Consiglio di Stato, sez. V, 10 aprile 2020, n. 2358
Il ritiro, all’esito di un procedimento di secondo grado, dell’atto di indizione di una procedura concorsuale, attesa la sua natura giuridica di atto amministrativo generale, è sottratto all’efficacia delle norme dettate in tema di partecipazione individuale al procedimento, in coerenza con il disposto dell’art. 13 della l. n. 241 del 1990 (Consiglio di Stato, sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6455).
Spetta alle pubbliche amministrazioni un generale potere di revisione, in autotutela, del proprio operato, in presenza di idonei motivi, originari o sopravvenuti, di pubblico interesse, secondo il paradigma dell’art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990.
Prima della conclusione del procedimento preordinato alla stipula di contratti, attraverso la selezione concorrenziale e comparativa della miglior controparte, va riconosciuto alle pubbliche amministrazioni un ampio e generale potere di ripensare le scelte operate in ordine alle modalità di selezione delle controparti negoziali (e ciò nella prospettiva del costante adeguamento al vincolo finalistico delle loro condotte), con l’unico limite della necessità di rispettare le regole di buona fede e di tutela dell’affidamento, la cui eventuale violazione viene salvaguardata in sede di responsabilità precontrattuale (Consiglio di Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831).
Deve escludersi che la revoca degli atti di gara, da cui consegua un pregiudizio, comporti l’obbligo di pagamento, in favore dei concorrenti, dell’indennizzo previsto dall’art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990, per un verso in quanto l’indennizzo è dovuto esclusivamente in favore dei soggetti direttamente interessati, cioè i soggetti cui il provvedimento di revoca sottrae una utilità ovvero un bene della vita già acquisito al relativo patrimonio, e tali non sono gli operatori economici per il solo fatto della formulazione di un’offerta in sede concorsuale (Consiglio di Stato, sez. V, 21 maggio 2018, n. 2025); per altro verso, prima del provvedimento di aggiudicazione definitiva, non sussistono posizioni di affidamento qualificato, meritevoli di tutela compensativa indennitaria.
La legittimità della revoca non necessariamente esclude la lesione dell’affidamento della parte privata, rilevante in termini di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., posto che le due vicende operano su piani distinti, in quanto la legittimità della revoca rileva sub specie acti e si confronta con le regole di validità imposte all’azione amministrativa, mentre la correttezza dell’opzione soprassessoria opera sub specie facti e si confronta con le regole di condotta imposte all’amministrazione all’esito della instaurazione del cd. contatto sociale qualificato con i soggetti privati.
Occorre tenere distinte: a) l’ipotesi della revoca giustificata da sopravvenuti motivi di pubblico interesse (eventualmente correlate al sopravvenuto mutamento del quadro normativo di riferimento), cd. sopravvenienza di diritto, in cui la sopravvenienza è imprevedibile e non imputabile all’Amministrazione, tenuta ad adeguare la propria azione all’aggiornato quadro degli interessi, non potendosi prefigurare una condotta scorretta, fonte di pregiudizio precontrattuale. In tal caso, al privato spetta, ove ne ricorrano le condizioni, l’indennizzo da revoca legittima, ovvero il risarcimento del danno da revoca illegittima; b) l’ipotesi del mutamento della situazione di fatto, cd. sopravvenienza di fatto, nel qual caso solo l’imprevedibilità dello stesso, alla luce di un canone di qualificata diligenza operativa, esonera da responsabilità. In tal caso, al privato spetta l’indennizzo (limitato al danno emergente, nel caso dell’art. 21-quinquies, comma 1-bis, l. n. 241 del 1990) in caso di revoca legittima, ed il risarcimento del danno (comprensivo dell’interesse positivo, sia quale danno emergente che lucro cessante ex art. 1223 c.c.) in caso di revoca illegitima; c) l’ipotesi di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, cd. ius poenitendi, in cui la responsabilità è ancorata alla lesione dell’affidamento della controparte privata, ove l’Amministrazione non si sia conformata ai canoni di correttezza e di buona fede, prefigurati dall’art. 1337 c.c.. In tal caso, al privato spetta il risarcimento del danno precontrattuale (nei limiti dell’interesse negativo, ancorché comprensivo del lucro cessante) nell’ipotesi di revoca legittima, ma operata in modo scorretto, ed il risarcimento integrale del danno in ipotesi di revoca illegittima.
Guida alla lettura
Con la sentenza in rassegna, la V sezione del Consiglio di Stato, muovendosi nel solco di consolidati orientamenti giurisprudenziali, si è occupata di varie questioni, concernenti sotto vari profili la revoca degli atti di indizione di un procedimento concorsuale indetto per la selezione della controparte negoziale della p.a. e le relative conseguenze patrimoniali, sia per quanto attiene la spettanza o meno dell’indennizzo prefigurato dall’art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990, sia per quanto attiene il diritto a conseguire il risarcimento del danno da lesione delle legittime aspettative del privato, qualora la revoca, violando i princìpi generali della correttezza, della buona fede e della tutela dell’affidamento, intercetti l’ipotesi prefigurata dall’art. 1337 c.c..
In primo luogo, la sezione, coerentemente con il precetto normativo scolpito nell’art. 13, comma 1, l. n. 241 del 1990, che come noto esclude (fra l’altro) gli atti amministrativi generali dall’ambito di efficacia delle norme dettate in tema di partecipazione procedimentale, precisa come nell’ambito di una gara indetta dalla p.a. per la selezione della controparte negoziale, in capo agli offerenti non possa configurarsi un diritto partecipativo in ipotesi di procedimento di secondo grado finalizzato alla revoca dell’atto di indizione della procedura, in considerazione della sua natura giuridica di atto amministrativo generale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6455). Ha inoltre ricordato il giudice amministrativo come il presupposto per il sorgere in capo ad un soggetto della pretesa a partecipare ad un procedimento amministrativo, sia la titolarità di una posizione differenziata e qualificata, non ravvisabile neppure in presenza di una aggiudicazione provvisoria (Consiglio di Stato, sez. III, 11 gennaio 2018, n. 136; sez. V, 31 agosto 2016, n. 3746), istituto già presente nell’ordinamento all’art. 11, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006, oggi soppresso e sostituito dalla proposta di aggiudicazione, prevista dall’art. 33, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016.
La sentenza in rassegna si inserisce nel solco di un tradizionale orientamento dottrinario e giurisprudenziale, in quanto ribadisce come spetti alla p.a. un generale potere di revisione in autotutela del proprio operato, e quindi dei propri atti, sul presupposto della presenza di idonei motivi, originari o sopravvenuti, di pubblico interesse. Sul punto, è appena il caso di ricordare che dottrina e giurisprudenza non hanno mai dubitato della titolarità di poteri di autotutela in capo alla p.a., pur in assenza di una espressa norma che li positivizzasse in via generale, ed anteriormente alla riforma del 2005 ne individuavano il fondamento normativo nei princìpi desumibili dall’art. 97 Cost.. A seguito della menzionata novella, il legislatore ha introdotto una specifica copertura normativa per gli istituti della revoca, dell’annullamento d’ufficio e della convalida, rispettivamente rinvenibile agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della. l. n. 241 del 1990. Per quanto attiene la revoca, la stessa costituisce provvedimento di secondo grado con il quale viene disposto il ritiro di un precedente atto, valido ma riconosciuto non più rispondente all’interesse pubblico da perseguire (e quindi divenuto inopportuno), e produce efficacia ex nunc. Attualmente, secondo il vigente dettato normativo, scolpito nell’art. 21-quinquies, comma 1, l. n. 241 del 1990, la revoca appare esercitabile per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, per mutamento della situazione di fatto (mutamento che deve risultare non prevedibile nel momento in cui la p.a. aveva adottato l’atto poi sottoposto a procedimento di secondo grado), ovvero per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (ipotesi tradizionalmente rientrante nel cd. ius poenitendi).
Il descritto potere di revisione è riconosciuto in capo alla p.a. anche per quanto attiene le modalità di selezione della controparte negoziale, nella prospettiva del costante adeguamento della condotta della stessa al vincolo finalistico che la connota. Al riguardo, posto che i poteri di autotutela presentano un carattere generale, non appare ravvisabile alcuna esigenza di escluderne dal relativo campo di applicazione i procedimenti di selezione concorrenziale e comparativa tesi all’individuazione delle controparti negoziali. Un limite all’esercizio di tali poteri è però ravvisato nella necessità di rispettare, da parte della p.a., i princìpi della buona fede, della correttezza e della tutela dell’affidamento, ritenuti in giurisprudenza princìpi generali dell’ordinamento, la cui violazione trova tutela nelle regole che informano la cd. responsabilità precontrattuale (Consiglio di Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831).
Normalmente, fra i presupposti indicati dal legislatore per il valido esercizio dei poteri di revoca, figura la previsione di un indennizzo in favore del soggetto che, dalla revoca del provvedimento, riceva un pregiudizio. Per consolidato orientamento, l’indennizzo postula una responsabilità da atto lecito dannoso (in ciò distinguendosi dal risarcimento, che invece postula l’illiceità della condotta). Ed infatti, la revoca, ove sia esercitata in presenza dei presupposti normativamente prefigurati, rappresenta un provvedimento legittimamente emanato, e la condotta della p.a. agente risulta quindi lecita, sebbene cagioni un pregiudizio nella sfera giuridico - patrimoniale del soggetto destinatario dell’atto revocato, che riponeva un affidamento negli effetti di detto provvedimento. A fronte della lesione subita ad interessi ritenuti meritevoli di tutela, risulta prevista in funzione compensativa un indennizzo.
La sentenza in rassegna, muovendosi nel solco dell’insegnamento tradizionale della giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 10 febbraio 2010, n. 671), distingue fra revoca legittima, a fronte della quale è prevista l’attribuzione di un indennizzo (profilandosi la richiamata ipotesi della responsabilità da atto lecito dannoso), e revoca illegttima, a seguito della quale subentra la necessità di disporre il risarcimento del danno (essendo in presenza di una illiceità della condotta, presupposto per l’operatività della clausola generale consacrata nell’art. 2043 c.c.).
La sentenza de qua esclude, però, che l’indennizzo prefigurato dall’art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990 spetti in ipotesi di ritiro degli atti di gara, rilevando come l’indennizzo competa soltanto ai soggetti cui il provvedimento di revoca sottrae una utilità ovvero un bene della vita già acquisito al relativo patrimonio, ipotesi non ravvisabile in capo a chi abbia presentato una offerta nel procedimento concorsuale per l’affidamento di contratti pubblici (Consiglio di Stato, sez. V, 21 maggio 2018, n. 2025), posto che, prima del provvedimento di aggiudicazione definitiva, non sussistono posizioni di affidamento qualificato, meritevoli di tutela compensativa indennitaria. Ed infatti, come è stato sostenuto in giurisprudenza, neppure a seguito dell’aggiudicazione provvisoria della gara è possibile rinvenire il presupposto necessario per il sorgere della pretesa a percepire l’indennizzo de quo (Consiglio di Stato, sez. III, 11 luglio 2012, n. 4116).
La decisione in rassegna di dà carico di distinguere le ipotesi – e le relative conseguenze patrimoniali – in cui la revoca risulti fondata su sopravvenuti motivi di pubblico interesse (ai quali può ascriversi il mutamento normativo, evento integrante la cd. sopravvenienza di diritto e che risulta imprevedibile, e quindi non imputabile alla p.a., tenuta ad adeguare la propria azione al mutato contesto degli interessi pubblici), da quelle in cui la revoca si basi su un mutamento della situazione di fatto (la cd. sopravvenienza di fatto, che impone di verificare se il mutamento risultava o meno prevedibile dalla p.a., conformando la propria condotta ad adeguati canoni di diligenza), da quelle in cui la p.a., in assenza di intervenuti mutamenti (e quindi in presenza del medesimo quadro giuridico e fattuale) abbia effettuato una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (cd. ius poenitendi).
Da ultimo, la sentenza de qua, in coerenza con i più recenti arresti giurisprudenziali (su tutti, Consiglio di Stato, ad. pl., 5 settembre 2005, n. 6; sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4674), ribadisce che anche in ipotesi di revoca legittimamente disposta (e non solo per il caso di revoca illegittima) appare predicabile un profilo di responsabilità precontrattuale della p.a., laddove risulti configurabile una lesione dell’affidamento della parte privata, rilevante ex art. 1337 c.c., per non essersi la p.a. conformata ai canoni di correttezza e di buona fede, prefigurati dalla predetta disposizione. In tale ambito, si è di fronte ad una responsabilità da comportamento della p.a., più che da provvedimento. Giova evidenziare, in conclusione, che di recente ha trovato definitiva consacrazione in giurisprudenza l’orientamento che ammette il profilarsi della responsabilità precontrattuale per effetto di condotte scorrette della stessa poste in essere già in sede di svolgimento della gara (Consiglio di Stato, ad. pl., 4 maggio 2018, n. 5), e non solo in conseguenza di condotte successive all’avvenuta aggiudicazione del procedimento concorsuale.
LEGGI LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4836 del 2019, proposto da
Sposato Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pierluigi Piselli, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla via Giuseppe Mercalli, n. 13;
contro
Comune di Acri, non costituito in giudizio;
Commissario straordinario delle acque reflue urbane I DPCM del 26/04/2017, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Catanzaro, sez. I, n. 419/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Commissario straordinario delle acque reflue urbane ex DPCM del 26/04/2017;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Silvia Lanzaro, su delega dell'avv. Piselli, e l’avvocato dello Stato Paola De Nuntis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, Sposato Costruzioni s.r.l. premetteva che, con sentenza del 22 luglio 2012, resa all’esito della procedura C-565/10, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva definitivamente accertato l’infrazione dello Stato italiano in merito all’adeguamento del sistema depurativo e fognario di alcuni Comuni italiani agli articoli 3, 4 e 10 della Direttiva 91/271/CEE.
Al fine di superare, in pendenza della procedura di infrazione e della controversia pendente, la situazione oggetto di accertamento, con Delibera CIPE n. 60 del 30 aprile 2012 erano stati, per tal via, individuati gli interventi prioritari da realizzare per adeguare il sistema fognario e depurativo di tutti i Comuni italiani.
In particolare, era stata programmata l“ottimizzazione del sistema fognario e depurativo del Comune di Acri”, rispetto al quale erano stanziati fondi per € 15.000.000,00, di cui € 9.800.000,00 quale quota di finanziamento pubblico (a valere sul fondo CIPE) e € 5.200.000,00 a carico del privato esecutore del lavori e gestore del servizio.
In attuazione della delibera in questione, la Regione Calabria aveva, di conseguenza, siglato con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 5 marzo 2013, un “accordo di programma quadro” nel quale, oltre a specificare le caratteristiche dell’intervento, veniva individuato nel Comune di Acri il soggetto attuatore dell’intervento.
Ai fine dell’indizione della prevista procedura comparativa, il Comune aveva, quindi, acquisito il parere dell’Unità Tecnico – Specialistica del Ministero dell’ambiente, la quale, nondimeno, aveva manifestato perplessità sull’affidamento in project financing della durata pari a 20 anni, non apparendo tale durata compatibile con il futuro passaggio della gestione del sistema idrico integrato al Gestore unico.
Ciononostante, il Comune di Acri si era risolto, in data 19 giugno 2015, a procedere comunque all’indizione di una procedura di gara per l’affidamento, appunto in project financing, ai sensi dell’art. 153, commi 1-14 d. lgs. n. 163/2006, “della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva nonché l’esecuzione di lavori di adeguamento e costruzione degli impianti di depurazione e rete fognante nel territorio comunale di Acri e successiva gestione funzionale ed economica del servizio di depurazione e collettamento”.
Alla procedura avevano partecipato tre imprese, tra cui l’odierna appellante, le quali erano state tutte escluse all’esito dell’esame della documentazione amministrativa, con provvedimento prot. n. 7541 del 21 aprile 2016.
L’esclusione era stata, peraltro, annullata – all’esito del contenzioso promosso da Sposato Costruzioni s.r.l. – con sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2830 del 12 giugno 2017, che aveva, per l’effetto, sancito il suo diritto alla riammissione in gara, contestualmente respingendo l’appello delle altre due imprese controinteressate, le quali risultavano, con ciò, definitivamente estromesse dalla gara.
Il Comune si era, quindi, attivato ai fini della attuazione del giudicato, all’uopo disponendo la riconvocazione della commissione di gara.
Nelle more, peraltro, con D.P.C.M. del 26 aprile 2017 pubblicato in G.U. n. 128 il 5.6.2017, il prof. Enrico Rolle era stato designato “Commissario straordinario unico per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea pronunciate il 19 luglio 2012 (causa C-565/10) e il 10 aprile 2014 (causa C-85/13) in materia di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue”.
Con nota del 5 luglio 2017, il Commissario aveva inopinatamente: a) invitato l’Ente Comunale a sospendere ogni attività inerente al procedimento di gara e b) comunicato il proprio subentro in tutti i rapporti instaurati dal Comune in relazione agli interventi straordinari nel settore fognario e depurativo.
Con successiva nota del 1° agosto 2017, il Commissario aveva, quindi, disposto la sospensione della procedura, per poi sancirne la definitiva revoca con provvedimento n. 9 del 1° febbraio 2018.
Avverso siffatta determinazione, Sposato Costruzioni s.r.l. era insorta:
a) per un verso, proponendo, dinanzi al TAR per la Calabria – Catanzaro, domanda di risarcimento del danno subito in conseguenza della illegittima esclusione disposta dal Comune di Acri, come definitivamente accertata dal Consiglio di Stato con la citata sentenza n. 2830/2017;
b) per altro verso, con distinto ricorso, invocando l’annullamento della disposta misura di revoca, con il riconoscimento del danno da responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione e – in via subordinata – del diritto all’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241/1990.
In pendenza di lite, il Commissario, con provvedimento del 7 agosto 2018, aveva indetto una nuova procedura aperta, finalizzata all’affidamento dei servizi e dei lavori in questione, per un importo stimato pari ad € 1.569.034,77. Anche tale determinazione era stata impugnata dalla appellante, con motivi aggiunti.
2.- Con la sentenza epigrafata, resa nel rituale contraddittorio delle parti, il TAR adito respingeva, dopo averne disposto la riunione, i ricorsi, sul complessivo assunto della legittimità del disposto ritiro degli atti di gara, per i quali erano emerse irregolarità evidenziate anche a livello ministeriale, neppure sussistendo – stante la ritenuta inapplicabilità dell’art. 21 quinquies l. n. 241/1990, il rivendicato diritto alla liquidazione dell’indennizzo.
3.- Con l’appello in esame, Sposato Costruzioni s.r.l. insorgeva avverso la ridetta determinazione, di cui argomentava la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l’integrale riforma.
Si costituiva in giudizio, per resistere al gravame, il Commissario straordinario.
Alla pubblica udienza del 19 dicembre 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello è infondato e va respinto.
2.- Con il primo motivo di censura, l’appellante lamenta error in judicando, in relazione agli artt. 7 ss. della l. n. 241/1990, avuto riguardo al disconoscimento del diritto alla personale partecipazione al procedimento di secondo grado finalizzato al ritiro degli atti di indizione della gara.
2.1.- Il motivo non è fondato.
In via di principio, il ritiro, all’esito di un procedimento di secondo grado, dell’atto di indizione di una procedura evidenziale è sottratto – avuto riguardo alla sua natura di “atto amministrativo generale” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6455) – alle norme sulla partecipazione individuale (cfr. art. 13 l. n. 241/1990).
Perché, invero, sorga uno specifico diritto alla personalizzata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale è necessaria una legittimazione fondata su una posizione soggettiva differenziata e qualificata, che – nel contesto dinamico dell’azione amministrativa – strutturi una specifica e concreta aspettativa giuridicamente tutelata al favorevole esito procedimentale.
Per consolidato intendimento, neanche l’aggiudicazione provvisoria (oggi sostituita, con l’entrata in vigore del d. lgs. n. 50/2016, dalla mera “proposta di aggiudicazione”) è in grado di strutturare una tale posizione qualificata (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, 11 gennaio 2018, n. 136; Id., sez. V, 31 agosto 2016, n. 3746): a maggior ragione ciò deve, quindi, dirsi del mero concorrente (anche laddove, come nella specie, sia rimasto l’unico a poter concretamente confidare nel favorevole esito della procedura).
In ogni caso, con valutazione assorbente, deve soggiungersi che, nel caso in esame, le ragioni poste a fondamento della determinazione rimotiva, di cui si dirà immediatamente, paiono di per sé idonee a giustificare la scelta operata dall’organo commissariale, rendendo comunque a posteriori irrilevante – alla luce del canone antiformalistico scolpito all’art. 21 octies, comma 2 della l. n. 241/1990 – l’eventuale apporto partecipativo dell’appellante.
3.- Con il secondo motivo di censura, l’appellante si duole dell’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui, sul ritenuto presupposto della non applicabilità dell’art. 21 quinquies della l . n. 241/1990 alla revoca del bando e di tutti gli atti di gara successivi (ivi inclusa l’indizione di nuova gara), non ha riconosciuto l’illegittimità del provvedimento di revoca siccome viziato da gravi illogicità ed incongruenze.
3.1.- Importa rammentare, anzitutto, che il Commissario straordinario ha motivato la scelta di revocare gli atti di indizione della gara in base al rilievo:
a) che il Ministero dell’ambiente aveva sollevato perplessità sulla scelta dell’affidamento mediante project financing, con riguardo al passaggio al gestore unico del sistema idrico integrato, e l’ANAC, successivamente consultata, aveva espresso perplessità in ordine alla misura dell’apporto pubblico e al trasferimento dei rischi in capo al privato e previsto un probabile recesso dal rapporto contrattuale stipulato all’esito delle originarie gare per incompatibilità, sotto il profilo temporale, tra la naturale durata del contratto e quella impositiva del ricorso al gestore unico;
b) che la ragione del conferimento dei poteri all’organo commissariale era costituita dalla necessità di adeguamento nel minor tempo possibile alle sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell'Unione europea pronunciate il 19 luglio 2012 (causa C-565/10) e il 10 aprile 2014 (causa C-85/13), evitando l'aggravamento delle procedure di infrazione: esigenze, queste, in distonia con la scelta del ridetto modulo della finanza di progetto;
c) che, dal punto di vista progettuale, a fronte dell’orografia aspra del territorio, in uno con una distribuzione della popolazione del territorio dispersa in frazioni, risultavano preferibili presidi depurativi localizzati, gestibili da remoto, idonei ad evitare lunghi percorsi di tubazioni in aree extraurbane.
3.2.- Si tratta di giustificazioni che – acquisite alla luce del generale potere di revisione, in autotutela, del proprio operato, spettante alle pubbliche amministrazioni in presenza di idonei motivi, originari o sopravvenuti, di pubblico interesse (cfr. art. 21 quinquies l. n. 241/1990) – si sottraggono alle proposte censure, in quanto non implausibilmente ancorate: a) al ripensamento in ordine alle corrette modalità di selezione del contraente, alla luce della riscontrata incoerenza – già, di fatto, emersa, in sede preparatoria, dal confronto tecnico con il Ministero dello sviluppo economico e rinforzata dai rilievi affidati al parere dell’ANAC – tra sistema della finanza di progetto e modalità temporali di affidamento del servizio idrico; b) alla necessità di un più sollecito e congruo riscontro alle infrazioni emerse a livello europeo; c) alla rivalutazione delle modalità progettuali dell’intervento, in forza della più attenta e rinnovata considerazione delle caratteristiche orografiche del territorio interessato.
Del resto, alle pubbliche amministrazioni che si determinino alla attivazione di procedure preordinate alla stipula di contratti, attraverso la selezione concorrenziale e comparativa della miglior controparte, va riconosciuto – prima della conclusione del relativo procedimento – ampio e generale potere (nella prospettiva del costante adeguamento al vincolo finalistico delle loro condotte) di ripensare la scelte operate in ordine alle modalità di selezione delle controparti negoziali, con l’unico limite del rispetto delle regole qualificate di buona fede e dell’affidamento dei concorrenti, suscettibile di essere, se del caso, salvaguardato – fermi gli effetti rimotivi della revoca legittimamente esercitata – in sede di responsabilità precontrattuale, sub specie facti (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831).
3.3.- Deve, con ciò, pregiudizialmente escludersi che il ritiro degli atti di gara importi, a favore dei concorrenti, l’obbligo di pagamento dell’indennizzo, previsto dall’art.21 quinquies l .n 241/1990, seconda parte, in caso di revoca produttiva di pregiudizio.
Invero:
a) per un verso l’indennizzo è legalmente dovuto esclusivamente ai soggetti “direttamente interessati” dal provvedimento di revoca (cfr. art. 21 quinquies, comma 1 ad finem), vale a dire ai soggetti ai quali l’opzione revocatoria finisca per sottrarre, sia pure legittimamente e per ragioni di pubblico interesse, una utilità ovvero un bene della vita già acquisito al patrimonio (tali non potendo essere, per definizione, considerati gli operatori economici, per il solo fatto che abbiano formulato la loro offerta in sede evidenziale): cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 2018, n. 2025, che, sulla scorta di orientamento consolidato contrappone, ai fini in parola, gli “atti ad effetti instabili od interinali” a quelli “definitivamente attributivi di vantaggi, e dunque ad effetti durevoli”;
b) per altro (e coerente) verso, laddove la misura revisionale incida rimotivamente su atti amministrativi generali (quali sono, come vale ripetere, gli atti indittivi di procedure evidenziali), non sussistono – prima della conclusione, con il provvedimento di aggiudicazione definitiva, del procedimento – posizioni di affidamento qualificato, meritevoli di tutela compensativa indennitaria.
Depongono chiaramente in tal senso:
a) il confronto sistematico con la analoga regola di cui all’art. 11, comma 4 della l. n. 241/1990, che – con riferimento alle ipotesi in cui il “provvedimento finale” sia, come è sempre possibile, surrogato dall’accordo delle parti – prevede la liquidazione di un indennizzo (peraltro meramente “eventuale”) in caso di recesso per sopravvenuti motivi di interesse pubblico: laddove è chiaro, per un verso, che il “recesso” in questione – ben diversamente dal quello genericamente codificato all’art. 21 sexies della medesima legge per la facoltà di soluzione unilaterale dei vincoli contrattuali jure privatorum – è strutturalmente e funzionalmente assimilabile alla revoca provvedimentale e che, per altro verso, la tutela indennitaria postula la rimozione di un assetto di interessi “finale”, nella specie affidato all’accordo sostitutivo in luogo della decisione conclusiva del procedimento (art. 3 l. cit.);
b) l’art. 32, comma 8 del d. lgs. n. 50/2016, che – ripetendo la regola già codificata all’art. 11, comma 9 del previgente d. lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis nel caso di specie – evoca l’esercizio dei poteri di “aututela” successivi al consolidamento, con l’aggiudicazione definitivamente efficace, della posizione del concorrente utilmente collocato in graduatoria: il che – se non esclude la più generale facoltà di ritiro degli atti endoprocedimentali – conferma la non (integrale) applicabilità dell’art. 21 quinquies l. n. 241/1990, in assenza di provvedimento “conclusivo del procedimento” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 agosto 2019, n. 5597; Id., sez. V, 9 novembre 2018, n. 6323).
4.- Con distinto mezzo, l’appellante si duole – in via logicamente gradata – del mancato riconoscimento dei presupposti della responsabilità precontrattuale.
4.1.- Il motivo è infondato, alla luce delle considerazioni che seguono.
È senz’altro vero, in premessa, che la legittimità della revoca non necessariamente esclude la lesione dell’affidamento della parte privata, rilevante in termini di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., pacificamente operante anche nei rapporti (segnatamente di matrice prenegoziale) tra privati e pubblica amministrazione.
Le due vicende operano, in effetti, su piani distinti:
a) la legittimità della determinazione provvedimentale rimotiva rileva sub specie acti e si confronta con il doveroso rispetto delle regole di validità imposte all’azione amministrativa (cfr. art. 1 l. n. 241/1990);
b) la correttezza della correlata opzione soprassessoria opera (ad instar del rifiuto di addivenire alla stipula del contratto) sub specie facti e si misura con le regole di condotta imposte all’amministrazione all’esito della instaurazione del “contatto sociale qualificato” con i soggetti privati.
Ne discende che la riconosciuta validità della fattispecie provvedimentale non osta al riconoscimento del danno derivante dalla violazione delle regole di buona fede.
4.2.- A tal fine, occorre, tuttavia, tenere distinte: a) l’ipotesi della revoca giustificata da “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” (eventualmente correlate al sopravvenuto mutamento del quadro normativo di riferimento): c.d. sopravvenienza di diritto; b) l’ipotesi del “mutamento della situazione di fatto”: c.d. sopravvenienza di fatto; c) l’ipotesi di “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”: c.d. jus poenitendi.
Nel primo caso, la sopravvenienza è, per definizione, imprevedibile e non imputabile all’Amministrazione, che, perciò, non può incorrere in responsabilità per aver doverosamente adeguato la propria azione all’aggiornato quadro degli interessi rilevanti: qui – ove la revoca sia legittima – non è dato prefigurare una condotta scorretta, fonte di pregiudizio precontrattuale.
Nel secondo caso, la responsabilità è normativamente ancorata alla eventuale “prevedibilità imputabile” del mutamento del quadro fattuale: solo l’imprevedibilità dello stesso, alla luce di un canone di qualificata diligenza operativa, esonera da responsabilità (in questo caso fondata sulla colpa dell’Amministrazione, per non aver previsto situazioni obiettivamente prevedibili).
Nel terzo caso, infine, la responsabilità è ancorata alla lesione dell’affidamento della controparte privata, in quanto l’Amministrazione non si sia conformata ad un canone di correttezza e di buona fede (art. 1337 c.c.).
Ne discende che:
a) nel caso della revoca per sopravvenienza di diritto, al privato spetta, sempreché ne ricorrano le condizioni, l’indennizzo da revoca legittima o il risarcimento integrale del danno da revoca riconosciuta illegittima;
b) nel caso della revoca per sopravvenienza di fatto, al privato spetta l’indennizzo (limitato, nel caso del comma 1 bis dell’art. 21 quiquies l. n. 241/1990, al “danno emergente”) in caso di revoca legittima e il risarcimento dei danni (comprensivo dell’interesse positivo, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante: cfr. art. 1223 c.c.) in caso di revoca illegittima;
c) nel caso di revoca penitenziale, spetta il risarcimento del danno precontrattuale (nei limiti dell’interesse negativo, ancorché comprensivo del lucro cessante: cfr. art. 1337 c.c.) anche nella ipotesi di revoca legittima, ma operata in modo scorretto (tipicamente, per inadeguato apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto a base del provvedimento impugnato), mentre compente il risarcimento integrale del danno in caso di revoca illegittima.
4.2.1. – La fattispecie in esame rappresenta una forma di revoca penitenziale, in quanto il ritiro degli atti della prima gara è stato giustificato, dall’organi commissariale, in virtù di un ripensamento in ordine alla miglior corrispondenza all’interesse pubblico delle modalità originariamente prescelte. Peraltro, sulla decisione hanno inciso anche circostanze sopravvenute, date essenzialmente dall’intervento della Corte di Giustizia e della pedissequa istituzione di un Commissario straordinario ai fini di una più tempestiva e congrua attuazione degli interventi.
Proprio tali sopravvenienze evidenziano che il Commissario, succeduto al Comune, non ha violato le regole di correttezza, essendosi immediatamente attivato ai fini di una migliore organizzazione dei tempi e delle risorse destinate al superamento della situazione per la quale era stata attivata la procedura di infrazione in danno dello Stato Italiano.
5.- Con distinto mezzo, l’appellante invoca il risarcimento del danno conseguente alla illegittima esclusione dalla prima procedura di gara.
5.1.- Il motivo non è fondato in quanto, come esattamente ritenuto dal primo giudice, la riconosciuta legittimità della revoca fa venire meno, in capo all’appellante, una situazione soggettiva meritevole di tutela, essendo la posizione sostanziale rivestita assimilabile ad un interesse di mero fatto.
6.- Alla luce delle esposte considerazione, l’appello deve essere complessivamente respinto.
Sussistono, in considerazione della particolarità della fattispecie, giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019