Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2020, n. 4824

L’art. 1, comma 23, del d.l. 32/2019 (c.d. Sblocca cantieri) – lungi dal voler ‘resuscitare’ un termine già definitivamente spirato – ha inteso consentire l’applicazione dello jus superveniens anche nei processi promossi dopo la sua entrata in vigore ma solo ove tale termine sia ancora pendente, sicché solo in tale ipotesi sarebbe possibile far valere i vizi degli atti di ammissione (non ancora “inoppugnati”) in occasione della contestazione dell’atto finale di aggiudicazione definitiva

A supporto di tale soluzione depongono, su un piano sistematico, oltre al principio di inoppugnabilità degli atti amministrativi, anche quello di inapplicabilità retroattiva dello jus superveniens (entrambi rinvenienti saldi addentellati costituzionali negli artt. 24, 97 e 113 Cost.) nonché l’art. 2 delle disposizioni transitorie del c.p.a. il quale, nel sancire che per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti, sembra dettare un criterio di orientamento coerente con il consolidato orientamento pretorio che reputa ragionevole che le scadenze dei termini processuali vengano calcolate con riferimento alla legge vigente alla data di inizio della relativa decorrenza, “perché solo in tal caso l’interessato è in condizione di averne responsabile consapevolezza, senza essere esposto ad un’imprevedibile modifica in itinere”.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 1594 del 2020, proposto da

La Chimera Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio Fraccastoro, Alice Volino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del primo in Roma, via Piemonte n. 39;

contro

Azienda Socio Sanitaria della Provincia di Cremona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Mirco Favagrossa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza Capo di Ferro n. 13;

nei confronti

Falchi S.r.l.s. - non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) n. 45/2020, resa tra le parti, concernente l’aggiudicazione della gara indetta per l’affidamento in concessione del servizio di gestione bar-ministore e rivendita giornali presso il Presidio Ospedaliero Oglio Po di Vicomoscano di Casalmaggiore (CR);

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Socio Sanitaria della Provincia di Cremona;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020, svolta in modalità telematica, il Cons. Giovanni Pescatore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. È controverso l’esito della procedura aperta indetta dall’Azienda Socio – Sanitaria Territoriale (ASST) di Cremona per l’affidamento in concessione del “servizio di gestione bar-ministore e rivendita di giornali presso il Presidio ospedaliero Oglio Po di Vicomoscano di Casalmaggiore”.

2. L’aggiudicazione ha arriso alla Falchi S.r.l.s..

3. Con ricorso di primo grado notificato il 17.10.2019, La Chimera Società Cooperativa, classificata al secondo posto, ha lamentato: a) l’assenza in capo alla controinteressata del requisito di idoneità professionale di cui all’art. 4.3 del disciplinare di gara (sul rilievo per cui l’attività prevalente e principale della Falchi sarebbe quella inerente il servizio di vigilanza privata non armata, di guardiania, portierato e sorveglianza, mentre risulterebbe residuale l’attività - pertinente all’oggetto della gara - di somministrazione alimenti e bevande, gestione di bar, rivendita riviste e giornali);

b) una serie di vizi riscontrati nel procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, che avrebbero dovuto condurre, se non all’esclusione tout court della controparte, quantomeno alla rinnovazione del segmento istruttorio.

4. Il Tar ha respinto il ricorso con sentenza n. 45/2020, motivando, sul primo profilo, che “la ricorrente aveva l’onere di impugnare l’atto di ammissione ritenuto illegittimo nel rispetto dei termini previsti dall’art. 120, comma 2 bis del c.p.a., vigente all’epoca della sua adozione”; e, sul secondo motivo, che l’offerta dell’aggiudicataria contemplava crediti d’imposta e margini di utile ampiamente idonei a compensare l’eventuale incremento della spesa relativa al personale, oggetto di contestazione da parte della ricorrente.

5. In questa sede la società La Chimera ripropone le due censure di primo grado, subordinando la seconda al mancato accoglimento della prima.

6. Si è costituita in giudizio la sola Azienda Socio Sanitaria della Provincia di Cremona, replicando agli assunti avversari e chiedendone la reiezione.

7. Respinta l’istanza cautelare (con ordinanza n. 1155 del 6.3.2020) ed espletato lo scambio di memorie ex art. 73 c.p.a., la causa è stata posta in decisione all’udienza pubblica del 16 luglio 2020.

DIRITTO

1. Il primo motivo attiene al provvedimento n. 19 del 21.1.2019 con il quale la Falchi è stata ammessa alla procedura di gara.

1.1. Al rilievo di intempestività della censura, la ricorrente replica che la decorrenza del termine ex art. 120 comma 2 bis presuppone la prova in atti della pubblicazione del provvedimento di ammissione, non surrogabile tramite la conoscenza aliunde.

1.2. Nel merito, sempre ad avviso della parte appellate, l'aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa dalla competizione perché carente del requisito di idoneità professionale previsto dall'art. 4.3 del disciplinare di gara. Ciò in quanto il possesso del detto requisito va provato tramite iscrizione al Registro delle Imprese con esclusivo riferimento all'attività prevalente d'impresa, e non anche a quella secondaria risultante dal certificato camerale. In questo senso la visura dell'aggiudicataria indicherebbe, sempre ad avviso della ricorrente, un'attività principale di “servizi di portierato non armato e guardiania” estranea alla prestazione oggetto di gara inerente “gestione bar, somministrazione di alimenti e bevande”.

1.3. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

Quanto al primo, è decisivo considerare che:

-- le previsioni recate dall’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a. sono state abrogate dall’art. 1, comma 222, del d.l. n. 32/2019, ed il successivo comma 23 ha chiarito che il nuovo regime si applica “ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ovverosia dopo il 19.6.2019;

-- nel caso di specie il ricorso di primo grado è stato notificato il 17.10.2019, ma il provvedimento di ammissione contestato risale al 21.1.2019;

-- nel dirimere fattispecie analoghe, parte della giurisprudenza di primo grado (in un quadro di orientamenti non unitario) ha condivisibilmente osservato che la disposizione transitoria poc’anzi menzionata non può essere intesa come introduttiva di una "sanatoria processuale" idonea a rimettere in termini i concorrenti nell'impugnazione di provvedimenti di ammissione non solo adottati prima di tale data, ma anche già consolidatisi per inutile decorso del termine di impugnazione ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a. (v. Tar Brescia, sez. I, n. 45/2020 e altre pronunce ivi citate);

-- secondo altra interpretazione (cfr. Tar Milano, sez. I, ord. n. 831/2019) il principio “tempus regit actum” vale a rendere applicabile la disciplina processuale vigente al momento della instaurazione del giudizio, il che escluderebbe ogni rilevanza alle decadenze già maturate, trattandosi di preclusioni derivanti da norme processuali abrogate;

-- delle due soluzioni, appare preferibile la prima. La residua vigenza del regime processuale abrogato implica che l’attivazione del giudizio è soggetta ad un onere di tempestiva impugnazione a pena di decadenza nel termine ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a., sicché l’inutile decorso di detto termine determina il perfezionarsi di una fattispecie preclusiva, conclusa e non più rivedibile. La struttura bifasica della norma distingue, infatti, in maniera volutamente netta, il giudizio impugnatorio sulle ammissioni/esclusioni e quello sull’aggiudicazione ed esclude che il secondo possa estendersi alla cognizione dei profili propri del primo se non nel rispetto dell’indefettibile presupposto processuale sotteso alla rituale proposizione del ricorso ai sensi del sopra citato art. 120, comma 2-bis;

-- poiché, dunque, del precedente regime processuale è parte sostanziale la decadenza conseguente al mancato esercizio dell’onere processuale nelle forme innanzi descritte, una volta decorso il termine prefissato non è possibile interpretare la fattispecie come ancora “aperta” e, quindi, attraibile al nuovo regime normativo; né pare sostenibile alcuna deroga per l’ipotesi del ricorso proposto direttamente contro l’aggiudicazione, intervenuta dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina e censurata per asseriti vizi riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione dell’aggiudicatario. Vero è che in questa ipotesi (coincidente con quella qui in esame) il giudizio risulta intrapreso dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del Dl n. 32/2019: tuttavia, l’abrogazione del regime processuale di cui all’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a. ha espunto dal sistema la possibilità di impugnazione diretta dell’ammissione alla gara, sicché, residuando l’aggiudicazione quale unico atto contestabile, la salvezza entro un certo limite temporale del previgente regime processuale non può che intendersi come preclusione della contestazione dell’atto di aggiudicazione per profili afferenti ad atti di ammissione consolidatisi sotto la disposizione abrogata;

-- sempre ragionando in termini controfattuali, sembra poco plausibile ipotizzare che il legislatore, a mezzo della norma intertemporale, abbia inteso disciplinare la sola posizione di chi abbia già visto respinto, definitivamente e in epoca anteriore al decreto sblocca cantieri, il proprio ricorso proposto contro l’ammissione del concorrente poi divenuto aggiudicatario. In tale evenienza, la compiutezza della fattispecie e la sua attrazione alla disciplina abrogata conseguono all’avvenuto esperimento del mezzo processuale (principio del ne bis in idem o di consumazione dei mezzi di impugnazione – Cons. Stato, sez. III, n. 6281/2018; id., sez. V, n. 1570/2014; Cass. civ., sez. lav., n.7813/2014) sicché, ove intesa in questo senso riduttivo, la disposizione del decreto “sblocca cantieri” apparirebbe sostanzialmente superflua;

-- viceversa, la possibilità di impugnazione diretta dell’aggiudicazione anche per vizi relativi all’ammissione non tempestivamente dedotti ai sensi della norma abrogata, oltre ad incorrere negli inconvenienti sopra segnalati, creerebbe una immotivata disparità di trattamento rispetto a chi l’azione ex art. art. 120, commi 2-bis e 6-bis c.p.a. l’abbia già esperita senza successo e si veda poi preclusa la possibilità di far valere gli stessi vizi sull’aggiudicazione;

-- più verosimilmente, dunque, l’art. 1, comma 23, del d.l. 32/2019 – lungi dal voler ‘resuscitare’ un termine già definitivamente spirato – ha inteso consentire l’applicazione dello jus superveniens anche nei processi promossi dopo la sua entrata in vigore ma solo ove tale termine sia ancora pendente, sicché solo in tale ipotesi sarebbe possibile far valere i vizi degli atti di ammissione (non ancora “inoppugnati”) in occasione della contestazione dell’atto finale di aggiudicazione definitiva;

-- nel senso della soluzione qui accolta depongono, su un piano più sistematico, oltre al principio di inoppugnabilità degli atti amministrativi, anche quello di inapplicabilità retroattiva dello jus superveniens (entrambi rinvenienti saldi addentellati costituzionali negli artt. 24, 97 e 113 Cost.) nonché l’art. 2 delle disposizioni transitorie del c.p.a. il quale, nel sancire che per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti, sembra dettare un criterio di orientamento coerente con l’impostazione sin qui tracciata (e con quella giurisprudenza del Consiglio di Stato che reputa ragionevole che le scadenze dei termini processuali vengano calcolate con riferimento alla legge vigente alla data di inizio della relativa decorrenza, “perché solo in tal caso l’interessato è in condizione di averne responsabile consapevolezza, senza essere esposto ad un’imprevedibile modifica in itinere”: Cons. Stato, sez. VI, n. 6845/2011);

-- la parte appellante, pur non contestando in modo argomentato il principio affermato del giudice di prime cure in linea con il richiamato indirizzo giurisprudenziale, introduce un distinto rilievo circa la necessaria pubblicazione del provvedimento di ammissione sul profilo del committente della stazione appaltante, che nel caso di specie sarebbe mancata ed in difetto della quale il termine di impugnazione ex art. 120 comma 2 bis c.p.a. non potrebbe essere decorso;

-- trattasi, tuttavia, di deduzione mai avanzata in primo grado (nel corso del quale La Chimera ha sostenuto la tesi della tempestività del ricorso nonostante che il termine di impugnazione di 30 giorni fosse spirato) e, pertanto, inammissibile in questa fase di giudizio;

-- trattasi, inoltre, di rilievo contraddetto in punto di fatto dall’avvenuta pubblicazione del provvedimento di ammissione della Falchi, circostanza questa che emerge sia dalle allegazioni difensive del primo grado di giudizio, convergenti sul punto e tal quali recepite dalla sentenza appellata (v. par. 7); sia dalla comunicazione ai concorrenti dell’avvenuta pubblicazione (nella quale si legge: “con decreto n.19 del 21.01.2019 è stata disposta l'ammissione della Ditta concorrente alle successive fasi di gara”. Allegato: decreto n. 19 del 21/01/2019”).

1.4. Il motivo è infondato anche nel suo contenuto deduttivo.

-- Risulta ex actis che l'aggiudicataria esercita concretamente l'attività oggetto di gara in almeno due diverse sedi e la sua visura camerale lo dimostra: a pag. 7 è chiaramente indicato l'esercizio di bar ristorazione attraverso l'unità locale di Firenze, sita presso il polo universitario, e quella di Sesto San Giovanni, sita presso l'ospedale cittadino;

-- viceversa, ai fini della ammissione alla gara non rileva il peso relativo che presenta la specifica attività fra quelle esercitate dall'aggiudicataria, atteso che la legge di gara non introduce limitazioni sul punto, né richiede un fatturato minimo come requisito di capacità economico finanziaria;

-- vale quindi l’indirizzo interpretativo altre volte affermato da questa sezione, secondo il quale l'iscrizione camerale rileva come meccanismo di filtro all'ingresso in gara dei soli concorrenti forniti di una professionalità coerente con le prestazioni oggetto dell'affidamento; tuttavia, la corrispondenza contenutistica non va intesa come perfetta e assoluta sovrapponibilità tra tutte le componenti dei due termini di riferimento, ma va appurata secondo un criterio di rispondenza alla finalità di verifica della richiesta idoneità professionale, e quindi in virtù di una considerazione non già atomistica e frazionata, bensì globale e complessiva delle prestazioni dedotte in contratto (Cons. Stato, sez. III , n. 5170/2017 e n. 4866/2019; Cons. Stato, sez. V, n. 5257/2019).

2. Con il secondo mezzo di impugnazione, la parte appellante sostiene che la controinteressata avrebbe considerato un costo medio del personale significativamente inferiore rispetto a quello indicato dalle tabelle ministeriali di riferimento, salvo poi compensare tali discordanze con gli introiti derivanti da fonti aleatorie, derivanti da un contratto di sponsorizzazione con i fornitori (12.000 euro annui) e da un credito IVA (5.000 euro annui).

2.1. Il Tar - dopo aver ricondotto la fattispecie dell’affidamento del servizio bar e ristorazione all'interno di un complesso ospedaliero nello schema della concessione di servizi e dopo aver ricordato che, in tale tipologia di rapporto, il compenso di cui beneficia l’aggiudicatario deriva direttamente dall’utenza che fruisce del servizio, sicché il rischio economico connesso alla gestione e all’eventuale stima in difetto delle voci di spesa non ricade sull’amministrazione - ha respinto i rilievi della parte ricorrente evidenziando che:

- il monte ore annuo considerato è superiore all’effettivo, con un conseguente margine di circa € 8.000,00 per eventuali costi non considerati nel prospetto orario;

- altre voci di costo (percentuali INPS e INAIL) sono state quantificate in eccesso rispetto alle tabelle ministeriali;

- l’azienda vanta crediti d’imposta (credito IVA di € 5.000,00) e corrispettivi contrattuali (proventi del contratto di sponsorizzazione pari ad € 12.000,00) ampiamente sufficienti a compensare gli eventuali maggiori costi;

- l’utile annuo previsto dall’aggiudicataria, pari ad € 67.782,00, risulta ampiamente idoneo a sostenere l’eventuale incremento della spesa per il personale, derivante dalle voci di costo non considerate.

2.2. Queste le contro-obiezioni di parte appellante:

- l’offerta economica non può essere costruita facendo affidamento su ricavi eventuali e non direttamente connessi alla gestione della commessa;

- il credito fiscale riguarda il solo anno 2018 (peraltro, solo in compensazione) e non vi è alcuna indicazione da cui ricavarsi la conferma del predetto credito per gli anni successivi. Anch’esso, dunque, costituisce un dato presunto ed incerto;

- la Falchi non ha considerato una serie di costi, specie con riferimento alle sostituzioni dei lavoratori assenti, mentre le argomentazioni addotte sulle “statistiche aziendali dell’ultimo triennio” non possono ritenersi esaustive, dovendo la voce di costo coprire anche quanto necessario a remunerare i lavoratori chiamati a sostituire quelli legittimamente assenti (per malattia, gravidanza e per ogni altra causa consentita dalla legge e dal vigente C.C.N.L.);

- la differenza – pari ad € 315.223,61 - tra l’importo a base d’asta ed i ricavi maggiorati indicati dalla Falchi si basa su dati non attendibili e non meglio chiariti (riferiti alla “media di utenza giornaliera”), comunque già presi in considerazione e inglobati nelle stime della stazione appaltante.

2.3. I rilievi sopra riepilogati non possono essere accolti.

Partendo dall’ultimo, occorre precisare che l'aggiudicataria ha previsto, in linea con la media di fatturato dell'attività nel triennio precedente, ricavi per i 6 anni di durata contrattuale pari ad € 1.944.000 e quindi, detratti i costi per € 1.567.308,00, un utile complessivo di € 376.692,00, corrispondente ad € 62.782,00, per ogni anno di durata contrattuale.

Con l'atto di appello (pagg.17 e 18) - per la prima volta - La Chimera abbozza una sintetica contestazione sulla previsione di fatturato compiuta dall'aggiudicataria, che sarebbe a suo dire “azzardata” perché ancorata non solo al volume d’affari delle tre annualità precedenti (2015 – 2016 – 2017), ma anche all’elemento, asseritamente indimostrato e scarsamente attendibile, della media dell’utenza giornaliera.

Si tratta, tuttavia, di una estensione del thema decidendum delineato dalle censure di primo grado, inammissibile ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a., in quanto operata attraverso l’introduzione di un argomento inedito (la presunta erronea stima degli incassi futuri compiuta dalla Falchi).

La circostanza è dirimente, in quanto Falchi prevede un utile d'impresa annuo pari a € 62.782,00, somma che, se pure si considerassero infondate le giustificazioni dell'aggiudicataria, verrebbe ridotta solo del 27,1%, senza quindi alcuna concreta incidenza sulla congruità dell'offerta.

A tale conclusione è del resto giunto lo stesso giudice di prime cure: “3.6. Ulteriormente, come sottolineato nelle memorie delle parti resistenti, l’utile annuo previsto dall’aggiudicataria, pari a 67.782 euro, risulta ampiamente idoneo a sostenere l’eventuale incremento della spesa per il personale, derivante da voci di costo non considerate”.

2.4. Aggiungasi che la stima previsionale compiuta dall'aggiudicatario è legittima sul piano formale e non manifestante incongrua sul piano sostanziale.

I) Sotto il primo profilo, il concorrente non era tenuto ad adottare quale parametro fisso di incasso la media dei dati storici, e ciò in quanto nessuna norma degli atti di gara disponeva in tal senso. Era quindi in sua facoltà illustrare uno scostamento ragionevole dai dati storici forniti in indizione dalla committente pubblica.

II) Sotto il secondo profilo, considerando che il volume d'affari conseguito dall'esercente nel 2017 - ultimo anno noto nel momento di pubblicazione del bando di gara – è stato pari ad € 345.000,00, (pag. 4 del disciplinare di gara), con un incremento di circa il 10% rispetto all'anno precedente, la stima compiuta dall'aggiudicataria, pari ad € 1.944.000,00, non può che apparire motivatamente ragionevole, se non addirittura cautelativa (il dato 2017 moltiplicato per i 6 anni di durata contrattuale è pari - anche al netto dell'incremento del 10% e dell'inflazione - ad € 2.070.000).

2.5. Tanto basta ai fini della conclusiva reiezione anche del secondo motivo di appello, in quanto poggiante su un costrutto argomentativo che non assolve l’onere del superamento della prova di resistenza: la parte ricorrente non ha infatti provato che la valorizzazione complessiva delle contestazioni sollevate descriverebbe l'offerta come anomala perché il concorrente non trarrebbe alcun utile dall'appalto, ma ne patirebbe una perdita.

3. L’appello va quindi respinto, nella totalità delle istanze e deduzioni con esso veicolate.

4. La peculiarità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese di lite compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2020.

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

Con la pronuncia in commento, la III Sezione del Consiglio di Stato affronta il tema del regime applicabile nella fase transitoria successiva all’abrogazione del rito super accelerato in materia di appalti.

Come noto, l’art. 1, commi 22-23 del D.l. 18 aprile 2019, n. 32 (c.d. Sblocca cantieri), ha abrogato il predetto rito speciale, introducendo altresì una disciplina transitoria atta a regolare il regime processuale applicabile nelle more dell’entrata in vigore della legge di conversione.

Nel rispondere al quesito in esame, il Collegio ha dato atto dei contrastanti orientamenti pretori di primo grado.

È stato infatti rilevato come parte della giurisprudenza (Cfr. Tar Brescia, sez. I, n. 45/2020) abbia osservato come la disposizione transitoria del decreto Sblocca cantieri non possa essere intesa come introduttiva di una "sanatoria processuale" idonea a rimettere in termini i concorrenti nell'impugnazione di provvedimenti di ammissione adottati prima di tale data, o comunque già consolidatisi per inutile decorso del termine di impugnazione ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a.

Parimenti, secondo altra interpretazione (Cfr. Tar Milano, sez. I, ord. n. 831/2019) il principio “tempus regit actum” vale a rendere applicabile la disciplina processuale vigente al momento della instaurazione del giudizio, il che escluderebbe ogni rilevanza alle decadenze già maturate, trattandosi di preclusioni derivanti da norme processuali abrogate.

Dato atto del contrasto giurisprudenziale, scegliendo di aderire al primo dei citati orientamenti, il Collegio ha quindi ritenuto che la residua vigenza del regime processuale abrogato implica la soggezione del giudizio ad un onere di tempestiva impugnazione, a pena di decadenza, nel termine ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a., sicché l’inutile decorso di detto termine determina il perfezionarsi di una fattispecie preclusiva.

L’abrogazione del rito super accelerato ha espunto dal sistema la possibilità di impugnazione diretta dell’ammissione alla gara, sicché, residuando l’aggiudicazione quale unico atto contestabile, la salvezza entro un certo limite temporale del previgente regime processuale non può che intendersi come preclusione della contestazione dell’atto di aggiudicazione per profili afferenti ad atti di ammissione consolidatisi sotto la disposizione abrogata.

Secondo il Collegio, infatti, sembra poco plausibile ipotizzare che il legislatore, a mezzo della norma intertemporale, abbia inteso disciplinare la sola posizione di chi abbia già visto respinto, definitivamente e in epoca anteriore al decreto sblocca cantieri, il proprio ricorso proposto contro l’ammissione del concorrente poi divenuto aggiudicatario. In tale evenienza, la compiutezza della fattispecie e la sua attrazione alla disciplina abrogata conseguono all’avvenuto esperimento del mezzo processuale (principio del ne bis in idem o di consumazione dei mezzi di impugnazione – Cons. Stato, sez. III, n. 6281/2018; id., sez. V, n. 1570/2014; Cass. civ., sez. lav., n.7813/2014) sicché, ove intesa in questo senso riduttivo, la disposizione del decreto “sblocca cantieri” apparirebbe sostanzialmente superflua.

Viceversa, la possibilità di impugnazione diretta dell’aggiudicazione anche per vizi relativi all’ammissione non tempestivamente dedotti ai sensi della norma abrogata creerebbe una immotivata disparità di trattamento rispetto a chi abbia già esperito senza successo l’azione ex art. art. 120, commi 2-bis e 6-bis c.p.a. e si veda poi preclusa la possibilità di far valere gli stessi vizi sull’aggiudicazione.

Più verosimilmente, dunque, l’art. 1, comma 23, del d.l. 32/2019 – lungi dal voler ‘resuscitare’ un termine già definitivamente spirato – ha inteso consentire l’applicazione dello jus superveniens anche nei processi promossi dopo la sua entrata in vigore ma solo ove tale termine sia ancora pendente, sicché solo in tale ipotesi sarebbe possibile far valere i vizi degli atti di ammissione (non ancora “inoppugnati”) in occasione della contestazione dell’atto finale di aggiudicazione definitiva.