Le modifiche del Decreto Semplificazioni alla disciplina della contrattualistica pubblica. Novità sostanziali e processuali.
Con l'entrata in vigore del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. decreto Semplificazioni), il Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016 è ormai giunto al suo quarto tagliando annuale. Prima di dare conto di questa ennesima riforma della contrattualistica pubblica italiana, può essere opportuno ripercorrere brevemente la cronistoria - oltremodo movimentata - dei primi quattro anni di vita di questo 'giovane Codice', che, invero, può dirsi tale solo dal punto di vista anagrafico
Parte I
Breve cronistoria dei primi quattro anni di vita del d.lgs. n. 50/2016, dal primo correttivo al decreto Semplificazioni, passando per l'azione stabilizzatrice della giurisprudenza e per il decreto Sblocca-cantieri.
Il Codice del 2016 ha rappresentato un cambiamento epocale per la disciplina della contrattualistica pubblica italiana.
Il primo anno dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016 è servito agli operatori del settore per riprendersi dallo sconcerto provocato da una vera e propria rivoluzione, che aveva sancito cinque cambiamenti di prospettiva:
(i) il passaggio da gare formali, in cui si premiava l’offerta confezionata meglio, a gare sostanziali in cui avrebbe dovuto vincere l’offerta migliore;
(ii) il passaggio da criteri meramente economicistici ad approcci qualitativi, sedotti dall’utilità sostanziale e dalla sostenibilità effettiva dell’offerta, con l'elevazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa a criterio di applicazione generalizzata e la regressione del minor prezzo a criterio da usare in via residuale;
(iii) il passaggio da una pletora sterminata di stazioni appaltanti piccole e inadeguate ad una cerchia ristretta di centrali di committenza;
(iv) il passaggio da un’Autorità di vigilanza con poteri assai limitati all'accentramento nell'attuale A.N.AC. di ampi poteri regolatori, sanzionatori, consultivi e di vigilanza;
(v) il passaggio da procedure che proseguivano sotto la scure di contenziosi futuri a gare in cui sarebbe stato necessario proporre immediatamente ricorso avverso le esclusioni e le ammissioni, con conseguente (auspicabile) definizione immediata della platea degli operatori economici partecipanti.
In tale periodo si è registrata una notevole incertezza applicativa, in cui i dubbi degli 'addetti ai lavori' erano nettamente superiori alle certezze.
La quotidianità post-rivoluzionaria ha fotografato uno shock degli operatori del settore, causato dalla difficoltà di assimilare e metabolizzare un cambiamento di paradigma così profondo e repentino nell'entrata in vigore, che a propria volta ha provocato quella contrazione del mercato delle commesse pubbliche che i mezzi di comunicazione non hanno mancato di amplificare.
Sul punto, per amor di verità, occorre muovere qualche precisazione.
È senz’altro vero che – nell’immediato – l’entrata in vigore della nuova disciplina ha cagionato una contrazione delle procedure di gara bandite e del loro importo complessivo.
Tale fenomeno, tuttavia, può considerarsi fisiologico durante la fase di transizione da una disciplina ad un’altra, con la naturale dose di incertezza normativa che ogni riforma, ai suoi albori, non può non comportare.
In ogni caso, il repentino rallentamento del mercato ha ben presto spinto il legislatore a provvedere al primo tagliando della nuova riforma, tramite il ‘correttivo’ rappresentato dal d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56.
In tale occasione il legislatore non si è limitato all’ordinaria manutenzione, ma è intervenuto in modo sostanziale sul testo codicistico originario, modificandone ulteriormente l’impostazione e la struttura senza tuttavia intaccarne le scelte di fondo.
Sebbene molti errori della prima ora siano stati emendati, l’incertezza applicativa è continuata, specialmente in ragione (i) di una disciplina primaria non sempre di agevole lettura e assorbimento; nonché (ii) dei fisiologici ritardi registrati nel completamento del nuovo corpus normativo con la prevista regolamentazione secondaria e di soft law.
Nel secondo anno dall’entrata in vigore del Codice, i Tar e il Consiglio di Stato hanno cercato di mettere a regime il nuovo sistema, avviando una fondamentale attività di sedimentazione delle norme attraverso la maturazione di linee interpretative condivise tra le varie corti.
Del resto, una norma può anche non essere in sé una buona norma, ma qualora sia in grado di divenire una norma stabile - anche grazie alle costanti interpretazioni giurisprudenziali - potrebbe ugualmente riuscire a sedimentare quelle prassi fisiologiche standard (che tanto danno sicurezza agli operatori del settore) e quel conseguente ‘circolo applicativo virtuoso’ che solo un quadro positivo stabile e saldo nel tempo può garantire: in altri termini, a divenire per ciò stesso una norma buona.
La giurisprudenza amministrativa, con apprezzabile lungimiranza, è stata capace di intercettare le esigenze di un sistema che chiedeva solamente stabilità per potersi rimettere in carreggiata e si è così fatta carico del secondo tagliando al d.lgs. n. 50/2016.
L'intervento stabilizzatore del giudice amministrativo ha sortito visibili effetti benefici sul mercato delle commesse pubbliche. Dopo il primo burrascoso periodo post-riforma, hanno iniziato a fare capolino i primi segnali di ripresa.
Già il Primo Rapporto Quadrimestrale 2018 dell’A.N.AC., relativo al periodo gennaio 2018 – aprile 2018, fotografava una realtà dei fatti non coincidente con le percezioni maggiormente diffuse nel Paese, evidenziando una crescita del 6,9% in relazione ai CIG perfezionati e - soprattutto - una crescita del 41% in relazione all’importo complessivo delle procedure bandite.
Il Secondo Rapporto Quadrimestrale 2018 ha confermato il medesimo trend con riferimento al periodo maggio 2018 – agosto 2018, in cui si è registrata un’espansione del mercato interno dei contratti pubblici pari al 23,1%, per un importo di oltre 10 miliardi di euro.
Nel terzo e ultimo quadrimestre del 2018, sebbene si sia registrata una improvvisa frenata dal punto di vista dell'importo globale (un -21,4% dovuto soprattutto ai numerosi e corposi appalti di forniture banditi dai soggetti aggregatori e dalle centrali di committenza nel corrispondente periodo dell'anno precedente), è continuata la crescita quantitativa delle procedure bandite (+4,8%).
Infine, dopo la frenata dell'ultimo scorcio di 2018, nel primo quadrimestre del 2019 il mercato delle commesse pubbliche è tornato a crescere su ritmi sostenuti, facendo registrare - rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente - un aumento del 12,3% per numero di gare e del 36,8% per importo complessivo delle procedure bandite.
Il trend positivo ha poi trovato una nuova e vigorosa conferma con i dati del secondo quadrimestre del 2019, che hanno registrato una crescita del 22% sul valore delle procedure bandite.
In tale contesto, il legislatore ha comunque ritenuto di sottoporre il Codice al suo terzo tagliando annuale, con il d.l. n. 32 del 18 aprile 2019 (c.d. decreto Sblocca-cantieri) e la relativa legge di conversione (legge n. 55 del 14 giugno 2019).
Il legislatore del decreto Sblocca-cantieri ha ritenuto di intervenire in profondità sulla disciplina della contrattualistica pubblica.
Alcuni interventi hanno recato modifiche di mero dettaglio; altri hanno segnato un vero e proprio cambiamento di rotta rispetto alla strada intrapresa dal legislatore del 2016.
A livello sostanziale, le modifiche più incisive hanno riguardato (i) la disciplina del subappalto, (ii) le modalità di affidamento dei contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria e (iii) i margini di manovra dei piccoli comuni per l’indizione autonoma di procedure di gara.
Nel primo caso (subappalto), il decreto Sblocca-cantieri non ha sconfessato del tutto, ma ha comunque attenuato l'impostazione rigoristica delineata dalla legislazione previgente, assecondando (invero, solo parzialmente) i rilievi della Commissione europea che auspicavano una maggiore liberalizzazione dell'istituto.
Nel secondo caso (contratti sotto-soglia), il legislatore ha alzato le soglie di importo che consentono gli affidamenti diretti.
Nel terzo caso (centrali di committenza), il decreto Sblocca-cantieri ha sospeso temporaneamente l’obbligo per i comuni non capoluogo di provincia di ricorrere a centrali di committenza e soggetti aggregatori.
È, dunque, ragionevole paragonare questi interventi a più o meno parziali giri di vite in senso opposto a quello verso cui il d.lgs. n. 50/2016 aveva stretto i confini di questi ambiti della materia.
La ratio ispiratrice - appunto quella di allentare qualche vincolo giudicato troppo penalizzante per le imprese (nel caso del subappalto) o per le amministrazioni (nel caso delle modalità di affidamento dei contratti sottosoglia e dei margini di manovra per i piccoli comuni nell’indizione di gare in autonomia) - era senz'altro condivisibile, pur restando ferma l'esigenza di non sacrificare eccessivamente le esigenze di legalità.
Un’ulteriore novella avente natura sostanziale recata dal decreto Sblocca-cantieri è stata quella con cui il legislatore ha inteso rivalutare il criterio del minor prezzo, ormai reietto, restituendogli pari dignità rispetto all’offerta economicamente più vantaggiosa, seppur limitatamente ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria.
A livello processuale, è noto come il decreto Sblocca-cantieri abbia abrogato il rito c.d. super-accelerato che il d.lgs. n. 50/2016 aveva introdotto per cristallizzare la cerchia degli ammessi alle gare pubbliche in un momento antecedente l’aggiudicazione, tra le esclamazioni di giubilo di coloro che ne sostenevano l'incostituzionalità.
A livello ordinamentale, la novità più rilevante del decreto Sblocca-cantieri è consistita nel ridimensionamento del neo-introdotto sistema di regolazione flessibile concepito dal d.lgs. n. 50/2016 per superare la rigidità del vecchio regolamento unico di attuazione di cui al d.P.R. n. 207/2010.
La novella in esame mirava a restituire al sistema certezze, stabilità e unitarietà, ma senza svuotare le competenze regolatorie dell'A.N.AC. e senza accantonare del tutto l'esperienza della soft law, che rispetto alla classica fonte regolamentare presenta ovvi maggiori margini di flessibilità e di adattamento al dinamismo della realtà.
Insomma, con il decreto Sblocca-cantieri è stato tracciato un deciso revirement rispetto a quattro dei cinque cambiamenti di prospettiva originariamente sanciti dal d.lgs. n. 50/2016 e sopra elencati.
Dal giro di vite (i) sulle stazioni appaltanti piccole e non qualificate, (ii) sul criterio del minor prezzo, (iii) sulle gare che si svolgevano sotto la scure di contenziosi futuri e (iv) sulla rigidità del vecchio regolamento unico di attuazione, l’inversione di marcia è stata evidente, con (i) la reintrodotta possibilità per i piccoli comuni di bandire gare in autonomia, (ii) la ritrovata pari dignità del prezzo più basso rispetto all’offerta economicamente più vantaggiosa nelle procedure sottosoglia, (iii) l’abrogazione del rito super-accelerato e (iv) il ridimensionamento del sistema di regolazione flessibile (anche se, a distanza di un anno e mezzo, del nuovo Regolamento attuativo ancora non vi è traccia…..).
In tale contesto, all'indomani dell'entrata in vigore del d.l. n. 32/2019 ci si chiese se fosse corretto parlare di nuova rivoluzione oppure se fosse più appropriato parlare di restaurazione, posto che, sotto molti aspetti, il legislatore sembrava aver inteso ripristinare lo status quo anteriore al Codice del 2016.
Sennonché, alcune delle più rilevanti novelle del decreto Sblocca-cantieri portavano il marchio della temporaneità, essendosi limitate a sospendere fino al 31 dicembre 2020 (anziché ad abrogare) talune disposizioni codicistiche.
Tale circostanza non si è certamente prestata a diffondere certezze tra gli operatori del settore.
Ad ogni buon conto, pur in questo alternarsi di luci e ombre, non può tacersi che i dati del mercato delle commesse pubbliche successivi al c.d. Sblocca-cantieri hanno continuato a registrare una decisa crescita.
Infatti, seppur in misura lievemente minore rispetto al periodo immediatamente precedente, i dati hanno evidenziato sensibili miglioramenti anche nell'ultimo scorcio di 2019, quando il numero degli appalti è aumentato del 8,8% e il valore complessivo dei medesimi persino del 18%, registrando quello che sarebbe stato il settimo quadrimestre consecutivo di crescita se non ci fosse stata l'improvvisa ed estemporanea battuta d'arresto dell'ultimo quadrimestre del 2018.
Questi numeri testimoniano come la ripresa del mercato, dopo una riforma 'totale' come quella del 2016, non potesse che essere direttamente proporzionale alla stabilizzazione del panorama normativo.
Sennonché, con la crisi economica conseguente all'emergenza sanitaria da Covid-19, il 'solito' Codice dei contratti pubblici, origine di tutti i mali secondo una narrazione molto popolare, è tornato a prestarsi quale facile bersaglio di critiche e capro espiatorio per problemi strutturali ben più profondi.
Dopo un periodo nel quale la bulimia novellatrice del legislatore sembrava essersi arrestata, l'emergenza economica post-pandemica si è rivelata essere l'occasione per una reviviscenza di progetti riformatori della contrattualistica pubblica.
Ancora una volta, per attuare i propri progetti di riforma, il decisore politico ha ritenuto di reiterare la censurabile prassi dell'utilizzo del decreto-legge al di fuori di ogni cornice di necessità e urgenza, confermando il ruolo sempre più marginale del Parlamento, a cui verrà concessa unicamente la possibilità di un controllo ex post in sede di conversione.
Il sempreverde sistema delle 'riforme per decreto' ha originato, quindi, il d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. decreto Semplificazioni), che ha introdotto svariate modifiche al diritto dei contratti pubblici in ambito sia sostanziale che processuale, delle quali daremo rispettivamente conto nella seconda e nella terza parte del presente contributo.
Parte II
Decreto Semplificazioni e contrattualistica pubblica: tutte le novità di diritto sostanziale
1. Premessa.
Le novelle di diritto sostanziale recate dal decreto Semplificazioni rispondono alla ratio di accelerare le procedure di gara alleggerendone e semplificandone gli adempimenti formali, per impedire che la farraginosità della normativa dei contratti pubblici possa costituire un freno alla ripresa economica post COVID-19.
Le norme sostanziali in tema di contrattualistica pubblica introdotte dal decreto Semplificazioni si dividono in tre categorie:
(i) disposizioni che prorogano la scadenza temporale di alcune novelle che il d.l. n. 32/2019 aveva introdotto in via temporanea e che il d.l. n. 76/2020 non ha ritenuto né di espungere, né (per il momento) di rendere definitive;
(ii) disposizioni che, a propria volta, coniano ex novo alcune novelle temporanee;
(iii) disposizioni che intervengono direttamente sul corpus codicistico modificandolo in via permanente.
Nel prosieguo della presente Parte, cercheremo di analizzarle nel dettaglio.
2. Le novelle che estendono il periodo di vigenza delle modifiche normative che il decreto Sblocca-cantieri aveva previsto in via temporanea.
La circostanza per cui il d.l. n. 76/2020 proroghi il termine di scadenza temporale di quattro significative novelle che il d.l. n. 32/2019 aveva introdotto solamente in via temporanea, testimonia come il legislatore del decreto Semplificazioni abbia inteso porsi in sostanziale continuità con il legislatore del decreto Sblocca-cantieri.
In modo particolare, il decreto Semplificazioni ha prorogato fino al 31 dicembre 2021 (i) l'estensione ai settori ordinari della possibilità per le stazioni appaltanti di prevedere la c.d. inversione procedimentale nell'apertura delle buste, (ii) la possibilità per i piccoli comuni di bandire gare in autonomia, (iii) la sospensione del divieto di appalto integrato e (iv) la sospensione dell'obbligo di scegliere i commissari di gara tra gli esperti iscritti nello speciale Albo istituito presso l'Autorità Nazionale Anticorruzione, originariamente previste dal d.l. n. 32/2019 fino al 31 dicembre 2020.
Entro il 30 novembre 2021 il Governo dovrà relazionare alle Camere circa gli effetti di tali proroghe, onde consentire al Parlamento di decidere consapevolmente sul loro destino.
2.1. La proroga della scadenza temporale della possibilità per le stazioni appaltanti di avvalersi della c.d. inversione procedimentale ex art. 133, comma 8, d.lgs. n. 50/2016, anche nei settori ordinari.
Con riferimento alla prima proroga, il decreto Semplificazioni ha ritenuto di spostare al 31 dicembre 2021 il termine fino al quale le stazioni appaltanti potranno avvalersi - anche nei settori ordinari - della facoltà di decidere che le offerte siano esaminate prima della verifica dell'idoneità degli offerenti, che l'art. 133, comma 8, d.lgs. n. 50/2016 originariamente limitava ai soli settori speciali.
Pertanto, anche nei settori ordinari, le stazioni appaltanti potranno decidere di aprire le buste contenenti la documentazione amministrativa solo dopo aver esaminato le offerte, in maniera tale da poter verificare l'idoneità solamente del concorrente provvisoriamente classificatosi al primo posto (oltreché, progressivamente, di quelli occupanti le successive posizioni in graduatoria, in caso di ritenuta inidoneità di quelli collocati provvisoriamente in posizione migliore).
Tale disposizione risulta perfettamente inserita nello spirito della riforma in quanto risponde ad un'evidente ratio di semplificazione.
2.2. L'estensione temporale della sospensione della vigenza dell'art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016.
Con riferimento alla seconda proroga, il legislatore ha inteso prolungare fino al 31 dicembre 2021 la sospensione della vigenza dell'art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, che obbliga i comuni non capoluogo di provincia a procedere, per i loro affidamenti, esclusivamente secondo una delle seguenti modalità: (i) ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati; (ii) mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall'ordinamento; (iii) ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di area vasta.
Si è scelto quindi di confermare la scelta politica, spinta dall'ANCI, di conferire ai piccoli comuni maggiore autonomia negli affidamenti, permettendo loro di sottrarsi agli obblighi di aggregazione e di procedere autonomamente anche per acquisti di importo superiore alle soglie delineate all'art. 37 del d.lgs. n. 50/2016.
Si precisa che le stazioni appaltanti mantengono comunque la possibilità di ricorrere ai modelli di acquisto aggregato contemplati dal sospeso art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, pur non essendovi obbligate.
Giova sottolineare che la novella in parola continua ad essere connessa alla qualificazione delle stazioni appaltanti prevista dall'art. 38 del Codice e rimasta tuttora inattuata.
Infatti, la prima parte del comma 4 dell'art. 37, che non è stata sospesa, fa salva l'applicazione della previsione secondo cui le stazioni appaltanti, per procedere alle gare di importo superiore alle soglie stabilite dal medesimo art. 37, debbono essere in possesso della necessaria qualificazione prevista all'art. 38.
Pertanto, nel momento in cui sarà operativo il sistema di qualificazione di cui all'art. 38 del Codice, anche i comuni non capoluogo dovranno necessariamente ottenere la necessaria qualificazione per poter affidare lavori di importo superiore a 150.000 euro e servizi e forniture di importo superiore a 40.000 euro.
Fino ad allora continuerà a trovare applicazione la disciplina transitoria prevista dall'art. 216, comma 10 del Codice, la qualificazione continuerà a coincidere con l'iscrizione all'AUSA (Anagrafe Unica delle Stazione Appaltanti) e, conseguentemente, sarà sufficiente che un comune sia iscritto a tale elenco per poter derogare ai modelli aggregativi previsti all'art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016.
2.3. L'estensione temporale della sospensione del divieto di appalto integrato.
La terza proroga ha ad oggetto la sospensione della vigenza del quarto periodo del primo comma dell'art. 59 del Codice, che vieta il ricorso all'affidamento congiunto della progettazione e dell'esecuzione di lavori (c.d. appalto integrato), ad esclusione dei casi di affidamento a contraente generale, di finanza di progetto, di affidamenti in concessione, di partenariato pubblico privato, di contratto di disponibilità, di locazione finanziaria e di opere di urbanizzazione a scomputo.
Se il decreto Sblocca-cantieri aveva sospeso l'efficacia di tale norma fino al 31 dicembre 2020, il decreto Semplificazioni ha ritenuto di consentire l'appalto integrato per ulteriori dodici mesi, sino al 31 dicembre 2021.
2.4. Il rinvio dell'operatività dell'Albo speciale dei commissari e la proroga della sospensione dell'obbligo di attingervi.
La quarta proroga ha ad oggetto la sospensione dell'efficacia del terzo comma dell'art. 77 del Codice, che imporrebbe alle stazioni appaltanti di scegliere i commissari di gara tra i soggetti iscritti nello speciale Albo dei Commissari che, ai sensi dell'art. 78 del Codice, dovrebbe essere istituito presso l'Autorità Nazionale Anticorruzione.
La necessità di istituire tale Albo si è scontrata con innumerevoli difficoltà operative e non è ancora divenuta realtà.
Proprio in ragione della difficoltà di dare attuazione all'art. 78, d.lgs. n. 50/2016, il decreto Sblocca-cantieri aveva opportunamente sospeso fino al 31 dicembre 2020 l'obbligo per le stazioni appaltanti di scegliere i commissari tra i soggetti iscritti al predetto Albo (obbligo che, evidentemente, vigeva soltanto sulla carta), riespandendo, per l'effetto, la vigenza delle previgenti regole in materia di composizione delle commissioni giudicatrici.
Sul punto, il decreto Semplificazioni ha preso atto dell'integrale permanenza delle ragioni sottostanti alla sospensione in parola e ha ritenuto di prorogarla di ulteriori dodici mesi.
3. Le disposizioni che introducono novelle 'temporanee'.
La circostanza per cui il d.l. n. 76/2020, oltre a prorogare il termine di scadenza di alcune novità temporanee introdotte dal decreto Sblocca-cantieri, ne abbia anche coniato ex novo di ulteriori, pare voler rimarcare il destino da work in progress della legislazione italiana dei contratti pubblici.
A ben vedere, le disposizioni che prevedono novelle applicabili in via temporanea rappresentano forse il nucleo più corposo delle norme recate dal d.l. n. 76/2020.
Tali disposizioni, che sono applicabili alle procedure in cui "la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 luglio 2021", possono essere suddivise in tre categorie:
(i) disposizioni finalizzate alla compressione dei tempi necessari alla conclusione delle procedure di gara e recanti elementi di semplificazione procedurale;
(ii) disposizioni anch'esse finalizzate a ridurre la durata delle procedure e consistenti nella fissazione ex lege di una sorta di 'durata massima' delle procedure stesse, il cui superamento possa essere valutato ai fini della responsabilità erariale del RUP ovvero ai fini dell'esclusione degli operatori economici, qualora la responsabilità del mancato rispetto delle tempistiche di legge sia addebitabile a questi ultimi;
(iii) disposizioni finalizzate a ridurre la durata non già delle procedure di affidamento bensì dell'esecuzione delle opere pubbliche, o comunque disposizioni attinenti all'esecuzione di lavori pubblici;
(iv) disposizioni inerenti il Collegio consultivo tecnico;
(v) disposizioni relative al Consiglio superiore dei lavori pubblici.
La finalità di tali misure, dichiarata dal legislatore nel corpo del decreto, è quella di "incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici" nonché, più specificamente, di "far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell'emergenza sanitaria globale del COVID-19".
Presumibilmente, la riproposizione della tecnica delle modifiche temporanee risponde ad un criterio di prudenza: prima di rendere stabile una novella, talvolta può rendersi necessario un preliminare periodo di sperimentazione.
3.1. Le disposizioni di semplificazione procedurale.
La prima sotto-categoria delle novelle temporanee introdotte dal decreto Semplificazioni comprende tutte quelle disposizioni finalizzate alla compressione dei tempi necessari alla conclusione delle procedure di gara e consistenti nello snellimento delle procedure mediante l'eliminazione o la semplificazione di alcuni adempimenti formali.
Tra le norme rispondenti alla ratio di semplificare e snellire le procedure, è possibile enucleare tre gruppi di misure, che si differenziano tra loro in ragione del diverso ambito applicativo:
(i) disposizioni che si applicano alla generalità delle gare avviate a partire dall'entrata in vigore del decreto Semplificazioni fino al 31 luglio 2021;
(ii) disposizioni che non trovano applicazione a tutte le gare avviate dall'entrata in vigore del decreto Semplificazioni fino al 31 luglio 2021, ma soltanto a quelle il cui importo sia soprasoglia e nelle quali - "per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività determinato dalle misure di contenimento adottate per fronteggiare la crisi" - non sia possibile rispettare nemmeno i termini abbreviati previsti per le procedure ordinarie, nonché a quelle soprasoglia bandite in settori particolarmente strategici per la ripresa economica come, ad esempio, il settore dell'edilizia scolastica e quello delle infrastrutture viarie (c.d. 'appalti anticrisi');
(iii) disposizioni che si applicano, oltreché alle procedure avviate in vigenza del decreto Semplificazioni fino al 31 luglio 2021, anche a quelle già pendenti al momento dell'entrata in vigore di tale decreto.
3.1.1. Le disposizioni di semplificazione procedurale applicabili alla generalità delle gare pubbliche
Tra le misure di semplificazione applicabili alla generalità delle gare pubbliche, rientrano (i) la possibilità di effettuare affidamenti diretti fino a 150.000 euro e di ricorrere alla procedura negoziata senza bando per tutte le gare di importo compreso tra 150.000 euro e le soglie comunitarie; (ii) l'eliminazione della garanzia provvisoria nelle gare sottosoglia, salvo che ricorrano esigenze particolari; (iii) la possibilità, laddove per stipulare un contratto siano richiesti accertamenti antimafia, di procedere mediante informativa liberatoria provvisoria anche quando l'accertamento riguardi un soggetto non censito, salvo che emergano circostanze ostative già ad una prima consultazione; (iv) la possibilità di realizzare affidamenti anche non previsti dagli strumenti di programmazione, purché questi ultimi siano tempestivamente aggiornati tenendo conto degli effetti della pandemia.
3.1.1.1. La prima misura di semplificazione riguarda le procedure applicabili per l'affidamento dei contratti sottosoglia aventi ad oggetto lavori, servizi, forniture, nonché servizi di ingegneria e architettura inclusa l'attività di progettazione.
Sul punto, il decreto Semplificazioni prevede che le stazioni appaltanti possano procedere tramite affidamenti diretti nel caso di importi inferiori a 150.000 euro, fatti salvi, per i servizi e le forniture, i casi in cui le soglie comunitarie applicabili al caso concreto siano inferiori a tale importo (si consideri, ad esempio, la soglia di 139.000 euro applicabile agli appalti di forniture e servizi aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici qualificate come autorità governative centrali).
In tali ipotesi, gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre o atto equivalente, che indichi l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale nonché, ove richiesti, di quelli di carattere speciale.
Con riferimento invece alle procedure di importo compreso tra 150.000 euro e le soglie di rilevanza comunitaria, il d.l. n. 76/2020 prevede che le stazioni appaltanti possano utilizzare la procedura negoziata senza bando, previa consultazione di un numero di operatori economici variabile a seconda dell'oggetto del contratto da affidare e dell'importo della singola procedura.
Più precisamente:
- per i lavori di importo compreso tra 150.000 euro e 350.000 euro - nonché per i servizi e le forniture di importo compreso tra 150.000 euro e le soglie di rilevanza comunitaria - sarà sufficiente consultare almeno cinque operatori economici, ove esistenti;
- per i lavori di importo compreso tra 350.000 euro e 1 milione di euro, le stazioni appaltanti dovranno invece consultare, ove esistenti, almeno dieci operatori;
- per i lavori di importo compreso tra 1 milione di euro e le soglie comunitarie, gli operatori consultati dovranno essere, ove sussistenti, almeno quindici.
L'individuazione degli operatori economici da consultare dovrà avvenire in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate.
La stazione appaltante avrà ampio margine di scelta sul criterio di aggiudicazione da utilizzare, potendo alternativamente ricorrere al massimo ribasso o all'offerta economicamente più vantaggiosa, purché si proceda "nel rispetto dei princìpi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento".
Qualora la scelta del criterio di aggiudicazione ricada sul prezzo più basso - sempre con esclusivo riferimento alle procedure avviate nel periodo compreso tra l'entrata in vigore del d.l. n. 76/2020 e il 31 luglio 2021 - si prevede il ricorso all'esclusione automatica delle offerte anomale qualora il numero delle offerte ammesse sia non già pari o superiore a 10, bensì pari o superiore a 5.
In buona sostanza, sempre con le medesime finalità semplificatorie e acceleratorie che informano l'intero decreto, è stato previsto di estendere l'ambito di applicazione dell'istituto dell'esclusione automatica delle offerte anomale, evitando alle stazioni appaltanti di dover avviare complessi sub-procedimenti di verifica di congruità delle offerte.
Sul punto, si deve rilevare che tale novella suscita qualche perplessità in relazione alla compatibilità con l'ordinamento eurounitario, posto che - per il diritto dell'Unione europea - l'esclusione automatica delle offerte anomale dovrebbe rappresentare un'eccezione e giammai la regola, costituendo una compressione dei diritti di partecipazione procedimentale degli operatori economici.
Dalle bozze non ufficiali circolanti prima della pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale, sembrava che il legislatore intendesse - con riferimento alle procedure sottosoglia - elevare il massimo ribasso a criterio di generale utilizzo e confinare l'offerta economicamente più vantaggiosa ad un ruolo marginale, consentendone l'utilizzo solamente previa idonea motivazione.
Qualora avesse ritenuto effettivamente di procedere in tal senso, il legislatore avrebbe completato il revirement rispetto alla scelta originaria del Codice del 2016, che aveva 'eletto' a criterio generale quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, consentendo l'uso del massimo ribasso solo in ipotesi residuali e tassativamente indicate.
Come è noto, il decreto Sblocca-cantieri aveva segnato una parziale marcia indietro rispetto a questa scelta, restituendo al massimo ribasso pari dignità rispetto all'offerta economicamente più vantaggiosa ponendo i due criteri su un piano (tendenzialmente) paritario.
L'eventuale completamento di questo giro di vite (i) da un lato, avrebbe rischiato di provocare forti ricadute negative sulla qualità degli affidamenti, ma (ii), dall'altro lato, sarebbe stato coerente rispetto alla ratio semplificatrice che informa tutto il decreto, posto che una procedura al massimo ribasso richiede sicuramente tempistiche inferiori rispetto alle procedure aggiudicate con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, che richiedono la nomina di una Commissione di gara che valuti le offerte tecniche dei partecipanti, con apposite sedute di gara dedicate a tale operazione.
Nondimeno, è altrettanto vero che una procedura al massimo ribasso - per quanto possa essere più 'rapida' una volta che sia stata bandita - richiede tempistiche più lunghe per la sua preparazione in quanto non può prescindere dalla redazione di capitolati tecnici molto dettagliati, per i quali, spesso, le stazioni appaltanti sono impreparate.
Sulla base di queste premesse, si può quindi salutare con favore la scelta del decreto Semplificazioni di non 'promuovere' il massimo ribasso a regola generale per gli affidamenti sotto-soglia.
Resta da vedere se, in sede di conversione, assisteremo ad un ennesimo cambiamento delle carte in tavola.
3.1.1.2. La seconda misura consiste nell'eliminazione dell'obbligo per i partecipanti ad una gara pubblica di presentare la c.d. garanzia provvisoria prevista dall'art. 93 del d.lgs. n. 50/2016 al fine di garantire la stazione appaltante nel caso di mancata sottoscrizione del contratto per fatto riconducibile all'aggiudicatario.
Più precisamente, nel caso di procedure sottosoglia avviate fino al 31 luglio 2021, le stazioni appaltanti non potranno più richiedere la garanzia provvisoria, salvo che, "in considerazione della tipologia e della specificità della singola procedura, ricorrano particolari esigenze che ne giustifichino la richiesta"; in tal caso, l'amministrazione dovrà indicare nell'atto di indizione della procedura le ragioni che giustificano la richiesta della garanzia, il cui importo sarà comunque dimezzato rispetto a quello indicato dall'art. 93 del Codice e, pertanto, sarà pari all'1% del prezzo a base di gara.
Non è chiaro se, in quest'ultimo caso, resteranno applicabili anche le ulteriori riduzioni di importo previste dall'art. 93, comma 7, d.lgs. n. 50/2016, che, in ipotesi, sarebbero suscettibili di abbattere la garanzia provvisoria fino allo 0,0045% dell'importo a base di gara, qualora l'operatore economico sia in possesso di tutte le certificazioni tali da consentirgli il cumulo delle diverse riduzioni previste; ragioni di ordine sistematico fanno propendere per la soluzione affermativa, posto che l'applicabilità del settimo comma dell'art. 93 - oltre a non essere esclusa da nessuna disposizione del d.l. n. 76/2020 - non appare incompatibile con l'impianto del decreto.
3.1.1.3. La terza misura 'temporanea', anch'essa applicabile fino al 31 luglio 2021, introduce alcune deroghe alle modalità ordinarie di svolgimento dei controlli antimafia previsti dal d.lgs. n. 159/2011.
La ratio di tale intervento è sottolineata chiaramente nella Relazione Illustrativa del d.l. n. 76/2020, che evidenzia come la necessità di superare le ricadute economiche negative riconducibili (direttamente o indirettamente) alla pandemia da COVID-19 - o che comunque rappresentino un effetto connesso alle misure di contenimento del contagio - imponga di snellire le procedure di controllo, senza tuttavia indebolire i presidi di legalità.
In quest'ottica, il decreto Semplificazioni prevede la generalizzazione del sistema del rilascio della documentazione antimafia in via d’urgenza, in tutti i procedimenti avviati su istanza di parte che abbiano ad oggetto "l’erogazione di benefici economici comunque denominati, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e pagamenti da parte di pubbliche amministrazioni", qualora il rilascio della documentazione non sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all’articolo 96 del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia).
Con specifico riferimento al settore dei contratti pubblici, il d.l. n. 76/2020 prevede che le stazioni appaltanti possano procedere alla stipula del contratto, sotto condizione risolutiva, mediante il rilascio di una informativa liberatoria provvisoria, immediatamente conseguente alla consultazione della Banca Dati Nazionale Antimafia e di tutte le ulteriori banche dati disponibili, anche quando l'accertamento riguardi un soggetto non censito, a condizione che già ad una prima consultazione non emergano situazioni ostative e ferme restando le ulteriori verifiche ai fini del rilascio della documentazione antimafia, da completarsi entro trenta giorni.
Il decreto specifica poi che - qualora la documentazione successivamente pervenuta accerti la sussistenza di una delle cause interdittive - le stazioni appaltanti "recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite"; sul punto, lascia perplessi che il legislatore utilizzi il verbo 'recedere', dopo aver parlato di stipula del contratto sotto 'condizione risolutiva', rischiandosi una confusione tra i diversi istituti del recesso e della risoluzione.
In tale contesto, il d.l. n. 76/2020 interviene direttamente sul testo del Codice antimafia inserendovi - stavolta in via permanente - un nuovo art. 83-bis, che introduce una specifica disciplina dei protocolli di legalità, con il dichiarato intento di approntare efficaci misure di contrasto agli illeciti appetiti delle organizzazioni criminali, in considerazione del loro tradizionale interesse alle occasioni di profitto legate alle fasi emergenziali e post-emergenziali.
Più precisamente, si prevede che il Ministero dell’interno possa sottoscrivere protocolli di legalità - oltreché con i soggetti 'istituzionali' di cui all'art. 83 del d.lgs. n. 159/2011 - anche con imprese di rilevanza strategica per l'economia nazionale e con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative del mondo economico, imprenditoriale e produttivo.
Tali protocolli potranno essere sottoscritti anche al fine di estendere convenzionalmente il ricorso alla documentazione antimafia e l'applicazione delle misure di prevenzione antimafia anche a fattispecie eccedenti – sotto il profilo oggettivo e/o soggettivo – quelle oggi prese in considerazione dalla legge.
Il decreto Semplificazioni equipara poi l'iscrizione nelle c.d. white lists al rilascio dell'informazione antimafia liberatoria.
Infine, a fronte della previsione dell'art. 1, comma 17, legge n. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione) - che conferisce alle stazioni appaltanti la facoltà di prevedere nella documentazione di gara che il mancato rispetto dei protocolli di legalità costituisca causa di esclusione dalla procedura, il decreto Semplificazione introduce espressamente (non già nel Codice dei contratti pubblici, bensì) nel Codice antimafia un vero e proprio obbligo (anche qui, in via permanente) di prevedere la mancata osservanza dei protocolli quale causa di esclusione dalle gare pubbliche o, nel caso in cui la stipula del contratto sia già avvenuta, di risoluzione del contratto medesimo.
La novella in parola risponde anche ad esigenze sistematiche sorte a seguito delle statuizioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 452/2020 senza, tuttavia, accogliere l’ipotesi di reintrodurre la documentazione antimafia in tutti i rapporti tra privati, ma individuando nei protocolli di legalità lo strumento per interventi più snelli e mirati in tale ambito.
3.1.1.4. La quarta previsione semplificatoria è prevista all'art. 8, comma 1, lett. d), del decreto in esame e riguarda gli obblighi di programmazione di cui all'art. 21 del Codice dei contratti pubblici. Si tratta di una disposizione temporanea che, stante la sua (discutibile) collocazione nel testo normativo, dovrebbe trovare applicazione in relazione alle procedure pendenti all'entrata in vigore del decreto, nonché per le procedure che saranno avviate fino alla data del 31 luglio 2021.
In particolare, per l'effetto della novella in esame gli affidamenti relativi a lavori servizi forniture potranno essere avviati anche in mancanza di uno specifico inserimento nei documenti di programmazione, a condizione che entro trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto in commento si provveda ad un aggiornamento del programma "in conseguenza degli effetti dell’emergenza COVID-19".
La previsione in argomento si configura come una deroga all'art. 21 del d.lgs. n. 50/2016 che impone alle amministrazioni di adottare il programma biennale degli acquisti di beni e servizi e il programma triennale dei lavori pubblici e i relativi aggiornamenti annuali, nel rispetto dei documenti programmatori ed in coerenza con il bilancio.
Si evidenzia, tuttavia, che se si legge la disposizione in combinato disposto al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 16 gennaio 2018, n. 14 recante "Regolamento recante procedure e schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale dei lavori pubblici, del programma biennale per l’acquisizione di forniture e servizi e dei relativi elenchi annuali e aggiornamenti annuali", si ricava che, benché la procedura possa essere avviata anche se non inserita in programmazione, la stessa non potrà essere aggiudicata prima di aver aggiornato il programma.
La ratio ispiratrice della novella è condivisibile, risiedendo nella necessità di riconoscere alle stazioni appaltanti quel grado di flessibilità reso necessario dall'emergenza legata alla pandemia e agli effetti economici negativi delle misure di contenimento del contagio.
Tuttavia, appare errata la collocazione della norma tra il gruppo delle disposizioni di cui all'art. 8, comma 1, d.l. n. 76/2020, che il decreto medesimo riferisce alle procedure già avviate. La norma in commento per sua natura, infatti, non può che riferirsi a procedure non ancora avviate.
Parimenti, risulta ambigua la formulazione dell'ultimo periodo laddove è stato disposto che occorre provvedere ad un aggiornamento del programma "in conseguenza degli effetti dell'emergenza COVID-19": probabilmente, tale inciso si riferisce alla motivazione che le amministrazioni potranno addurre in sede di aggiornamento del programma.
Ad ogni modo, sebbene l'ambito oggettivo della norma sia ampio - in quanto dalla lettera della norma sembra che la medesima debba applicarsi a tutte le procedure che saranno bandite fino al 31 luglio 2021 - e sebbene la tecnica legislativa sia discutibile, la norma effettivamente pare rispondere ad esigenze semplificatorie, anche in virtù della sospensione dei procedimenti amministrativi (tra cui rientrano l'adozione del bilancio e della programmazione), disposta negli scorsi mesi dall'art. 103 del c.d. decreto 'Cura Italia'.
3.1.2. Le disposizioni di semplificazione procedurale applicabili solamente ai c.d. 'appalti anticrisi'.
Altre misure di semplificazione non si applicano a tutte le gare avviate dall'entrata in vigore del d.l. n. 76/2020 e il 31 luglio 2021, ma solamente a quelli che - con un'espressione giornalistica utilizzata in senso atecnico - vengono definiti 'appalti anticrisi'.
Più specificamente, tra tali misure rientrano (i) la facoltà di ricorrere sempre alla procedura negoziata senza bando e (ii) la possibilità di procedere in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni antimafia, dei vincoli inderogabili derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea ivi compresi quelli derivanti dalle direttive eurounitarie in materia di appalti, delle norme in materia di subappalto, dei princìpi di cui gli artt. 30, 34 e 42 del d.lgs. n. 50/2016 (princìpi in materia di aggiudicazione, di criteri ambientali minimi e di conflitti d'interesse) e di quanto previsto espressamente dal decreto Semplificazioni.
La perimetrazione dell'ambito applicativo di tali misure risulta assai complessa in quanto il decreto Semplificazioni utilizza un duplice criterio discretivo.
Da un lato, infatti, il legislatore ricorre ad un criterio 'aperto', definendo in via generale ed astratta un preciso presupposto in presenza del quale qualsiasi procedura di gara può essere fatta rientrare nei c.d. appalti anticrisi e può, di conseguenza, essere gestita in forma di procedura negoziata senza bando ed essere condotta in deroga a ogni altra legge diversa da quella penale e da quelle specificamente individuate dal decreto medesimo: ci si riferisce al presupposto per cui ragioni di urgenza, legate direttamente o indirettamente alla pandemia, non consentano nemmeno il rispetto dei termini abbreviati che il decreto Semplificazioni consente di applicare in tutte le procedure ordinarie.
Dall'altro lato, il d.l. n. 76/2020 prevede che le procedure bandite nell'ambito di alcuni settori, tassativamente elencati, debbano ex lege considerarsi 'appalti anticrisi' ai fini della possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza bando e di procedere in deroga alle disposizioni di legge diverse da quella penale nonché dalle disposizioni antimafia, dai vincoli inderogabili derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea ivi compresi quelli derivanti dalle direttive eurounitarie in materia di appalti, dalle norme in materia di subappalto, dai princìpi di cui gli artt. 30, 34 e 42 del d.lgs. n. 50/2016 (princìpi in materia di aggiudicazione, di criteri ambientali minimi e di conflitti d'interesse) e, comunque, da quanto previsto espressamente dal decreto Semplificazioni.
Si tratta, più specificamente, dei settori dell'edilizia scolastica, universitaria, sanitaria e carceraria, delle infrastrutture per la sicurezza pubblica, dei trasporti e delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche e degli interventi funzionali alla realizzazione della transizione energetica.
La circostanza per cui - per tali procedure - si possa procedere in deroga a porzioni così consistenti di legislazione potrebbe apparire, perlomeno sulla carta, come una misura molto incisiva.
Sennonché, questo intervento di deregulation, da un punto di vista pratico risulta in gran parte sterilizzato e depotenziato dall'inserimento - nel novero delle norme rispetto alle quali non è consentito derogare - dei vincoli derivanti dalle direttive eurounitarie in tema di appalti.
Se infatti consideriamo che il Codice dei contratti pubblici rappresenta il recepimento delle direttive eurounitarie di settore, ecco che si svela il bluff: al di là degli annunci, il d.l. n. 76/2020 consente di derogare al d.lgs. n. 50/2016 solamente con riferimento a quelle disposizioni che non costituiscono recepimento dei vincoli imposti dalle direttive europee (disposizioni che, almeno in teoria, dovrebbero essere molto poche, sol che si consideri il divieto di gold plating….).
3.1.3. Le disposizioni di semplificazione procedurale che si applicano anche alle procedure già pendenti alla data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020.
Ulteriori misure di semplificazione recate dal legislatore si applicano, oltreché alle procedure avviate in vigenza del decreto Semplificazioni fino al 31 luglio 2021, anche a quelle già pendenti al momento dell'entrata in vigore del decreto medesimo.
Tra le misure di semplificazione applicabili alla generalità delle gare pubbliche, ivi comprese quelle già pendenti al momento dell'entrata in vigore del decreto Semplificazioni, rientrano (i) l'autorizzazione generalizzata alla consegna dei lavori, servizi e forniture in via d'urgenza, ai sensi dell'art. 32, comma 8 del Codice, ferme restando le verifiche sulla sussistenza di cause di esclusione; (ii) la facoltà per le stazioni appaltanti di prevedere a pena di esclusione dalla procedura l'obbligo di sopralluogo nonché la consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati ai sensi e per gli effetti dell'articolo 79, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, ai soli casi in cui tale adempimento "sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia, del contenuto o della complessità dell'appalto da affidare"; (iii) le riduzioni dei termini procedimentali secondo quanto indicato agli artt. 60, comma 3, 61, comma 6, 62, comma 5 e 74, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50/2016, senza necessità di dar conto nella motivazione delle ragioni di urgenza.
3.1.3.1. La prima misura di semplificazione riguarda le procedure di affidamento dei contratti aventi ad oggetto lavori, servizi, forniture, nonché servizi di ingegneria e architettura inclusa l'attività di progettazione, in fieri all'entrata in vigore del provvedimento o quelli avviati successivamente entro il 31 luglio 2021, contemplando una sorta di autorizzazione tout court generalizzata alla consegna dei lavori in via d'urgenza, nonché, nel caso di servizi e forniture, all’esecuzione del contratto in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del Codice.
In sostanza, per l'effetto di tale novella, le stazioni appaltanti sono esonerate dall’obbligo di motivare la consegna in via d’urgenza dell'appalto in relazione ad uno dei motivi indicati nel comma 8 del citato articolo 32.
L'obiettivo perseguito dal legislatore è quello di accelerare il più possibile l'esecuzione dei contratti pubblici, nell’ottica di dare impulso ad un settore che - come dichiarato nella Relazione Illustrativa al decreto - rappresenta un volano per la nostra economia.
3.1.3.2. Al medesimo fine mira la disposizione che contempla la possibilità di limitare l'obbligo di sopralluogo alle sole ipotesi in cui lo stesso sia strettamente necessario. Più precisamente, la norma in parola dispone che le stazioni appaltanti possano prevedere, a pena di esclusione dalla procedura, l’obbligo per l’operatore economico di procedere alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati, esclusivamente laddove detto adempimento "sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia, del contenuto o della complessità dell’appalto da affidare".
Tale intervento, come si legge nella Relazione Illustrativa al decreto, tiene conto dell'orientamento giurisprudenziale che considera il sopralluogo come esclusivamente funzionale alla miglior valutazione degli interventi da effettuare, nonché ad una completa ed esaustiva conoscenza dello stato dei luoghi in modo da consentire ai concorrenti di formulare un’offerta consapevole e più aderente alle necessità dell’appalto (Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 2018, n. 1037).
Orbene, se limitare il ricorso al sopralluogo alle sole ipotesi in cui sia strettamente necessario potrebbe accelerare i tempi di affidamento, la disposizione appare indeterminata ed eccessivamente discrezionale laddove rimette in capo al RUP l'ulteriore onere di dover motivare l'inserimento di tale previsione "in considerazione della tipologia, della complessità o del contenuto dell’appalto da affidare".
3.1.3.3. La terza misura di semplificazione la cui applicabilità viene riferita anche alle procedure già in corso al momento dell'entrata in vigore del d.l. n. 76/2020 consiste nella previsione dell'applicazione generalizzata delle riduzioni dei termini procedimentali di cui agli artt. 60, comma 3, 61, comma 6, 62, comma 5 e 74, commi 2 e 3, del Codice dei Contratti pubblici.
Nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non sarà necessario dar conto delle ragioni di urgenza, che si considerano sussistenti ex lege.
Sebbene sia condivisibile la finalità di ridurre i tempi di affidamento, in coerenza con quanto raccomandato dalla Commissione Europea con la Comunicazione del 1 aprile 2020 per far fronte alla crisi determinata dalla pandemia, tale norma rischia di non avere quella portata semplificatoria auspicata.
Infatti, la novella sembra prevedere tali riduzioni in termini di obbligo e non di facoltà ed in maniera automatica ed indiscriminata rispetto ad ogni tipologia di procedura.
Ne consegue che, se con riferimento ad appalti non complessi l'impatto di tale norma può risultare positivo, diversamente taluni affidamenti di maggiore complessità rischiano di andare deserti, non consentendo agli operatori economici di avere un congruo termine per predisporre la propria offerta.
Inoltre, vale la pena precisare che la novella in esame, laddove ne viene disposta l'applicabilità anche alle procedure pendenti, non può che essere applicata solamente a quelle procedure - pur già avviate - nelle quali non risultino ancora aperti i termini di presentazione delle offerte; una diversa soluzione non sarebbe accettabile, posto che si risolverebbe in un'abbreviazione di termini già aperti, integrando una sicura violazione dei princìpi di ragionevolezza, legittimo affidamento, trasparenza e parità di trattamento.
3.2. Le disposizioni che fissano un tetto massimo di durata delle procedure di gara.
Passando all'esame delle disposizioni che vanno a introdurre una sorta di durata massima ex lege delle procedure di gara avviate nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore del decreto Semplificazioni e il 31 luglio 2021, rileviamo come il d.l. n. 76/2020 abbia previsto tre diversi 'tetti' temporali, operanti a seconda dell'importo del contratto da affidare.
Più precisamente, nelle procedure che saranno avviate nel lasso temporale sopra individuato e fatti salvi i casi di sospensione disposta per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, le procedure di affidamento di contratti pubblici dovranno addivenire all'aggiudicazione:
(i) entro due mesi dall'adozione dell'atto di avvio del procedimento per importi fino a 150.000 euro;
(ii) entro quattro mesi dall'adozione dell'atto di avvio del procedimento per importi compresi tra 150.000 euro e le soglie di rilevanza comunitaria;
(iii) entro sei mesi dall'adozione dell'atto di avvio del procedimento per importi soprasoglia.
Il mancato rispetto di tali termini (così come la mancata tempestiva stipula del contratto e il tardivo avvio di esecuzione dello stesso) potrà essere valutato ai fini della responsabilità erariale del RUP, qualora sia a quest'ultimo imputabile.
Qualora invece il ritardo sia addebitabile all'operatore economico, costituirà causa di esclusione dalla procedura ovvero di risoluzione ipso iure del contratto eventualmente già stipulato.
Tali disposizioni lasciano alquanto perplessi.
La maniera migliore per ridurre le tempistiche necessarie alla conclusione delle procedure è semplificarne gli adempimenti formali, ed effettivamente la ratio del d.l. n. 76/2020 sembra andare in questa direzione.
In tale contesto, una volta che - in ipotesi - la disciplina applicabile ad una gara sia tale da consentirne la conclusione in tempi rapidi, 'minacciare' il RUP di responsabilità erariale risponde alla volontà di evitare ritardi che - appunto - sarebbero evitabili sol che il personale della stazione appaltante adempia ai propri compiti con la dovuta solerzia.
Fin qui, nulla quaestio.
Sennonché, non sembra potersi dare per scontato che le semplificazioni introdotte dal d.l. n. 76/2020 siano effettivamente tali da consentire la conclusione delle procedure nelle tempistiche indicate dal legislatore quali 'tetti massimi' per la conclusione delle gare.
Anzi, sul punto permane più di qualche dubbio, soprattutto con riferimento a procedure negoziate da aggiudicarsi con l'offerta economicamente più vantaggiosa.
Inoltre, qualora i fatti dovessero certificare l'insufficienza delle semplificazioni messe in atto dal legislatore, la 'minaccia' al RUP rimarrebbe e, a quel punto, acquisirebbe connotati oggettivamente 'punitivi'.
Oltre a ciò, si consideri che la 'minaccia' in parola potrebbe indurre i RUP ad accelerare troppo le procedure di gara, magari non portandole a termine con la dovuta perizia, con il rischio che siano poste in essere illegittimità le quali, a loro volta, potrebbero originare contenziosi dinanzi al giudice amministrativo.
Infine, quale ulteriore criticità della novella in parola, si considerino le difficoltà di natura 'probatoria' che la stazione appaltante incontrerebbe ove intendesse (i) dimostrare che eventuali ritardi nella gara siano addebitabili al comportamento di un operatore economico e, per tale ragione, (ii) escludere il medesimo operatore dalla procedura.
Nel d.l. n. 76/2019 vi è poi una disposizione che ha avuto l'effetto di determinare una durata massima non già delle procedure di gara avviate dopo l'entrata in vigore del decreto Semplificazioni, ma di quelle per le quali sia scaduto entro il 22 febbraio 2020 il termine per la presentazione delle offerte, che dovranno necessariamente essere aggiudicate entro il 31 dicembre 2020, fatto salvo quanto previsto dall'art. 103 del d.l. n. 18/2020 in materia di sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi.
Analoga previsione si rinviene per gli accordi quadro efficaci alla data di entrata in vigore del decreto in esame, in relazione ai quali le stazioni appaltanti dovranno provvedere, entro la data del 31 dicembre 2020, "all'aggiudicazione degli appalti basati su tali accordi quadro" ovvero all'esecuzione degli stessi nei modi previsti dai commi da 2 a 6 del medesimo articolo 54 del Codice.
Entrambe le previsioni sono volte ad accelerare gli affidamenti dei contratti pubblici. Tuttavia, se la disposizione inerente alle procedure il cui termine per la presentazione delle offerte sia scaduto entro il 22 febbraio 2020 potrebbe apparire in quest'ottica condivisibile, non si comprende, invece, la previsione relativa agli accordi quadro che, peraltro, appare sganciata dalla natura e della ratio dell'istituto.
Come noto, infatti, l’accordo quadro, disciplinato dall’art. 3, comma 1 lett. iii) e dall’art. 54 del d.lgs. n.50/2016, è una procedura di selezione del contraente, volta a semplificare il processo d’aggiudicazione dei contratti fra una o più stazioni appaltanti ed uno o più operatori economici, con l'obiettivo di individuare futuri contraenti, prefissando condizioni e clausole relative agli appalti in un dato arco temporale (al massimo 4 anni), con l’indicazione dei prezzi e se, del caso, delle quantità previste.
Si tratta di una fattispecie utile non solo per il conseguimento di risparmi economici e di alleggerimenti procedimentali connessi alle procedure d’affidamento ma, soprattutto, in quanto viene utilizzata per le frequenti ipotesi in cui le amministrazioni non sono in grado di predeterminare ex ante, in maniera precisa e circostanziata, i quantitativi dei beni da acquistare.
Orbene, alla luce di quanto predetto, non solo non si ravvisa alcuna utilità o semplificazione con riferimento alla novella in commento, ma essa sembra porsi addirittura in contrasto con quella che è la funzione nonché la portata semplificatoria dell'accordo quadro, 'snaturando' l'istituto.
3.3. Disposizioni finalizzate a ridurre le tempistiche di esecuzione delle opere pubbliche o comunque disposizioni attinenti all'esecuzione di lavori pubblici.
3.3.1. Disposizioni finalizzate ad accelerare l'esecuzione delle opere pubbliche.
Un ulteriore gruppo di disposizioni di 'snellimento' è dettato con specifico riferimento alla fase di esecuzione dei contratti aventi ad oggetto opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria.
Tali norme mirano, essenzialmente, a rendere più difficoltosa la sospensione dell'esecuzione dei lavori pubblici, nonché a ridurre al minimo la durata delle sospensioni eventualmente disposte e ad accelerare i pagamenti in favore degli esecutori.
In particolare, l’art. 5 del decreto Semplificazioni prevede delle fattispecie derogatorie (i) alle cause di sospensione e al procedimento previsto all’art. 107 del Codice dei contratti pubblici, (ii) alle ipotesi di sospensione previste dal Codice civile (e, in particolare, all’eccezione di inadempimento), nonché alla disciplina in tema di crisi dell’impresa (art. 72 ss. legge fallimentare e le altre previsioni in tema di concordato, accordo di ristrutturazione dei debiti) e alle ipotesi in cui è possibile giudizialmente sospendere l’esecuzione dell’opera.
Più precisamente, si tratta di una norma afferente i contratti soprasoglia e avente portata transitoria. Essa si applica infatti fino al 31 luglio 2021, anche agli appalti già in esecuzione, ma unicamente per il tempo necessario al superamento della causa di sospensione. Come si legge nella Relazione Illustrativa, la novella è finalizzata a risolvere i numerosi problemi, che possono sorgere in conseguenza dell’emergenza sanitaria in relazione ai tempi e alle cause della sospensione dell’esecuzione dei contratti, e che possono derivare da motivi imputabili all'appaltatore, alla stazione appaltante, a terzi o a cause di forza maggiore.
Per tali casi, il legislatore ha preferito tutelare l’interesse alla prosecuzione dei lavori connessi alla celere realizzazione dell’opera limitando, per altro verso, le ipotesi in cui le parti o anche l’autorità giudiziaria possono sospendere l’esecuzione delle opere.
Nel dettaglio, al citato art. 5. è stato previsto che, fino al 31 luglio 2021, i contratti di lavori sopra-soglia possano essere sospesi unicamente per:
(i) cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al d.lgs. 159/2011, nonché da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea;
(ii) gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere, ivi incluse le misure adottate per contrastare l’emergenza sanitaria globale da COVID-19;
(iii) gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d’arte dell’opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti;
(iv) gravi ragioni di pubblico interesse.
La sospensione dovrà essere disposta dal RUP.
Poiché il d.l. n. 76/2020 nulla precisa in ordine al coordinamento con il decreto ministeriale n. 49/2018 (Regolamento recante: «Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione»), le disposizioni ivi contenute devono trovare applicazione, compreso l'art. 10, comma 4, che stabilisce che “nel caso in cui l’esecutore ritenga cessate le cause che hanno determinato la sospensione temporanea dei lavori e il RUP non abbia disposto la ripresa dei lavori stessi, l’esecutore può diffidare il RUP a dare le opportune disposizioni al direttore dei lavori perché provveda alla ripresa; la diffida proposta ai fini sopra indicati, è condizione necessaria per poter iscrivere riserva all’atto della ripresa dei lavori, qualora l’esecutore intenda far valere l’illegittima maggiore durata della sospensione” .
Parimenti, non è stato modificato l’art. 107, comma 2, del d.lgs. 50/2016 laddove prevede che - qualora le sospensioni, durino per un periodo di tempo superiore ad un quarto della durata complessiva prevista per l'esecuzione dei lavori stessi, o comunque quando superino sei mesi complessivi - l'esecutore possa chiedere la risoluzione del contratto senza indennità e se la stazione appaltante si oppone, l'esecutore ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini suddetti.
Viene demandato poi al collegio consultivo tecnico il compito di esprimersi circa la legittimità della sospensione eventualmente disposta per "gravi ragioni di carattere tecnico".
Nulla viene, tuttavia, stabilito in ordine agli eventuali contrasti che potrebbero sorgere fra le parti in caso di disaccordo sulla natura delle "ragioni di carattere tecnico" e sulle circostanze che hanno indotto il verificarsi di tali "ragioni".
Il comma 4 prevede poi che - qualora i lavori non possano proseguire con il soggetto designato “per qualsiasi motivo” ivi comprese la crisi o l’insolvenza dell’esecutore (anche in caso di concordato con continuità aziendale ovvero di autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa) - la stazione appaltante, previo parere del collegio consuntivo tecnico, dovrà dichiarare l’immediata risoluzione del contratto, in deroga alla procedura di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 108 del Codice dei contratti pubblici.
Viene così introdotta una ipotesi di risoluzione contrattuale, ulteriore rispetto a quanto previsto dall'art. 108 del d.lgs. n. 50/2016, peraltro lasciando in capo alla stazione appaltante l'ampia - a parere di chi scrive eccessiva - discrezionalità di stabilire "qualsiasi motivo" per il quale non sia possibile proseguire il contratto con il soggetto designato, seppur tale possibilità sia mitigata dall'acquisizione del parere del collegio consultivo tecnico.
Ad ogni modo, in tali ipotesi l’amministrazione potrà provvedere al completamento delle opere mediante una delle seguenti modalità alternative:
(i) esecuzione in via diretta;
(ii) interpello progressivo dei soggetti che hanno partecipato alla procedura come risultanti dalla relativa graduatoria al fine di stipulare un nuovo contratto per il completamento dei lavori alle condizioni proposte dall’operatore economico interpellato (e non quindi, come prevede l’art. 110 del d.lgs. n. 50/2016, alle medesime condizioni proposte dall'originario aggiudicatario in sede in offerta);
(iii) indizione di una nuova procedura per l’affidamento del completamento dell’opera;
(iv) proposta alle autorità governative di nominare un commissario straordinario.
La medesima norma contempla, inoltre, una sorta di clausola sociale: in tutti i casi in cui si proceda alla risoluzione del contratto con l’originario esecutore, dovranno essere comunque salvaguardati i livelli occupazionali e contrattuali originariamente previsti, mediante l’assunzione da parte dell’impresa subentrante dei dipendenti dell’esecutore uscente, se privi di occupazione, ove possibile e compatibilmente con l'organizzazione di impresa.
Il comma 6, infine, prevede il divieto di invocare l’inadempimento della controparte per sospendere l’esecuzione, salva l'esistenza di una delle cause di sospensione di cui al comma 1.
Tale norma risponde al condivisibile fine di limitare l'impatto delle gravi conseguenze della pandemia sulla prosecuzione dei lavori, attribuendo, ancora una volta, l'interesse prevalente alla realizzazione delle opere pubbliche.
3.3.2. Disposizioni temporanee comunque attinenti all'esecuzione di lavori pubblici.
Passiamo quindi all'esame delle altre disposizioni temporanee comunque attinenti all'esecuzione di lavori pubblici, contenute nell'art. 8, comma 4, d.l. n. 76/2020.
Tali disposizioni si applicano con esclusivo riferimento ai contratti aventi ad oggetto lavori pubblici già stipulati all'entrata in vigore del d.l. n. 76/2020.
Tra le misure applicabili ai soli lavori in corso di esecuzione all'entrata in vigore del decreto è stato previsto:
(i)l'obbligo di emissione da parte del direttore lavori del SAL in relazione alle lavorazioni effettuate alla data di entrata in vigore del decreto ed anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali entro quindici giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto, nonché l'obbligo di emettere il relativo certificato di pagamento contestualmente e comunque non oltre cinque giorni dall’adozione dello stato di avanzamento;
(ii) il riconoscimento, a valere sulle somme a disposizione della stazione appaltante indicate nei quadri economici dell’intervento e, ove necessario, utilizzando anche le economie derivanti dai ribassi d’asta, i maggiori costi derivanti dall’adeguamento e dall’integrazione, da parte del coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, del piano di sicurezza e coordinamento, in attuazione delle misure anti-COVID;
(iii) ulteriori deroghe in materia di risoluzione contrattuali.
In particolare, una misura molto utile è la previsione di cui all'art. 8, comma 4 lett. a), secondo la quale, anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali, il direttore dei lavori potrà adottare, in relazione alle lavorazioni effettuate alla data in vigore del decreto Semplificazioni, il SAL.
Più precisamente: (i) lo stato di avanzamento dei lavori dovrà essere adottato entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto; (ii) il certificato di pagamento dovrà essere emesso contestualmente e comunque entro cinque giorni dall’adozione dello stato di avanzamento; (iii) il pagamento dovrà essere effettuato entro ulteriori quindici giorni dall’emissione del certificato di pagamento medesimo.
La disposizione in esame deve essere valutata positivamente.
Infatti, rispondendo alle istanze, più volte manifestate delle imprese e dalle associazioni di categoria nella fase emergenziale e post-emergenziale, si tratta di misure che, in deroga alle previsioni contrattuali, consentono di effettuare immediatamente il pagamento delle lavorazioni, garantendo quell'immediata liquidità di cui le imprese, soprattutto in questo drammatico momento storico, hanno bisogno.
Peraltro, non solo diverse stazioni appaltanti, già prima dell'entrata in vigore del decreto, avevano provveduto a modificare i contratti in corso al fine di anticipare il pagamento del SAL, ma l'introduzione di una norma in tal senso era stata altresì suggerita dall'A.N.AC. mediante l'apposito Atto di segnalazione al Governo n. 5 del 29 aprile 2020.
In analoga ottica, ed in ragione dell’obbligo degli appaltatori di attenersi alle misure di contenimento di cui agli articoli 1 e 2 del decreto – legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13 e dall’articolo 1 del decreto–legge 25 marzo 2020, n. 19 e specificate nel "Protocollo allegato al decreto che regola il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri edili" condiviso tra Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e le parti sociali, è stato previsto il riconoscimento dei conseguenti maggiori costi e oneri sopportati dagli appaltatori a valere sulle somme a disposizione della stazione appaltante indicate nei quadri economici dell’intervento di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 e, ove necessario, utilizzando anche le economie derivanti dai ribassi d’asta.
Tale previsione, di fondamentale importanza, era necessaria ed è stata richiesta dalle parti sociali al fine di far fronte all'inevitabile aumento dei costi e degli oneri per la sicurezza derivanti dall'applicazione delle misure anticontagio.
Si osserva che la suindicata norma ricalca, in parte, quanto previsto nelle linee d'indirizzo ITACA recanti “Sicurezza e salute nei cantieri di opere pubbliche in emergenza COVID-19”, approvate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome il 18 giugno 2020.
Le predette linee guida, infatti, contemplano l’individuazione dei costi della sicurezza, che devono essere riconosciuti agli operatori economici e degli oneri aziendali per l'attuazione delle misure anticovid-19 da parte delle imprese e suggeriscono, peraltro, che "l’eventuale aumento dei costi stimati del CSE in relazione all’adeguamento del PSC per le misure anti contagio competono alla stazione appaltante la quale deve assicurare il finanziamento sia assorbendo il relativo importo dalla voce 'imprevisti', sia utilizzando le eventuali economie disponibili sia con incremento delle risorse, ovvero, se non possibile, con stralcio di opere purché sia garantita la funzionalità dell’opera".
Secondo la novella introdotta dal legislatore il rimborso dei maggiori costi avverrà in occasione del pagamento del primo stato di avanzamento successivo all’approvazione dell’aggiornamento del piano di sicurezza e coordinamento.
Si prevede poi che - ove il rispetto delle misure anticontagio impedisca, anche solo parzialmente, il regolare svolgimento dei lavori ovvero la regolare esecuzione dei servizi o delle forniture -tale circostanza costituisca causa di forza maggiore ai sensi dell’articolo 107, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Conseguentemente, in questo caso, non si potrà dar luogo alla risoluzione del contratto o all'applicazione di penali.
Qualora il rispetto delle misure di contenimento in parola impedisca di ultimare i lavori, i servizi o le forniture nel termine contrattualmente previsto, tale circostanza non sarà imputabile all’esecutore ai sensi del comma 5 del citato articolo 107 ai fini della proroga, ove richiesta; inoltre, in considerazione della qualificazione della pandemia COVID- 19 come “fatto notorio” e della cogenza delle misure di contenimento disposte dalle competenti Autorità, non si applicheranno gli obblighi di comunicazione all’Autorità nazionale anticorruzione e le sanzioni previste dal terzo e dal quarto periodo del comma 4 dell’articolo 107 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Quest'ultimo inciso va inteso come ulteriore tentativo di semplificazione procedimentale.
3.4. Disposizioni attinenti al collegio consultivo tecnico.
Sempre con riferimento ai contratti di opere pubbliche sopra soglia, il decreto Semplificazioni ha previsto l'obbligatorietà presso ogni stazione appaltante, fino al 31 luglio 2021, della costituzione di un collegio consultivo tecnico prima della data di avvio dei lavori e comunque non oltre dieci giorni da tale data, con funzioni specificamente individuate e legate alla fase di esecuzione contrattuale.
Non si tratta di una novità: previsto nella versione inziale del d.lgs. n. 50/2016 e criticato a più riprese dall'ANAC, il collegio consultivo tecnico è stato recentemente reintrodotto dal decreto sblocca-cantieri. Si rammenta, infatti, che tale organismo, presente nella versione originaria dell'art. 207 del d.lgs. 50/2016 era stato successivamente, abrogato dal c.d. correttivo (d.lgs. n. 56/2017), in quanto la norma era stata oggetto di censura sia da parte dell'A.N.AC. che da parte del Consiglio di Stato.
In particolare, i giudici di Palazzo Spada, con parere n. 855/2016, reso sullo schema di decreto legislativo recante "Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione (d.lgs. 50/2016) avevano suggerito la soppressione della disciplina sul collegio consultivo tecnico, poiché il previgente art. 207 non chiariva né se il ricorso al collegio costituisse un sistema alternativo all’accordo bonario, né come i due istituti si rapportassero tra loro; inoltre, il Consiglio di Stato aveva evidenziato che tale previsione avrebbe potuto influire sui compiti della Camera arbitrale, ponendo altresì problemi di compatibilità con il criterio di delega di cui alla lett. aaa), art. 1 della Legge delega n. 11/2016.
Con il decreto Semplificazioni, non solo tale organismo viene riproposto ma viene addirittura reso obbligatorio per tutti gli appalti di importo superiore alle soglie comunitarie prima dell'avvio dell'esecuzione. Ciò significa che le stazioni appaltanti dovranno necessariamente dotarsi di uno staff di esperti per tutti i lavori di importo superiore a 5,35 milioni di euro.
In tutti gli altri casi la nomina del collegio sarà possibile ma non sarà obbligatoria.
Sarà altresì facoltativa la nomina di un collegio consultivo tecnico formato da tre componenti per risolvere problematiche tecniche o giuridiche di ogni natura suscettibili di insorgere anche nella fase "antecedente" alla esecuzione del contratto (art.6., comma 5).
Il d.l. n. 76/2020 impiega un intero articolo per delineare ruolo, composizione e funzionamento di tale organo.
Più precisamente, l’art. 6 del decreto Semplificazioni - nell’abrogare i commi da 11 a 14 dell’art. 1 del d.l. n. 32/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 55/2019, ossia la parte relativa al collegio consultivo tecnico - prevede che fino al 31 luglio 2021, in relazione ai lavori di importo pari o superiore alle soglie comunitarie sia obbligatorio, presso ogni stazione appaltante, costituire un collegio consultivo tecnico, prima dell’avvio dell’esecuzione, o comunque entro 10 dieci giorni dall’avvio, con i compiti previsti dall’articolo 5 in tema di sospensione e con funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura, che dovessero insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto.
La norma trova applicazione anche per i contratti la cui l'esecuzione sia già iniziata al 17 luglio 2020, in relazione ai quali il collegio consultivo tecnico dovrà essere nominato entro 30 giorni da tale data.
Il team che costituirà il collegio dovrà essere composto da tre o cinque esperti. La scelta del numero dipenderà dalla complessità dell'appalto da gestire e, nel caso si propenda per la formazione più numerosa, questa dovrà essere motivata, in relazione alla complessità dell'opera o all'eterogeneità delle professionalità richieste.
I tecnici chiamati a scendere in cantiere saranno scelti tra "ingegneri, architetti, giuristi ed economisti" di "comprovata esperienza nel settore degli appalti delle concessioni e degli investimenti pubblici". Potrà inoltre essere richiesta l'esperienza di gestione delle opere tramite soluzioni di Building information modeling (BIM). L'esperienza in ciascun campo specifico si presume maturata in presenza del conseguimento di un dottorato di ricerca ovvero di una dimostrata pratica professionale di almeno cinque anni nel settore di riferimento.
I componenti del collegio potranno essere designati dalle parti di comune accordo, ovvero le parti potranno concordare che ciascuna di esse nomini uno o due componenti e che il terzo o il quinto componente, con funzioni di presidente, sia scelto dai componenti di nomina di parte. Nel caso in cui non si trovi un accordo sulla nomina del presidente, prima dell’avvio dell’esecuzione o entro 10 dieci giorni dall’avvio: per le opere di interesse nazionale, questo sarà designato entro i successivi 5 giorni dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; per le opere di interesse regionali, invece, sarà scelto dalle regioni dalle province autonome di Trento e Bolzano o dalle città metropolitane secondo il rispettivo interesse.
Questa volta, il decreto chiarisce il peso che avranno le decisioni del collegio, le quali dovranno essere assunte dalla maggioranza.
In particolare, le decisioni dovranno avere forma scritta e avranno valore di lodo contrattuale secondo il codice di procedura civile (art. 807-ter) salva diversa e motivata volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti. Mediante il richiamo all'art. 808-ter del codice di procedura civile il collegio viene, in sostanza, parificato ad un arbitrato irrituale.
Il mancato rispetto di una decisione degli esperti potrà essere valutato sotto il profilo del danno erariale e costituirà "salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali".
Il decreto stabilisce altresì che i compensi saranno a carico delle parti in misura proporzionata alle decisioni assunte e saranno computati all'interno del quadro economico dell'opera.
Viene posto un limite anche in ordine alla cumulabilità dei ruoli: ciascun professionista non potrà ricoprire più di cinque incarichi di questo tipo contemporaneamente, rimanendo comunque vietato il cumulo di più di dieci nomine nell'arco di due anni.
Quanto alla durata dell'organo, i collegi dovranno essere sciolti alla conclusione dei lavori ("termine dell'esecuzione del contratto"). Nelle ipotesi di nomina facoltativa viene prevista, invece, la possibilità di sciogliere l'organo anche prima, a partire dal 31 luglio 2021, data in cui la norma non opererà più, a meno di proroghe.
La ratio sottesa alla novella in argomento è quella di deflazionare il contenzioso nella fase esecutiva del contratto, valorizzando uno fra gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, nell'interesse del committente a prevenire possibili dispute con l'appaltatore durante l'esecuzione dell'appalto. Come noto, infatti, si tratta di una fase estremamente delicata che spesso, nel nostro ordinamento, è stata trascurata.
La novella relativa al collegio consultivo tecnico, risolve solo in parte alcune delle criticità riscontrate nella previgente disciplina contenuta nel decreto Sblocca-cantieri che avevano determinato, di fatto, una mancata applicazione della norma.
Anzitutto, è apprezzabile il chiarimento in ordine all'efficacia delle pronunce contrattuali: infatti, il d.l. n. 32 del 18 aprile 2019 non solo non chiariva la valenza delle soluzioni proposte collegio ma specificava che le stesse non avevano valore transattivo, configurandosi il collegio come organo meramente consultivo e depotenziando di gran lunga l'utilità di ricorrere a tale team di esperti; per contro, il decreto Semplificazioni stabilisce espressamente che le decisioni dell'organo rivestono natura di lodo contrattuale e saranno, pertanto, vincolanti: l'inosservanza delle decisioni costituirà infatti inadempimento contrattuale.
Tuttavia, poiché disattendere le determinazioni del collegio costituirà inadempimento contrattuale, ciò porta a considerare che, proprio per la loro natura negoziale, tali determinazioni non elimineranno la possibilità di contenziosi giudiziali fra le parti, nel caso in cui una delle due contravvenga a tali decisioni rendendosi inadempiente.
Si rammenta poi che la disciplina contenuta nel d.l. Sblocca-cantieri ometteva di esplicitare le modalità di remunerazione dei membri del collegio e non chiariva soprattutto se tali spese fossero da ritenersi a carico delle stazioni appaltanti, rientrando nelle spese relative a quel determinato appalto pubblico, ponendo criticità soprattutto in termini di contabilità pubblica. Con il nuovo decreto, sebbene con una formulazione generica, viene stabilito invece che le spese per la remunerazione dei membri del collegio sono a carico delle parti ed in misura proporzionata al valore dell'opera.
Ad ogni modo, occorrerà attendere le prime applicazioni della norma, al fine di verificare se la stessa produrrà quegli auspicati effetti deflattivi e di agevole risoluzione delle controversie, che hanno ispirato l'introduzione della novella in esame.
3.5. Disposizioni attinenti al Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Un'ulteriore novella introdotta dal decreto Semplificazioni recante il bollino della temporaneità attiene al ruolo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
In particolare, con l'art. 8, comma 7 lett. d), il decreto Semplificazioni introduce talune deroghe all'art. 215, comma 3 del d.lgs. n 50/2016, peraltro già modificato dall’articolo 1, comma 7 del decreto Sblocca-cantieri.
In particolare, all'esito della novella, fino al 31 dicembre 2021: (i) per i lavori pubblici di importo inferiore a 50 milioni di euro si prescinderà dall’acquisizione del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici; (ii) per le opere di importo superiore a 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro, le competenze del Consiglio superiore saranno esercitate dai comitati tecnici amministrativi presso i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche; (iii) è stato elevato da 70 milioni a 100 milioni di euro l'importo delle opere superiore al quale il parere del Consiglio superiore deve considerarsi obbligatorio.
4. Le disposizioni che intervengono sul testo del Codice modificandolo in via permanente
Il decreto Semplificazioni contiene anche una serie di norme 'inedite' (nel senso che non integrano né una proroga di novelle introdotte precedentemente, né un revirement rispetto a modifiche normative precedenti) che intervengono direttamente sul corpus codicistico modificandolo in via permanente e che si applicano, per espressa previsione normativa, non solo alle procedure bandite dopo la data di entrata in vigore della riforma, ma anche, "in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi".
In tale categoria di novelle si inseriscono: (i)l'intervento sull'art. 38 del d.lgs. n. 50/2016, in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti; (ii)la previsione della facoltà per la stazione appaltante di escludere un operatore economico per violazioni degli obblighi fiscali e contributivi anche non definitivamente accertate, purché 'gravi' e purché adeguatamente dimostrate dalla stazione appaltante medesima; (iii) l'introduzione nell'art. 83 del Codice del nuovo comma 5-bis secondo cui - ove in una gara sia richiesto un livello adeguato di copertura assicurativa contro i rischi professionali - l'idoneità della copertura assicurativa offerta deve essere valutata sulla base della polizza assicurativa contro i rischi professionali posseduta dall'operatore economico e in corso di validità, con possibilità per la stazione appaltante, qualora la polizza sia di valore inferiore all'importo dell'appalto, di richiedere che l'offerta sia corredata, a pena di esclusione, dall'impegno da parte dell'impresa assicuratrice ad adeguare il valore della polizza in caso di aggiudicazione; (iv) la possibilità di realizzare operazioni di finanza di progetto ad iniziativa privata anche in relazione a progetti già presenti negli strumenti di programmazione delle pubbliche amministrazioni; (v) l'intervento sull'art. 32, comma 8, d.lgs. n. 50/2016 che rende cogente il termine di sessanta giorni dall'aggiudicazione per la stipula del contratto - prevedendo che la mancata stipula entro tale termine possa essere fonte di responsabilità erariale e disciplinare per il dirigente preposto, senza che eventuali differimenti possano essere giustificati dalla semplice pendenza di un ricorso giurisdizionale - e che consente alle stazioni appaltanti di stipulare assicurazioni della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione.
4.1. L'intervento in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti.
La prima disposizione che interviene sul Codice dei contratti pubblici modificandolo in via permanente afferisce alla qualificazione delle stazioni appaltanti.
In particolare, viene modificato il comma 1 dell'art. 38 del Codice e vengono soppresse le parole “agli ambiti di attività”.
Per l'effetto di tale modifica, si chiarisce che la qualificazione dovrà essere unica e non per ambiti.
Con una seconda modifica sul medesimo art. 38, alla luce della recente giurisprudenza costituzionale e degli impatti della disciplina in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti sulle regioni e sugli enti locali, è stata prevista l'acquisizione "dell'intesa" della Conferenza Unificata - che prima, invece, doveva solamente essere "sentita" - ai fini dell'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto per la definizione dei requisiti tecnico organizzativi per l’iscrizione all’elenco delle stazioni appaltanti di cui all'art. 38, comma 1 del d.lgs. n. 50/2016.
Viene poi soppressa nella medesima disposizione, la parola “programmazione”, eliminando tale ambito dalla qualificazione delle stazioni appaltanti; trattandosi, infatti, di attività afferenti alla sfera politico/amministrativa di competenza dell’ente territoriale, la programmazione non può che essere rimessa all'ente proponente.
Nella stessa ottica, è stato previsto che le stazioni appaltanti possano qualificarsi per il solo ambito inerente l’esecuzione e controllo dell’intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera, nel caso in cui queste abbiano affidato la gestione della progettazione e dell’affidamento del contratto a centrali di committenza, ovvero a soggetti aggregatori, in capo ai quali deve sussistere la qualificazione almeno per gli ambiti indicati al comma 3, lettere a) e b), dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici. Si ricorda, a tal proposito, che i soggetti aggregatori regionali di cui articolo 9 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, sono già qualificati di diritto ai sensi dell'art. 38, comma 1 del d.lgs. n. 50/2016.
Infine, è stato previsto che, tra i requisiti necessari per la qualificazione, debba essere dimostrata da parte della stazione appaltante la disponibilità di piattaforme telematiche nella gestione di procedure di gara.
Con riferimento al pacchetto di modifiche sopra enucleate, relative alla qualificazione delle stazioni appaltanti, sicuramente è apprezzabile il tentativo di risolvere alcune delle criticità evidenziate dalle regioni e dagli enti locali nel corso delle riunioni tecniche che si sono tenute in sede di Conferenza unificata nella fase istruttoria inerente l’acquisizione del parere sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previsto dal comma 2 del medesimo articolo 38, che dovrà disciplinare il sistema di qualificazione.
Nonostante il nobile fine, la formulazione della nuova norma non è tuttavia esente da criticità.
Infatti se, da un lato, tali modifiche sembrerebbero porre di nuovo l'attenzione sull'attuazione della qualificazione delle stazioni appaltanti, dall'altro, la novella in esame mal si concilia con la sospensione dell'art. 37, operata dal d.l. Sblocca-cantieri ed estesa dal decreto Semplificazioni addirittura fino al 31 dicembre 2021.
Una ulteriore incongruenza è ravvisabile tra le modifiche di cui all'art. 8, comma 5, n. 1) del d.l. n. 76/2020 e quelle di cui al punto 3.3. del medesimo comma: se per un verso si elimina la qualificazione per ambiti, per altro verso si lascia la possibilità alle amministrazioni di qualificarsi per il solo ambito relativo all'esecuzione nel caso in cui l'intera gestione della procedura di gara sia demandata a soggetti aggregatori o centrali di committenza.
Probabilmente sarebbe stato più aderente al sistema, nonché di maggiore portata semplificatoria, eliminare la qualificazione per l'esecuzione (così come avvenuto per la programmazione), considerato che la gestione di tale ambito, per sua natura, non può che essere rimessa in capo all'amministrazione delegante.
Ad ogni modo, se non altro, l'intervento in tema di qualificazione pone finalmente l'attenzione su quello che ricordiamo essere uno dei pilastri su cui poggiava l'intero impianto 'rivoluzionario' del d.lgs. 50/2016, (ossia la qualificazione delle stazioni appaltanti), che dopo ben 4 anni dall'entrata in vigore del Codice risulta ancora essere lettera morta, nonostante sia un tema particolarmente sentito, fra gli altri, dalle Regioni e dall'A.N.AC.
La speranza è che, su questo punto, possa esservi un'accelerazione rispetto all'attuazione del disegno originario del legislatore codicistico.
4.2. L'intervento in materia di cause di esclusione.
Un'ulteriore disposizione che modifica in via permanente il Codice dei contratti pubblici interviene sull'art. 80.
Più precisamente, con la novella in parola torna in scena la tanto temuta possibilità di esclusione per le irregolarità fiscali non definitivamente accertate, inizialmente prevista nel decreto Sblocca-cantieri e poi soppressa a causa delle numerose - peraltro giustificate - contestazioni da parte delle imprese.
È stato infatti nuovamente modificato l’articolo 80, prevedendo, al comma 4, la facoltà per la stazione appaltante di poter escludere un operatore economico dalla partecipazione a una procedura di gara qualora la medesima stazione appaltante sia a conoscenza e possa adeguatamente dimostrare che lo stesso non abbia ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, anche nel caso in cui tali violazioni non siano state definitivamente accertate.
È sufficiente, a tale scopo, che il mancato pagamento costituisca una "violazione grave". Il tetto cui fare riferimento per definire il concetto di gravità è richiamato dal Codice appalti ed è inserito nel d.P.R. n. 602/1973, oggetto della circolare n. 13/2018 della Ragioneria generale dello Stato in cui tale limite risulta essere pari ad appena 5.000 euro.
Nella Relazione Illustrativa al decreto si legge che tale previsione è stata introdotta al fine di risolvere una delle contestazioni sollevate dalla Commissione europea nella procedura di infrazione n. 2018/2273, con cui è stata contestata allo Stato italiano la non conformità del comma 4 del citato articolo 80 del Codice dei contratti pubblici con le direttive eurounitarie in materia di appalti.
Ciò in quanto non era consentito alla stazione appaltante di poter escludere dalle procedure di gara un operatore economico per il quale la medesima stazione appaltante fosse a conoscenza, o fosse in grado di dimostrare, che tale operatore non avesse ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali anche se non definitivamente accertati.
Sebbene giustificata dalla procedura di infrazione, la modifica in parola non semplifica affatto il sistema dei contratti pubblici.
Invero, viene attribuito alla P.A. un enorme potere discrezionale, incidendo sui motivi di esclusione dagli appalti ed aumentando le già diffuse incertezze della disciplina.
Fortunatamente, così come era stato originariamente previsto nel decreto Sblocca-cantieri, è stata confermata la presenza di una possibile via di fuga: l'impresa non potrà essere esclusa laddove abbia "ottemperato ai suoi obblighi", pagando o "impegnandosi in modo vincolante a pagare" le imposte o i contributi previdenziali dovuti "compresi eventuali interessi o multe", o quando comunque il debito previdenziale o tributario risulti integralmente estinto.
4.3. L'introduzione di un nuovo comma 5-bis nell'art. 83 del Codice.
Nel Codice viene poi introdotto un nuovo comma 5-bis nell'art. 83, avente ad oggetto le polizze assicurative il cui possesso deve essere dimostrato dai partecipanti alle gare pubbliche.
Tale novella prevede, in relazione alle polizze assicurative di importo inferiore al valore dell’appalto, che le stazioni appaltanti possano richiedere che l’offerta sia corredata, a pena di esclusione, "dall’impegno da parte dell’impresa assicuratrice ad adeguare il valore della polizza assicurativa a quello dell’appalto, in caso di aggiudicazione".
La modifica si propone di contrastare la prassi diffusa tra alcune stazioni appaltanti di richiedere nel bando di gara la produzione, unitamente alla domanda di partecipazione, di polizze assicurative di importo commisurato al valore dell’appalto.
Tale prassi costringeva molti operatori, pur in possesso di polizze assicurative contro i rischi professionali, a stipularne di nuove ai soli fini della partecipazione alla gara (e pur senza sapere, come è ovvio, se risulteranno alla fine aggiudicatari), in virtù del fatto che spesso quelle già possedute non risultavano adeguate alle prescrizioni della lex specialis.
L’integrazione dell’articolo 83 recepisce quindi le conclusioni di una condivisibile giurisprudenza (v. Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 27 febbraio 2017, n. 282) secondo cui, già nel previgente quadro legislativo, il livello adeguato di copertura assicurativa avrebbe dovuto considerarsi raggiungibile anche per gradi e con una pluralità di strumenti, dovendosi pertanto "escludere che la norma richieda necessariamente l’allegazione di un nuovo contratto di assicurazione, con un massimale già adeguato al valore dell’appalto. La produzione di un simile documento, onerosa per i concorrenti, sarebbe del tutto superflua nel corso della gara, mentre assume la massima importanza al termine della stessa, quando occorre tutelare l’interesse pubblico all’immediato avvio del servizio o della fornitura".
4.4. La modifica all'art. 183 in materia di finanza di progetto.
Il decreto Semplificazioni ha altresì modificato l’art. 183 del Codice, al fine di favorire la presentazione di proposte progettuali da parte di operatori economici per la realizzazione in concessione (ovvero mediante contratti di partenariato pubblico privato) di lavori pubblici o di pubblica utilità.
In questa prospettiva, è stato ampliato l'ambito di applicazione oggettivo della norma in esame.
Secondo la legislazione previgente, gli operatori economici potevano presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione di lavori pubblici solo ed esclusivamente ove tali lavori non fossero già presenti negli strumenti di programmazione già approvati dalle medesime amministrazioni aggiudicatrici.
La disposizione in esame supera tale limite, consentendo agli operatori economici di presentare alle amministrazioni aggiudicatrici le suddette proposte anche se già inserite negli strumenti di programmazione.
Parte III
Decreto Semplificazioni e contrattualistica pubblica: tutte le novità di diritto processuale
Tutto ciò premesso e considerato dal punto di vista delle innovazioni di diritto sostanziale, si è già anticipato che il decreto Semplificazioni reca anche importanti modifiche in ambito processuale, che vanno ad incidere sul c.d. rito-appalti.
Il diritto processuale dei contratti pubblici si conferma così il figlio degenere del diritto processuale amministrativo generale, il Gian Burrasca della 'famiglia allargata' dei riti processuali attivabili dinanzi al giudice amministrativo.
Dopo il pasticciaccio brutto dell'introduzione del c.d. rito super-accelerato, delle sue travagliate vicissitudini e della sua (forse prematura) abrogazione ad opera del decreto Sblocca-cantieri, il rito-appalti si ostina a non voler dismettere i panni del 'guastatore' e a volersi continuamente cucire addosso elementi di eccentricità che vanno ad inserirsi in un impianto già di per sé sufficientemente eccentrico.
Le novelle processuali contenute nel decreto Semplificazioni possono essere classificate in due gruppi: (i) disposizioni che incidono direttamente sul corpo del Codice del processo amministrativo, modificandolo in via permanente e (ii) disposizioni che trovano applicazione soltanto in via temporanea, ossia solamente con riferimento alle impugnative di atti adottati nell'ambito di procedure avviate nel periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020 e il 31 luglio 2021.
1. Novelle che modificano il Codice del processo amministrativo in via permanente.
Le disposizioni del decreto Semplificazioni che incidono sulla disciplina codicistica del rito-appalti consistono (i) nella generalizzazione della possibilità per il giudice amministrativo di definire il merito del giudizio in sede di definizione dell'istanza cautelare e (ii) nella modifica delle tempistiche di deposito delle sentenze.
1.1. La generalizzazione della possibilità di definire il merito del giudizio in sede di definizione dell'istanza cautelare.
Con riferimento alla prima misura, si rileva come il legislatore abbia elevato a regola generale la possibilità per il giudice amministrativo di definire il merito del giudizio già in sede di definizione dell'istanza cautelare, anche qualora non si versi in una delle ipotesi di cui all'art. 74 c.p.a. (manifesta fondatezza ovvero manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso), a condizione che siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, che sia stata accertata la completezza di istruttoria e contraddittorio, che siano state sentite sul punto le parti costituite e che nessuna parte dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o regolamento di giurisdizione.
A parere di chi scrive, si tratta di una novella molto incisiva, potenzialmente idonea a impattare pesantemente sulla quotidianità del contenzioso amministrativo.
Sul punto, può essere opportuno muovere qualche precisazione.
Non si ignora certamente che, nel contesto del rito-appalti, siano tutt'altro che infrequenti i casi in cui le parti abbiano necessità di proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale; saranno quindi moltissimi i giudizi in cui la novella in parola sarà, in concreto, inapplicabile.
Tuttavia, in tutti i restanti casi, la sostanziale unificazione della discussione cautelare con la discussione di merito consentirà alle parti di concludere il processo in tempi oggettivamente molto rapidi.
1.2. La modifica delle tempistiche deposito delle sentenze.
Il decreto Semplificazioni è poi intervenuto sui tempi di pubblicazione delle sentenze, prevedendo che il giudice debba:
(i) in via ordinaria, depositare la sentenza entro quindici giorni dall'udienza di discussione;
(ii) quando la stesura della motivazione sia particolarmente complessa, depositare la sentenza entro trenta giorni dall'udienza di discussione, ma garantendo nel minor termine di quindici giorni quantomeno la pubblicazione del dispositivo, in cui devono essere indicate le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione.
Se nella disciplina antecedente al d.l. n. 76/2020, il giudice amministrativo era tenuto a depositare la sentenza entro trenta giorni dall'udienza di discussione, ma con l'obbligo - ove richiesto dalle parti - di provvedere alla pubblicazione anticipata del dispositivo entro il minor termine di due giorni, l'intervento del decreto Semplificazioni avrà il duplice effetto (i) di ridurre il termine ordinario di deposito della sentenza e, al contempo, (ii) di prevedere un termine più lungo per la pubblicazione anticipata del dispositivo (che, a questi punti, così anticipata non sembra…..).
La modifica in esame sembra alquanto cervellotica e contraddittoria.
Nella disciplina previgente, a fronte di un termine di trenta giorni dall'udienza di discussione per il deposito integrale della sentenza, il diritto di chiedere la pubblicazione del dispositivo nel brevissimo termine di due giorni garantiva, a giudizio di chi scrive, una tutela più che adeguata alle parti del processo eventualmente interessate a conoscere in tempi brevi l'esito del giudizio.
A seguito dell'interpolazione operata dal legislatore del d.l. n. 76/2020, le parti del giudizio si trovano in una posizione sicuramente deteriore rispetto a quella in cui versavano precedentemente, posto che dovranno attendere ben quindici giorni per conseguire ciò che prima avrebbero avuto diritto di ottenere in soli due giorni, ossia la pubblicazione anticipata del dispositivo.
Sul punto, se per un soggetto che sia parte di un giudizio disporre del testo integrale della sentenza in quindici o trenta giorni fa poca differenza, si ritiene al contrario che possa fare molta differenza poter accedere al dispositivo in due o quindici giorni.
In ragione di quanto precede, il giudizio sulla novella in parola deve essere negativo.
Sotto il profilo della tecnica normativa, si segnala che nel comma 9 dell'art. 120 c.p.a. il decreto Semplificazioni ha provveduto a sostituire le parole "il Tribunale amministrativo regionale" con la più generica dicitura "il giudice".
Sul punto, il legislatore ha inteso ribadire ulteriormente l'applicabilità della disciplina del deposito delle sentenze anche ai giudizi di secondo grado, originariamente revocata in dubbio in ragione della scelta lessicale originaria di prevedere quale destinatario della norma il solo tribunale amministrativo di prima istanza, ma poi chiarita già ad opera del decreto Sblocca-cantieri, che aveva esplicitato l'applicabilità dell'art. 120, comma 9, c.p.a., anche ai giudizi di secondo grado.
2. Novelle applicabili in via temporanea.
Le novità processuali recate dal d.l. n. 76/2020 e applicabili solamente agli atti adottati nel contesto di procedure bandite avviati nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore del decreto Semplificazioni e il 31 luglio 2021 sono essenzialmente due.
Una di esse si applica a tutte le procedure avviate nel lasso temporale sopra individuato, a prescindere dal relativo importo e dal relativo oggetto.
L'altra, al contrario, si applica solamente alle procedure il cui importo sia soprasoglia e che rientrino nel novero dei c.d. 'appalti anticrisi', ossia nel novero di quelle gare in cui, per ragioni di necessità e urgenza legate agli effetti negativi della pandemia da COVID-19, alle stazioni appaltanti sia consentito di procedere in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto dei vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, delle disposizioni in materia di subappalto e degli artt. 30, 34 e 42 del Codice dei contratti pubblici.
In tale contesto, la peculiarità di tali interventi risiede proprio nella circostanza per cui essi, nell'ambito del rito processuale 'speciale' degli appalti pubblici, vanno a differenziare la disciplina processuale applicabile sulla base dell'importo e della tipologia della procedura di gara in cui si inseriscono i provvedimenti impugnati.
2.1. La disposizione che prevede l'applicabilità dell'art. 125, comma 2, c.p.a., a tutte le procedure avviate in vigenza del decreto Semplificazioni e prima del 31 luglio 2021.
La novella applicabile indistintamente a tutte le procedure avviate in vigenza del decreto Semplificazioni e prima del 31 luglio 2021 è quella che prevede, per tali procedure, l'applicazione del secondo comma dell'art. 125 del Codice del processo amministrativo.
Più precisamente, con riferimento a tutti i giudizi che abbiano ad oggetto l'impugnazione di provvedimenti adottati nel contesto di procedure avviate nel periodo sopra indicato, l'art. 4, comma 2, d.l. n. 76/2020 dispone (i) che in sede di pronuncia del provvedimento cautelare si debba tenere conto delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi suscettibili di essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera, e (ii) che, ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, si debba valutare anche l'irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse deve essere comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione della procedura.
In buona sostanza, con la novella in parola il legislatore ha inteso circoscrivere le ipotesi di accoglimento delle istanze cautelari, mostrando un deciso favor per il loro rigetto ed un manifesto sfavore per tutte le misure potenzialmente idonee a bloccare l'esecuzione di opere pubbliche, in ragione della dichiarata 'preminenza' dell'interesse nazionale alla sollecita realizzazione delle opere pubbliche medesime.
Sul punto, si rileva che un'applicazione generalizzata dell'art. 125, comma 2, c.p.a., non limitata ai provvedimenti inerenti a procedure di affidamento di infrastrutture strategiche, è suscettibile di mettere a rischio il principio di effettività della tutela giurisdizionale ed è potenzialmente esposta ad un sindacato di ragionevolezza, nella misura in cui differenzia il grado di pienezza della tutela offerta agli operatori economici sulla base della data di avvio della procedura nel cui contesto siano stati adottati gli atti impugnati.
2.2. La disposizione che comporta la sostanziale inapplicabilità dell'art. 122 c.p.a. ai giudizi di impugnazione di provvedimenti adottati nel contesto dei c.d. 'appalti anticrisi'.
Il d.l. n. 76/2020 reca un'ulteriore novella di diritto processuale, applicabile non già a tutte le procedure avviate in vigenza del decreto Semplificazioni e prima del 31 luglio 2021, ma solamente ai provvedimenti adottati nel contesto di quelle procedure che, al contempo, (i) siano state avviate nel periodo sopra indicato, (ii) siano di importo soprasoglia e (iii) rientrino nel novero dei c.d. 'appalti anti-crisi', ossia nel novero di quelle gare in cui, per ragioni di necessità e urgenza legate agli effetti negativi della pandemia da COVID-19, alle stazioni appaltanti sia consentito di procedere in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto dei vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, delle disposizioni in materia di subappalto e degli artt. 30, 34 e 42 del Codice dei contratti pubblici.
Più precisamente, il d.l. n. 76/2020 prevede - con esclusivo riferimento alle procedure soprasoglia rientranti nei c.d. 'appalti anti-crisi' - che al di fuori delle ipotesi di 'gravi violazioni' di cui all'art. 121 c.p.a., l'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione non possa mai comportare la caducazione del contratto eventualmente già stipulato.
Dal punto di vista della tecnica normativa, tale risultato è prodotto mediante rinvio all'art. 125 c.p.a., non già limitatamente al secondo comma, bensì nella sua interezza.
La novella in parola comporta, quale conseguenza pratica, l'inapplicabilità dell'art. 122 c.p.a. ai giudizi di impugnazione di atti adottati nel contesto dei c.d. 'appalti anti-crisi'.
Mediante questa conversione della tutela reale in tutela obbligatoria - che tuttavia fa salve le ipotesi di violazioni particolarmente gravi - il legislatore accetta il rischio di una compromissione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, ritenuto temporaneamente sacrificabile a fronte della preminente necessità di rilanciare l'economia per neutralizzare gli effetti negativi della pandemia e della sospensione delle attività determinata dalle misure di contenimento del contagio.
Parte IV
Decreto Semplificazioni e rilancio delle opere pubbliche strategiche (cenni)
Per concludere il presente contributo, è doveroso muovere qualche cenno alle disposizioni del d.l. n. 76/2020 che prevedono l'istituzione di un fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche e che innovano la normativa in materia di commissari straordinari, sebbene tali disposizioni non ineriscano specificamente alla disciplina generale della contrattualistica pubblica.
In particolare, l’art. 7 del decreto Semplificazioni prevede l’istituzione del “Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche” a favore delle stazioni appaltanti al fine di garantire la regolare e tempestiva prosecuzione dell’esecuzioni delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all’art. 35 del Codice.
La norma sottende il fine di sostenere la tempestiva realizzazione delle opere pubbliche, in considerazione della crisi post-pandemica che ha determinato una scarsità di risorse economiche.
Le stazioni appaltanti potranno accedere al Fondo quando, sulla base dell'aggiornamento del cronoprogramma finanziario dell'opera, risulti, per l'esercizio in corso, un fabbisogno finanziario aggiuntivo non prevedibile rispetto alle risorse disponibili per la regolare e tempestiva prosecuzione dei lavori.
Le modalità operative di accesso ed utilizzo del Fondo, con i relativi criteri di assegnazione delle risorse, saranno individuate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto Semplificazioni.
Il Fondo non potrà finanziare nuove opere e l'accesso a tale Fondo non potrà essere reiterato a esclusione del caso in cui la carenza delle risorse derivi da un'accelerazione della realizzazione delle opere rispetto al cronoprogramma aggiornato di cui al comma 3.
Al comma 2 si prevede che, per l’anno 2020, lo stanziamento del fondo ammonti a 30 milioni di euro. Per gli anni successivi, con il disegno di legge di bilancio, sarà iscritto sul Fondo un importo corrispondente al 5 per cento delle maggiori risorse stanziate nella prima delle annualità del bilancio, nel limite massimo di 100 milioni di euro, per la realizzazione da parte delle Amministrazioni centrali e territoriali di nuove opere e infrastrutture o per il rifinanziamento di quelle già previste a legislazione vigente.
La novella è da valutarsi positivamente in quanto risulta meritevole il fine di promuovere il completamento delle opere pubbliche a dispetto della crisi economica conseguente alla pandemia da COVID-19.
Per quanto concerne invece la normativa in materia di commissari straordinari, l'art. 9 del decreto Semplificazioni va a modificare l'art. 4 del decreto Sblocca-cantieri.
La nuova disciplina si applicherà agli interventi infrastrutturali caratterizzati da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa e dalla complessità delle procedure tecnico–amministrative, ovvero a quegli interventi che comportano un rilevante impatto sul tessuto socio – economico del territorio.
La nomina dei commissari straordinari spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri, con uno o più Dpcm da adottare entro il 31 dicembre 2020, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Per l'esecuzione degli interventi sopra individuati, i Commissari straordinari potranno assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante e opereranno in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici, fatto salvo il rispetto dei principi di cui agli articoli 30, 34 e 42, nonché delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, e dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea "ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE e delle disposizioni in materia di subappalto".
Parte V
Conclusioni
Come il decreto Sblocca-cantieri, anche il decreto Semplificazioni appare come un alternarsi di luci e di ombre.
La principale pecca del d.l. n. 76/2020 - a parere di chi scrive, del tutto imperdonabile - è quella di non aver colto l'occasione per affrontare e risolvere, una volta per tutte, l'annosa questione dei limiti all'utilizzo del subappalto.
La prima bozza del decreto conteneva disposizioni in materia di subappalto volte ad eliminare il limite del 40% dell'importo subappaltabile previsto dal d.l. Sblocca-cantieri che, tuttavia, non risolvevano di certo le censure mosse in ben due occasioni dalla Corte di giustizia europea.
Come noto, infatti, la pronuncia della Corte di giustizia UE del 26 settembre 2019, causa C/19 ha censurato il limite al subappalto imposto ex ante ed in maniera generale e astratta dall'art. 105, comma 2, in quanto preclude, di fatto, alle stazioni appaltanti, qualsiasi valutazione relativa al singolo appalto.
La reiterata inerzia del legislatore sul tema lascia le stazioni appaltanti e gli operatori economici in balìa delle incertezze applicative.
Un intervento sul punto appare ancor più doveroso se si tiene conto delle differenti interpretazioni delle pronunce della Corte di giustizia europea fornite dalla giurisprudenza nazionale (si veda, da ultimo, Tar Lazio, Roma, Sez. I, 24 aprile 2020 n. 4183).
Non può escludersi, tuttavia, che il Governo abbia inteso demandare le dovute modifiche alla disciplina del subappalto ad un più articolato successivo intervento al fine di risolvere, una volta per tutte ed in maniera compiuta, la questione dell’incompatibilità con il diritto eurounitario dei limiti nazionali all'utilizzo dell'istituto.
Ciò premesso, a prescindere dalla meritevolezza delle singole disposizioni del decreto Semplificazioni, non possiamo fare a meno di rilevare come in questi anni, nei confronti del Codice del 2016, si stia manifestando la stessa foga riformatrice che in passato era stata diretta contro il Codice del 2006.
Sul punto, è il caso di ribadire che il legittimo desiderio di tendere alla norma perfetta – attraverso continui e ripetuti affinamenti normativi – non dovrebbe tramutarsi in un’inarrestabile ricerca del Graal.
Se questo è l’ammonimento che si ricava dalla storiografia normativa degli ultimi tre lustri, non può non ribadirsi che una norma è buona se è in grado di divenire stabile: ossia se è in grado di garantire – con l’interpretazione fornitane a livello pretorio - la stabilità della disciplina, la metabolizzazione delle procedure da parte di coloro che devono gestirle e di coloro che devono prendervi parte, nonché la conseguente formazione di quelle fisiologiche prassi standardizzate che ne agevolino l’implementazione.
Sotto diverso quanto connesso profilo, inoltre, una normativa stabile nel settore della contrattualistica pubblica rappresenta il primo fronte per un’efficace lotta a quei fenomeni corruttivi che troppe volte hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare il settore: dove vi è chiarezza circa le modalità applicative, è difficile per il corrotto e il corruttore trovare gli angoli bui in cui celare un malaffare.
Solo il tempo potrà dire se il decreto Semplificazioni produrrà un effetto positivo sull'economia italiana (o se, quantomeno, non produrrà effetti deleteri).
Sarà importante che il trend di crescita del mercato delle commesse pubbliche continui anche nel periodo post-pandemia, quando l'economia pubblica dovrà più che mai prendere il Paese sulle spalle, in una fase in cui l'economia privata subirà fatalmente uno shock che non ha precedenti in tempi di pace.
Lo Stato avrà il difficile compito di accompagnare efficacemente la ricostruzione di un tessuto imprenditoriale messo a dura prova dall'emergenza sanitaria; nelle more di questo processo, toccherà all'economia pubblica sorreggere i livelli occupazionali del Paese.
Sarà quindi essenziale per il legislatore dei contratti pubblici non commettere errori, a cominciare dalla legge di conversione del d.l. n. 76/2020, che si auspica possa migliorare il decreto, correggendone le storture e riempiendone i vuoti.