Cons. St., sez. III, 6 maggio 2020, n. 2854

Il procedimento finalizzato all’emissione dell’informazione antimafia conosce una interlocuzione solo eventuale, prevista dall’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui il Prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, invita in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione utile. […]

L’eventuale sacrificio di queste garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, necessario e proporzionato rispetto al fine perseguito, è tuttavia compensato dal successivo sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto che, contrariamente a quanto assume parte della dottrina, è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction, anche secondo il diritto convenzionale, perché non solo investe, sul piano della c.d. tassatività sostanziale, l’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, ma sindaca anche, sul piano della c.d. tassatività processuale, la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6631 del 2019, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gabriele Pafundi, dall’Avvocato Cataldo Giuseppe Salerno e dall’Avvocato Vito Federico Zotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Lecco, in persona del Prefetto pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza -OMISSIS- del 6 giugno 2019 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante contro l’informazione antimafia a carattere interdittivo emessa nei suoi confronti dalla Prefettura di Lecco.

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Lecco;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 aprile 2020 il Consigliere Massimiliano Noccelli e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84 del d.l. n. 18 del 2020;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. -OMISSIS-, odierna appellante, ha impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, l’informazione antimafia interdittiva prot. n. -OMISSIS- del 15 ottobre 2018, emessa a suo carico dal Prefetto di Lecco, deducendone l’illegittimità sulla base dei seguenti motivi:

1) la violazione di legge (art. 7 della l. n. 241 del 1990);

2) la violazione di legge (art. 84, comma 4, 89-bis e art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011), l’eccesso di potere per travisamento, il difetto di istruttoria, il difetto di motivazione, l’errata valutazione dei presupposti;

3) la violazione di principi costituzionali (con particolare riferimento agli articoli 3, 25 comma terzo, 27 e 41) e la violazione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (articoli 1, 5, 6, 7, 14 e 17 e del relativo protocollo 4).

1.1. Si è costituito nel primo grado del giudizio il Ministero intimato, chiedendo la reiezione del ricorso.

1.2. Con l’ordinanza -OMISSIS- del 22 novembre 2018 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, ha fissato l’udienza pubblica per la trattazione del merito della causa ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a.

1.3. Alla pubblica udienza del giorno 6 febbraio 2019 la causa è passata in decisione avanti al primo giudice.

1.4. Con la sentenza -OMISSIS- del 6 giugno 2019 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, ha respinto il ricorso.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello -OMISSIS-, articolando tre distinti motivi di censura che di seguito saranno esaminati, e ne ha chiesto, previa sospensione dell’esecutività, la riforma.

2.1. Si è costituito il Ministero dell’Interno, odierno appellato, per chiedere la reiezione del ricorso.

2.2. Con l’ordinanza -OMISSIS- del 19 settembre 2019 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare proposta dall’appellante.

2.3. Infine, nell’udienza del 30 aprile 2020 fissata ai sensi dell’art. 84 del d.l. n. 18 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

3. L’appello è infondato.

4. Con il primo motivo (pp. 6-8 del ricorso) l’odierna appellante lamenta la lesione delle proprie garanzie partecipative e la violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990 da parte della pubblica amministrazione, anche in riferimento al principio del giusto procedimento.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. Correttamente il primo giudice ha escluso che per la materia in esame sussista l’obbligo delle garanzie partecipative.

4.3. Questa Sezione, ancor di recente e con la sentenza del 31 gennaio 2020, n. 820, alla quale il Collegio integralmente si richiama, ha già chiarito che il procedimento finalizzato all’emissione dell’informazione antimafia conosce, come è noto, una interlocuzione solo eventuale, prevista dall’art. 93, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011, secondo cui il Prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, invita in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione utile.

4.4. L’audizione del soggetto interessato e l’invito a fornire informazioni o documenti presuppongono una valutazione discrezionale dell’autorità preposta alla tutela della sicurezza pubblica in ordine all’utilità di detto contraddittorio procedimentale in seno ad un procedimento informato da speditezza, riservatezza ed urgenza, per evidenti ragioni di ordine pubblico, e finalizzato, per espressa previsione legislativa (art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011), a prevenire eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).

4.5. La sentenza n. 820 del 31 gennaio 2010 di questo Consiglio di Stato ha osservato che «la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi».

4.6. La conoscenza dell’imminente o probabile adozione di un provvedimento antimafia, acquisita in sede procedimentale, potrebbe frustrare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento antimafia, in quanto le associazioni mafiose sono ben capaci di ricorrere a tecniche elusive delle norme in materia che, non a caso, prevedono come indicative di infiltrazioni mafiose anche, ad esempio, le sostituzioni degli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, «con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia» (art. 84, comma 4, lett. f), del d. lgs. n. 159 del 2011).

4.7. Si tratta di tecniche frequenti nella prassi e ben note all’esperienza giurisprudenziale dello stesso Consiglio di Stato, il quale riscontra forme sempre nuove con le quali le associazioni a delinquere di stampo mafioso, di fronte al “pericolo” dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto notizia, reagiscono mutando assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, ma cercando di controllare comunque i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni.

4.8. Per questo il codice antimafia, senza escludere a priori e del tutto la partecipazione procedimentale (del resto ammessa per gli analoghi provvedimenti di iscrizione nella c.d. white list, emessi, però, su richiesta di parte ai sensi dell’art. 1, comma 52, della l. n. 190 del 2012: v., sul punto, Cons. St., sez. III, 20 settembre 2016, n. 3913), ne rimette, con l’art. 93, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011, la prudente ammissione alla valutazione dell’autorità preposta all’emissione del provvedimento interdittivo in termini di utilità rispetto al fine pubblico perseguito.

4.9. Il principio del giusto procedimento, del resto, non ha una valenza assoluta, ma ammette deroghe limitate ad ipotesi eccezionali dovute alla tutela di interessi superiori afferenti alla tutela dell’ordine pubblico, come quella in esame, e proporzionate alla necessità del caso che, come si vedrà di seguito, è qui assai grave per l’altissimo pericoloso infiltrativo che connota la società appellante.

5. Si obietta che la partecipazione procedimentale, prima ancora che doverosa in base al principio del giusto procedimento, sarebbe utile per l’autorità prefettizia, nei termini di una più efficiente azione amministrativa rispondente al principio di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), perché le consentirebbe di acquisire, in un quadro istruttorio più ampio e complesso, notizie ed elementi utili ad evitare l’emissione di un provvedimento tanto incisivo sulla libertà d’impresa, ma si trascura di considerare che, di fronte ai penetranti poteri di accesso e accertamento riconosciuti al Prefetto anche avvalendosi dei gruppi interforze, l’apporto procedimentale dell’impresa e le eventuali strategie dilatorie di questa in sede procedimentale potrebbero, per altro verso, rallentare l’incisività e la rapidità di un provvedimento che deve colpire gli interessi economici della mafia prima che essi raggiungano il loro obiettivo, l’infiltrazione nel tessuto economico-sociale.

5. Il legislatore ha così dovuto operare una scelta tra i due valori in gioco, la tutela dell’ordine pubblico e quello della libertà d’impresa, e lo ha fatto nei termini, sopra visti, di un contraddittorio eventuale ai sensi dell’art. 91, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011, riconoscendo una prevalenza al primo che non sacrifica del tutto il secondo.

5.1. Proprio la natura dell’atto in esame, finalizzato ad interdire in via preventiva, immediatamente, qualsiasi rapporto pubblicistico con il soggetto “inquinato” dai legami con la mafia, il contesto in cui nasce, costituito solitamente da complesse indagini di polizia giudiziaria contro le consorterie mafiose o da atti dei processi penali che ne seguono, e il quadro delle norme in materia – che, come detto, non la escludono del tutto – giustificano l’attenuazione delle garanzie procedimentali, non del tutto assenti, ma appunto modulate sulla specificità della singola vicenda.

5.2. L’eventuale sacrificio di queste garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, necessario e proporzionato rispetto al fine perseguito, è tuttavia compensato dal successivo sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto che, contrariamente a quanto assume parte della dottrina, è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction, anche secondo il diritto convenzionale, perché non solo investe, sul piano della c.d. tassatività sostanziale, l’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, ma sindaca anche, sul piano della c.d. tassatività processuale, la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).

5.3. E che il sindacato del giudice amministrativo sia pieno nel senso sopra indicato e secondo gli standard richiesti dal diritto convenzionale, alla luce della ormai consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, è stato di recente confermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 57 del 26 marzo 2020.

5.4. Il motivo in esame dunque, anche per le considerazioni che precedono, deve essere respinto.

6. Con il secondo, centrale, motivo di censura (pp. 8-18 del ricorso), ancora, l’odierna appellante censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la sussistenza di elementi presuntivi idonei a supportare l’emissione del provvedimento interdittivo.

6.1. Anche questo motivo, pur nella sua ricca e complessa articolazione, è destituito di fondamento perché le censure dell’appellante non sono minimamente in grado di scalfire il solido quadro indiziario posto a base del provvedimento prefettizio, come ha ben valutato la sentenza impugnata.

6.2. Sono gravi, infatti, gli elementi indiziari di inquinamento mafioso posti a base del provvedimento interdittivo emesso dalla Prefettura di Lecco.

6.3. -OMISSIS-, con sede di Lecco, ha per oggetto sociale le «-OMISSIS-».

6.4. -OMISSIS-, che detiene il 60% delle quote della società, è -OMISSIS- -OMISSIS-, che detiene il 35% delle quote, -OMISSIS- di -OMISSIS-, socio per il restante 5%, almeno nel momento in cui è stato emesso il provvedimento interdittivo.

6.5. -OMISSIS- e -OMISSIS- sono stati indagati per usura dalla Procura di Lecco per il reato di usura, in quanto sono stati accusati di avere approfittato del momento di difficoltà economica dei -OMISSIS-, -OMISSIS- ed -OMISSIS-, proprietari della società -OMISSIS-.

6.6. -OMISSIS- è stata condannato dal Tribunale di Lecco ad un anno di reclusione, tra l’altro, per il delitto di usura contestato, mentre nei confronti di -OMISSIS- è stata emessa sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, ciò che con evidenza presuppone incontestabilmente, sul piano logico-giuridico, la commissione dei gravi fatti addebitatigli.

6.7. -OMISSIS- è un pericoloso esponente del clan -OMISSIS-, infiltratosi da decenni nel tessuto economico-sociale della Lombardia, ed era stato condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., all’esito dell’operazione di polizia giudiziaria -OMISSIS- e del conseguente processo penale, ed è -OMISSIS- di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, attualmente detenuto in regime di detenzione di cui all’art. 41-bis ord. pen. per molteplici omicidi e associazione mafiosa.

6.8. È dunque evidente che la complessiva situazione familiare, che contraddistingue la governance dell’impresa, e la partecipazione diretta di -OMISSIS- al capitale sociale di -OMISSIS- costituisce un elemento diretto, serio, inequivocabile di collegamento con il clan mafioso e già pienamente giustifica l’emissione del provvedimento.

7. A ciò si deve aggiungere che il medesimo -OMISSIS- è socio amministratore di -OMISSIS-, società operante dal 2009 nella -OMISSIS-, di cui risulta anche essere socio amministratore -OMISSIS-, -OMISSIS- del già citato pregiudicato -OMISSIS-, ed è altresì consigliere di -OMISSIS-, società colpita da provvedimento di diniego di iscrizione alla c.d. white list, impugnato con ricorso straordinario respinto con il decreto del Presidente della Repubblica del 2 maggio 2018, all’esito del parere -OMISSIS- del 13 marzo 2018 reso dalla sez. I di questo Consiglio di Stato e citato nel provvedimento prefettizio in questo giudizio contestato (seppure con riferimento al numero dell’affare -OMISSIS- del 2017).

7.1. Il quadro indiziario costituito dal complesso intreccio di rapporti familiari ed economici rivela, nella gestione della società appellante, una fondamentale cointeressenza e convergenza di interessi, riconducibili a pericolosi esponenti del clan criminale e pienamente giustificano l’emissione del provvedimento prefettizio, stante l’elevatissima probabilità di diretto e forte inquinamento mafioso e di eterodirezione della società da parte del clan, secondo i propri disegni ed interessi criminali.

7.2. Né giova all’appellante sostenere che le vicende penali di -OMISSIS- atterebbero ad un remoto passato, avendo scelto di collaborare con la giustizia, o che il di lui -OMISSIS- -OMISSIS- avrebbe addirittura denunciato alcuni atti intimidatori posti in essere da alcuni affiliati al clan, per via della condotta redentiva tenuta dal -OMISSIS-, perché a smentire la presunta redenzione di -OMISSIS- stanno i gravissimi, successivi, fatti di usura, per i quali è stato recentemente e ulteriormente condannato, mentre, per quanto riguarda la presenza inquinante dei -OMISSIS- nelle società da essi gestite, partecipate o controllate, sono sufficienti i rilievi del citato parere -OMISSIS- del 21 marzo 2018 reso dalla sez. I di questo Consiglio di Stato in riferimento ad -OMISSIS-

7.3. In questo parere, citato dal provvedimento prefettizio, in questo giudizio oppugnato, e qui da intendersi integralmente richiamato nelle sue motivazioni, si rileva, a fondamento del provvedimento interdittivo emesso nei confronti di -OMISSIS-, che -OMISSIS- non ha reciso i rapporti con la criminalità organizzata, anche per il successivo coinvolgimento nella vicenda dell’usura, e che la cointeressenza esistente tra questi, come -OMISSIS-, e i -OMISSIS- non è limitata solo al rapporto di lavoro dipendente svolto nell’impresa dei -OMISSIS-, ma si estende alla quotidianità, dacché -OMISSIS- -OMISSIS- con il -OMISSIS- e con la -OMISSIS-, a sua volta socia accomandante in altra società.

7.4. Con il che appare chiaro che la famiglia -OMISSIS- costituisce ancora un nucleo fortemente contiguo con il mondo della criminalità organizzata, come ha ben rilevato il citato parere, e che la partecipazione di -OMISSIS- a società da questa gestite costituisce ulteriore riprova di deciso inquinamento mafioso.

8. La gravità e l’attualità del quadro indiziario a carico dell’odierna appellante per il complesso, ma ben evidente, intreccio di rapporti personali, familiari ed affaristici pienamente giustificano dunque, come ha ritenuto la sentenza impugnata, l’emissione del provvedimento interdittivo nei confronti dell’odierna appellante.

8.1. Il secondo motivo, dunque, deve essere respinto, prescindendosi, per la decisività delle ragioni esposte, dai precedenti penali dello stesso -OMISSIS-, che appaiono finanche marginali al cospetto di un quadro indiziario così pesante e già di per sé bastevole all’emissione del provvedimento.

9. Con il terzo motivo di censura (pp. 18-19 del ricorso), infine, l’odierna appellante lamenta la violazione di numerosi parametri costituzionali – artt. 3, 25, comma terzo, 27 e 41 Cost. – e convenzionali – artt. 1, 5, 6, 7, 14 e 17 e del protocollo IV della CEDU – per l’emissione del provvedimento prefettizio nei suoi confronti.

9.1. Il motivo, al di là della sua totale genericità, è destituito di fondamento in diritto in quanto, come la costante giurisprudenza di questo Consiglio (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105, già citata) ha chiarito e come ha di recente ribadito la Corte costituzionale nella sentenza n. 57 del 26 marzo 2020, l’istituto dell’informazione antimafia è il frutto di un equilibrato contemperamento tra i valori costituzionali in gioco, secondo canoni di ragionevolezza e proporzionalità, e la tipizzazione giurisprudenziale degli elementi indicativi dell’infiltrazione mafiosa sulla base del diritto positivo non viola il principio di determinatezza della fattispecie, che si declina in modo strutturalmente diverso nel diritto della prevenzione, in base ad una necessaria elasticità che la distingue, sul piano della tassatività sostanziale, dalle fattispecie incriminatrici tipiche del diritto della repressione.

9.2. Nel caso di specie poi, per tutte le ragioni viste, gli elementi di infiltrazione sono tanti e tanto evidenti, anche sul piano della tassatività processuale, da rendere assolutamente attendibile la prognosi inferenziale di infiltrazione mafiosa, sicché, al di là dei principî in abstracto invocati, nessuna violazione dei diritti fondamentali, lamentata dall’appellante, è ravvisabile nemmeno in concreto.

9.3. Di qui la reiezione del motivo in esame.

10. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto in tutti i suoi tre motivi, con la conseguente conferma della sentenza impugnata, che ha correttamente respinto, sulla scorta di argomenti in toto condivisi e anzi integrati dal Collegio, i motivi di censura qui riproposti.

10.1. Gli ulteriori elementi sopravvenuti all’emissione del provvedimento interdittivo, di cui alla memoria depositata il 25 febbraio 2020 dall’appellante, sono irrilevanti in questo giudizio, non potendo condizionare il giudizio che deve fondarsi sugli elementi esistenti e valutati al momento in cui il provvedimento fu emesso, e saranno esaminati dalla Prefettura di Lecco in sede di richiesto aggiornamento ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011.

11. Le spese del presente grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dell’odierna appellante, -OMISSIS-

11.1. Rimane a carico definitivo di questa anche il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da -OMISSIS-, lo respinge e per l’effetto conferma, anche ai sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Condanna -OMISSIS- a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del presente grado del giudizio, che liquida nell’importo di € 5.000,00, oltre gli accessori come per legge.

Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 196 del 2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-. -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2020, con l’intervento dei magistrati.

GUIDA ALLA LETTURA

La sentenza in commento interviene su uno dei più efficaci strumenti di contrasto alle organizzazioni criminali, e cioè sul provvedimento interdittivo antimafia che, come noto, incide sulla possibilità, per gli operatori incisi, di essere titolari di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni.

Il Collegio, in particolare, perviene a un prudente bilanciamento tra i valori, talora contrapposti, della tutela dell’ordine pubblico e della salvaguardia della libertà d’impresa attraverso il riconoscimento della legittimità di un contraddittorio solo eventuale, come previsto dall’art. 91, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011.

La Sezione III, infatti, nel richiamare un proprio precedente (Cons. St., sez. III, 31 gennaio 2020, n. 820), chiarisce che l’audizione del soggetto interessato e l’invito a fornire informazioni o documenti presuppongono una valutazione discrezionale dell’autorità preposta alla tutela della sicurezza pubblica in ordine all’utilità di detto contraddittorio procedimentale in seno ad un procedimento informato da speditezza, riservatezza ed urgenza, per evidenti ragioni di ordine pubblico.

D’altronde, osserva altresì la Corte, “le associazioni mafiose sono ben capaci di ricorrere a tecniche elusive delle norme in materia che, non a caso, prevedono come indicative di infiltrazioni mafiose anche, ad esempio, le sostituzioni degli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie».

È proprio in ragione di tali tecniche assai diffuse nella pratica che “il codice antimafia, senza escludere a priori e del tutto la partecipazione procedimentale (del resto ammessa per gli analoghi provvedimenti di iscrizione nella c.d. white list, emessi, però, su richiesta di parte ai sensi dell’art. 1, comma 52, l. n. 190 del 2012: v., sul punto, Cons. St., sez. III, 20 settembre 2016, n. 3913), ne rimette, con l’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, la prudente ammissione alla valutazione dell’autorità preposta all’emissione del provvedimento interdittivo in termini di utilità rispetto al fine pubblico perseguito”.

Del resto, sotto un profilo più generale, il Consiglio di Stato ritiene che il principio del giusto procedimento “non ha una valenza assoluta, ma ammette deroghe limitate ad ipotesi eccezionali dovute alla tutela di interessi superiori afferenti alla tutela dell’ordine pubblico […]”.

La Corte non ignora che la partecipazione procedimentale, prima ancora che doverosa in base al principio del giusto procedimento, è volta a rendere più efficiente l’azione amministrativa rispetto al principio di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), poiché la partecipazione consente di acquisire, in un quadro istruttorio più ampio e complesso, notizie ed elementi utili ad adottare il provvedimento più adeguato al caso di specie. Secondo il Collegio, tuttavia, risultano prevalenti, in quest’ottica, le ragioni fondate sul fatto che “l’apporto procedimentale dell’impresa e le eventuali strategie dilatorie di questa in sede procedimentale potrebbero, per altro verso, rallentare l’incisività e la rapidità di un provvedimento che deve colpire gli interessi economici della mafia prima che essi raggiungano il loro obiettivo, l’infiltrazione nel tessuto economico-sociale”.

Le ragioni della deroga – non assoluta – al modello partecipativo del procedimento amministrativo scaturiscono, quindi, dalla natura stessa dell’atto in esame, siccome “finalizzato ad interdire in via preventiva, immediatamente, qualsiasi rapporto pubblicistico con il soggetto “inquinato” dai legami con la mafia”; di qui appunto l’attenuazione delle garanzie procedimentali, peraltro non del tutto assenti, ma appunto modulate sulla specificità della singola vicenda.

In ogni caso, “l’eventuale sacrificio di queste garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, necessario e proporzionato rispetto al fine perseguito, è tuttavia compensato dal successivo sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto”.

Infatti, la soluzione accolta dalla Corte – contrariamente a quanto assume parte della dottrina – è nel senso di riconoscere un sindacato del G.A. pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction, sul successivo provvedimento interdittivo, sicché esso appare idoneo a sindacare, sia sul piano della c.d. tassatività sostanziale, sia sul piano della c.d. tassatività processuale, “la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105)”.

La Sezione III riconosce, infine, come tale assunto appare conforme agli standard richiesti dal diritto convenzionale, alla luce di ormai consolidata giurisprudenza amministrativa, confermata di recente dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 57 del 26 marzo 2020).