Cons. Stato, sez. III, 13 maggio 2020, n. 3030

         L’art. 90, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), al fine di individuare il Prefetto competente ad adottare l’interdittiva antimafia, fa riferimento al luogo in cui era la sede legale della società interessata al momento dell’adozione del provvedimento interdittivo e non alla data di avvio del relativo procedimento. Ne consegue che il Prefetto, che ha avviato il procedimento e raccolto elementi ritenuti sufficienti a supportare il provvedimento cautelare, avvedutosi del trasferimento della sede legale in altra Provincia e della sua conseguente sopravvenuta incompetenza, è tenuto a trasmettere nell’immediatezza gli atti istruttori al Prefetto competente per territorio.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 7974 del 2019, proposto dalla -OMISSIS-s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Luca Tozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Ministero dell’Interno e la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

la Prefettura di Napoli – Ufficio Antimafia – Area 1ter-Osp, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, n. -OMISSIS-del 20 maggio 2019, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento, tra l’altro, dell’informazione antimafia interdittiva adottata nei confronti della -OMISSIS-s.p.a.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la memoria difensiva del Ministero dell’Interno e della Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Napoli depositata in data 17 febbraio 2020;

Vista la memoria difensiva della -OMISSIS-s.p.a. depositata in data 21 febbraio 2020;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 30 aprile 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, il Cons. Giulia Ferrari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. In data 16 marzo 2018 è stata emessa dalla Prefettura – UTG di Napoli un’informazione antimafia interdittiva (prot. n. -OMISSIS-) nei confronti della -OMISSIS-s.p.a. (d’ora in poi “-OMISSIS-”), società dedita alla fornitura di servizi nel settore delle pulizie, del giardinaggio, della disinfestazione e del facchinaggio.

In particolare, il provvedimento ha tratto fondamento dalla circostanza che la -OMISSIS-, già socio unico della società -OMISSIS-s.r.l. (d’ora in poi “-OMISSIS-”), ha acquisito un ramo d’azienda di quest’ultima; che la -OMISSIS-è risultata gravata, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare n. -OMISSIS-dell’8 giugno 2016 (emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli), da sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. del complesso aziendale, delle quote e del patrimonio, con contestuale nomina di amministratori giudiziari; che il capitale della -OMISSIS-era principalmente detenuto dal signor -OMISSIS-, gravato dal procedimento penale nel quale era stata emessa la predetta ordinanza di sequestro; che in tale procedimento gli è stato contestato il reato di cui all’art. 416-bis c.p. unitamente, tra gli altri, al signor -OMISSIS-– direttore generale e procuratore speciale della -OMISSIS-, destinatario di ordinanza cautelare in carcere e rinviato a giudizio per i reati, tra gli altro, di associazione mafiosa – e ad esponenti del clan camorristico -OMISSIS-; che in data 11 luglio 2017, le quote di -OMISSIS- sono state trasferite alla figlia -OMISSIS-; che il signor -OMISSIS-, anch’egli coinvolto nel procedimento penale, sarebbe coniuge di una nipote di -OMISSIS-.

La Prefettura di Napoli, valorizzando queste circostanze, ha concluso che la -OMISSIS-è strettamente collegata alla -OMISSIS-e che entrambe le società sono riferibili ad un unico centro di interesse riconducibile alla famiglia -OMISSIS-e ad esponenti del clan camorristico -OMISSIS-, che ne hanno condizionato nel tempo le scelte e gli indirizzi, allo scopo di consentire alle stesse l’accaparramento di appalti pubblici.

2. Con atto introduttivo del giudizio, proposto innanzi al Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, la -OMISSIS-ha avversato l’informazione interdittiva antimafia. Con successivo atto di motivi aggiunti, ha impugnato gli atti presupposti all’emanazione della misura interdittiva, depositati in giudizio dalla Prefettura di Napoli.

In particolare, la -OMISSIS-, previa richiesta di sospensione cautelare, ha contestato l’incompetenza territoriale del Prefetto di Napoli all’adozione dell’informazione interdittiva e tutti i presupposti assunti a fondamento dell’atto avversato, evidenziando come l’Amministrazione avesse omesso di valutare l’elemento dell’attualità della permeabilità della società a tentativi di infiltrazione mafiosa, tanto alla luce degli sviluppi del procedimento penale che ha coinvolto i vertici della società, quanto a fronte della misure di self cleaning adottate dalla -OMISSIS-.

Con ordinanza n. -OMISSIS-del 18 aprile 2018, il Tar ha respinto l’istanza di sospensione cautelare. Tale decisione è stata confermata in sede di appello cautelare con ordinanza di questa Sezione, n. -OMISSIS-del 28 maggio 2018.

3. Con sentenza n. -OMISSIS-del 20 maggio 2019 il Tar Napoli ha respinto integralmente il ricorso.

In particolare, il primo giudice ha rigettato l’eccezione di incompetenza della Prefettura di Napoli evidenziando che fino al 20 marzo 2018 la sede legale della ricorrente fosse ancora attiva a Napoli e che, comunque, la -OMISSIS-avesse conservato una sede secondaria nella Provincia napoletana, da considerare quale centro di imputazione di rapporti giuridici.

Quanto agli ulteriori profili di doglianza, il Tar li ha reputati infondati valorizzando le risultanze investigative del G.I.A. e i gravi elementi di colpevolezza, emersi dall’ordinanza di custodia cautelare n. -OMISSIS-, a carico degli organi di vertice della -OMISSIS-, il cui compendio aziendale è transitato nel patrimonio della -OMISSIS-. Il Tar ha, in aggiunta, ritenuto che l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli del 6 marzo 2017 – con la quale è stato disposto il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto del complesso aziendale della -OMISSIS-– avrebbe espresso un giudizio di mera attenuazione del pericolo di infiltrazione mafiosa e che gli sviluppi del procedimento penale, avviato nei confronti del signor -OMISSIS- e del signor -OMISSIS-, non avrebbero fatto venir meno il requisito dell’attualità del pericolo mafioso, dal momento che la -OMISSIS-sarebbe rimasta comunque nell’ambito dell’influenza della famiglia -OMISSIS-.

4. La citata sentenza n. -OMISSIS-del 20 maggio 2019 è stata impugnata con appello notificato il 1° ottobre 2019, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.

In particolare:

a) il Tar avrebbe errato nel ritenere competente la Prefettura di Napoli.

Al contrario, l’-OMISSIS-avrebbe trasferito la propria sede legale in Roma a far data dal 19 febbraio 2018, con la conseguenza che, alla data di adozione dell’informazione antimafia, la Prefettura competente sarebbe stata quella di Roma;

b) il primo giudice avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti il difetto di istruttoria e di motivazione, che inficerebbero il provvedimento avversato.

Al contrario, il signor -OMISSIS-– unico soggetto a cui sarebbe possibile imputare responsabilità e condotte di favoreggiamento della criminalità organizzata – sarebbe stato repentinamente allontanato dalla società, con provvedimento di licenziamento confermato dal giudice del lavoro; la citata ordinanza n. -OMISSIS-del 2016 avrebbe escluso qualsiasi partecipazione del signor -OMISSIS- ad ambienti malavitosi; l’ordinanza di dissequestro della società -OMISSIS-avrebbe messo in luce come, per effetto del mutamento della compagine societaria, il pericolo di condizionamento mafioso si fosse sensibilmente attenuato; l’affitto del ramo d’azienda della -OMISSIS-da parte della -OMISSIS-sarebbe stato approvato dal GIP; il signor -OMISSIS-avrebbe ceduto le proprie quote alla figlia non convivente, estraniandosi dalla -OMISSIS-; il rapporto di parentela con il signor -OMISSIS- sarebbe stato richiamato in maniera apodittica senza chiarire come detto rapporto abbia fatto deporre nel senso di ritenere possibile un inquinamento mafioso della compagine societaria oggi appellante;

c) il Tar avrebbe fornito un’interpretazione della normativa applicabile non conforme agli ultimi approdi giurisprudenziali della Corte EDU e della Corte costituzionale.

L’adozione di una misura afflittiva, come l’informazione interdittiva antimafia, non dovrebbe essere affidata ad una valutazione eccessivamente discrezionale e arbitraria dell’Autorità prefettizia. La giurisprudenza avrebbe chiarito che, nell’ambito di qualsiasi misura di prevenzione, occorre che il legislatore circoscriva a monte in via normativa la discrezionalità dell’Autorità competente ed indichi specificamente i presupposti necessari ai fini dell’adozione della misura afflittiva. L’appellante, per tali ragioni, ha chiesto la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 84, comma 4, lettere d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011 per violazione degli artt. 2, 3, 4, 24, 27, 41, 97 e 117 (in relazione all’art. 1, Protocollo 1 Add. CEDU) della Costituzione.

5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, sostenendo l’infondatezza dell’appello.

6. Alla pubblica udienza del 26 marzo 2020 la causa è stata rinviata ad altra data.

7. Alla udienza del 30 aprile 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

 

1. Come esposto in narrativa è impugnata la sentenza del Tar Napoli, sez. I, n. -OMISSIS-del 20 maggio 2019, che aveva respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’informazione antimafia interdittiva, adottata in data 16 marzo 2018 nei confronti della -OMISSIS-s.p.a. (d’ora in poi “-OMISSIS-”), società dedita alla fornitura di servizi nel settore delle pulizie, del giardinaggio, della disinfestazione e del facchinaggio. L’interdittiva si fonda sul rilievo che la “ditta -OMISSIS-è strettamente collegata alla società -OMISSIS-ovvero ne è l'espressione imprenditoriale, avendo entrambe nel tempo assunto una diversa ragione sociale che è apparsa meramente fluttuante in quanto riferibili entrambi ad un unico centro di direzione riconducibile alla famiglia -OMISSIS-e ad esponenti del clan camorristico -OMISSIS- che ne hanno condizionato nel tempo le scelte e gli indirizzi allo scopo di consentire alle stesse l'accaparramento di appalti pubblici”.

2. Con un primo motivo l’appellante deduce l’incompetenza della Prefettura di Napoli ad adottare l’interdittiva avendo la stessa società – da sempre già operativa a Roma a livello amministrativo – trasferito anche la propria sede legale nella capitale in data 19 febbraio 2018, mentre il provvedimento impugnato era stato adottato il successivo 16 marzo 2018, in violazione dell’art. 90, d.lgs. n. 159 del 2011 e dei principi generali in materia di competenza all’adozione degli atti amministrativi.

Giova premettere che l’art. 90, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che “Nei casi di cui all'art. 92, commi 2 e 3, l'informazione antimafia è rilasciata dal Prefetto della provincia in cui le persone fisiche, le imprese, le associazioni o i consorzi risiedono o hanno la sede legale” ovvero, per le società con sede all’estero ex art. 2508 cod. civ., dal Prefetto della provincia in cui è stabilita una sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato.

Al fine del decidere è dunque necessario verificare dove era posta la sede legale della -OMISSIS-alla data di adozione dell’interdittiva, id est il 16 marzo 2018.

Il Tar ha giudicato non fondato il motivo sul rilievo che solo in data 20 marzo 2018 sono stati registrati gli atti prot. -OMISSIS- di cessazione di attività nella sede legale della -OMISSIS-s.p.a., con la conseguenza che fino a tale data la sede legale della società risultava ancora attiva a Napoli.

Il Collegio ritiene invece il motivo fondato ed assorbente di ogni altra questione di merito, sollevata dall’appellante al fine di scardinare, in fatto e in diritto, le ragioni poste a base della interdittiva.

In punto di diritto va in primo luogo rilevato che la norma, al fine di individuare il Prefetto competente ad adottare l’informativa, fa riferimento al luogo in cui era la sede legale della società al momento dell’adozione del provvedimento interdittivo e non alla data di avvio del relativo procedimento (nella specie, 27 giugno 2017). Corollario obbligato di tale premessa è che il Prefetto che ha avviato il procedimento e raccolto elementi ritenuti sufficienti a supportare il provvedimento cautelare, avvedutosi del trasferimento della sede legale in altra Provincia, è tenuto a trasmettere nell’immediatezza gli atti istruttori al Prefetto di tale Provincia, avendo perso la competenza a decidere.

Emerge poi evidente che la sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato è indicata dal legislatore solo con riferimento alla società che ha la sede all’estero ex art. 2508 cod. civ.

Ciò chiarito e superate dunque le difese delle Amministrazioni resistenti, al fine del decidere va dunque verificata, questa volta in punto di fatto, la data in cui è effettivamente avvenuto il trasferimento della sede legale, e cioè se solo il 20 marzo 2018 allorchè sono stati registrati gli atti prot. -OMISSIS- di cessazione di attività nella sede legale della -OMISSIS-s.p.a., sicché fino al 20 marzo 2018 la sede legale della ricorrente risultava ancora attiva a Napoli.

Diversamente da quanto assume l’Amministrazione resistente dall’estratto del registro delle imprese del 21 marzo 2018 emerge che gli atti prot. -OMISSIS- del 20 marzo 2018 attengono a “acquisizione d’ufficio certificazioni di qualità, ambientali ed altro su comunicazione -OMISSIS-”, mentre il trasferimento della sede legale da Napoli a Roma risulta inequivocabilmente avvenuto il 28 febbraio 2018.

Sul punto l’appellata non si è difesa, smentendo il contenuto delle due note, ma si è limitata a ribadire le argomentazioni del Tar Napoli in ordine alla circostanza che il procedimento fosse iniziato quando la sede legale era ancora a Napoli e all’esistenza di sedi secondarie, motivazioni entrambe non condivise, come si è detto, dal Collegio.

Giova aggiungere che poiché il trasferimento della sede legale è opponibile dalla sua iscrizione nel Registro delle imprese e poiché l’iscrizione è stata effettuata il 28 febbraio 2018, diventa irrilevante anche la circostanza, dedotta dalla appellata, che non le fosse stata comunicata tale variazione di sede. Ed infatti, qualora la sede legale sia traferita in un altro Comune, la modifica deve essere adottata con delibera dall’assemblea dei soci, verbalizzata da un notaio, ai sensi dell’art. 2436 cod. civ., e presentata per l’iscrizione nel Registro delle imprese dallo stesso notaio verbalizzante. La deliberazione produce effetti con l'iscrizione.

Per le ragioni sopra esposte, il motivo deve essere accolto.

3. Il Collegio non può peraltro esimersi dall’evidenziare come il vizio riscontrato ed il conseguente annullamento di una misura cautelare di così tale importanza per la difesa dell’ordinamento democratico avrebbero potuto essere evitati ove il Prefetto di Napoli, raccolti gli elementi indiziari di inquinamento mafioso, avesse verificato dal Registro delle imprese la permanenza della sede legale della società a Napoli e, accertatone il trasferimento, avesse subito trasmesso alla Prefettura di Roma, divenuta ex lege competente, l’intera istruttoria.

Tale modus operandi si rende necessario ove si consideri che sempre più spesso le associazioni a delinquere di stampo mafioso fanno ricorso a tecniche volte a paralizzare il potere prefettizio di adottare misure cautelari (Cons St., sez. III, 6 maggio 2020, n. 2854). Di fronte al “pericolo” dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto in quale modo notizia o sentore, reagiscono mutando sede legale, assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, cercando comunque di controllare i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni.

Proprio la natura del provvedimento, finalizzato ad interdire in via preventiva, immediatamente, qualsiasi rapporto pubblicistico con il soggetto “inquinato” dai legami con la mafia, il contesto in cui nasce, costituito solitamente da complesse indagini di polizia giudiziaria contro le consorterie mafiose o da atti dei processi penali che ne seguono, rende indispensabile un continuo coordinamento tra le sedi della Prefettura perché non vadano disperse le lunghe indagini effettuate da una Prefettura, che la consorteria mafiosa cerca abilmente di paralizzare.

Ciò soprattutto nel caso – come quello di specie – in cui evidenti sono gli indizi che supportavano la misura interdittiva, adottata a tutela di diritti aventi rango costituzionale, come quello della libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.), nel necessario, ovvio, bilanciamento con l’altrettanto irrinunciabile, vitale, interesse dello Stato a contrastare l’insidia delle mafie. Come più volte ribadito dalla Sezione (5 settembre 2019, n. 6105), la libertà “dalla paura”, obiettivo al quale devono tendere gli Stati democratici, si realizza però anche, e in parte rilevante, smantellando le reti e le gabbie che le mafie costruiscono, a scapito dei cittadini, delle imprese e talora anche degli organi elettivi delle amministrazioni locali, imponendo la legge del potere criminale sul potere democratico – garantito e, insieme, incarnato dalla legge dello Stato – per perseguire fini illeciti e conseguire illeciti profitti.

4. Per tutte le ragioni sopra esposte l’appello deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento della sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, n. -OMISSIS-del 20 maggio 2019.

Resta fermo - e doveroso - il potere della Prefettura di Roma, di verificare l’esistenza die presupposti per adottare la nuova interdittiva antimafia alla luce degli elementi raccolti dalla Prefettura di Napoli

5. Considerata la novità della vicenda contenziosa, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, n. -OMISSIS-del 20 maggio 2019.

Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, d.lgs. n. 196 del 2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della parte appellata e di tutti i riferimenti che rendono la vicenda contenziosa alla stessa riconducibile.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2020.

 

 

Guida alla lettura

Con sentenza del 13 maggio 2020, n. 3030, il Consiglio di Stato si è pronunciato in ordine alla competenza territoriale dell’autorità pubblica prefettizia all’adozione dell’informativa interdittiva antimafia, disciplinata all’art. 90 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione).

Trattasi di una misura cautelare e preventiva a carattere afflittivo, volta ad interdire alla società che ne è attinta ogni rapporto pubblicistico, previo accertamento dei presupposti sostanziali di permeabilità della società medesima alla contaminazione mafiosa.

Con un primo motivo, la società appellante, attinta dal provvedimento afflittivo, ha dedotto, in violazione dell’art. 90, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 e dei principi generali in materia di competenza all’adozione degli atti amministrativi, l’incompetenza territoriale della Prefettura di Napoli ad adottare l’interdittiva antimafia, avendo trasferito la propria sede legale a Roma prima dell’emissione del provvedimento impugnato.

L’art. 90, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prescrive che:“Nei casi di cui all'art. 92, commi 2 e 3, l'informazione antimafia è rilasciata dal Prefetto della provincia in cui le persone fisiche, le imprese, le associazioni o i consorzi risiedono o hanno la sede legale” ovvero, per le società con sede all’estero ex art. 2508 cod. civ., dal Prefetto della provincia in cui è stabilita una sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato.

Il Consiglio di Stato, accogliendo il primo motivo dedotto dalla società sotto il profilo della incompetenza territoriale della Prefettura di Napoli, ha annullato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania.

Il Collegio ha rilevato che, in ossequio all’art. 90, comma 2, che radica la competenza dell’interdittiva in capo al Prefetto della Provincia in cui la società ha sede legale al momento dell’emanazione del provvedimento, a seguito del trasferimento della sede legale della società iscritto nel registro delle imprese e dunque opponibile alla autorità pubblica prima della emissione del provvedimento interdittivo, è sopravvenuta l’incompetenza del Prefetto della Provincia in cui la società aveva la sede legale originaria, con contestuale obbligo in capo al medesimo di trasmettere gli atti istruttori al Prefetto della Provincia divenuta competente.

La norma, infatti, al fine di individuare il Prefetto competente ad adottare l’informativa, fa riferimento al luogo in cui era la sede legale della società al momento dell’adozione del provvedimento interdittivo e non alla data di avvio del relativo procedimento.

Ne consegue che il Prefetto, che ha avviato il procedimento e raccolto elementi ritenuti sufficienti a supportare il provvedimento cautelare, avvedutosi del trasferimento della sede legale in altra Provincia e divenuto di conseguenza incompetente, è tenuto a trasmettere nell’immediatezza gli atti istruttori al Prefetto di tale Provincia.

Incidentalmente, il Collegio, attesa la delicatezza degli interessi coinvolti, si è soffermato criticamente sulla condotta delle amministrazioni appellate, le quali avrebbero dovuto meglio coordinarsi, al fine di neutralizzare ogni espediente elusivo messo in atto dalla società attinta dal provvedimento afflittivo.

Ogni società, infatti, di fronte all’imminente informazione antimafia di cui abbia avuto anticipatamente contezza, può “cautelarsi” mutando sede legale, assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, cercando di controllare i soggetti economici che si interpongono nei rapporti con le pubbliche amministrazioni.

Alla luce delle considerazioni esposte, il Consiglio di Stato ha affermato che: L’art. 90, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), al fine di individuare il Prefetto competente ad adottare l’interdittiva antimafia, fa riferimento al luogo in cui era la sede legale della società interessata al momento dell’adozione del provvedimento interdittivo e non alla data di avvio del relativo procedimento. Ne consegue che il Prefetto, che ha avviato il procedimento e raccolto elementi ritenuti sufficienti a supportare il provvedimento cautelare, avvedutosi del trasferimento della sede legale in altra Provincia e della sua conseguente sopravvenuta incompetenza, è tenuto a trasmettere nell’immediatezza gli atti istruttori al Prefetto competente per territorio”.