazione del sottostante compendio aziendale, con conseguente depauperamento anche del patrimonio di conoscenze tecniche e tecnologiche e di professionalità maturate dal concessionario nello svolgimento del rapporto, il quale non si pone in funzione del solo profitto privato, ma anche dell’interesse pubblico all’attuazione della concessione. 

Per tutto quanto finora esposto, l’obbligo di dismissione totalitaria previsto dalle disposizioni di legge censurate, ancorché finalizzato a sanare l’originaria violazione dei principi comunitari di libera concorrenza consumatasi in occasione dell’affidamento senza gara della concessione, si traduce per un verso in un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge all’epoca vigenti; e per altro verso va a snaturare il ruolo del privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa degli enti concedenti, rispetto alla sua funzione di soggetto proposto dall’amministrazione all’esercizio di attività di interesse pubblico.

Nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad imperativi di matrice euro-unitaria il legislatore sembra così avere totalmente pretermesso le contrapposte esigenze di tutela della libertà di impresa ai sensi del sopra citato art. 41 della Costituzione e di mantenimento della funzionalità complessiva della concessione, altre volte invece considerate in funzione limitatrice degli obblighi di dismissione a carico del concessionario senza gara (si rinvia ai sopra citati artt. 146 e 253, comma 25, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).

13.2. Le considerazioni ora svolte inducono a ritenere non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità degli artt. 1, comma 1, lett. iii), della legge delega e 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici anche con riguardo all’art. 3, comma 2, della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza.

L’obbligo di dismissione totalitaria dei lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara sembra infatti eccedere i pur ampi limiti con cui la discrezionalità legislativa può essere esercitata in riferimento al sovraordinato parametro di costituzionalità ora richiamato, a causa delle conseguenze sopra descritte. Al medesimo riguardo va aggiunto che rispetto all’integrale esecuzione della concessione è apprezzabile un affidamento del privato affidatario che non può essere ritenuto irragionevole o colpevole, tenuto conto della validità del titolo costitutivo all’epoca della sua formazione e dunque dell’inesistenza di cause – anche occulte – di contrarietà delle stesse all’ordinamento interno (cause che diversamente avrebbero potuto legittimare l’annullamento, la risoluzione o la riduzione della durata della concessione). 

La scelta legislativa, pur legittimamente orientata a rimuovere rendite di posizione, non appare pertanto equilibrata rispetto alle contrapposte e altrettanto legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività economica in corso di svolgimento, con l’inerente realizzazione degli equilibri economico – finanziari su cui erano stati pianificati i relativi investimenti; e di mantenimento delle conoscenze strategiche, tecniche e tecnologiche acquisite e la professionalità acquisite, rilevanti anche sotto il profilo dell’interesse pubblico.

Ancora sotto il profilo della ragionevolezza può essere evidenziato il fatto che l’obbligo di dismissione di cui si discute riguarda indistintamente i concessionari titolari di affidamento senza gara, indipendentemente dalla effettiva dimensione della struttura imprenditoriale che gestisce la concessione, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico e dal fatto che il contratto di concessione fosse ancora in vigore al momento dell’entrata in vigore dell’art. 177 D. Lgs. n. 50 del 2016, ovvero se la concessione fosse scaduta e che versasse in una situazione di proroga, di fatto o meno.

13.3. Per le medesime considerazioni le questioni di legittimità costituzionale appaiono non manifestamente infondate in relazione all’art. 97, comma 2, della Costituzione, dal momento che le concessioni cui si riferisce l’obbligo di dismissione totalitaria concernono servizi pubblici essenziali, evidentemente rispondenti a bisogni fondamentali della collettività ed affidati a concessionari privati per l’incapacità strutturale delle amministrazioni pubbliche di gestirli in modo efficiente ed efficace. Ciò posto la norma delegante e delegata non risultano contenere alcuna considerazione circa gli effetti di tale obbligo di dismissione sull’efficiente svolgimento di tali servizi pubblici essenziali e sulle possibili ricadute sull’utenza.

14. Alla luce delle considerazioni che precedono sono pertanto rilevanti (in ragione dell’accertata ammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti) e non manifestamente infondate, con riferimento agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. iii), della legge 28 gennaio 2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea, di affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle professionalità, prevendo che la restante parte possa essere realizzata da società in housedi cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

15. In conclusione non definitivamente pronunciando sull’appello come segnato in epigrafe, lo stesso deve essere accolto in parte e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, deve essere dichiarato ammissibile il ricorso di primo grado, integrato da motivi aggiunti. 

Per il resto - ricordato che la questione di legittimità costituzionale può essere sollevata anche con sentenza non definitiva (Corte Cost. sentente nn. 116/2018; 256/2010; 275/2013; 151/2009) - il presente giudizio deve essere sospeso, in parte qua, fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità. 

Ai sensi dell’art. 23, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la presente sentenza non definitiva sarà comunicata alle parti costituite e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e sarà comunicata anche al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:

a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara ammissibile il ricorso ed i motivi aggiunti proposti in primo grado;

b) esaminando questi ultimi, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2 della Costituzione, dell’art. 1, comma 1, lett. iii), della legge 28 gennaio 2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nei sensi di cui in motivazione;

c) dispone la sospensione del presente giudizio e ordina alla Segreteria l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

d) ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata anche ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

 

Guida alla lettura

Con la sentenza non definitiva n. 5097 del 19 agosto 2019, la V sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 1, comma primo, lett. iii), della l. n. 11 del 2016 e all’art. 177, comma primo, del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016).

In particolare, le suddette disposizioni contrasterebbero, secondo i Giudici remittenti, con gli artt. 41, commi primo e terzo, 3, comma secondo, e 97, comma secondo, Cost., nella parte in cui prevedono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, servizi e forniture in atto già all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici e non assegnate né mediante la formula della finanza di progetto né attraverso la procedura a evidenza pubblica, di affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura a evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle professionalità, prevendo, altresì, che la restante parte possa essere realizzata anche mediante affidamento in houseovvero con affidamento a società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati o, ancora, tramite operatori individuati mediante procedure a evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

L’art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016, nello specifico, nel sancire l’obbligo ai concessionari di dismettere l’intera concessione a terzi, persegue la finalità di garantire il rispetto delle regole della concorrenza mediante l’apertura al mercato per il tramite dell’affidamento con gara del lavoro, del servizio o delle forniture. 

Occorre precisare che le Direttive nn. 23, 24, 25 del 2014 - cui il codice dei contratti pubblici ha dato attuazione - non prevedono l’obbligo di cui all’art. 177 d.lgs. cit. e, pertanto, come sottolinea il Collegio al punto 9 della decisione in commento, non costituiscono«recepimento delle direttive» ma rappresentano «(meri) strumenti attuativi dei principi comunitari di concorrenza e di massima apertura al mercato[…]».

Sul punto, inoltre, i Giudici chiariscono come il legislatore nazionale non abbia violato il c.d. divieto di gold plating, attraverso cui «si vuole impedire che siano introdotti“oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini”». In dettaglio, si legge nella parte motiva della sentenza in esame che le disposizioni oggetto di censura, ferma la ratio alle stesse sottesa (estendendosi la questione di legittimità anche all’art. 1, comma primo, lett. iii), l. n. 11 del 2016), non sono da considerarsi quali «violazioni delle direttive comunitarie e più in generale dei principi comunitari».

La mancata contrarietà alle Direttive europee, tuttavia, non è elemento sufficiente a scongiurare il possibile contrasto delle disposizioni in esame con i principi sanciti dalla Costituzione, tanto in termini di libertà di iniziativa economica, di cui all’art. 41 Cost., quanto in riferimento alla ragionevolezza e al buon andamento dell’amministrazione, sulla base, rispettivamente, degli artt. 3 e 97 Cost.

Proprio le norma appena citate enucleano i parametri di legittimità su cui si fonda la remissione, proposta con riferimento agli artt. 1, comma primo, lett. iii), l. n. 11 del 2016 e 117, comma primo, d.lgs. n. 50 del 2016.

La non manifesta infondatezza della questione con riguardo alla libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 Cost. si spiega in ragione dello stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi al rapporto concessorio. In particolare, l’obbligo per il concessionario di dismettere l’intera concessione a terzi, e quindi il correlativo obbligo di «messa a gara» del rapporto, seppur giustificato «dall’esigenza di ripristinare la concorrenza “per il mercato”», rischia di compromettere e sacrificare le scelte di pianificazione compiute dal concessionario imprenditore. Come chiarisce il Collegio, difatti, «l’obbligo di dismissione […] si traduce[…] in un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata» che è stata intrapresa «in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge all’epoca vigenti». In questo modo, si legge ancora nella sentenza in commento, viene a concretizzarsi il rischio di «snaturare il ruolo del privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa degli enti concedenti, rispetto alla sua funzione di soggetto proposto dall’amministrazione all’esercizio di attività di interesse pubblico».

Sebbene in questo segmento il Consiglio di Stato motivi solo in relazione alla libertà di iniziativa economica, si possono intravedere, in quanto alla stessa collegate, le ragioni del possibile contrasto con gli ulteriori principi costituzionali di riferimento.

Dalla legittimità del titolo amministrativo, difatti, deriva l’apprezzabile affidamento del privato affidatario. Ѐ proprio la validità del titolo, specificano i Giudici, a rafforzare la posizione del concessionario, in ragione «dell’inesistenza di cause – anche occulte – di contrarietà delle stesse all’ordinamento interno».

Pertanto, osserva ancora il Collegio, il legislatore, nel prevedere l’obbligo di dismissione in esame, avrebbe dovuto tenere in considerazione le legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività, risultando «la scelta legislativa non equilibrata», e come tale in contrasto con il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3, comma secondo, Cost. 

Ulteriore profilo di contrasto con il principio da ultimo citato deriva, secondo quanto addotto dai Giudici remittenti, dalla mancata specificazione dei destinatari dell’obbligo di dismissione. Difatti, strettamente collegato al profilo della ragionevolezza è il fatto che l’obbligo […] riguarda indistintamente i concessionari titolari di affidamento senza gara, indipendentemente dalla effettiva dimensione della struttura imprenditoriale che gestisce la concessione, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico e dal fatto che il contratto fosse ancora in vigore al momento dell’entrata in vigore dell’art. 177 D.Lgs. n. 50 del 2016[…]».

Infine, osserva il Collegio, non appare manifestamente infondata la questione di legittimità con riferimento all’art. 97, comma secondo, Cost. La norma da ultimo citata individua il finalismo dell’attività amministrativa, improntata al canone di imparzialità e volta al buon andamento dell’azione della p.a. 

Ѐ proprio con riferimento al principio di buon andamento che i Giudici evidenziano i profili di criticità sottesi all’obbligo di dismissione di cui all’art. 177, comma prima, cod. dei contr. pubbl., in ragione del fatto che oggetto di concessione sono «servizi pubblici essenziali, evidentemente rispondenti a bisogni fondamentali della collettività». La scelta dell’amministrazione procedente di affidare i suddetti servizi a soggetti terzi, senza perciò ricorrere all’autoproduzione, sottintende, sempre secondo le osservazioni compiute in sentenza, «l’incapacità strutturale delle amministrazioni pubbliche di gestirli in modo efficiente ed efficace». Pertanto, la dismissione dell’intera concessione comporterebbe il rischio del mancato raggiungimento del buon andamento, cui, al contrario, tutta l’attività amministrativa deve propendere secondo il dettato costituzionale, anche in virtù di quanto statuito dal Collegio, secondo cui «la norma delegante e delegata (quindi rispettivamente l’art. 1, comma primo, lett. iii), l n. 11 del 2016 e l’art. 177, comma primo, d.lgs. n. 50 del 2016)non risultano contenere alcuna considerazione circa gli effetti di tale obbligo di dismissione sull’efficiente svolgimento di tali servizi pubblici essenziali e sulle possibili ricadute sull’utenza».