Cons. Stato, sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564

L’art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 50 del 2016) impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni): a) la prima condizione consiste nell’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato. Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato ‘fallimento del mercato’ rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”, cui la società in house invece supplirebbe; b) la seconda condizione consiste nell’obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house (dimostrazione che non è invece necessario fornire in caso di altre forme di affidamento, con particolare riguardo all’affidamento tramite gare di appalto).

Non può sostenersi, sulla base dell’art. 4 del d.lgs. 175/2016, la sussistenza di un divieto per il comune di partecipare ad una holding. Dall’art. 4 comma 5 del TUSPP si ricava, per converso, che le holding, purchè abbiamo come oggetto sociale esclusivo la gestione delle partecipazioni societarie di enti locali, possono acquisire (e mantenere) partecipazioni in altre società. La norma citata rimuove l’unico limite che era innanzi previsto, ossia quello riferibile alle società dei servizi c.d. strumentali oggi menzionate al comma 2, lettera d) del TUSPP.

 

 

 

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