Consiglio di Stato, sez. V, 24 febbraio 2020, n. 1374
1. È corretta la previsione di una procedura competitiva a evidenza pubblica per la concessione di spazi e aree pubbliche da utilizzare ai fini della collocazione di impianti pubblicitari per affissione commerciale da parte di operatori economici privati. La limitatezza degli spazi disponibili, invero, legittima la concessione tramite gara degli stessi. Ne consegue che la concessione dell’uso di un’area pubblica non si pone in contraddizione con il principio costituzionale di libera iniziativa economica, ma anzi risulta funzionale all’inveramento del principio medesimo, consentendo l’ingresso a nuovi operatori in un mercato che altrimenti resterebbe riservato a quanti in passato abbiano conseguito le autorizzazioni all’utilizzo degli spazi più remunerativi (1).
(1) Conforme Consiglio di Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2013, n. 5; Consiglio di Stato, Sez. V, 2 febbraio 2009, n. 529.
Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 4234 del 2019,
proposto da Studiocinque Outdoor s.r.l. - società unipersonale, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giacomo Valla, con domicilio digitale come da PEC
Registri di Giustizia;
contro
Comune di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Rosa Cioffi e Augusto Farnelli, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia
(sezione terza) n. 1619/2018, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Filippo Lubrano ed Enrico Lubrano, in sostituzione dell'avv. Giacomo Valla, Rosa Cioffi e Augusto Farnelli;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Studiocinque Outdoor s.r.l. - società unipersonale, operante nel Comune di Bari nel settore delle affissioni pubblicitarie, impugnava con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia la delibera consiliare del predetto Comune n. 114/2017, contenente la modifica del regolamento comunale in materia di pubblicità e l'aggiornamento del relativo regime transitorio. A mezzo di motivi aggiunti estendeva l'impugnativa alla sopraggiunta delibera giuntale n. 47/2018, alla nota della Ripartizione urbanistica ed edilizia privata n. 324001/2017, alla sottostante relazione tecnica, alla determinazione della stessa Ripartizione n. 2018/130/00027, alla delibera consiliare n. 73/2005 di approvazione del Piano generale degli impianti pubblicitari-PGIP, richiamata dalla deliberazione n. 114/2017.
Il Comune di Bari si costituiva in resistenza.
Con sentenza della sezione terza n. 1619/2018 l'adito Tribunale, rilevato trattarsi di fattispecie analoga a quella decisa dallo stesso Tribunale con sentenza di rigetto resa sul ricorso n.r.g. 274/2018 proposto da altra società e trattenuto contestualmente in decisione, riteneva la sussistenza dei presupposti per assumere una decisione in forma semplificata ex art. 74 Cod. proc. amm.; indi riportava, in fatto e in diritto, la richiamata decisione (registrata al n. 1526/2018) e respingeva l'impugnativa di Studiocinque Outdoor, compensando tra le parti le spese del giudizio.
La società ha appellato detta sentenza, deducendo, in limine litis, violazione e falsa applicazione dell'art. 74 Cod. proc. amm. e del principio di trasparenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 Cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione art. 24 Cost..
A mezzo di tale censura la società lamenta che, per via delle modalità del rimando operato dal primo giudice, la sentenza gravata non si è pronunziata su una serie di motivi introdotti dalla sua impugnativa, e che le questioni decise sono comunque affette da errori derivanti da mancanza di analisi e di approfondimento delle censure proposte. Tale ultima circostanza viene specificamente dedotta in ordine ai vizi di: a) deficit partecipativo; b) anomalia del rapporto tra il nuovo regolamento e il Piano generale degli impianti pubblicitari-PGIP del 2005; c) indebita trasformazione di una attività imprenditoriale libera in un servizio pubblico assoggettato a un regime concessorio; d) incompetenza della Giunta comunale a deliberare nell'ambito della procedura di reviviscenza del PGIP, per il quale è competente l'Organo consiliare.
Indi la società, riproposte tutte le censure svolte in primo grado e non esaminate, ha concluso per la riforma della sentenza appellata e l'accoglimento dell'impugnativa di primo grado con annullamento degli atti con essa gravati.
Il Comune di Bari si è costituito in resistenza, esponendo l'infondatezza del gravame e concludendo per il suo rigetto.
Dopo l'abbinamento al merito della domanda cautelare formulata dall'appellante le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive e la confutazione delle argomentazioni avverse.
La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 28 novembre 2019.
DIRITTO
1. In via preliminare, deve osservarsi che, in virtù dell'effetto devolutivo dell'appello, l'omessa pronuncia del giudice di primo grado su uno o più motivi non è idonea a viziare la sentenza, in quanto in secondo grado il giudice è chiamato a valutare tutte le domande, integrando - ove necessario - le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex plurimis, VI, 6 febbraio 2019, n. 897; 21 marzo 2016, n. 1158; 14 aprile 2015, n. 1915; V, 23 marzo 2018, n. 1853; 19 febbraio 2018, n. 1032; 13 febbraio 2009, n. 824; IV, 5 febbraio 2015, n. 562). La regola trova applicazione anche per le eccezioni, riguardando, in correlazione con i capi della sentenza di primo grado oggetto di appello, l'automatica riemersione nel secondo grado di giudizio di tutto il materiale cognitorio (domande, eccezioni, deduzioni, difese ecc.) introdotto in prime cure (Cons. Stato, V, 23 gennaio 2007, n. 191).
Tali principi devono trovare applicazione nella fattispecie in esame, essendo stati correttamente invocati dalla società appellante nel primo motivo, in considerazione della peculiare tecnica di redazione della sentenza gravata, di cui in fatto.
Il Collegio deve, pertanto, esaminare le censure svolte in primo grado dalla società medesima e non esaminate dal giudice di prime cure, qui integralmente riproposte.
Tale disamina deve però essere preceduta dall'apprezzamento delle doglianze con cui la società sostiene in ogni caso l'erroneità della sentenza gravata in relazione a quattro questioni su cui il primo giudice si è invece pronunziato [a) deficit partecipativo nell'adozione dell'impugnato nuovo regolamento del Comune di Bari in materia di pubblicità; b) anomalia del rapporto tra il nuovo regolamento e il Piano generale degli impianti pubblicitari-PGIP del 2005; c) indebita trasformazione da parte del regolamento in parola di una attività imprenditoriale libera in un servizio pubblico assoggettato a un regime concessorio; d) incompetenza della Giunta comunale a deliberare nell'ambito della procedura di reviviscenza del PGIP, per la quale è competente l'Organo consiliare].
2. La prima di tali questioni è il deficit partecipativo.
La società lamenta che il primo giudice abbia erroneamente validato l'illegittimo operato dell'Amministrazione nel consentire la partecipazione della società al procedimento di formazione del nuovo regolamento sulla pubblicità solo in relazione alle previsioni transitorie, e non anche in riferimento a tutte le ulteriori determinazioni con esso assunte, ancorché le stesse abbiano determinato una completa e incisiva revisione della disciplina previgente di cui alla delibera consiliare n. 4/2013, che si sarebbe senz'altro giovata del contributo offerto dagli operatori del settore.
Le censure sono destituite di fondamento e vanno respinte.
2.1. Anche in disparte la circostanza che, ai sensi dell'art. 13 della l. n. 241 del 1990, gli atti normativi a valenza generale non sono soggetti all'obbligo di cui all'art. 7 della stessa legge, resta poco significativo che l'oggetto della comunicazione di avvio del procedimento nel caso di specie inviato alla società e ad altri operatori del settore abbia specificamente posto l'accento sul regime transitorio. Infatti, a tale comunicazione è stata allegata la delibera di Giunta comunale n. 63/2016; questa preannunziava l'intendimento dell'Amministrazione di individuare un nuovo regime transitorio destinato a durare fino alla modifica o alla verifica di adeguatezza del regolamento comunale sulla pubblicità e del connesso piano generale per l'impiantistica pubblicitaria-PGIP del 2005, introduttivo del principio dell'assegnazione degli spazi pubblici a seguito di procedure a evidenza pubblica (in sostituzione del previgente criterio dell'ordine di arrivo delle istanze di autorizzazione degli impianti) e di demandare agli uffici tecnici la verifica delle altre parti del regolamento, allo scopo di garantirne la coerenza con il nuovo regime transitorio.
La doglianza di carenza di partecipazione risulta pertanto infondata: l'Amministrazione ha posto sul tavolo del confronto tutte le tematiche oggetto di revisione, ancorché non in forma di articolato, mentre appare indenne da mende che l'Amministrazione, in tale ambito, abbia conferito particolare rilevanza al regime transitorio che, determinando per la prima volta la soggiacenza degli operatori economici alle nuove regole competitive, costituiva la parte qualificante della revisione della disciplina.
3. Con la seconda questione si sostiene che il primo giudice non abbia sufficientemente indagato sull'anomalia del rapporto venutosi a creare per effetto degli atti gravati tra il nuovo regolamento, del 2017, e il Piano generale degli impianti pubblicitari-PGIP, del 2005.
3.1. Sul punto, va premesso che il PGIP del 2005 era stato "ritirato" dal previgente regolamento della materia adottato con delibera n. 4/2013 (art. 48, comma 9). Peraltro, la stessa delibera approvativa del regolamento, al punto 4, disponeva di dare mandato alla Ripartizione urbanistica ed edilizia privata di provvedere alla "revisione del P.G.I.P. già approvato nel 2005, finalizzata ad una compatibilità urbana ed ambientale dell'impiantistica pubblicitaria con la città costruita", in ossequio ai principi esposti nel regolamento stesso.
La qui gravata deliberazione consiliare n. 114/2017 ha invece espressamente fatto salvo lo stesso PGIP (art. 49, comma 2), disponendo al contempo la verifica della sua "adeguatezza", di cui ha incaricato il competente ufficio comunale (artt. 48 comma 1).
Successivamente, la predetta verifica è stata positivamente effettuata, e di tanto ha dato atto la Giunta comunale con delibera n. 218/1947.
3.2. Tanto chiarito, lamenta l'appellante che il primo giudice, nel ritenere la legittimità dell'operazione di "reviviscenza" del PGIP e non conferendo all'atto di ritiro del 2013 alcuna valenza sostanziale, non ha esaminato la censura con cui la società aveva evidenziato che tale modus agendi, avendo posposto la regolazione alla pianificazione attuativa al fine di evitare il lungo procedimento di approvazione di un nuovo piano, ha determinato una grave inversione procedimentale; afferma inoltre la società che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, il PGIP era stato chiaramente abrogato.
Le censure non sono fondate.
3.3. In primo luogo, tenuto conto della peculiarità delle già citate disposizioni rinvenienti dall'art. 48, comma 9 del regolamento previgente e dal punto 4 della relativa delibera approvativa, non appare priva di fondamento la conclusione del primo giudice in ordine all'inconfigurabilità in capo a tale delibera di una vera e propria attività di autotutela.
Inoltre, anche laddove tale attività di autotutela potesse pienamente rinvenirsi, essa risulterebbe comunque posta a sua volta nel nulla dagli artt. 48, comma 1 e 49, comma 2 del regolamento del 2013 in esame, che hanno fatto salvo lo strumento pianificatorio, subordinandolo alla valutazione di adeguatezza, ovvero, in altre parole, di compatibilità con la nuova regolazione.
Quanto poi all'asserita obsolescenza del PGIP, trattasi di censura che ove correlata alla sola data della sua adozione nulla dice di suo se non che si tratta di un piano risalente. Del resto, la perdurante idoneità del piano e la sua compatibilità con la nuova regolamentazione sono attestate da una specifica istruttoria tecnica, di cui la società (come meglio in seguito) non riesce a dimostrare l'erroneità sostanziale.
4. L'appellante afferma con altra censura che la nuova regolazione abbia illegittimamente trasformato una libera attività imprenditoriale in un servizio pubblico assoggettato a regime concessorio.
La censura è infondata e va respinta.
4.1. Il disposto assoggettamento dell'attività economica in parola al regime concessorio si rivela infatti indenne da mende.
Rileva al riguardo Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2013, n. 5 (per la quale è legittima la previsione di una procedura competitiva a evidenza pubblica per la concessione degli spazi pubblici da utilizzare per la collocazione di impianti pubblicitari per affissione commerciale da parte di operatori economici privati), che risponde positivamente al quesito sulla legittimità dell'indizione di un'asta con offerta economica al rialzo per l'assegnazione degli spazi pubblici disponibili per gli impianti pubblicitari ad affissione diretta: così confermando l'orientamento di questa Sezione (sentenza 2 febbraio 2009, n. 529, che, sul presupposto del contingentamento del mercato dell'uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino derivante dalla limitatezza degli spazi disponibili, ha ritenuto che la concessione tramite gara degli spazi, e la concessione dell'uso di un'area pubblica non contraddice il principio costituzionale di libera iniziativa economica, ma anzi ne consente la piena attuazione, dal momento in cui permette a nuovi operatori l'ingresso in un mercato che resterebbe altrimenti riservato a quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all'uso degli spazi più remunerativi).
In particolare, detta decisione Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2013, in relazione ai profili di rilevo della questione analoghi a quelli evidenziati dall'appellante, ha rilevato che:
- "alla definizione della disciplina della collocazione degli impianti pubblicitari concorrono la normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati [art. 23, comma 4, del codice della strada (d.lgs. n. 285 del 1992)], quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici [articoli 49 e 153 del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004)], se gli impianti incidano su tali profili, e la normativa tributaria, posta in particolare dal d.lgs. n. 507 del 1993 (e poi dal d.lgs. n. 446 del 1997)";
- "la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane, che qui interessa, è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili all'interno del territorio comunale, ulteriormente ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità sia di tutela dei beni culturali gravanti sul territorio. Ciò motiva la statuizione di cui all'art. 3, comma 3, del citato d.lgs. n. 507 del 1993, per cui ciascun Comune deve determinare, oltre la tipologia, anche la quantità degli impianti pubblicitari e approvare un piano generale degli impianti, con la delimitazione della superficie espositiva massima dei diversi tipi di impianti (nella prassi ripartita tra le zone del territorio urbano), definendosi con ciò un mercato contingentato";
- "la normativa sulla installazione degli impianti a tutela della sicurezza stradale, e dei valori culturali, si raccorda così a quella ulteriore basata sul presupposto, necessitato e condizionante, del contingentamento dell'attività in questione poiché comportante l'uso di una risorsa pubblica scarsa qual è il suolo pubblico. Si configura con ciò un rapporto tra l'ente locale e il privato il cui modello di riferimento, alla luce della sua qualificazione sostanziale, è quello concessorio atteso che è giustappunto una concessione di area pubblica il provvedimento iniziale che conforma il rapporto (Cons. Stato, n. 529 del 2009 citata), potendo disciplinare il regolamento comunale anche le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione (art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993), confluendo nel quadro di tale rapporto, di conseguenza, la regolazione unitaria dei profili di tutela della sicurezza stradale e dei valori culturali";
- "l'unico criterio alternativo dell'ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili è di certo meno idoneo ad assicurare l'interesse pubblico all'uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei privati al confronto concorrenziale", atteso che "la procedura ad evidenza pubblica è istituto tipico di garanzia della concorrenza nell'esercizio dell'attività economica privata incidente sull'uso di risorse pubbliche e che, in particolare, la concessione tramite gara dell'uso di beni pubblici per l'esercizio di attività economiche private è istituto previsto nell'ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa economica anche nell'accesso al mercato degli spazi per la pubblicità (Cons. Stato, V, n. 529 del 2009, cit; cfr. anche VI, 9 febbraio 2011, n. 894)" ed è peraltro "coerente con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza; questo Consiglio ha infatti chiarito da tempo che, sul presupposto per cui con la concessione di un'area pubblica si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie), si impone di conseguenza una procedura competitiva per il rilascio della concessione, necessaria per l'osservanza dei ricordati principi a presidio e tutela di quello, fondamentale, della piena concorrenza (Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168)".
Su tali basi ben poteva, pertanto, il Comune di Bari adottare il modello della concessione di area pubblica e assoggettarne il rilascio all'espletamento di procedure competitive.
4.2. Tale è in effetti l'effettivo contenuto della gravata determinazione comunale. Questa, contrariamente a quanto evocato dall'appellante, non ha adottato il modello proprio della concessione di servizio pubblico.
La tesi dell'appellante si fonda infatti su una distorta lettura dell'art. 12, commi 1, 3, 4 e 9 del regolamento impugnato, e, segnatamente sulla "pianificazione esecutiva" ivi menzionata, da prodursi dai concorrenti nella gara a evidenza pubblica, anche nella forma di "studi di dettaglio", che comporterebbe, sempre in tesi, un'attività di analisi e studio e in, finale, l'assunzione da parte dell'affidatario della funzione di una "azione di contrasto all'abusivismo", costringendolo a svolgere attività ulteriori rispetto a quelle tipiche richieste dal settore di appartenenza, in sostituzione dell'Ente pubblico
In particolare, la "pianificazione esecutiva" menzionata dal regolamento e stigmatizzata dalla società è la richiesta che per partecipare alla procedura competitiva il concorrente illustri la "installazione, manutenzione e gestione" (art. 12, comma 1) ovvero "le modalità di installazione" (art. 12, comma 3) degli impianti che intende proporre alla valutazione dell'Amministrazione. Si tratta di una pretesa compatibile con il meccanismo dell'evidenza pubblica, fondato sulla comparazione delle offerte dei concorrenti, e che, afferendo esclusivamente all'attività economica dei concorrenti medesimi, è del tutto estranea all'attività di programmazione pubblica.
Va parimenti escluso che nell'attribuire all'affidatario delle aree in concessione la qualità di "affidatario di servizio", il regolamento intenda affidargli una connessa funzione pubblicistica di controllo del territorio.
Sul punto, si osserva che (malgrado la non felice formulazione dell'art. 12, comma 9, del Regolamento recante tale definizione) le incombenze poste a carico dell'affidatario si sostanziano, come si desume dai riferimenti operati nel comma, solo nel mantenimento delle "condizioni di legittimità delle installazioni" e delle "adeguate condizioni di decoro urbano" dei "manufatti insistenti su aree comunali".
Si tratta insomma anche qui di una pretesa che - come dimostrato anche dal fatto che lo stesso art. 12, comma 9 limita la responsabilità dell'affidatario all'eventuale "decadimento delle condizioni di decoro urbano delle aree pubbliche" derivanti dalle "installazioni pubblicitarie" - esaurisce gli effetti nell'ambito della sfera di controllo che l'operatore economico, specie se concessionario pubblico, può e anzi deve esercitare sulle proprie attività e sui connessi beni strumentali: questo si riflette nell'estraneità alla fattispecie di qualsiasi trasferimento di funzioni pubbliche.
Infine, non sembra superfluo rilevare che le previsioni appena menzionate, nel rimettere agli operatori economici la predetta progettazione esecutiva - in un quadro prederminato dall'Amministrazione quanto alla suddivisone del territorio in zone, ai lotti da porre a base di gara, alla superficie impiantistica massima ammissibile e alla tipologia della cartellonistica proponibile - risultano particolarmente favorevoli per gli operatori già operanti nel settore, come l'appellante, perché all'evidenza tendono a favorire, nel passaggio dal precedente sistema di assegnazione delle aree secondo il criterio dell'ordine cronologico di presentazione delle domande al nuovo sistema dell'evidenza pubblica, il mantenimento nella maggior misura possibile degli impianti già in essere.
5. È infondata anche l'ultima questione, con la quale la società sostiene che la Giunta comunale non era competente a deliberare nell'ambito della procedura di reviviscenza del PGIP, stante la competenza al riguardo dell'Organo consiliare, ex art. 42, d.lgs. 267/2001.
5.1. Si è già detto che gli artt. 48, comma 1, e 49, comma 2, del Regolamento del 2017 hanno fatto espressamente salvo il detto strumento pianificatorio.
E poiché tale regolamento è stato adottato dal Consiglio comunale, il riparto di competenze di cui alla norma invocata nella censura risulta pienamente rispettato. In particolare, le determinazioni di rimettere agli uffici l'indagine sull'adeguatezza del piano e di farlo salvo nelle more sono frutto di espresse determinazioni discrezionali dell'organo consiliare competente.
Nulla muta considerando poi che la verifica, effettuata con esito positivo, sia stata in qualche modo "validata" dalla Giunta, organo al quale compete "l'attuazione degli indirizzi generali del consiglio" (art. 48 TUEL): si tratta infatti di una presa d'atto estranea al novero delle deliberazioni di pianificazione territoriale.
6. A questo punto deve passarsi all'esame delle censure non delibate dal primo giudice e qui riproposte dalla società.
7. L'appellante lamenta (deducendo la violazione delle disposizioni legislative che attribuiscono al Comune il compito di pianificare in maniera razionare l'uso del territorio e di individuare la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari, e, segnatamente, la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 d.lgs. 507/1993, l'eccesso di potere per sviamento, erroneità dei presupposti, irrazionalità manifesta, la violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost.), che sia nel nuovo regolamento che nel PGIP mancherebbe la chiara visione dell'assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative in cui si concreterebbe, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 455 del 2002, il generale intervento pianificatorio dell'attività pubblicitaria.
7.1. La censura è innanzitutto infondata laddove ripropone, sotto altro profilo, questioni già sopra negativamente esaminate (l'obsolescenza del PGIP del 2005; l'assegnazione degli spazi pubblicitari a mezzo gara; la pianificazione esecutiva di cui all'art. 12 del nuovo regolamento). Si rimanda, al riguardo, alle relative motivazioni.
7.2. E anche le nuove censure non sono meritevoli di favorevole considerazione.
In particolare, non risultano ben chiare, neanche nella stessa esposizione dell'appellante, le ragioni per cui sarebbe illegittima la previsione che l'affidatario del servizio deve munirsi dei pareri e le autorizzazioni prescritti dalla legge in relazioni agli impianti (art. 12, comma 4, del regolamento), tale adempimento non ponendosi in alcun modo in contrasto con la predetta sentenza costituzionale, che, come segnala la stessa deducente, riconosce il duplice livello dell'intervento pubblico (afferente l'uno alla pianificazione, l'altro alle autorizzazioni).
Inoltre, l'art. 12, comma 4 del regolamento in esame dispone all'ultimo periodo che il provvedimento unico di approvazione dell'ubicazione degli impianti costituisce atto abilitativo e titolo all'istallazione degli stessi.
Infine, una volta chiarito, come sopra, che risultano prefissate sia la superficie impiantistica massima ammissibile che la tipologia della cartellonistica proponibile (art. 12, comma 2) e che il regolamento rimette alla Giunta la definizione delle caratteristiche dei singoli lotti funzionali, non è dato comprendere neanche perché, secondo l'appellante, il regolamento gravato non determinerebbe la tipologia e le quantità degli impianti pubblicitari, come richiesto dall'art. 3, comma 3, del d.lgs. 507/1993, e non chiarirebbe (in relazione agli impianti che il Comune può gestire o affidare direttamente ai privati) le quantità massime previste dai lotti, mentre la circostanza che "l'aggiudicataria non ha alcuna certezza di poter istallare il numero massimo ivi previsto" e di "ottenere i nulla osta e le autorizzazioni" concerne, per un verso, l'alea insita in tutte le procedure di gara, per altro verso, il legittimo limite rinveniente dall'ordinamento vigente all'esercizio delle connesse attività.
8. Anche il successivo mezzo (che deduce, avverso le macroscopiche discrepanze, contraddizioni e incompatibilità rilevate tra il regolamento in esame e il PGIP del 2005, con conseguente illegittimità della relazione comunale attestante la adeguatezza della pianificazione rispetto al regolamento, eccesso di potere per sviamento, erroneità dei presupposti, irrazionalità manifesta, contraddittorietà) è infondato, in quanto la premessa, posta dal regolamento n. 114/2017, dei profondi mutamenti avvenuti nelle condizioni normative di tutela e uso del territorio non contraddice, di per sé, la salvezza del PGIP del 2005, una volta che di questo strumento sia stata disposta, come pure fatto dal regolamento, la verifica della sua perdurante validità, all'esito positivamente attestata, ciò che consente anche di superare il rilievo fondato su precedenti delibere consiliari pervenute a opposte conclusioni e su sopravvenienze normative e fattuali genericamente menzionate (nuovo PUG e nuove diposizioni paesistiche; nuove zone commerciali; nuova delimitazione del centro abitato del 2011. Di tali ultimi rilievi, peraltro, le difese comunali hanno illustrato puntualmente l'erroneità, esponendo che: il nuovo PUG non è ancora giunto neanche alla fase di approvazione; le nuove aree commerciali cui si riferisce la censura erano già incluse nel PGIP del 2005; la zonizzazione generale considerata nel regolamento (zone di pregio storico-architettonico; zone industriali; zone urbane esterne alle precedenti; zone extraurbane, aree di categoria ordinaria e straordinaria) corrisponde, anche per il tramite del rinvio di cui all'art. 5 del regolamento alle NTA, alle categorie di PRG.
9. Con altro mezzo (sulla violazione della disciplina che regola l'attività di pubblicità sui suoli privati: violazione e falsa applicazione dell'art. 53, comma 6, d.P.R. 495/1992, violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost., eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità manifesta) la società lamenta l'illegittimità delle previsioni relative alla validità quinquennale, rinnovabile una sola volta, dell'assenso all'installazione degli impianti (art. 12, comma 5 e art. 20, comma 1).
La censura è superata da quanto rappresentato dalle difese comunali, che riferiscono che la gara indetta il 19 marzo 2019 in attuazione del regolamento in esame è andata deserta, sicché con delibera giuntale n. 764/2019 sono stati modificati l'assetto e la configurazione dei lotti in vista delle future procedure, e, in tale ambito, è stata modificata anche la durata dei rapporti con i futuri affidatari.
9.1. Stessa conclusione vale per altra censura (sulla illegittimità della scelta di affidare, tramite gara, dei lotti circoscritti in aree omogenee del centro abitato barese, foriera di lesione dei principi di concorrenza, violazione e falsa applicazione degli artt. 11,16 e 22 del d. lgs. 59/2010, violazione del principio di concorrenza, violazione dell'art. 41 Cost., eccesso di potere per sviamento, irrazionalità manifesta) con cui la società attacca il capitolato d'appalto di cui alla delibera giuntale n. 47/2018, rilevando l'ampiezza della dimensione dei lotti da porre a base di gara e il loro limitato numero: la già citata delibera giuntale n. 764/2019 è infatti intervenuta anche su tali elementi, riducendo la dimensione dei lotti e incrementandone il numero.
10. È infondato il mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 26 del d.lgs 285/1992 e dell'art. 53 d.P.R. 495/1992, eccesso di potere per sviamento) che denunzia la illegittima ingerenza che attraverso il regolamento impugnato (art. 5, comma 4) il Comune pretenderebbe di esercitare sul rilascio dei titoli abilitativi all'installazione dei cartelli che, insistendo su aree di proprietà di enti diversi dal Comune (Ferrovie, Provincia, ecc.) dovrebbero essere invece di loro esclusiva competenza.
Come chiarito dall'Amministrazione sulla base del disciplinare di gara, e come emergente dall'art. 12, comma 4 del regolamento, la procedura di evidenza pubblica per il rilascio dei titoli autorizzativi in esame facoltizza l'operatore economico a inserire negli elaborati della procedura le installazioni su aree private. Nell'intendimento dell'Amministrazione, l'adesione a tale facoltà ha effetti positivi sia per il concorrente (che beneficia nel caso del maggior pregio della proposta e di un unico titolo autorizzativo, valevole anche per tali installazioni) che per il proprietario delle aree (che beneficia, sempre nel caso, dell'incremento del loro valore di mercato).
Tanto chiarito, osserva il Collegio che si tratta, come detto, di una facoltà, che lascia inalterato il regime giuridico proprio dell'installazione di impianti pubblicitari sulle stesse aree (art. 12, ultimo periodo).
Va respinta anche la censura con cui la società osserva che il regolamento intende ricomprendere le aree private nella definizione dei limiti stabiliti dal PGIP: l'art. 5, comma 4 del regolamento prevede infatti al riguardo una mera "eventualità", di cui non consta, allo stato, la concreta realizzazione.
11. Con l'ultimo mezzo (sulla illegittimità della previsione di un canone di concessione per occupazione di suolo pubblico, violazione e falsa applicazione dell'art. 27 del d.lgs. 285/92, eccesso di potere per sviamento e irrazionalità manifesta) la società contesta in linea generale la possibilità dell'Amministrazione comunale di fissare il canone di concessione introdotto dall'art. 11 del regolamento, anche a norma dell'art. 27, comma 7 del Codice della strada, e rimesso a separati atti quanto alla concreta determinazione delle relative tariffe.
Al riguardo, il Collegio può limitarsi a richiamare la giurisprudenza della Sezione che, nel tempo, sulla base della regolamentazione via via vigente, ha ritenuto la legittimità della fissazione di un canone per la pubblicità effettuata su impianti installati a mezzo di concessione su beni appartenenti al demanio comunale (Cons. Stato, V, 22 ottobre 2015, n. 4857; 7 luglio 2014, n. 3442; 529/2009, cit.).
Non può peraltro non rilevarsi che la previsione in parola deve considerarsi ormai completamente superata. La l. 27 dicembre 2019, n. 160, commi 816 e ss., ha infatti introdotto e disciplinato, a decorrere dal 2021, il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, da istituirsi dai comuni, dalle province e dalle città metropolitane per le strade di loro pertinenza, prevedendo che detto canone sostituisca gli altri prelievi aventi analogo titolo (tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche; canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche; imposta comunale sulla pubblicità; diritto sulle pubbliche affissioni; canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari; canone di cui all'art. 27, commi 7 e 8, del Codice della strada) e sia ricomprensivo anche "di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi" (comma 816, l. 160/2019).
12. Per tutto quanto precede, l'appello deve essere respinto.
Stante la peculiarità e la novità delle questioni controverse, le spese di giudizio del grado possono essere compensate tra le parti.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Nuovamente il Consiglio di Stato è chiamato a confrontarsi con il tema relativo all’esercizio di attività economiche private incidenti sull’uso di risorse pubbliche scarse.
Prima di affrontare il thema decidendumoccorre esaminare gli elementi in fatto che hanno portato alla sentenza qui pubblicata.
La vicenda all’origine della pronuncia in commento prende le mosse dall’adozione di una delibera consiliare del Comune di Bari recante la modifica del regolamento comunale in materia di pubblicità e l’aggiornamento del relativo regime transitorio destinato a durare fino alla modifica o alla verifica di adeguatezza del relativo regolamento e del connesso piano generale per l’impiantistica pubblicitaria, introduttivo del principio dell’assegnazione degli spazi di pubblicità in seguito a procedure a evidenza pubblica in sostituzione del previgente criterio dell’ordine di arrivo delle istanze di autorizzazione degli impianti.
Una società ivi operante nel settore delle affissioni pubblicitarie proponeva ricorso avverso il provvedimento del Comune, poi, con motivi aggiunti, estendeva l’impugnativa all’intervenuta delibera di Giunta e ad altri atti fra i quali la delibera consiliare di approvazione del piano generale degli impianti pubblicitari.
Ritenuto trattarsi di una questione del tutto analoga a quella sollevata da una diversa società e definita alcuni mesi prima, il Tar assumeva la decisione in forma semplificata ai sensi dell’art. 74 c.p.a.: respingeva l’odierna impugnativa limitandosi a riportare nel testo la sentenza relativa alla pregressa impugnativa.
Avverso la pronuncia interponeva appello la società lamentando precipuamente che il regolamento avesse illegittimamente trasformato un’attività imprenditoriale libera in un servizio pubblico assoggettato a regime concessorio.
Brevemente tratteggiata la fattispecie concreta che ha dato avvio alla controversia, ben si può comprendere come essa ruoti intorno all’esercizio dell’attività pubblicitaria stradale e, in specie, all’attivitàdi affissione di carattere commerciale effettuata da operatori economici privati in spazi e aree urbane mediante installazione di cartelli e altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse.
Giova fin da subito evidenziare che gli impianti di cui si discorre sorgono su suolo, per intuibili ragioni, appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune o su terreni gravati da servitù pubbliche.
Tale attività presuppone dunque l’instaurazione di un rapporto fra ente locale proprietario della strada, nel caso di specie il Comune, e soggetto privato. Rapporto che è caratterizzato da due momenti: il momento genetico, in cui ha luogo l’allocazione delle aree e degli spazi pubblici fra i potenziali concorrenti ove installare gli impianti pubblicitari, e il momento della gestione degli impianti, in cui i privati affidatari delle aree possono organizzare come meglio credono l’attività, pur nel rispetto della normativa di rango primario e secondario.
Logicamente prima ancora che giuridicamente solo allorquando le aree e gli spazi all’uopo adibiti siano state assegnati, i privati affidatari potranno posare i mezzi pubblicitari e organizzare l’esercizio dell’attività.
Con evidenza palmare l’illustrata vicenda, similmente a qualsivoglia vicenda che involga l’esercizio di attività pubblicitaria stradale, solleva almeno tre interrogativi: quale tipo di provvedimento abilitativosia necessario per l’assegnazione degli spazi e della aree pubbliche agli operatori economici privati ove installare gli impianti pubblicitari; quale titolo abilitativo occorraper l’esercizio degli impianti; se sia legittimo l’assoggettamento dell’attività economica imprenditoriale in parola a regime concessorio;in che modo l’assegnazione abbia luogo o, meglio, quali siano le modalità di affidamentoa soggetti privatidegli spazi e delle aree pubbliche adibiti allo scopo.
Tali interrogativi ne recano con sé uno ulteriore, per vero pregiudiziale rispetto a tutti gli altri: quale è il provvedimento iniziale che conforma il predetto rapporto fra ente locale e soggetto privato e dunque che natura giuridica ha il rapporto fra ente locale e privato.
Talune preliminari considerazioni si impongono per poter rispondere a tutti questi interrogativi e per poter comprendere come il Consiglio di Stato nella pronuncia commento si sia posto rispetto a essi.
La collocazione degli impianti pubblicitari evince la propria disciplina dalla normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti per la sicurezza del traffico veicolare ad autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati (art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992 recante il Codice della strada di cui al d), da quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici (articoli 49 e 153 del d.lgs. n. 42 del 2004 recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio), se gli impianti incidano su tali profili, e dalla normativa tributaria, posta in particolare dal d.lgs. n. 507 del 1993 e poi dal d.lgs. n. 446 del 1997.
Giova ai presenti fini prendere le mosse dall’entrata a regime della disciplina prevista dal d.lgs. n. 507 del 1993 recante “Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonchè della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale”. L’art. 3 - “Regolamento e tariffe” -prevede al comma 3 che “Il regolamento deve in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione, nonchè i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti. Deve altresì stabilire la ripartizione della superficie degli impianti pubblici da destinare alle affissioni di natura istituzionale, sociale o comunque prive di rilevanza economica e quella da destinare alle affissioni di natura commerciale, nonchè la superficie degli impianti da attribuire a soggetti privati, per l’effettuazione di affissioni dirette”.
Tale norma segna per così dire il “passaggio del Rubicone” nell’ambito dell’attività pubblicitaria stradale e dei profili di regolazione che la concernono: il suo ingresso nell’ordinamento reca con sé l’effetto del contingentamento degli spazi e delle aree pubbliche destinate all’installazione degli impianti pubblicitari anche privati.
Emerge con chiarezza che l’attività pubblicitaria stradale è un’attività contingentata, stante la limitatezza degli spazi a essa destinati[1].
Da questo momento il contingentamento ha condizionato –e condiziona –in concreto le scelte che si impongono nell’ambito della pubblicità stradale determinando un mutamento delle medesime.
Posta tale premessa ci si può soffermare sugli interrogativi testè individuati.
I primi due sono fra loro strettamente correlati per le ragioni che si illustreranno di qui a poco, dunque è opportuno esaminarli congiuntamente.
Per quanto attiene al primo quesito – che tipo di provvedimento abilitativo è richiesto ai fini dell’assegnazione degli spazi e delle aree pubbliche per l’installazione di impianti pubblicitari da parte di privati: autorizzazione o concessione? – la soluzione varia a seconda che nel ragionare ci si ponga prima del “passaggio del Rubicone” o dopo.
Si tratta di comprendere inoltre a chi in concreto competa la scelta,in considerazione di quali ragioni essa venga effettuatae, in definitiva,quando operi un modello di riferimento anziché l’altro.
Prima del 1993, il modello di riferimento largamente utilizzato dalle Amministrazioni comunali era quello autorizzatorio.
L’autorizzazione era espressamente individuataquale provvedimento abilitativo alla posa e all’esercizio di impianti pubblicitari dall’art. 53 del d.P.R. n. 492/1992, recante il regolamento di esecuzione del nuovo Codice della strada, al di fuori dei centri abitati. Nell’ambito della cintura urbana la scelta era invece rimessa alla discrezionalità delle Amministrazioni comunali: se pure non prevista ex lege,l’autorizzazione era l’opzione di gran lunga più diffusa, stante il ruolo residuale e recessivo allora giocato dal profilo concessorio sull’area pubblica.
Dopo il 1993,in seguito al contingentamento imposto dalla novella disciplina tributaria, è rimessa alle singole Amministrazioni comunali la generale potestà in ordine al modello di riferimento da adottare ai fini di cui trattasi.
Tale potere rinviene il proprio fondamento giuridico nella legge e, in particolare, nell’art. 3. co. 1 e 2 del d.lgs. n. 507/1993, secondo cui “Il comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e per l’effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni” e “Con il regolamento il comune disciplina le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse”.
Quel che rileva è il fatto che in seguito all’entrata a regime dell’art. 3 numerose Amministrazioni comunali abbiano adottato quale modello di riferimento quello concessorio.
Molteplici e di varia natura le ragioni che hanno indotto – e inducono – a tale opzione.
Verrebbe in considerazione anzitutto un mutamento del quadro normativo determinato dalle prescrizioni introdotte nell’ordinamento dal d.lgs. n. 507/1993 che rimettono il potere di scelta all’autonomia regolamentare, atteso che nel quadro del rapporto fra privato gestore ed ente locale confluiscono profili di tutela della sicurezza stradale e dei valori culturali per i quali si impone una regolazione unitaria.
Ancora, l’art. 9 - “Pagamento dell’imposta” - del d.lgs. n. 507/1993 richiama espressamente la concessione laddove stabilisce che “Qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al comune, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonchè il pagamento di canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario” (co. 7).
Infine, la concessione costituisce lo strumento più idoneo a garantire la soddisfazione degli interessi pubblici incidenti sul territorio: invero, essa consente al Comune di riacquisire la disponibilità dell’area in cui il mezzo pubblicitario si trovi collocato qualora sopraggiunga per esempio la necessità di eseguire un’opera pubblica ovvero di curare preminenti esigenze della collettività.
In tal senso non mutuerebbero invece considerazioni relative al profilo tributario, atteso che il titolo abilitativo in forza del quale i privati gestiscono propri impianti pubblicitari su aree e spazi pubblici, quale esso sia, è comunque oneroso. Di tal che non si tratta di scegliere fra onerosità e gratuità. Il tipo giuridico del modello di riferimento prescelto dall’Amministrazione non condiziona, infatti, le sorti dell’impianto pubblicitario sul piano del suo assoggettamento o meno al canone come corrispettivo per la fruizione del bene; alla tassa per l’occupazione del suolo pubblico avente natura di prelievo tributario; all’imposta comunale sulla pubblicità (Tosap)[2].
Dunque, la concessioneche abilita all’uso del suolo pubblico contingentato per installare gli impianti su cui effettuare pubblicità è il provvedimento inizialeche conforma il rapporto fra Amministrazione comunale e soggetti privati. Rapporto che è appunto un rapporto concessorio vale a dire di attribuzione di un potere di cui in precedenza non si era titolari[3].
Invero, l’allocazione degli impianti pubblicitari segue un criterio concessorio e non autorizzatorio[4]. Si rammenta che il provvedimento amministrativo di autorizzazione, al contrario, tende a rimuovere un limite all’esercizio di un potere di cui si è già titolari. E in tal modo si risponde così anche all’ultima domanda qui posta relativa alla natura giuridica di siffatto rapporto.
La scelta operata non esclude tuttavia che nell’ambito del medesimo provvedimento concessorio possa convivere il profilo autorizzatorio relativo all’esercizio dell’impianto ovvero che quest’ultimo – come più spesso accade – possa consistere in un provvedimento autonomo, senza peraltro che il Comune nel rilasciarlo ecceda dal potere attribuito dalla normativa primaria all’ente locale di pianificazione.
La risposta al primo quesito rappresenta la premessa logica del secondo:che tipo di titolo abilitativo occorre per l’esercizio dell’impianto?
Emerge già da quanto testè osservato che il provvedimento abilitativo allo svolgimento dell’attività di pubblicità stradalepossa essere unico o duplice[5].
Esaminando funditus la questione e muovendo dal profilo relativo al tipo di provvedimento, si prospettano due ipotesi.
Invero, può darsi il caso in cui la concessione di area pubblica sia comprensiva, nell’ambito del medesimo provvedimento,del profilo autorizzatorio attinente all’esercizio e alla gestione dell’impianto.Di tal che il titolo abilitativodi cui il gestore privato necessita per lo svolgimento dell’attività pubblicitaria è unico: esso comprende il profilo concessorio relativo al suolo pubblico daoccupareper realizzare l’impianto e il profilo autorizzatorio per l’eserciziodell’impianto stesso. Due profili, un solo titolo abilitativo.
Può però darsi anche il caso in cui il profilo autorizzatorio assuma consistenza autonoma per dare vita a un provvedimento, appunto di natura autorizzatoria, separato e distinto dal provvedimento concessorio. Due profili, due titoli abilitativi.
L’autorizzazione è rilasciata dai Comuni in base alla disciplina speciale, segnatamente l’art. 23 del Codice della Strada secondo cui “La collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario della strada nel rispetto delle presenti norme. Nell’interno dei centri abitati la competenza è dei comuni, salvo il preventivo nulla osta tecnico dell’ente proprietario se la strada è statale, regionale o provinciale” (co. 4).
Il rilascio avviene nel rispetto dei criteri e dei vincoli fissati nell’apposito regolamento comunale e nel piano generale degli impianti pubblicitari, a loro volta previsti dal già citato art. 3, co. 3 del d.lgs. n. 507/1993.Considerando complessivamente le soluzioni fornite ai primi due quesiti si può concludere nel senso che i soggetti privati, per poter installare impianti pubblicitari negli spazi e nelle aree pubbliche comunali e quindi esercitare l’attività di pubblicità stradale, in seguito al 1993 devono essere muniti di un provvedimento di concessione accompagnato (più frequentemente) o meno da un provvedimento diautorizzazione, a seconda della scelta effettuata dalla singola Amministrazione comunale, dalla medesima rilasciati. Di tal che l’attività pubblicitaria sarebbe nel primo caso soggetta, in parte, a regime concessorio e, in parte, a regime autorizzatorio; nel secondo caso interamente a regime concessorio.
Si impone a tal punto una riflessione. Affermare che il titolo abilitativo richiesto ai fini dell’assegnazione di spazi e aree pubbliche urbane contingentate per l’installazione di impianti pubblicitari (per affissione commerciale) da parte di privati è la concessione attribuita ex antesignifica, di fatto, assoggettare l’attività imprenditoriale di affissione commerciale a regime concessorio, almeno in parte.
Il che ha sollevato dubbi e perplessità ermeneutiche.
Ci si è chiesti se la concessione assegnatadal Comune all’operatore economico privato sia una concessione di servizio e, in specie, una concessione di servizio pubblico e quindil’attivitàdi pubblicità non sia in realtà un’attività economica bensì un servizio.Con la conseguenza che l’attività imprenditoriale libera, per effetto del regolamento comunale, finirebbe per risultare trasformata in un servizio pubblico sottoposto a regime concessorio.
In definitiva, ci si è interrogati se sia legittimo l’assoggettamento dell’attività economica imprenditoriale in parola a regime concessorio. Invero, così ragionando, l’operatore privato finirebbe non per esercitare l’attività di pubblicità quale espressione della libertà di iniziativa economica, ma per rendere, in quanto titolare della concessione, il servizio pubblico di pubblicità al Comune.
Si è rilevato da più parti come sia pacifico, per un verso, che le Amministrazioni comunali, al di fuori del servizio di propria spettanza attinente le pubbliche affissioni, non potrebbero introdurre forme ulteriori (non previste) di privativa pubblica a mezzo del meccanismo della concessione di servizio e che, per altro verso, deve in ogni caso essere garantita piena libertà gestoria e di iniziativa economica agli operatori del settore, una volta che costoro abbiano legittimamente acquisito il titolo a installare propri impianti pubblicitari[6].
Giova fin da subito evidenziare che le descritte perplessità sono state rappresentate dall’appellante al Consiglio di Stato nella controversia che ha portato alla pronuncia in commento. Ma tali perplessità sono affatto nuove. Invero, si rammenterà come analoghi dubbi tempi addietro fossero emersi in modo così “prepotente” da richiedere l’intervento chiarificatore del Consiglio di Stato in composizione Plenaria.
La vicenda che ha condotto alla sentenza di cui si discorre si risolve dunque in un’occasione per stimolare il giudice amministrativo a prendere nuovamente posizione sul tema avallando ovvero mettendo in discussione l’orientamento fino a oggi sostenuto.
La soluzione proposta allora nella pronuncia 25 febbraio 2013 n. 5 era stata nel senso di aderire all’orientamento di segno positivo definito dalla Quinta Sezione nel 2009 con la sentenza 2 febbraio 2009, n. 529 e largamente condiviso dalla giurisprudenza successiva dei Tar.
La soluzione proposta oggi è – ora come allora – di segno positivo.
A tale conclusione il giudice amministrativo perviene muovendo dalla piena adesione ai principi espressi dall’Adunanza Plenaria in ordine a profili di rilievo analoghi a quelli esposti nel presente caso dalla società appellante, che riporta in motivazione.
L’Adunanza Plenaria, richiamata la disciplina della collocazione degli impianti pubblicitari afferma per quanto di interesse che “la normativa sulla installazione degli impianti a tutela della sicurezza stradale, e dei valori culturali, si raccorda così a quella ulteriore basata sul presupposto, necessitato e condizionante, del contingentamento dell’attività in questione poiché comportante l’uso di una risorsa pubblica scarsa qual è il suolo pubblico. Si configura con ciò un rapporto tra l’ente locale e il privato il cui modello di riferimento, alla luce della sua qualificazione sostanziale, è quello concessorio atteso che è giustappunto una concessione di area pubblicail provvedimento iniziale che conforma il rapporto (Cons. Stato, n. 529 del 2009 citata), potendo disciplinare il regolamento comunale anche le modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione (art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993), confluendo nel quadro di tale rapporto, di conseguenza, la regolazione unitaria dei profili di tutela della sicurezza stradale e dei valori culturali”.
Di tal che è chiaro che la concessione di cui si parla è la concessione del suolo pubblico, non la concessione di un servizio pubblico.
Riportati e condivisi i principi enucleati dall’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato rileva che il modello di riferimento adottatodal Comune di Bari non è il modello proprio della concessione di servizio pubblico.
La tesi sostenuta dall’appellante prende le mosse da una distorta lettura del regolamento impugnato laddove esso prevede che i concorrenti producano la “pianificazione esecutiva”, in ossequio alla quale si costringerebbe l’affidatario a svolgere attività e funzioni ulteriori rispetto a quelle tipiche richieste dal settore di appartenenza in sostituzione dell’ente pubblico.
In realtà la “pianificazione esecutiva” menzionata dal regolamento e stigmatizzata dalla società si sostanzia nella richiesta che per partecipare alla procedura competitiva il concorrente illustri la “installazione, manutenzione e gestione” ovvero “le modalità di installazione” degli impianti che intende sottoporre alla valutazione dell’Amministrazione. Si tratta per vero di una pretesa compatibile con il meccanismo dell’evidenza pubblica, fondato sulla comparazione delle offerte dei concorrenti, e che, concernendo esclusivamente l’attività economica dei concorrenti medesimi, è del tutto estranea all’attività di programmazione pubblica.
Va parimenti escluso che nell’attribuire all’affidatario delle aree in concessione la non felice qualità di “affidatario di servizio” il regolamento intenda affidargli una connessa funzione pubblicistica di controllo del territorio.
Al riguardo, si rileva che nonostante la formulazione in parte qua del Regolamento recante tale definizione le incombenze poste a carico dell’affidatario si sostanzino nel mero mantenimento delle “condizioni di legittimità delle installazioni” e delle “adeguate condizioni di decoro urbano” dei “manufatti insistenti su aree comunali”.
Si tratta anche qui di una pretesa – come dimostrato anche dal fatto che lo stesso regolamento limita la responsabilità dell’affidatario all’eventuale “decadimento delle condizioni di decoro urbano delle aree pubbliche” derivanti dalle “installazioni pubblicitarie” – destinata a esaurire gli effetti nell’ambito della sfera di controllo che l’operatore economico può – e anzi deve –esercitare sulle proprie attività e sui connessi beni strumentali. Il che si riflette nell’estraneità alla fattispecie di qualsivoglia trasferimento di funzioni pubbliche.
Del resto, si rammenta come il Consiglio di Stato in passato avesse affermato che la pubblicità stradale non si configura come un servizio reso a un ente locale bensì quale forma di esercizio di un’attività economica soggetta ad autorizzazione sia perché gli enti locali hanno la funzione di salvaguardare il decoro delle strade sia perché ne traggono delle entrate per loro specificamente previste, quale è l’imposta regolata dal d.lgs. n. 507/1993[7].
Infine, si osserva nella pronuncia in commento, non pare superfluo rilevare che le previsioni menzionate, nel rimettere agli operatori economici la predetta progettazione esecutiva - in un quadro predeterminato dall’Amministrazione quanto alla suddivisone del territorio in zone, ai lotti da porre a base di gara, alla superficie impiantistica massima ammissibile e alla tipologia della cartellonistica proponibile - risultano particolarmente favorevoli per gli operatori già operanti nel settore – quale è l’appellante , perché tendono a favorire, nel passaggio dal precedente sistema di assegnazione delle aree secondo il criterio dell’ordine cronologico di presentazione delle domande al nuovo sistema dell’evidenza pubblica, il mantenimento nel maggior numero possibile degli impianti già in essere.
Così sciolti i dubbi ermeneutici sottesi ai primi tre interrogativi, restano da indagare le modalità di assegnazione degli spazi e delle aree pubblicheo, meglio, le modalità di affidamentoa soggetti privatidegli spazi e delle aree aperte urbane ove allocare gli impianti pubblicitari per l’esercizio delle affissioni commerciali.
Si tratta di capire, detto altrimenti, quali siano le forme di accesso al mercato degli spazi pubblici comunali da destinare agli impianti pubblicitari.
Preliminare all’indagine di tale quaestio juris è l’individuazione dell’origine della medesima. Ancora una volta la premessa da cui prendere le mosse è il “passaggio del Rubicone” segnato dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 507/1993 e il contingentamento, da esso portato, dell’attività pubblicitaria derivante dall’uso di una risorsa pubblica scarsa, quale è il suolo pubblico.
Ebbene, il problema delle modalità di affidamento degli spazi e delle aree pubbliche si è posto allorquando il mercato relativo all’uso degli impianti pubblicitari privati in centri comunali è divenuto senza dubbio un mercato contingentato.
La collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane riscontrava, di fatto, già numerosi vincoli derivanti, da un lato, dalla circostanza che gli spazi disponibili all’interno del territorio comunale sono limitati e, dall’altro, da ulteriori limiti di viabilità e di tutela dei beni culturali gravanti sul territorio. A essi si sono aggiunti i vincoli fissati nel regolamento comunale ai sensi dell’art. 3, co. 3, d.lgs. n. 507/1993.
Sicchè il contingentamento è un portato vuoi della naturale limitatezza territoriale degli spazi e delle aree adibiti nel territorio comunale a ospitare gli impianti vuoi degli ulteriori vincoli di viabilità e di tutela dei beni culturali che insistono sul territorio vuoi della consequenziale prescrizione recata dal regolamento sull’imposta della pubblicità ai Comuni di determinare, fra l’altro, “la quantità degli impianti pubblicitari” (art. 3, co. 3 del d.lgs. n. 507/1993).
Entrato in vigore il decreto ci si è così resi conto con maggiore chiarezza ancora del fatto che non tutti gli aspiranti operatori economici del settore potessero accedere a siffatto mercato.
L’installazione di impianti pubblicitari appariva chiaramente come un’attività contingentata stante la scarsità degli spazi a ciò destinati senza però che in questo potesse ravvisarsi una compromissione della tutela costituzionale della libera iniziativa privata, atteso che lo stesso art. 41 Cost. ammette la possibilità di limitare siffatta libertà onde contemperarla con l’utilità sociale[8].
Si è così posto un problema di selezione degli stessi. Di qui, la necessità di stabilire criteri e modalità che consentano di scegliere fra tutti i potenziali soggetti titolari, ai sensi dell’art. 41 Cost., del diritto alla libera attività di pubblicità stradale, quelli cui consentire in concreto di occupare spazi e aree pubbliche per posarvi propri impianti ed esercitarla.
Il potere di scelta in ordine alle modalità di assegnazione degli spazi e delle aree pubbliche e, quindi, di selezione è conferito anch’esso alle Amministrazioni comunali. Ed è ancora la normativa primaria ad attribuire siffatta potestà ai Comuni nell’esercizio del potere regolamentare:secondo il già richiamato art. 3, co. 3 del d.lgs. n. 507/1993 “Il regolamento deve in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione, nonchè i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti. Deve altresì stabilire la ripartizione della superficie degli impianti pubblici da destinare alle affissioni di natura istituzionale, sociale o comunque prive di rilevanza economica e quella da destinare alle affissioni di natura commerciale, nonchè la superficie degli impianti da attribuire a soggetti privati, per l’effettuazione di affissioni dirette”.In sede di rilascio di un titolo all’installazione di un impianto pubblicitario, l’Amministrazione è chiamata a effettuare una ponderazione comparativa degli interessi antagonisti coinvolti: da un lato, la libertà di iniziativa economica, di cui l’attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione e, dall’altro, quelli correlati all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo del decoro urbano e in generale degli spazi aperti, il che ha luogo, anzitutto, proprio nell’esercizio della potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità di svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti, e le modalità per ottenere il provvedimento amministrativo abilitativo alla loro installazione.
A fronte di una domanda di abilitazione all’installazione di un impianto pubblicitario, l’Amministrazione esercita un potere discrezionale atteso che il Comune è titolare sia delle funzioni relative all’uso del proprio territorio, anche sotto il profilo dei monumenti, dell’estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo pertanto individuare limitazioni e divieti per peculiari forme pubblicitarie, in connessione a esigenze di pubblico interesse[9], sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell’installazione di impianti pubblicitari nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada[10].
Nella selezione degli operatori economici privati dunque si contendevano il campo, da un lato, l’interesse pubblico all’uso più efficiente del suolo pubblico e, dall’altro, l’interesse privato al confronto concorrenziale.
La soluzione adottata dalle Amministrazioni avrebbe dovuto dunque rappresentare un ragionevole contemperamento fra siffatti contrapposti interessi.
Due le opzioni astrattamente possibili: il sistema di assegnazione delle aree secondo il criterio dell’ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili e il sistema della evidenza pubblica.
In seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 507/1993, come dianzi rilevato, siffatte considerazioni hanno sospinto molti Comuni a optare per il modello della concessione di area pubblica – accompagnata o meno da un provvedimento di autorizzazione – e ne hanno assoggettato il rilascio all’espletamento di procedure competitive.
Non sono mancate tuttavia le perplessità destate da tale scelta. Sono così emersi dubbi in merito allalegittimità della previsione di una procedura competitiva a evidenza pubblica per l’affidamento in concessionedi aree pubblicheda utilizzare per la collocazione di impianti pubblicitari per affissione commerciali da parte di soggetti privati.
Invero, da parte dei privati, si è paventato il rischio di una compromissione della tutela costituzionale della libertà di iniziativa economica privata di cui l’attività pubblicitaria è manifestazione, nonchè il timore che non si assicurasse l’osservanza del principio fondamentale della piena concorrenza fra i soggetti privati operanti sul mercato de quo; da parte delle Amministrazioni, il rischio del pregiudizio dell’interesse pubblico all’uso più efficiente e decoroso del suolo pubblico nonchè alla sicurezza della viabilità.
Nella pronuncia in commento la società appellante ripropone nuovamente siffatte perplessità al giudice amministrativo.
La soluzione accolta dal giudice amministrativo è di segno positivo anche in ordine a tale quesito.
Invero, il Consiglio di Stato non si allontana da quel suo richiamato approdo in cui, facendo proprio l’orientamento inaugurato dalla sentenza della Quinta Sezione n. 529/2009, aveva già avuto modo di chiarire che “l’unico criterio alternativo dell’ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili è di certo meno idoneo ad assicurare l’interesse pubblico all’uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei privati al confronto concorrenziale”, atteso che “la procedura ad evidenza pubblica è istituto tipico di garanzia della concorrenza nell’esercizio dell’attività economica privata incidente sull’uso di risorse pubbliche e che, in particolare, la concessione tramite gara dell’uso di beni pubblici per l’esercizio di attività economiche private è istituto previsto nell’ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa economica anche nell’accesso al mercato degli spazi per la pubblicità (Cons. Stato, V, n. 529 del 2009, cit; cfr. anche VI, 9 febbraio 2011, n. 894)” ed è peraltro “coerente con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza” (Consiglio di Stato, Ad. Plen. n. 5/2013)[11].
Del resto, questo Consiglio ha chiarito da tempo che la concessione di un’area pubblica fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie) tale da imporre, ai fini del rilascio della stessa, una procedura competitiva necessaria per l’osservanza dei ricordati principi a presidio e tutela di quello, fondamentale, della piena concorrenza nonchè ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione, caratterizzata da idonea pubblicità preventiva e fondata sulla comparazione delle offerte dei concorrenti[12].
Su questa linea, a sostegno della necessità di fare ricorso alla gara pubblica, il Tar Lombardia si è spinto a sostenere che il carattere contingentato del mercato degli spazi pubblici destinati agli impianti pubblicitari rende necessaria la sottoposizione a procedure pubbliche e trasparenti di ogni tipo di attribuzione ai privati di utilità economicamente appetibili[13].
Sotto tale profilo si è opportunamente rilevato che il mercato degli impianti pubblicitari siccome contingentato determina l’instaurazione fra l’ente locale e il privato di un rapporto non già autorizzativo – vale a dire di rimozione di un limite all’esercizio di potere di cui si è già titolari – quanto piuttosto di un rapporto di tipo concessorio – vale a dire di attribuzione di un potere di cui non si è in precedenza titolari –[14], di tal che è corretto allocare l’uso degli spazi pubblici contingentati con gara pubblica, unico modello che garantisce la concorrenzialità[15].Riportati i principi espressi dalla citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria e dalle sentenze ivirichiamate, il Consiglio di Stato si limita ad affermare, con riguardo alla fattispecie concreta, che alla stregua di siffatte statuizioni bene ha fatto il Comune di Bari ad adottare il modello della concessione di area pubblica e assoggettarne il rilascio all’espletamento di procedure competitive.
Del resto, la giurisprudenza che ha già avuto occasione di esaminare controversie analoghe ha costantemente affermato la necessità della gara pubblica per la concessione degli spazi pubblicitari sulla base dei principi posti dalla decisione n. 5/2013 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[16].
Inoltre, come recentemente affermato dal Tar Toscana e condiviso dal Tar Lombardia, in considerazione del carattere contingentato del mercato relativo all’uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino, la necessità del modulo della gara pubblica si impone alla luce anche di quanto previsto dall’art. 16, d.lgs. n. 59/2010 (e dall’art. 12 della direttiva 123/2006, c.d. direttiva Bolkestein) secondo cui nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione fra i candidati potenziali e assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi[17].
Il che vale anche laddove si attribuisca prevalenza al momento privatistico dell’attività di prestazione di servizi pubblicitari e la si ritenga interamente soggetta a regime autorizzatorio: in tale ipotesi il modulo della gara pubblica appare ugualmente necessario alla luce dell’art. 12 della direttiva n. 123 del 2006[18].
Ebbene, quanto illustrato reca con sé la lettura complessiva secondo cui il rilascio di nuovi provvedimenti di assegnazione di impianti pubblicitari — nuovi perché in precedenza non assegnati ovvero nuovi perché successivi a pronunce giurisdizionali di annullamento di precedenti provvedimenti — presuppone la ricorrenza dei seguenti requisiti: l’assegnazione ex ante delle concessioni esclusivamente mediante gara, quanto alle modalità di selezione dell’operatore beneficiario della “concessione”, in quanto unico modello che garantisce la concorrenzialità, e la conformità ex postdei singoli siti da destinarsi a impianti pubblicitari rispetto a quanto previsto dal piano generale impianti nonché dal Codice della strada[19].
[1]In tal senso si veda Cons. St., Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 894.
[2]Cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 4 maggio 2019, n. 1251.
[3]Si veda T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 10 agosto 2017, n. 2039
[4]In tal senso per esempio T.A.R. Sicilia, Catania, n. 2039/2017, cit.. Nell’ambito di una vasta letteratura, O. Ranelletti, Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giur. It., 1894, IV, p. 7 e ss. e poi in Scritti giuridici scelti,Camerino, 1992, p. 37 e ss.; Capacità e volontà nelle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Scritti giuridici scelti,cit., p. 77 e ss; Facoltà create dalle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Scritti giuridici scelti,cit., p. 235 e ss.. Cfr. anche G. Zanobini,Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958, I, p. 262; A.M. Sandulli, in Notazioni in tema di provvedimenti autorizzativi, cit., 784 e ss.; Abilitazioni, autorizzazioni, licenze, in Rass. dir. pubbl, 1958, 3 e ss; F. Franchini,Le autorizzazioni amministrative costitutive di rapporti giuridici fra l’amministrazione e i privati, Milano, 1957, nonché, più di recente, R. Villata, Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, Milano, 1974, p. 75 e ss.; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1988, II, 646 e ss. e 1043 e ss.; F. Fracchia, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, cit.; Id., Autorizzazioni amministrative, in S. Cassese (Cur.),Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, I, p. 598 e ss, e gli ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali ivi contenuti.
[5]E’ esclusa invece la necessità di un ulteriore titolo abilitativo e in specie dello specifico titolo edilizio. Invero, come rilevato recentemente dal Consiglio di Stato, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore anche il rilascio del permesso di costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio e sanzionatorio che risulterebbe sproporzionata siccome non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata dalla disciplina speciale (cfr. art. 3 d.lgs. n. 507 del 1993), di tutela del corretto assetto del territorio (Cons. St., Sez. VI, 21 novembre 2017, n. 5394, in Foro Amm. (Il) 2017, 11, 2258. Con la conseguenza che non è possibile richiedere, per l'installazione di un impianto pubblicitario, il “permesso di costruire” e ove questo manchi comminare la sanzione demolitoria prevista dal d.p.R. n. 380/2001. Invero l’autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari rilasciata dai Comuniexart. 23 del Codice della strada, nel rispetto dei criteri e dei vincoli fissati nell’apposito regolamento comunale e nel piano generale degli impianti pubblicitari, avrebbe anche una valenza edilizia-urbanistica ed assolverebbe, pertanto, alle esigenze di tutela sottese al rilascio di un ulteriore titolo abilitativo rappresentato dal rilascio del titolo edilizio secondo la disciplina di cui al d.lgs. n. 380 del 2001 (Cons. St., Sez. VI, 25 gennaio 2017, n. 316). L’inutile complicazione cui darebbe luogo la tesi della duplicazione dei titoli autorizzatori (in tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 2007 n. 2497) risulta, peraltro, in netta controtendenza rispetto all’esigenza, fortemente perseguita dal legislatore anche nei più recenti interventi legislativi (cfr., ad esempio, il d.lgs. 30 giugno 2016 n. 126), di semplificare i procedimenti amministrativi, convogliando i titoli abilitativi necessari allo svolgimento di un'attività privata all'interno di un procedimento unitario (In tema, T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 5 gennaio 2012 n. 2, in Foro amm.-T.A.R., 2012, 1, 276).
[6]Cons. St., Sez. V, n. 529/2009, cit..
[7]Cons. St., Sez. V, 10 gennaio 2007, n. 44.
[8]Cons. St., Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 894; Cons. St., sez. V, 29 aprile 2009, n. 2723.
[9]T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 6 giugno 2018, n. 1435; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 19 dicembre 2013, n. 2605.
[10]T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 13 ottobre 2008, n. 4736.
[11]T.A.R. Sicilia, Catania, n. 2039/2017, cit..
[12]Principio espresso con riferimento alle concessioni di area demaniale marittima da Cons. St., Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168.
[13]T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 20 maggio 2016, n. 975.
[14]Si veda T.A.R. Sicilia, Catania, n. 2039/2017, cit..
[15]T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 4 maggio 2017, n. 946.
[16]T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. II, 10 novembre 2016, n. 2910, 2911, 2921; n. 946/2017, cit..
[17]In tal senso T.A.R. Lombardia, Milano, n. 975/2016, cit., che richiamaT.A.R. Toscana, Firenze n. 333/2015; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 17 ottobre 2016, n. 1871.
[18]T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1871/2016, cit..
[19]Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, n. 946/2017, cit..