1. Introduzione - 2. Digitalizzazione e lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni - 3. Le piattaforme per la didattica a distanza - 4. Gli investimenti finanziati mediante erogazioni liberali - 5. Conclusioni
1. Introduzione
Il decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020, c.d. “Decreto CuraItalia”, ha dettato una complessa ed eterogenea serie di disposizioni per fronteggiare l’emergenza sanitaria da Coronavirus.
Il provvedimento stabilisce misure volte al potenziamento del servizio sanitario nazionale, misure di tipo economico destinate al sostegno di famiglie e imprese (dai bonus alla cassa integrazione), misure in materia di sospensione e riorganizzazione delle attività amministrative e giudiziarie e misure volte all’acquisizione di beni e servizi connessi alla fase emergenziale.
Sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro negli uffici amministrativi e nel settore scolastico, il Governo ha dato il via a un processo di modernizzazione delle proprie strutture, finalizzato alla promozione e sviluppo del lavoro agile. La digitalizzazione di talune attività e settori - oltre ad essere utile per fronteggiare la fase “acuta” dell’emergenza - potrebbe proiettare il Paese verso nuove forme di lavoro e di studio, già diffuse in molti stati europei e trans oceanici, ma dure a attecchire nella cultura impiegatizia nazionale.
È quindi da accogliere con favore l’iniziativa di stanziare importanti risorse finanziarie per consentire all’economia complessiva del Paese di adattarsi alla situazione contingente, in vista di una celere ripresa quando l’emergenza sarà superata. In tal senso, creare dei sistemi di smart working consente alle attività amministrative di proseguire - seppure con tempistiche e funzionalità ridotte - nella gestione degli affari economici e sociali indispensabili alla collettività.
2. Digitalizzazione e lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni
Al fine di facilitare l’acquisizione dei beni e servizi necessari per la promozione del lavoro agile, le disposizioni del decreto legge cit. hanno declinato una disciplina in larga parte derogatoria rispetto al modello della procedura aperta previsto in via generale dal Codice dei contratti pubblici. Il ricorso a strumenti procedimentali più agili si rende necessario laddove le tempistiche dell’azione amministrativa e il complesso iter per l’aggiudicazione di un contratto non consentirebbero di assolvere con tempestività alle esigenze dettate dall’emergenza.
È il caso dell’art. 75 d.l. n. 18/2020, rubricato “Acquisti per lo sviluppo di sistemi informativi per la diffusione del lavoro agile e di servizi in rete per l’accesso di cittadini e imprese”, che dispone, “in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale e fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”, l’acquisto sino al 31 dicembre 2020, di beni e servizi informatici e di connettività, mediante procedura di cui all’art. 63 comma 2 lett. c) del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. La norma precisa che l’affidatario dovrà essere selezionato tra almeno quattro operatori economici, di cui almeno una «start-up innovativa» o un «piccola e media impresa innovativa», iscritta nell’apposita sezione speciale del registro delle imprese.
La disposizione affida dunque l’acquisizione dei sistemi informativi per il lavoro agile nella P.A. alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, strumento flessibile che il legislatore del Codice del contratti pubblici ha destinato, tra l’altro, alle ipotesi in cui, per ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili, i termini per le procedure aperte, ristrette o negoziate non possono essere rispettati.
La fattispecie normativa contenuta nel d.lgs. n. 50/2016, sebbene derogatoria rispetto al principio generale della libera concorrenza e dell’evidenza pubblica, ben si adatta alla situazione contingente, di natura senza dubbio emergenziale e imprevedibile (e chiaramente non imputabile alla stazione appaltante), tale da giustificare il ricorso ad una procedura altrettanto eccezionale. È quasi superfluo osservare che, nel bilanciamento tra concorrenza, favor partecipationis e esigenze di contenimento dell’epidemia, le prime abbiano carattere recessivo, tale da consentire una loro opportuna compressione nella misura in cui questa sia utile al raggiungimento del fine primario della tutela della salute pubblica.
È quindi condivisibile la scelta del Governo di ricorrere ad uno strumento già previsto e regolato in seno al Codice dei contratti pubblici al fine di deformalizzare parte del procedimento di gara per ottenere, nel più breve tempo possibile, la prestazione richiesta.
L’istituto della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara prevede, infatti, nei sui presupposti applicativi, la necessità di fronteggiare un evento inatteso e di natura emergenziale, che deve essere debitamente motivato dalla stazione appaltante. La motivazione, in questo caso, non è necessaria in quanto è stabilita ex lege dal decreto, per cui non residua alcun ulteriore aggravio in capo all’amministrazione.
Ulteriori semplificazioni sono previste sul piano procedimentale, ove è stabilito che le amministrazioni possono stipulare previa acquisizione di una autocertificazione circa il possesso dei requisiti generali, finanziari e tecnici, la regolarità contributiva e l’assenza di motivi di esclusione. La pubblica amministrazione dovrà dunque verificare unicamente il rispetto delle restrizioni imposte dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione. La disposizione in commento, infatti, richiama l’applicazione della normativa antimafia e della legge penale, a garanzia del corretto svolgimento dell’affidamento sotto il profilo della prevenzione di fenomeni corruttivi.
In generale, si osserva che la procedura negoziata senza bando non è certamente lo strumento più idoneo a garantire la trasparenza e l’imparzialità nella gestione degli affidamenti: la pubblicazione del bando, infatti, assicura l'effettiva messa in concorrenza della prestazione oggetto dell'appalto, eliminando il rischio di affidamenti « silenziosi ».
Tuttavia, è fuor di dubbio che, nel corso dell’emergenza sanitaria, il ricorso ai sistemi eccessivamente rigidi previsti in via ordinaria, vincolati al rispetto di procedure complesse anche sotto il profilo degli adempimenti richiesti, potrebbe mortificare le esigenze di speditezza nell'approvvigionamento di determinati servizi essenziali per superare il momento di crisi.
Inoltre, le procedure negoziate consentono di istaurare un dialogo diretto ed immediato con gli operatori economici, che risulta particolarmente utile laddove la stazione appaltante non riesca a predeterminare nel dettaglio e in autonomia le caratteristiche (anche di natura tecnica) del bene o della prestazione oggetto di affidamento.
La soluzione offerta dal Governo per fronteggiare l’esigenza di promozione e sviluppo dello smart working nella pubblica amministrazione appare quindi adeguata alla situazione emergenziale che stiamo vivendo.
3. Le piattaforme per la didattica a distanza
Non egualmente efficace, nei termini sopra delineati, è la regolamentazione dell’acquisto delle piattaforme per la didattica a distanza, previsto dall’art. 120 del d.l. n. 18/2020.
La disposizione prevede che “le istituzioni scolastiche acquistano tali beni mediante ricorso agli strumenti di cui all’articolo 1, commi 449 e 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296” e cioè mediante il ricorso a convenzioni quadro e mediante l’accesso al Mercato Elettronico della PA. Inoltre, “qualora non sia possibile ricorrere ai predetti strumenti, le istituzioni scolastiche provvedono all’acquisto delle piattaforme anche in deroga alle disposizioni del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.
A ben vedere, entrambe le norme - articoli 75 e 120 del d.l. n. 18/2020 - sono ispirate dalla necessità di dare una decisa accelerazione al processo di digitalizzazione della P.A. nelle sue diverse funzioni; tuttavia le disposizioni operano nei rispettivi settori con modalità e finalità contingenti di diversa natura.
La norma di cui all’art. 75 è propedeutica alla creazione di nuove modalità di lavoro che - terminata la fase emergenziale - resteranno nel patrimonio delle PP.AA. come strumenti di promozione di una semplificazione procedimentale di tipo operativo, volta cioè ad agevolare la cooperazione e la comunicazione con cittadini e imprese mediante dematerializzazione dei procedimenti, oltre che in termini di efficienza, secondo le più moderne teorie dell’organizzazione del lavoro che promuovono lo smart working nell’ottica motivazionale finalizzata alla crescita del rendimento individuale.
Viceversa, la norma contenuta nell’art. 120 è chiaramente dettata dalla necessità preminente di reperire sul mercato le piattaforme di didattica a distanza in tempi brevissimi, così da consentire il completamento dell’anno scolastico in corso senza pregiudizio per gli studenti, assicurando lo svolgimento delle lezioni anche senza presenza in aula.
Non vi è dubbio che, anche in questa seconda ipotesi, le piattaforme contribuiranno a creare nuove forme di comunicazione con gli studenti e delle modalità di istruzione da remoto secondo un modello smart già in uso in alcuni Paesi (ad es. il Regno Unito), tuttavia l’obiettivo primario è quello di assicurare il completamento dell’anno scolastico 2019/2020 per i tanti studenti che - con forte probabilità - non torneranno sui banchi di scuola prima di settembre.
Da qui, la necessità di creare dei meccanismi di acquisto ancora più snelli rispetto alla procedura negoziata senza bando. Il Governo, a tal fine, ha tentato di valorizzazione gli istituti di aggregazione e centralizzazione delle commesse, già conosciuti nel nostro ordinamento. Tali strumenti permettono di ottenere economie di scala, di superare i problemi connessi alla mancanza di professionalità nella gestione degli appalti (particolarmente significativa in relazione agli istituti scolastici, spesso privi delle competenze necessarie alla indizione di una gara pubblica) e di colmare la asimmetria informativa che caratterizza il mercato.
La centralizzazione consente inoltre un migliore controllo sulle operazioni, derivante dalla riduzione del numero di soggetti da monitorare. La circostanza appare di primaria importanza laddove, data la situazione emergenziale, il mercato di beni e servizi legati all’informatizzazione scolastica registrerà un incremento improvviso della domanda e dei tempi molto ristretti per eseguire le operazioni.
Ecco allora che, ai sensi dell’art. 120 cit., gli istituti scolastici devono acquistare gli strumenti di didattica a distanza mediante accesso al Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione gestito da Consip, per gli acquisti di importo pari o superiore a € 5.000,00 e comunque sotto la soglia di rilevanza comunitaria.
In via alternativa, gli istituti scolastici dovranno ricorrere alle convenzioni-quadro disciplinate dalla legge n. 488/1999, che attribuisce al Ministero dell'Economia e delle Finanze la competenza sull'acquisizione centralizzata di beni e servizi per le amministrazioni (statali e non), mediante convenzioni aggiudicate dalla Consip, come centrale unica di committenza. Tale ultimo modello organizzativo - non a caso disciplinato dalle leggi finanziarie per gli anni 2000, 2001 e 2007 - risponde alle esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica, in quanto consente l’aggregazione delle commesse mediante l’obbligatoria adesione alle menzionate convenzioni. Nell’ambito dell’affidamento, le imprese selezionate si impegnano poi a fornire beni e servizi deliberati dalle amministrazioni sino alla quantità massima complessiva prevista dall’accordo, a prezzi prestabiliti e non passibili di oscillazione all’aumentare della domanda.
La negoziazione della convenzione è stata pertanto qualificata come «contratto ad efficacia generale» in quanto vede la Consip assumere il ruolo di amministrazione aggiudicatrice e legittima le pubbliche amministrazioni alla stipulazione degli atti esecutivi (cd. ordinativi di spesa).
Tuttavia, l’art. 120 del d.l. n. 18/2020 lascia perplessi nella parte in cui stabilisce, a chiusura, che laddove non sia possibile reperire i beni e i servizi mediante il MEPA e le convenzioni quadro, gli istituti scolastici potranno agire “in deroga al Codice dei contratti”.
L’ampia deroga è di difficile interpretazione sia sotto il profilo delle fattispecie cui essa è applicabile, sia sotto il profilo della sua effettiva portata.
Invero, per circoscriverne l’operatività, bisognerebbe capire in quali casi gli istituti scolastici potranno trovarsi nell’impossibilità di utilizzare gli strumenti di accentramento, atteso che gli acquisti mediante il MEPA trovano un limite di tipo quantitativo nel rispetto della soglia comunitaria, mentre le convenzioni quadro sono direttamente collegate all’iniziativa della Ministero dell’economia e alla successiva azione operativa della Consip.
A parere di chi scrive, pare superfluo lo sforzo teso ad ipotizzare ed enumerare i casi in cui gli istituti scolastici potranno ricorrere alla deroga, atteso che la norma sembra più orientata a garantire loro la libertà di scegliere prodotti maggiormente confacenti alle proprie esigenze. La locuzione “qualora non sia possibile” lascia intendere, tra le righe, che le istituzioni scolastiche possono esprimere un giudizio sull’adeguatezza dei prodotti presenti nelle convenzioni-quadro, che potranno evidentemente essere accantonati qualora ritenuti non adeguati alle necessità che determinano l’acquisto.
Non vi è dunque sufficiente chiarezza sulla effettiva obbligatorietà dell’adesione agli strumenti di aggregazione, pur virtualmente prevista mediante il richiamo al disposto di cui alla legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006, art. 1 commi 449 e 450) e non oggetto di espressa deroga.
È chiaro che, nella fase emergenziale, risulta difficile individuare degli acquisti che possano rispondere alle esigenze di tutti gli istituti, dato che gli strumenti necessari cambiano notevolmente a seconda del livello di informatizzazione di partenza delle singole scuole.
Tuttavia, la norma non pare risolvere adeguatamente il problema, sotto diversi profili.
In primo luogo, la libertà lasciata alle singole dirigenze di optare per offerte diverse comporterà l’impossibilità di uniformare a livello nazionale l’offerta didattica a distanza resa agli studenti.
In secondo luogo, la deroga all’intero impianto normativo del Codice dei contratti pubblici pone problemi di tutela del corretto esercizio della funzione pubblica, di uso razionale ed efficiente delle risorse economiche e di prevenzione di fenomeni corruttivi.
Tutte le procedure di evidenza pubblica, infatti, anche in forma ristretta o negoziata, garantiscono il rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità (fondamentali in tal senso, gli articoli 29 e 30 del Cod. Appalti) e qualificazione dei contraenti, che viceversa verrebbero meno affidandosi a istituti estranei alla disciplina pubblicistica di cui al d.lgs. n. 50/2016.
I rischi connessi a tale scelta sono molteplici: in primo luogo, la prossimità tra il centro decisionale e il mercato non consente di prevenire fenomeni clientelari; in secondo luogo, la discrezionalità amministrativa nella scelta del contraente, laddove sia svincolata da ogni iter procedimentale, potrebbe facilmente sfociare in arbitrio e prescindere da ogni accertamento circa la qualificazione del contraente. Ancora, l’assenza di un quadro normativo certo alla base dell’acquisto di beni renderebbe problematico il sindacato di legittimità sulla scelte assunte dagli istituti scolastici.
In conseguenza di ciò, potrebbero facilmente emergere nei affidamenti in questione dei fenomeni corruttivi; fenomeni che si presentano con puntualità ciclicità anche nell’ambito delle ordinarie procedure di gara. La vulnerabilità del settore degli appalti rispetto a tali problematiche non può essere neutralizzata solo mediante le disposizioni in materia di trasparenza (d.lgs. N. 33/2013) nè solo mediante l’applicazione delle disposizioni antimafia, che - in assenza di espressa deroga - risultano comunque applicabili come limite esterno alla procedura stessa.
In definitiva, il testo normativo apre una finestra di incertezza e non risulta idoneo a garantire il corretto svolgimento degli acquisti, specie a fronte dell’investimento di ingenti risorse economiche stanziate dal Governo.
4. Gli investimenti finanziati mediante erogazioni liberali
Ultimo (ma non ultimo) profilo problematico della disciplina introdotta dal decreto “Cura Italia” in materia di contratti pubblici è contenuto nell’art. 99 del d.l. n. 18/2020, rubricato “Erogazioni liberali a sostegno del contrasto all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
È necessaria una premessa: a fronte delle richieste pervenute dal sistema sanitario in termini di implementazione dei posti letto nei reparti di terapia intensiva e acquisizione di attrezzature mediche e presidi di protezione individuale per il personale, si è assistito ad una mobilitazione di solidarietà, attraverso donazioni spontanee da parte dei singoli cittadini, associazioni e imprese di ogni livello, sì da consentire alla Protezione Civile e alle Regioni di raccogliere fondi destinati al potenziamento del servizio sanitario.
Ad oggi, le regioni del Nord Italia (in particolare la Lombardia) hanno raccolto ingenti fondi provenienti da donazioni private, grazie ai quali si sta tentando di supplire alla progressiva saturazione delle risorse della sanità pubblica.
Sul punto il Governo ha stabilito che “sino al 31 luglio 2020, l’acquisizione di forniture e servizi da parte delle aziende, agenzie e degli enti del Servizio sanitario nazionale da utilizzare nelle attività di contrasto dell’emergenza COVID-19, qualora sia finanziata in via esclusiva tramite donazioni di persone fisiche o giuridiche private, ai sensi dell’art. 793 c.c., avviene mediante affidamento diretto, senza previa consultazione di due o più operatori economici, per importi non superiori alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, a condizione che l’affidamento sia conforme al motivo delle liberalità”.
La disposizione è destinata agli affidamenti da parte delle strutture sanitarie e prevede una vistosa deroga alla disciplina codicistica per le procedure al di sotto della soglia di rilevanza comunitaria, che sono sottratte alle regole dell’evidenza pubblica ed aggiudicate mediante l’affidamento diretto all’impresa individuata dalla stazione appaltante, senza previa consultazione di due o più operatori economici.
La disposizione nulla stabilisce per gli affidamenti al di sopra della soglia di rilevanza comunitaria, peraltro niente affatto infrequenti nel settore della sanità. La lacuna dovrà senz’altro essere colmata, atteso che - in mancanza di apposita disciplina - saranno applicabili gli ordinari istituti previsti dal Codice, con inevitabile aggravio delle tempistiche e delle procedure. Nell’attesa di un intervento legislativo, è possibile ipotizzare che le singole stazioni appaltanti ricorrano alla procedura negoziata senza bando, dovendo tuttavia motivare autonomamente la scelta.
La deroga prevista per i contratti sotto soglia - con particolare riguardo alla possibilità di non procedere alla consultazione di due o più operatori - appare eccessivamente ampia e non giustificata da particolari motivazioni, aprendo la strada ad un utilizzo strumentalizzato e illegittimo dell’affidamento diretto.
Invero, la possibilità di omettere la fase della consultazione degli operatori di mercato, introdotta in via generale per gli affidamenti al di sotto della soglia di € 40.000 dal decreto correttivo n. 56/2017, è stata più volte analizzata dalla giurisprudenza e dell’ANAC, al fine di circoscriverne l’operatività.
La giurisprudenza, in particolare, ha rimarcato l’obbligo di rispettare i principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, di cui all’art. 30 comma 1 del Codice dei contratti. Tali principi non consentono di bypassare qualsiasi procedura comparativa, in quanto la pubblica amministrazione deve in ogni caso valutare la congruità della proposta contrattuale, anche ricorrendo ed elementi estranei alla procedura stessa (ad esempio operando un confronto con listini pubblici quali i prezzi del MEPA o con affidamenti di prestazioni analoghe effettuati da altre amministrazioni).
Ancora, nelle linee guida n. 4 (come aggiornate a seguito dell’entrata in vigore del correttivo n. 56/2017) l’ANAC ha stabilito che il confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici rappresenta in ogni caso una best practice.
I descritti orientamenti denotano una certa sfiducia verso lo strumento dell’affidamento diretto, che può prestarsi ad applicazioni di carattere elusivo, specie in relazione alla tutela della concorrenza e al principio di rotazione degli operatori economici.
La procedura non è neanche idonea ad creare una barriera per contrastare fenomeni corruttivi o illegittimi tentativi di ingerenza nell’individuazione della ditta aggiudicataria.
Vi è infatti il pericolo che imprenditori e aziende che hanno contribuito alla raccolta fondi con importanti donazioni (nell’ordine di milioni di euro) possano essere tentate dal ritagliarsi un ruolo anche nella scelta del contraente che beneficerà della donazione, condizionando gli affidamenti nel senso di veicolarli verso imprese partner o collegate.
La circostanza assume connotati ancora più pericolosi se calata nella realtà sociale delle regioni meridionali, dove è alta la domanda di implementazione della capacità di assorbimento da parte delle strutture sanitarie, a fronte di un forte rischio di infiltrazioni illecite negli affidamenti pubblici. Le organizzazioni criminali (che detengono indubbiamente un potere di mercato e dispongono di ingenti risorse economiche), infatti, potrebbero strumentalizzare la donazione attraverso il controllo sulla ditta aggiudicataria, creando delle forme di investimento o, peggio ancora, di riciclaggio di proventi di attività illecite.
In definitiva, la norma non convince, in quanto non assicura un adeguato controllo sugli affidamenti nel settore della sanità pubblica, da sempre permeabile ad influenze illecite e fenomeni corruttivi.
5. Conclusioni
Il d.l. n. 18/2020, adottato dal Governo per arginare gli effetti sociali dell’emergenza sanitaria, contiene disposizioni che, nell’insieme, individuano correttamente le priorità e gli obiettivi da raggiungere nel medio periodo.
Sul fronte dei contratti pubblici, è condivisile la scelta di ricorrere a procedure ristrette e negoziate, specie se limitata ai contratti al di sotto della soglia di rilevanza comunitaria.
Viceversa, le disposizioni in materia di didattica a distanza e di acquisti mediante donazioni liberali prevedono deroghe alla disciplina generale del Codice dei contratti pubblici eccessivamente ampie o di incerta interpretazione, tali da necessitare una modifica ovvero una integrazione in sede di conversione.
Le richiamate disposizioni, infatti, appaiono non idonee ad evitare che l’emergenza sanitaria dia la stura ad una speculazione economica difficile da controllare, specie in un momento storico in cui l’attenzione dell’opinione pubblica e degli organi di governo è (giustamente) focalizzata sul bene primario della tutela della salute dei cittadini.