Sommario:

1. Premessa. “La casa di vetro”, parte prima: la rimessione all’Adunanza Plenaria.        
2. La sentenza n. 10/2020: l’applicabilità del diritto di accesso civico generalizzato.        
3. Considerazioni conclusive.         
 

1. Premessa. “La casa di vetro”, parte prima: la rimessione all’Adunanza Plenaria.       

L’argomento oggetto del presente approfondimento è stato già trattato dallo scrivente in un suo precedente articolo, dal titolo “la casa di vetro”, nel quale si è dato conto dell’annoso e a quel momento irrisolto contrasto giurisprudenziale che aveva portato alla rimessione, con Ordinanza n. 8501 del 16/12/2019, della questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.       
Successivamente alla redazione del citato scritto, nel quale si trattava della distinzione tra l’accesso interessato ex L. n. 241/90 e quello civico generalizzato ex D.Lgs. n. 33/2013, nonché del contrasto presente sia nei giudici di merito sia in seno al Consiglio di Stato (Sez. III, 05/06/2019, n. 3780 e Sez. V, 02/08/2019, n. 5503) circa l’applicazione dell’accesso civico generalizzato nella materia dei contratti pubblici, l’Adunanza Plenaria adita ha avuto modo di pronunciarsi, tirando le fila e srotolando quell’ormai complessa trama di interpretazioni giurisprudenziali tra loro divergenti.        
Essendo il presente articolo un continuum del precedente, non si ricalcheranno in tale sede le tante argomentazioni già trattate, consigliando al lettore una sua precedente lettura, per un quadro completo di come e perché la giurisprudenza sia giunta a rimettere la questione al più alto Consesso della Giustizia Amministrativa.  

Ad ogni modo, giova rammentare qualche cenno sia sulla questione sottostante alla decisione del Consiglio di Stato, sia sulla duplicità di interpretazioni in merito.       
La vicenda concreta di cui alla sentenza in commento, Ad. Plenaria 02/04/2020, n. 10, è originata dalla richiesta della seconda classificata in graduatoria di accesso ai documenti relativi all’esecuzione dell’appalto, al fine dichiarato di verificare se l’esecuzione del contratto si stesse svolgendo nel rispetto del capitolato tecnico e dell’offerta migliorativa e, conseguentemente, poter subentrale come esecutrice per “scorrimento della graduatoria” ove fossero state rivelate inadempienze dell’appaltatore con risoluzione del contratto. La richiesta, si badi, non era motivata né con riferimento all’accesso documentale ex L. n. 241/90 né con riferimento all’accesso civico generalizzato ex D.Lgs. n. 33/2013, essendo sul punto generica ed indefinita.          
Il T.A.R. Toscana, con sentenza n. 577/2019, aveva respinto il ricorso, rilevando, in primo luogo, l’assenza di un interesse qualificato idoneo ex Legge n. 241/90 giacché l’indagine appariva totalmente esplorativa non essendo dimostrato l’inadempimento dell’appaltatore e, in secondo luogo, l’inapplicabilità della disciplina di cui all’accesso civico generalizzato nella materia degli appalti pubblici.         
Ebbene, proprio sulla questione dell’applicabilità o meno dell’accesso civico generalizzato nella materia degli appalti pubblici ruotava da tempo la giurisprudenza, con posizioni contrapposte.    
Da un lato, l’interpretazione secondo cui il combinato disposto dell’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016 e del comma 3 dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013, in connessione con il richiamo ai soli articoli 22 e seguenti della L. n. 241/90, non permetterebbe l’applicazione di tale tipologia di accesso nella materia dei contratti pubblici. Del resto, si osservava, ove il Legislatore avesse voluto non prevedere una specifica ipotesi derogatoria in subiecta materiasarebbe potuto intervenire in occasione del cd. “Decreto Correttivo”, n. 56/2017; se non lo ha fatto ed ha lasciato il solo richiamo alla Legge n. 241/90, evidentemente ha voluto costruire un’ipotesi settoriale di non applicazione dell’accesso civico generalizzato.          
Dall’altro lato, l’interpretazione secondo cui la normativa non prevederebbe alcuna limitazione specifica, giacché il comma 3 dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013 si riferirebbe ai divieti di accesso e non già a restrizioni di minor rilievo, come quella ex art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016, non consentendo un’esclusione generalizzata di intere materie. Di conseguenza, l’unica limitazione atterrebbe alla possibilità di apprensione dei documenti richiesti fino al termine di conclusione della gara, e non già escludendo tout courtl’applicazione dell’accesso civico generalizzato. Del resto, si osservava, questa sarebbe l’unica lettura compatibile con i ben noti principi di trasparenza e concorrenza, che non consentirebbero una lettura oltremodo restrittiva ed il fatto che il Legislatore non sia intervenuto in sede di Decreto Correttivo sarebbe dovuta ad una semplice dimenticanza. 

In questo scenario (grandemente schematizzato in tale sede), giova rammentare le questioni sottoposte all’attenzione dell’Adunanza Plenaria, riportando integralmente il testo di cui all’Ordinanza di rimessione della Sez. III, n. 8501 del 16/12/2019:
“I. Se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;

- II. Se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lvo n. 33/2013, come modificato dal d.lvo n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;

- III. Se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato”.

Tre questioni fondamentali, non solo relative all’applicabilità tout court dell’accesso civico generalizzato in subiecta materia(questione sub. II), ma anche alla configurazione nel caso di specie di un interesse giuridicamente protetto ex art. 22 della L. n. 241/90 (questione sub I) e alla corretta interpretazione dell’istanza di accesso indefinita e dei limiti all’attività dell’amministrazione e del giudice ove non sia presente quel particolare interesse qualificato (questione sub. III). 

La sentenza che di seguito si analizzerà, corre l’obbligo precisarlo fin da subito, rappresenta e rappresenterà, sia per le tante questioni trattate che per le argomentazioni offerte e le sue ricadute, una vera pietra miliare in materia. Una pietra miliare, si badi, che indubbiamente sarà oggetto di grandi discussioni (lo scrivente non si esimerà, per parte sua, anche di criticarla), ma che davvero sembra rappresentare un punto di caduta sull’argomento dalla portata rivoluzionaria.     

2. La sentenza n. 10/2020: l’applicabilità del diritto di accesso civico generalizzato.      

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in data 2 Aprile 2020, con la sentenza n. 10, ha risolto le tre fondamentali questioni sottoposte alla sua attenzione, fornendo elementi ed argomentazioni di grande rilievo.       
Nel farlo, tuttavia, per ragioni logiche e di trattazione, ha invertito l’ordine delle questioni, rispondendo per primo al terzo quesito (se l’istanza è motivata con esclusivo riferimento all’accesso documentale, la P.A. ed il giudice, accertata la carenza dell’interesse, può e deve analizzarla anche in base ai presupposti dell’accesso civico generalizzato?), per secondo al primo quesito (l’operatore economico utilmente collocato in graduatoria ha un interesse giuridicamente protetto ex art. 22 e ss. della L. n. 241/90 all’accesso agli atti della fase esecutiva?) e per terzo ed ultimo al secondo, e più importante in un’ottica generale, quesito (l’accesso civico generalizzato è applicabile in materia di contratti pubblici o sussiste un’esclusione tout court?).   
          

a) Quesito n. III dell’Ordinanza di rimessione. 

Osserva il Consiglio di Stato che l’istanza di accesso può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere formulata tanto con riferimento all’una che all’altra forma di accesso, anche congiuntamente.          
Più precisamente e testualmente “8.4. il riferimento dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto”.
Di fatto, posta la diversità di presupposti e di profondità dei due istituti, tutto dipenderà dalla concreta configurazione dell’istanza: ove essa non faccia riferimento a nessuno dei due istituti, la pubblica amministrazione ed eventualmente il giudice, ove ritengano non presente l’interesse di cui agli artt. 22 della L. n. 241/90, potranno e dovranno analizzarla sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, mentre l’applicabilità di quest’ultimo sarà escluso ove essa si riferisca specificamente e solamente all’accesso documentale.               
Tale ricostruzione sarebbe stata confermata anche dal Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella Circolare n. 2 del 06/06/2017 sull’Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (cd. FOIA) ove ha chiarito che “dato che l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.) la stessa dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato”.   
Nel caso specifico, avendo l’operatore economico formulato un’istanza generica ed indefinita (“ancipite” come definita dal Consiglio di Stato), correttamente la Stazione Appaltante aveva esaminato la richiesta con riferimento ad entrambe le tipologie di accesso, pur ritenendo non applicabile quello civico generalizzato.     
In conclusione sul punto, pur osservando che la questione esula rispetto al casode quo, in termini di interesse generale ad un chiarimento, l’Adunanza Plenaria osserva che ove l’istanza faccia esclusivo riferimento all’accesso documentale ex L. n. 241/90 è precluso alla P.A. ed al giudice successivamente, convertirla in accesso civico generalizzato, mentre ove sia indefinita l’analisi deve essere “ancipite”, nel senso che deve riguardare entrambe le possibilità di accesso.      

b) Quesito n. I dell’Ordinanza di rimessione.    
Con riguardo alla configurazione di un interesse giuridicamente tutelato ex L. n. 241/90 in capo all’operatore economico collocato nella graduatoria dei concorrenti all’apprensione dei documenti riguardanti la fase esecutiva delle prestazioni, osserva l’Adunanza Plenaria che tale diritto non possa essere escluso nella anzidetta fase esecutiva degli appalti pubblici.        
Del resto, lo stesso articolo 53, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016 fa esplicito riferimento al “diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”, non potendo rilevare in senso contrario che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche.     
Testualmente, osserva l’Adunanza Plenaria che“12.6. esiste una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto”e che “esigenze di trasparenza, che sorreggono il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior contraente, principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito della gara”.         
La persistenza di un interesse pubblico anche nella fase esecutiva è dimostrato, aggiunge l’altissimo Consesso, da tutta una serie di disposizioni positive, tra le quali i controlli di legittimità sull’aggiudicatario (artt. 32, comma 12 e 33, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016), il recesso facoltativo e le ipotesi di autotutela pubblicistica (art. 21-nonies della L. n. 241/90), la risoluzione di natura privatistica (articolo 108, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 50/2016), la risoluzione obbligatoria dal rapporto contrattuale (articolo 108, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016), che permettono di affermare che “l’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione non è una terra di nessuno”.
Posto tutto ciò con riferimento alla fase esecutiva, occorre tuttavia, ai fini dell’accesso ex L. n. 241/90, che l’interesse, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale e diretto e, in particolare, preesista all’istanza di accesso e non ne sia una conseguenza. In altri termini, occorre “15. che l’esistenza di detto interesse sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post”.    
Ove così non fosse, l’accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, della pubblica amministrazione (art. 24, comma 4, della L. n. 241/90).        
Del resto, ed ancora, “15.5. proprio nella distanza che intercorre tra bisogno di conoscenza e desiderio di conoscenza sta il tratto distintivo che, al di là di ulteriori aspetti, connota l’accesso documentale rispetto a quello civico generalizzato, nel quale la conoscenza si atteggia quale diritto fondamentale (cd. right to know), in sé, che è premessa autonoma e fondamentale per l’esercizio di qualsivoglia altro diritto”.      
Applicate tali argomentazioni al caso de quo, osserva il Consiglio di Stato come non vi sia tale specifico interesse, nemmeno adombrato nell’istanza, la quale si presenza come meramente esplorativa, finalizzata ad acclarare se un inadempimento sia presente, con un inammissibile ruolo di vigilanza sulla regolare esecuzione delle prestazioni contrattuali e sull’adempimento delle obbligazioni da parte dell’aggiudicatario.        
In conclusione sul punto, se è vero che anche la fase esecutiva è connotata dagli anzidetti diritti di apprensione documentale, in ossequio all’interesse pubblico ed ai ben noti principi di trasparenza e concorrenza, è altrettanto vero che per l’accesso documentale (differentemente dall’accesso civico) non è sufficiente l’esser stati partecipanti alla gara, non essendo presente una “superlegittimazione”ma dovendo provare quell’ interesse “diretto, concreto ed attuale”richiesto dalle disposizioni in materia. 

c) Questione n. II dell’Ordinanza di rimessione. 

L’Adunanza Plenaria cita le due posizioni contrastanti della giurisprudenza amministrativa, l’una volta ad affermare la piena applicabilità dell’accesso civico generalizzato ai contratti pubblici e l’altra, al contrario, decisa nella sua esclusione: ben note (si veda “La casa di vetro”parte prima) Sez. III, 05/06/2019, n. 3780 e 02/08/2019, n. 5502, ruotanti intorno agli art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013 e 53 del D.Lgs. n. 50/2016.       
Ebbene, il supremo Consesso amministrativo, per le ragioni che si indicheranno, afferma che l’istituto dell’accesso civico generalizzato trovi applicazione anche nella materia dei contratti pubblici.         
Straordinariamente forti, in particolare, sono le argomentazioni relative al principio di trasparenza, al passaggio fondamentale dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere e alla configurazione della Pubblica Amministrazione come reale “casa di vetro”.         
Per comprendere, senza filtri, la grande portata delle affermazioni dell’Adunanza Plenaria, è utile riportarne le parti principali:

“22.3. Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, occasionalmente protetto per il cd. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il cd. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privati, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 33 del 2013.   
22.4. Nel sopra citato parere n. 515 del 24 febbraio 2016 
(relativo al D.Lgs. n. 97/2016, ndr)questo Consiglio di Stato, fornendo indicazioni normative sulle modifiche da introdurre nel d.lgs. n. 33 del 2013, ha evidenziato nel par. 11.2 che il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine […] della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”.         
22.6. Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto, se è vero che la democrazia, secondo una celebre formula ricordata dallo stesso parere n. 515 del 24 febbraio 2016, è il governo del potere pubblico in pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di vetro” improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità, garantita dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi decisionali e assenza di corruzione. 

23. Il FOIA si fonda sul riconoscimento del cd. “diritto di conoscere” (right to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.  
23.1. Non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale” (Corte cost. 21 febbraio 2019, n. 20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore, al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.   
23.5. La natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato, oltre che essere evincibile dagli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost. e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, deve però collocarsi anche in una prospettiva convenzionale europea, laddove essa rinviene un sicuro fondamento nell’art. 10 CEDU, come hanno rilevato le citate Linee guida dell’ANAC, nel par. 2.1, e le Circolari FOIA n. 2/2017 e n. 1/2019”.  

Ricostruita in tali termini la natura del diritto di accesso civico generalizzato, con gli indicati collegamenti ed interazioni con principi fondamentali, l’Adunanza del Consiglio di Stato si chiede specificamente se tra le esclusioni e limitazioni possa essere compresa l’intera materia dei contratti pubblici. 
Ed ecco il punto focale, spesso al centro di ampi dibattiti, inerente all’interpretazione della disposizione di cui all’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013 e ai limiti all’accesso ivi previsti, riguardanti i documenti coperti da segreti di Stato e, particolarmente rilevante ai nostri fini, gli “altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”    .
L’Adunanza Plenaria ritiene che la disposizione vada letta unitariamente, evitando di scomporla e di trarne per ciò solo dei nuovi, autonomi l’uno dall’altro, limiti, privilegiano, in ossequio all’interpretazione costituzionalmente orientata e all’importanza dei principi in gioco, un approccio restrittivo secondo un’interpretazione tassativizzante.          

In particolare, “24.7. la disposizione non può essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedono casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato”.     
In sostanza, ritiene l’Adunanza Plenaria che l’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013 non avrebbe fatto altro che rammentare che vi sono casi di eccezioni assolute al diritto di accesso, come quelle del segreto di Stato, o altre previste da differenti leggi settoriali, come per esempio il segreto statistico ex art. 9 D.Lgs. n. 322/1989, il segreto militare ex R.D. n. 161/1941, il segreto bancario ex art. 7 del D.Lgs. n. 385/1993, il segreto scientifico ed industriale ex art. 623 C.P., e così via. 

Peraltro, anche con riguardo alle eccezioni assolute, che mai possono riguardare intere materie, andrà verificato nello specifico caso per caso (la disposizione parla, per l’appunto, di casi) se il filtro o l’eccezione all’accesso operi oppure non determini una limitazione a quel diritto fondamentale che è l’accesso civico generalizzato.     
Testualmente afferma il Consiglio di Stato:“25.4. un diverso ragionamento, che identificasse interi ambiti di materia esclusi dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, avallerebbe il rischio, ben avvertito in dottrina, che i casi del comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, letti in modo frazionato e non sistematico, si trasformino in un “buco nero” della trasparenza […] con un ritorno all’opacità dell’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che trasforma l’eccezione in regola e conduce fatalmente alla creazione in via pretoria di quelli che, con felice espressione, sono stati definiti “segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”, espressamente contemplati dalla legge”.       
Del resto, ed a conferma, l’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016 prevede un semplice differimento del diritto di accesso (esclusione assoluta temporalmente definita) e non già un’esclusione tout court senza termine, mentre il comma 5 prevede delle eccezioni specifiche, queste sì di esclusione assoluta e sempre salva la possibile applicazione del comma 6. 

Aggiunge l’Adunanza Plenaria, sempre nell’ottica già ampiamente segnalata di collegamento tra accessibilità, trasparenza e lotta alla corruzione, che “30.3. la configurazione di una trasparenza che risponda a “un controllo diffuso” della collettività sull’azione amministrativa è particolarmente avvertita nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni e, in particolare, nell’esecuzione di tali rapporti, dove spesso si annidano fenomeni di cattiva amministrazione, corruzione, e infiltrazione mafiosa, con esiti di efficienza e aree di malgoverno per le opere costruite o i servizi forniti dalla pubblica amministrazione e gravi carenze organizzative tali da pregiudicare persino il godimento di diritti fondamentali da parte dei cittadini nella loro pretesa ai cc.dd. diritti sociali”.    
Tale esigenza di conoscenza diffusa sarebbe anche pienamente avvertita nella normativa europea, di cui l’altissimo Consesso richiama alcuni considerando della Direttiva n. 2014/24/UE, nonché dal ruolo specifico di controllo della regolarità amministrativa, anche nella fase esecutiva, svolto dall’ANAC. Ebbene, visto tale specifico “controllo diffuso che ciascun cittadino può esercitare nella materia dei contratti pubblici”e vista la possibilità di segnalazione anche all’ANAC, tale segnalazione potrebbe corredarsi proprio della documentazione accessibile e concretamente ottenuta mediante il diritto di accesso civico generalizzato.      

Posto tutto ciò con riferimento all’applicazione dell’accesso civico generalizzato nella materia dei contratti pubblici, l’Adunanza Plenaria chiarisce anche che, ovviamente, l’accessibilità totale degli atti di gara vada sempre valutata nel rispetto degli interessi-limite, pubblici e privati, e delle conseguenti eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 33 del 2013, oltre che quelle previste dall’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016. Tutte tali eccezioni, a ben vedere, richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, chiamata ad applicare in primis il ben noto principio di proporzionalità nell’adeguato e proporzionato bilanciamento tra gli interessi in gioco. 

Del resto, osserva l’altissimo Consesso, non deve essere drammatizzato l’abuso dell’istituto, nel senso che esso possa condurre ad un “eccesso di accesso”, giacché bisognerà in ogni caso rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.). Per tal via, “36.6. sarà così possibile e doveroso respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate..; richieste massime uniche.., o richieste massime plurime; richieste vessatorie o pretestuose”.        
Nel caso concreto all’attenzione del giudizio, “37.1. la circostanza che l’interessato non abbia un interesse diretto, concreto, attuale e concreto ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, non per questo rende inammissibile l’istanza di accesso civico generalizzato, nata anche per superare le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso documentale”.

In conclusione, osservate le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria con riferimento ai tre quesiti (sub. a), b), e c), giova trascrivere integralmente i principi di diritto emessi:

“a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l'istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell'accesso civico generalizzato, a meno che l'interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell'accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l'istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell'art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell'accesso, definito dall'originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all'esito del procedimento;

b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell'art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell'aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;

c) la disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l'eccezione del comma 3 dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l'art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall'accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell'accesso con le eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza”.

Con riferimento al caso concreto, l’appello della Società è stato giudicato in parte infondato, per quanto attiene alla richiesta di accesso ex L. n. 241/90, ma è stata ritenuta l’ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato.  

3. Considerazioni conclusive.     

Appare di tutta evidenza l’incredibile portata della decisione in commento, non solo per i riflessi concreti in tema di applicabilità diretta, ormai non più dubitabile, del diritto di accesso in materia di contratti pubblici, ma anche per le argomentazioni utilizzate.         
Passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere, la democrazia come potere pubblico in pubblico, ruolo di controllo diffuso da parte di ciascun cittadino, interpretazione restrittiva di ogni ipotesi escludente del diritto di accesso, diritto di accesso come lotta alla corruzione e al malaffare e financo perno della democrazia, sono espressioni e concetti che, sebbene già presenti – anche se non sempre condivisi – nella medesima giurisprudenza del Consiglio di Stato, a seguito di tale sentenza non potranno che trovare cittadinanza universale.      

In tema di riflessi concreti, inoltre, a seguito della lettura fornita assume un ruolo centrale la formulazione di ogni istanza di accesso, la quale furbescamente dovrebbe essere realizzata dagli operatori del diritto “ancipite” con riferimento ad entrambe le forme di accesso, ovvero indefinita, giacché l’espresso richiamo alla sola L. n. 241/90 rischierebbe di determinarne un rigetto a seguito della mancata presenza dell’interesse necessario.   
Oltre ciò, chi scrive, seppur con grande reverenza dinnanzi al più alto Consesso amministrativo, non può che riproporre l’interrogativo già proposto nella prima parte del presente articolo (“la casa di vetro”), formulandone anche di nuovi: “è davvero un presidio di concorrenza e di lotta alla corruzione la possibilità riconosciuta a chiunque, anche senza un interesse qualificato, di accedere agli atti di gara e ai successivi atti esecutivi? Non ci sono o non dovrebbero esserci strumenti di controllo più profondi e risolutivi?” Davvero l’unico strumento di controllo e di lotta alla corruzione in questo Paese è il “ruolo di controllo diffuso che ciascun cittadino può esercitare”, addirittura richiedendo documenti per poi investire della questione l’ANAC? 

La vigilanza diffusa, generica e perciò incontrollata, non potrebbe rischiare di addivenire a quel “eccesso di accesso” che l’Adunanza Plenaria oggi esclude, ma che magari un domani – proprio in seguito a tale interpretazione applicativa generale – potrebbe crearsi? Le ragioni per le quali in sede di redazione del diritto di accesso previsto dalla L. n. 241/90 si era espressamente stabilito il divieto di controllo generalizzato delle pubbliche amministrazioni sono, oggi, venute meno?      
Del resto, se è vero che questo Paese è spesso preda di corruzione e malaffare, è altrettanto vero che molte volte risulta bloccato nelle sue commesse ed opere da una ipertrofia di controlli e segnalazioni che, in alcuni casi, finiscono per essere più problematiche delle presunte irregolarità che si volevano far emergere.    
Chi scrive, ancora come affermato nel precedente articolo, ritiene che la materia dei contratti pubblici dovrebbe essere oggetto da parte del Legislatore di una disciplina specifica con riferimento all’accesso, che non consenta il suo esercizio indiscriminato, ma richieda un interesse delineato ad hocper le particolarità della materia, magari a metà strada tra le classiche figure di accesso delineate. Ciò consentirebbe anche di evitare un accesso “ancipite”, possibile sulla base di due fonti normative (artt. 22 e ss. L. n. 241/90 e art. 5 e ss. D.Lgs. n. 33/2013) aventi presupposti e limiti differenti, superando in tal modo le tante difficoltà potenziali in termini di qualificazione dell’istanza e sua valutazione.    
Ad ogni modo, in conclusione, l’Adunanza Plenaria ha chiarito l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato rebus sic stantibus, ed il tempo ci darà ogni risposta circa i suoi effetti concreti. 

Sommario:

1. Premessa. “La casa di vetro”, parte prima: la rimessione all’Adunanza Plenaria.        
2. La sentenza n. 10/2020: l’applicabilità del diritto di accesso civico generalizzato.        
3. Considerazioni conclusive.         
 

1. Premessa. “La casa di vetro”, parte prima: la rimessione all’Adunanza Plenaria.       

L’argomento oggetto del presente approfondimento è stato già trattato dallo scrivente in un suo precedente articolo, dal titolo “la casa di vetro”, nel quale si è dato conto dell’annoso e a quel momento irrisolto contrasto giurisprudenziale che aveva portato alla rimessione, con Ordinanza n. 8501 del 16/12/2019, della questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.       
Successivamente alla redazione del citato scritto, nel quale si trattava della distinzione tra l’accesso interessato ex L. n. 241/90 e quello civico generalizzato ex D.Lgs. n. 33/2013, nonché del contrasto presente sia nei giudici di merito sia in seno al Consiglio di Stato (Sez. III, 05/06/2019, n. 3780 e Sez. V, 02/08/2019, n. 5503) circa l’applicazione dell’accesso civico generalizzato nella materia dei contratti pubblici, l’Adunanza Plenaria adita ha avuto modo di pronunciarsi, tirando le fila e srotolando quell’ormai complessa trama di interpretazioni giurisprudenziali tra loro divergenti.        
Essendo il presente articolo un continuum del precedente, non si ricalcheranno in tale sede le tante argomentazioni già trattate, consigliando al lettore una sua precedente lettura, per un quadro completo di come e perché la giurisprudenza sia giunta a rimettere la questione al più alto Consesso della Giustizia Amministrativa.  

Ad ogni modo, giova rammentare qualche cenno sia sulla questione sottostante alla decisione del Consiglio di Stato, sia sulla duplicità di interpretazioni in merito.       
La vicenda concreta di cui alla sentenza in commento, Ad. Plenaria 02/04/2020, n. 10, è originata dalla richiesta della seconda classificata in graduatoria di accesso ai documenti relativi all’esecuzione dell’appalto, al fine dichiarato di verificare se l’esecuzione del contratto si stesse svolgendo nel rispetto del capitolato tecnico e dell’offerta migliorativa e, conseguentemente, poter subentrale come esecutrice per “scorrimento della graduatoria” ove fossero state rivelate inadempienze dell’appaltatore con risoluzione del contratto. La richiesta, si badi, non era motivata né con riferimento all’accesso documentale ex L. n. 241/90 né con riferimento all’accesso civico generalizzato ex D.Lgs. n. 33/2013, essendo sul punto generica ed indefinita.          
Il T.A.R. Toscana, con sentenza n. 577/2019, aveva respinto il ricorso, rilevando, in primo luogo, l’assenza di un interesse qualificato idoneo ex Legge n. 241/90 giacché l’indagine appariva totalmente esplorativa non essendo dimostrato l’inadempimento dell’appaltatore e, in secondo luogo, l’inapplicabilità della disciplina di cui all’accesso civico generalizzato nella materia degli appalti pubblici.         
Ebbene, proprio sulla questione dell’applicabilità o meno dell’accesso civico generalizzato nella materia degli appalti pubblici ruotava da tempo la giurisprudenza, con posizioni contrapposte.    
Da un lato, l’interpretazione secondo cui il combinato disposto dell’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016 e del comma 3 dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013, in connessione con il richiamo ai soli articoli 22 e seguenti della L. n. 241/90, non permetterebbe l’applicazione di tale tipologia di accesso nella materia dei contratti pubblici. Del resto, si osservava, ove il Legislatore avesse voluto non prevedere una specifica ipotesi derogatoria in subiecta materiasarebbe potuto intervenire in occasione del cd. “Decreto Correttivo”, n. 56/2017; se non lo ha fatto ed ha lasciato il solo richiamo alla Legge n. 241/90, evidentemente ha voluto costruire un’ipotesi settoriale di non applicazione dell’accesso civico generalizzato.          
Dall’altro lato, l’interpretazione secondo cui la normativa non prevederebbe alcuna limitazione specifica, giacché il comma 3 dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013 si riferirebbe ai divieti di accesso e non già a restrizioni di minor rilievo, come quella ex art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016, non consentendo un’esclusione generalizzata di intere materie. Di conseguenza, l’unica limitazione atterrebbe alla possibilità di apprensione dei documenti richiesti fino al termine di conclusione della gara, e non già escludendo tout courtl’applicazione dell’accesso civico generalizzato. Del resto, si osservava, questa sarebbe l’unica lettura compatibile con i ben noti principi di trasparenza e concorrenza, che non consentirebbero una lettura oltremodo restrittiva ed il fatto che il Legislatore non sia intervenuto in sede di Decreto Correttivo sarebbe dovuta ad una semplice dimenticanza. 

In questo scenario (grandemente schematizzato in tale sede), giova rammentare le questioni sottoposte all’attenzione dell’Adunanza Plenaria, riportando integralmente il testo di cui all’Ordinanza di rimessione della Sez. III, n. 8501 del 16/12/2019:
“I. Se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;

- II. Se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lvo n. 33/2013, come modificato dal d.lvo n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;

- III. Se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato”.

Tre questioni fondamentali, non solo relative all’applicabilità tout court dell’accesso civico generalizzato in subiecta materia(questione sub. II), ma anche alla configurazione nel caso di specie di un interesse giuridicamente protetto ex art. 22 della L. n. 241/90 (questione sub I) e alla corretta interpretazione dell’istanza di accesso indefinita e dei limiti all’attività dell’amministrazione e del giudice ove non sia presente quel particolare interesse qualificato (questione sub. III). 

La sentenza che di seguito si analizzerà, corre l’obbligo precisarlo fin da subito, rappresenta e rappresenterà, sia per le tante questioni trattate che per le argomentazioni offerte e le sue ricadute, una vera pietra miliare in materia. Una pietra miliare, si badi, che indubbiamente sarà oggetto di grandi discussioni (lo scrivente non si esimerà, per parte sua, anche di criticarla), ma che davvero sembra rappresentare un punto di caduta sull’argomento dalla portata rivoluzionaria.     

2. La sentenza n. 10/2020: l’applicabilità del diritto di accesso civico generalizzato.      

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in data 2 Aprile 2020, con la sentenza n. 10, ha risolto le tre fondamentali questioni sottoposte alla sua attenzione, fornendo elementi ed argomentazioni di grande rilievo.       
Nel farlo, tuttavia, per ragioni logiche e di trattazione, ha invertito l’ordine delle questioni, rispondendo per primo al terzo quesito (se l’istanza è motivata con esclusivo riferimento all’accesso documentale, la P.A. ed il giudice, accertata la carenza dell’interesse, può e deve analizzarla anche in base ai presupposti dell’accesso civico generalizzato?), per secondo al primo quesito (l’operatore economico utilmente collocato in graduatoria ha un interesse giuridicamente protetto ex art. 22 e ss. della L. n. 241/90 all’accesso agli atti della fase esecutiva?) e per terzo ed ultimo al secondo, e più importante in un’ottica generale, quesito (l’accesso civico generalizzato è applicabile in materia di contratti pubblici o sussiste un’esclusione tout court?).   
          

a) Quesito n. III dell’Ordinanza di rimessione. 

Osserva il Consiglio di Stato che l’istanza di accesso può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere formulata tanto con riferimento all’una che all’altra forma di accesso, anche congiuntamente.          
Più precisamente e testualmente “8.4. il riferimento dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto”.
Di fatto, posta la diversità di presupposti e di profondità dei due istituti, tutto dipenderà dalla concreta configurazione dell’istanza: ove essa non faccia riferimento a nessuno dei due istituti, la pubblica amministrazione ed eventualmente il giudice, ove ritengano non presente l’interesse di cui agli artt. 22 della L. n. 241/90, potranno e dovranno analizzarla sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, mentre l’applicabilità di quest’ultimo sarà escluso ove essa si riferisca specificamente e solamente all’accesso documentale.               
Tale ricostruzione sarebbe stata confermata anche dal Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella Circolare n. 2 del 06/06/2017 sull’Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (cd. FOIA) ove ha chiarito che “dato che l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.) la stessa dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato”.   
Nel caso specifico, avendo l’operatore economico formulato un’istanza generica ed indefinita (“ancipite” come definita dal Consiglio di Stato), correttamente la Stazione Appaltante aveva esaminato la richiesta con riferimento ad entrambe le tipologie di accesso, pur ritenendo non applicabile quello civico generalizzato.     
In conclusione sul punto, pur osservando che la questione esula rispetto al casode quo, in termini di interesse generale ad un chiarimento, l’Adunanza Plenaria osserva che ove l’istanza faccia esclusivo riferimento all’accesso documentale ex L. n. 241/90 è precluso alla P.A. ed al giudice successivamente, convertirla in accesso civico generalizzato, mentre ove sia indefinita l’analisi deve essere “ancipite”, nel senso che deve riguardare entrambe le possibilità di accesso.      

b) Quesito n. I dell’Ordinanza di rimessione.    
Con riguardo alla configurazione di un interesse giuridicamente tutelato ex L. n. 241/90 in capo all’operatore economico collocato nella graduatoria dei concorrenti all’apprensione dei documenti riguardanti la fase esecutiva delle prestazioni, osserva l’Adunanza Plenaria che tale diritto non possa essere escluso nella anzidetta fase esecutiva degli appalti pubblici.        
Del resto, lo stesso articolo 53, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016 fa esplicito riferimento al “diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”, non potendo rilevare in senso contrario che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche.     
Testualmente, osserva l’Adunanza Plenaria che“12.6. esiste una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto”e che “esigenze di trasparenza, che sorreggono il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior contraente, principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito della gara”.         
La persistenza di un interesse pubblico anche nella fase esecutiva è dimostrato, aggiunge l’altissimo Consesso, da tutta una serie di disposizioni positive, tra le quali i controlli di legittimità sull’aggiudicatario (artt. 32, comma 12 e 33, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016), il recesso facoltativo e le ipotesi di autotutela pubblicistica (art. 21-nonies della L. n. 241/90), la risoluzione di natura privatistica (articolo 108, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 50/2016), la risoluzione obbligatoria dal rapporto contrattuale (articolo 108, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016), che permettono di affermare che “l’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione non è una terra di nessuno”.
Posto tutto ciò con riferimento alla fase esecutiva, occorre tuttavia, ai fini dell’accesso ex L. n. 241/90, che l’interesse, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale e diretto e, in particolare, preesista all’istanza di accesso e non ne sia una conseguenza. In altri termini, occorre “15. che l’esistenza di detto interesse sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post”.    
Ove così non fosse, l’accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, della pubblica amministrazione (art. 24, comma 4, della L. n. 241/90).        
Del resto, ed ancora, “15.5. proprio nella distanza che intercorre tra bisogno di conoscenza e desiderio di conoscenza sta il tratto distintivo che, al di là di ulteriori aspetti, connota l’accesso documentale rispetto a quello civico generalizzato, nel quale la conoscenza si atteggia quale diritto fondamentale (cd. right to know), in sé, che è premessa autonoma e fondamentale per l’esercizio di qualsivoglia altro diritto”.      
Applicate tali argomentazioni al caso de quo, osserva il Consiglio di Stato come non vi sia tale specifico interesse, nemmeno adombrato nell’istanza, la quale si presenza come meramente esplorativa, finalizzata ad acclarare se un inadempimento sia presente, con un inammissibile ruolo di vigilanza sulla regolare esecuzione delle prestazioni contrattuali e sull’adempimento delle obbligazioni da parte dell’aggiudicatario.        
In conclusione sul punto, se è vero che anche la fase esecutiva è connotata dagli anzidetti diritti di apprensione documentale, in ossequio all’interesse pubblico ed ai ben noti principi di trasparenza e concorrenza, è altrettanto vero che per l’accesso documentale (differentemente dall’accesso civico) non è sufficiente l’esser stati partecipanti alla gara, non essendo presente una “superlegittimazione”ma dovendo provare quell’ interesse “diretto, concreto ed attuale”richiesto dalle disposizioni in materia. 

c) Questione n. II dell’Ordinanza di rimessione. 

L’Adunanza Plenaria cita le due posizioni contrastanti della giurisprudenza amministrativa, l’una volta ad affermare la piena applicabilità dell’accesso civico generalizzato ai contratti pubblici e l’altra, al contrario, decisa nella sua esclusione: ben note (si veda “La casa di vetro”parte prima) Sez. III, 05/06/2019, n. 3780 e 02/08/2019, n. 5502, ruotanti intorno agli art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013 e 53 del D.Lgs. n. 50/2016.       
Ebbene, il supremo Consesso amministrativo, per le ragioni che si indicheranno, afferma che l’istituto dell’accesso civico generalizzato trovi applicazione anche nella materia dei contratti pubblici.         
Straordinariamente forti, in particolare, sono le argomentazioni relative al principio di trasparenza, al passaggio fondamentale dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere e alla configurazione della Pubblica Amministrazione come reale “casa di vetro”.         
Per comprendere, senza filtri, la grande portata delle affermazioni dell’Adunanza Plenaria, è utile riportarne le parti principali:

“22.3. Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, occasionalmente protetto per il cd. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il cd. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privati, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 33 del 2013.   
22.4. Nel sopra citato parere n. 515 del 24 febbraio 2016 
(relativo al D.Lgs. n. 97/2016, ndr)questo Consiglio di Stato, fornendo indicazioni normative sulle modifiche da introdurre nel d.lgs. n. 33 del 2013, ha evidenziato nel par. 11.2 che il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine […] della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”.         
22.6. Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto, se è vero che la democrazia, secondo una celebre formula ricordata dallo stesso parere n. 515 del 24 febbraio 2016, è il governo del potere pubblico in pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di vetro” improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità, garantita dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi decisionali e assenza di corruzione. 

23. Il FOIA si fonda sul riconoscimento del cd. “diritto di conoscere” (right to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.  
23.1. Non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale” (Corte cost. 21 febbraio 2019, n. 20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore, al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.   
23.5. La natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato, oltre che essere evincibile dagli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost. e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, deve però collocarsi anche in una prospettiva convenzionale europea, laddove essa rinviene un sicuro fondamento nell’art. 10 CEDU, come hanno rilevato le citate Linee guida dell’ANAC, nel par. 2.1, e le Circolari FOIA n. 2/2017 e n. 1/2019”.  

Ricostruita in tali termini la natura del diritto di accesso civico generalizzato, con gli indicati collegamenti ed interazioni con principi fondamentali, l’Adunanza del Consiglio di Stato si chiede specificamente se tra le esclusioni e limitazioni possa essere compresa l’intera materia dei contratti pubblici. 
Ed ecco il punto focale, spesso al centro di ampi dibattiti, inerente all’interpretazione della disposizione di cui all’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013 e ai limiti all’accesso ivi previsti, riguardanti i documenti coperti da segreti di Stato e, particolarmente rilevante ai nostri fini, gli “altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”    .
L’Adunanza Plenaria ritiene che la disposizione vada letta unitariamente, evitando di scomporla e di trarne per ciò solo dei nuovi, autonomi l’uno dall’altro, limiti, privilegiano, in ossequio all’interpretazione costituzionalmente orientata e all’importanza dei principi in gioco, un approccio restrittivo secondo un’interpretazione tassativizzante.          

In particolare, “24.7. la disposizione non può essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedono casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato”.     
In sostanza, ritiene l’Adunanza Plenaria che l’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013 non avrebbe fatto altro che rammentare che vi sono casi di eccezioni assolute al diritto di accesso, come quelle del segreto di Stato, o altre previste da differenti leggi settoriali, come per esempio il segreto statistico ex art. 9 D.Lgs. n. 322/1989, il segreto militare ex R.D. n. 161/1941, il segreto bancario ex art. 7 del D.Lgs. n. 385/1993, il segreto scientifico ed industriale ex art. 623 C.P., e così via. 

Peraltro, anche con riguardo alle eccezioni assolute, che mai possono riguardare intere materie, andrà verificato nello specifico caso per caso (la disposizione parla, per l’appunto, di casi) se il filtro o l’eccezione all’accesso operi oppure non determini una limitazione a quel diritto fondamentale che è l’accesso civico generalizzato.     
Testualmente afferma il Consiglio di Stato:“25.4. un diverso ragionamento, che identificasse interi ambiti di materia esclusi dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, avallerebbe il rischio, ben avvertito in dottrina, che i casi del comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, letti in modo frazionato e non sistematico, si trasformino in un “buco nero” della trasparenza […] con un ritorno all’opacità dell’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che trasforma l’eccezione in regola e conduce fatalmente alla creazione in via pretoria di quelli che, con felice espressione, sono stati definiti “segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”, espressamente contemplati dalla legge”.       
Del resto, ed a conferma, l’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016 prevede un semplice differimento del diritto di accesso (esclusione assoluta temporalmente definita) e non già un’esclusione tout court senza termine, mentre il comma 5 prevede delle eccezioni specifiche, queste sì di esclusione assoluta e sempre salva la possibile applicazione del comma 6. 

Aggiunge l’Adunanza Plenaria, sempre nell’ottica già ampiamente segnalata di collegamento tra accessibilità, trasparenza e lotta alla corruzione, che “30.3. la configurazione di una trasparenza che risponda a “un controllo diffuso” della collettività sull’azione amministrativa è particolarmente avvertita nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni e, in particolare, nell’esecuzione di tali rapporti, dove spesso si annidano fenomeni di cattiva amministrazione, corruzione, e infiltrazione mafiosa, con esiti di efficienza e aree di malgoverno per le opere costruite o i servizi forniti dalla pubblica amministrazione e gravi carenze organizzative tali da pregiudicare persino il godimento di diritti fondamentali da parte dei cittadini nella loro pretesa ai cc.dd. diritti sociali”.    
Tale esigenza di conoscenza diffusa sarebbe anche pienamente avvertita nella normativa europea, di cui l’altissimo Consesso richiama alcuni considerando della Direttiva n. 2014/24/UE, nonché dal ruolo specifico di controllo della regolarità amministrativa, anche nella fase esecutiva, svolto dall’ANAC. Ebbene, visto tale specifico “controllo diffuso che ciascun cittadino può esercitare nella materia dei contratti pubblici”e vista la possibilità di segnalazione anche all’ANAC, tale segnalazione potrebbe corredarsi proprio della documentazione accessibile e concretamente ottenuta mediante il diritto di accesso civico generalizzato.      

Posto tutto ciò con riferimento all’applicazione dell’accesso civico generalizzato nella materia dei contratti pubblici, l’Adunanza Plenaria chiarisce anche che, ovviamente, l’accessibilità totale degli atti di gara vada sempre valutata nel rispetto degli interessi-limite, pubblici e privati, e delle conseguenti eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 33 del 2013, oltre che quelle previste dall’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016. Tutte tali eccezioni, a ben vedere, richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, chiamata ad applicare in primis il ben noto principio di proporzionalità nell’adeguato e proporzionato bilanciamento tra gli interessi in gioco. 

Del resto, osserva l’altissimo Consesso, non deve essere drammatizzato l’abuso dell’istituto, nel senso che esso possa condurre ad un “eccesso di accesso”, giacché bisognerà in ogni caso rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.). Per tal via, “36.6. sarà così possibile e doveroso respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate..; richieste massime uniche.., o richieste massime plurime; richieste vessatorie o pretestuose”.        
Nel caso concreto all’attenzione del giudizio, “37.1. la circostanza che l’interessato non abbia un interesse diretto, concreto, attuale e concreto ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, non per questo rende inammissibile l’istanza di accesso civico generalizzato, nata anche per superare le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso documentale”.

In conclusione, osservate le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria con riferimento ai tre quesiti (sub. a), b), e c), giova trascrivere integralmente i principi di diritto emessi:

“a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l'istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell'accesso civico generalizzato, a meno che l'interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell'accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l'istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell'art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell'accesso, definito dall'originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all'esito del procedimento;

b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell'art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell'aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;

c) la disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l'eccezione del comma 3 dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l'art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall'accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell'accesso con le eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza”.

Con riferimento al caso concreto, l’appello della Società è stato giudicato in parte infondato, per quanto attiene alla richiesta di accesso ex L. n. 241/90, ma è stata ritenuta l’ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato.  

3. Considerazioni conclusive.     

Appare di tutta evidenza l’incredibile portata della decisione in commento, non solo per i riflessi concreti in tema di applicabilità diretta, ormai non più dubitabile, del diritto di accesso in materia di contratti pubblici, ma anche per le argomentazioni utilizzate.         
Passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere, la democrazia come potere pubblico in pubblico, ruolo di controllo diffuso da parte di ciascun cittadino, interpretazione restrittiva di ogni ipotesi escludente del diritto di accesso, diritto di accesso come lotta alla corruzione e al malaffare e financo perno della democrazia, sono espressioni e concetti che, sebbene già presenti – anche se non sempre condivisi – nella medesima giurisprudenza del Consiglio di Stato, a seguito di tale sentenza non potranno che trovare cittadinanza universale.      

In tema di riflessi concreti, inoltre, a seguito della lettura fornita assume un ruolo centrale la formulazione di ogni istanza di accesso, la quale furbescamente dovrebbe essere realizzata dagli operatori del diritto “ancipite” con riferimento ad entrambe le forme di accesso, ovvero indefinita, giacché l’espresso richiamo alla sola L. n. 241/90 rischierebbe di determinarne un rigetto a seguito della mancata presenza dell’interesse necessario.   
Oltre ciò, chi scrive, seppur con grande reverenza dinnanzi al più alto Consesso amministrativo, non può che riproporre l’interrogativo già proposto nella prima parte del presente articolo (“la casa di vetro”), formulandone anche di nuovi: “è davvero un presidio di concorrenza e di lotta alla corruzione la possibilità riconosciuta a chiunque, anche senza un interesse qualificato, di accedere agli atti di gara e ai successivi atti esecutivi? Non ci sono o non dovrebbero esserci strumenti di controllo più profondi e risolutivi?” Davvero l’unico strumento di controllo e di lotta alla corruzione in questo Paese è il “ruolo di controllo diffuso che ciascun cittadino può esercitare”, addirittura richiedendo documenti per poi investire della questione l’ANAC? 

La vigilanza diffusa, generica e perciò incontrollata, non potrebbe rischiare di addivenire a quel “eccesso di accesso” che l’Adunanza Plenaria oggi esclude, ma che magari un domani – proprio in seguito a tale interpretazione applicativa generale – potrebbe crearsi? Le ragioni per le quali in sede di redazione del diritto di accesso previsto dalla L. n. 241/90 si era espressamente stabilito il divieto di controllo generalizzato delle pubbliche amministrazioni sono, oggi, venute meno?      
Del resto, se è vero che questo Paese è spesso preda di corruzione e malaffare, è altrettanto vero che molte volte risulta bloccato nelle sue commesse ed opere da una ipertrofia di controlli e segnalazioni che, in alcuni casi, finiscono per essere più problematiche delle presunte irregolarità che si volevano far emergere.    
Chi scrive, ancora come affermato nel precedente articolo, ritiene che la materia dei contratti pubblici dovrebbe essere oggetto da parte del Legislatore di una disciplina specifica con riferimento all’accesso, che non consenta il suo esercizio indiscriminato, ma richieda un interesse delineato ad hocper le particolarità della materia, magari a metà strada tra le classiche figure di accesso delineate. Ciò consentirebbe anche di evitare un accesso “ancipite”, possibile sulla base di due fonti normative (artt. 22 e ss. L. n. 241/90 e art. 5 e ss. D.Lgs. n. 33/2013) aventi presupposti e limiti differenti, superando in tal modo le tante difficoltà potenziali in termini di qualificazione dell’istanza e sua valutazione.    
Ad ogni modo, in conclusione, l’Adunanza Plenaria ha chiarito l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato rebus sic stantibus, ed il tempo ci darà ogni risposta circa i suoi effetti concreti.