Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1320
Per dimostrare la capacità tecnico-organizzativa di un operatore economico, il certificato di esecuzione lavori (art. 86, comma 5-bis, D. Lgs. n. 50/2016), rilasciato dall'Amministrazione committente, è idoneo ad attestare l'avvenuto svolgimento, nonché il buon esito, di lavori per un certo importo in una certa categoria e, se risultano e con quale esito, le contestazioni reciprocamente mosse dalle parti contrattuali in seguito all'esecuzione dei lavori stessi.
Il certificato di esecuzione lavori può essere rilasciato anche quando le prestazioni contrattuali non siano integralmente concluse; in altri termini: per quella parte di lavori che il R.u.p. attesti completata con buon esito e contabilizzata, nonostante il contratto sia ancora in corso di esecuzione.
Il certificato di esecuzione lavori è un atto rientrante nella categoria dei c.d. accertamenti costitutivi, poiché l'effetto dell'accertamento è quello di costituire in capo all'impresa concorrente la qualifica tecnico-organizzativa richiesta per la partecipazione a una gara pubblica.
Il C.E.L. non attesta l'affidabilità dell'operatore economico nell'esecuzione di tutte le obbligazioni previste dal (precedente) contratto d'appalto, ma solo la corretta esecuzione dei lavori e, dunque, la capacità tecnico-organizzativa che esso deve possedere dal momento di presentazione della domanda di partecipazione a una gara d'appalto (nonché per tutta l'esecuzione dell'eventuale contratto pubblico stipulato).
Il visto della P.A. rilasciato sul C.E.L. (ex art. 12, comma 2, D.M. M.I.B.A.C.T., 22.8.2017, n. 154) non può essere derubricato a mera formalità poiché rispondente all'esigenza che l'esecuzione di particolari tipologie di lavori su beni di interesse storico-culturale, sia attestata da un'Amministrazione in grado di valutarne la corretta esecuzione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1767 del 2019, proposto da
LFM s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Vito Petrarota, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia;
contro
Agenzia del Demanio, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Cesme s.r.l., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. 00057/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia del Demanio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti l’avvocato Guerriero per delega di Petrarota e l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con bando di gara pubblicato in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 6 febbraio 2018 e in Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana il 14 febbraio 2018 l’Agenzia del Demanio indiceva una procedura di gara “per l’affidamento di un Accordo Quadro per l’esecuzione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di cui all’art. 12, comma 2, lett. a) e b) e comma 5, 98/2011, come convertito con Legge 111/2011, volti, ove possibile, anche al recupero degli spazi interni degli immobili di proprietà dello Stato al fine di ridurre le locazioni passive, nonché alla riqualificazione energetica degli immobili in uso alle Amministrazioni dello Stato, ivi inclusi quelli direttamente gestiti e finanziati dal MIBACT e dal Ministero della Difesa su immobili agli stessi in uso, nonché gli interventi manutentivi gestiti dall’Agenzia del Demanio, compresi nel territorio di competenza della Direzione regionale Emilia Romagna, commissionati mediante singoli contratti”.
1.1. La gara era suddivisa in quattro lotti, con divieto di partecipazione per più di un lotto e la previsione di un numero massimo di operatori partecipanti a ciascuno di essi; il criterio di aggiudicazione era quello del prezzo più basso da calcolarsi mediante ribasso sul prezziario della Regione Emilia Romagna di cui alla delibera della Giunta regionale 8 giugno 2015, n. 683.
1.2. L’odierna controversia attiene al lotto 1 “Emilia (PR-RE-MO-BO)” avente ad oggetto “lavori NO SOA” di imposto pari o superiore a € 5.000 e fino a € 150.000, per categorie di lavori affidabili OG2, OG11 e OG1.
Per tale lotto, il disciplinare di gara imponeva, al punto VII rubricato “Requisiti di qualificazione – subappalto – avvalimento”, il possesso dei requisiti di cui all’art. 90 d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 e dell’art. 12 del Decreto del MIBACT 22 agosto 2017, n. 154, con l’ulteriore specificazione per cui: “Tenuto conto che non è possibile prevedere in questa fase le categorie in cui si articoleranno i singoli interventi, è richiesto per ogni lotto il possesso di tutti i requisiti ivi indicati da parte di ciascun concorrente. L’impossibilità oggettiva di prevedere gli interventi che saranno in concreto oggetto dei singoli affidamenti e dunque di distinguere a monte, nell’ambito degli stessi, tra categorie prevalenti e scorporabili, ai sensi dell’art. 48, commi 1 e 6, d.lgs. 50/2016 e dell’art. 92, comma 3, del D.P.R. 207/2010, determina infatti la necessità di selezionare operatori economici idonei a svolgere appalti in ciascuna delle categorie cui sono astrattamente ascrivibili gli interventi (OG1, OG11 e anche OG2 per i lotti 1,2, e 3), considerato che rispetto al singolo affidamento tali categorie possono coesistere o meno”.
Era, dunque, richiesto, all’art. 3.1. del punto XI del medesimo disciplinare di gara, “Lavori No SOA”, quale requisito di capacità economica – finanziaria e tecnico - organizzativa, “di aver eseguito direttamente, nel corso dell’ultimo quinquennio antecedente la data della pubblicazione del bando di gara, lavori analoghi a quelli appartenenti a ciascuna categoria OG1, OG2 e OG11, di importo non inferiore a 150.000 euro”.
Infine, quanto alla documentazione da fornire per la dimostrazione del possesso del requisito, era stabilito che: “in sede di comprova del requisito in questione dovranno essere prodotti attestati di buon esito rilasciati dalle Autorità eventualmente proposte alla tutela degli stessi ovvero dall’amministrazione aggiudicatrice in caso di lavori di importo inferiore ad € 40.000 (cfr. art. del decreto del MIBACT 22 agosto n. 154)”.
1.3. LFM costruzioni s.r.l. partecipava alla procedura di gara; con nota 12 giugno 2018 prot. 2018/8332/STE la stazione appaltante comunicava alla società l’aggiudicazione e le chiedeva di fornire la documentazione comprovante il possesso dei requisiti economico – finanziari dichiarati.
La società inviava i seguenti documenti: a) C.E.L. – certificato esecuzione lavori prot. n. 18055/2018 relativo ai “Lavori di restauro dell’edificio demaniale sede della Compagnia della Guardia di Finanza di Manduria (Ta)” per la categoria OG2; b) C.E.L. prot. n. 42365/2017 relativo ai “Lavori di Manutenzione straordinaria da eseguire sull’immobile denominato M.O.V.M.G. Macchi, sede del comando GdF di Bari” per la categoria OG2; c) copia contratto lavori e relativa fattura n. 23/PA del 17 aprile 2018 di € 88.397,64 relativamente ai Lavori di manutenzione ordinaria da effettuarsi presso la Questura di Bari.
Con nota del 24 luglio 2018 prot. n. 2018/10724/STE, la stazione appaltante, esaminata la documentazione trasmessa, rilevava che il C.E.L. sub a) risultava privo del visto della Soprintendenza territoriale competente e che la documentazione sub c) non era sufficiente a dimostrare la regolare esecuzione dell’intervento in questione, onde richiedeva alla società di caricare nel sistema AVCPASS i C.E.L. relativi ai suddetti interventi muniti del visto della Soprintendenza territoriale competente nel termine di 7 giorni.
LFM forniva i certificati sub a) e b) muniti del visto richiesto, nonché il C.E.L. datato 26 luglio 2018 (prot. 28379) per i lavori sub c) – precisamente lavori presso il Palazzo della Questura di Bari con categoria prevalente “Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela” – privo del visto della Soprintendenza, ma precisando, nella nota del 30 luglio 2018 che: “il certificato n. 28379/2018 riferito ai lavori del Palazzo della Questura di Bari è in attesa di Visto della Soprintendenza, e pertanto si allega copia della trasmissione dello stesso alla Soprintendenza Archeologica delle Belle arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bari, da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti Provveditorato Interregionale per le opere pubbliche per la Campania, il Molise, la Puglia e la Basilicata”.
1.4. Con provvedimento 14 settembre 2018 prot. 2018/13167/STE l’Agenzia del Demanio escludeva LFM costruzioni s.r.l. dalla procedura di gara per l’assenza dei requisiti di qualificazione previsti dal disciplinare di gara per la categoria OG2 non raggiungendo i lavori analoghi svolti nel quinquennio precedente l’importo minimo di € 150.000,00 richiesto dall’art. 90 d.P.R. n. 207 del 2010.
Nella comunicazione rivolta alla società era meglio specificato che il C.E.L. relativo ai lavori svolti presso la Questura di Bari non poteva essere considerato utile al fine della dimostrazione dei buon esito dei lavori in quanto riferito ad un intervento in corso d’opera e per l’assenza dell’attestazione di buon esito dei lavori da parte della Soprintendenza competente, per cui potevano essere presi in considerazione solo gli altri due C.E.L. forniti dalla società, i quali però erano riferiti a lavori che, sommati tra loro, davano la somma complessiva per la categoria OG2 di € 136.734,74, inferiore, quindi, a quella imposta dal bando di gara come pari al valore del contratto da stipulare.
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna LFM Costruzioni s.r.l. impugnava il provvedimento di esclusione, domandandone l’annullamento sulla base di tre motivi.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia del Demanio; restava intimata la controinteressata Cesme s.r.l..
Il giudizio di primo grado era concluso dalla sentenza sez. I, 18 gennaio 2019, n. 57, di reiezione del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese legali.
3. Ha proposto appello LFM Costruzioni s.r.l.; si è costituita l’Agenzia del Demanio che ha presentato memoria.
All’udienza fissata per la decisione della causa del 21 novembre 2019 la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
1. Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso per aver ritenuto:
- che il ricorrente non aveva impugnato il disciplinare di gara nella parte in cui (pag. 12) espressamente richiedeva alla ditta concorrente di aver eseguito direttamente, nel corso dell’ultimo quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, lavori analoghi di importo non inferiore a 150.000 euro;
- che la stazione appaltante aveva correttamente giudicato non utile alla dimostrazione del predetto requisito il certificato relativo ai lavori svolti presso la Questura di Bari poiché gli stessi non risultavano ancora conclusi, avendone la ricorrente eseguito solo l’importo parziale di € 68.702,33 a fronte dell’importo totale di € 130.000 previsto nel bando di gara, ed essendo stata indicata quale data di conclusione il 31 gennaio 2019;
- che lavori parziali non possono essere considerati idonei ad attestare la capacità dell’impresa perché solo l’espletamento del lavoro affidato nella sua completezza indica l’avvenuto adempimento delle obbligazioni contrattuali che, in effetti, prevedono che i lavori siano integralmente completati.
2. LFM Costruzioni s.r.l. contesta la sentenza di primo grado in base ad un unico motivo di appello, per poi riproporre in via devolutiva i motivi di ricorso di primo grado non esaminati dal giudice.
2.1. Il motivo di appello è diretto a contestare la sentenza per “Illegittimità ed erroneità della gravata sentenza. Violazione della lex specialis, violazione del principio della massima partecipazione, ragionevolezza, proporzionalità, violazione dell’art. 83 Tu appalti”: precisato di non aver impugnato il disciplinare di gara per mancanza di interesse essendo in possesso del requisito di qualificazione richiesto, l’appellante ribadisce che il C.E.L. relativo ai lavori eseguiti presso la Questura di Bari era stato emesso dal R.u.p. a seguito di adeguata e puntuale istruttoria ed all’esito del collaudo statico e il corrispettivo dovuto regolarmente corrisposto come dimostrato dalle fatture depositate in atti, onde la ritenuta inutilizzabilità del certificato per essere detti lavori ancora in corso di esecuzione era contraria ai principi di proporzionalità e ragionevolezza, che impongono, come chiarito da numerosi arresti giurisprudenziali, di evitare eccessi formalismi e indebite restrizioni della concorrenza tra le imprese.
2.2. Con il primo motivo riproposto LFM Costruzioni s.r.l. si duole della “Violazione della lex speciali, violazione dell’art. 12 del decreto MIBACT del 22 agosto 2018, violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, violazione del principio del favor partecipationis, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento e sviamento di potere”; la ricorrente ammette che il C.E.L. relativo ai lavori eseguiti presso la Questura di Bari è privo del visto della Soprintendenza Archeologica delle Belle arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bari, ma sostiene che l’apposizione del visto costituirebbe una mera formalità, poiché, invece, ad assumere decisivo rilievo dovrebbe essere esclusivamente la decisione del R.u.p. di rilasciare il certificato contenente dichiarazione di “buon esito dei lavori”, seguendo questa all’esito positivo del collaudo statico delle opere.
Tanto più, aggiunge, che dando rilevanza al visto della Soprintendenza si farebbe ricadere sull’operatore economico l’eventuale ritardo con il quale tale autorità amministrativa si sia determinata.
Assume la ricorrente, allora, l’ulteriore contrasto del provvedimento di esclusione con il principio di ragionevolezza che impone di assumere decisioni non censurabili sotto il profilo della logica e dell’aderenza ai dati di fatto risultanti dal caso concreto; è, infatti, censurabile, a suo dire, la scelta di escludere un operatore economico che, pure, abbia dato prova della propria capacità tecnica mediante certificazione di buon esito dei lavori rilasciata dal R.u.p. dopo aver effettuato il collaudo statico delle opere e conseguente integrale pagamento delle somme dovute.
Lo stesso disciplinare di gara, in ossequio al principio di massima partecipazione, dovrebbe interpretarsi nel senso che l’attestazione di “buon esito dei lavori” rilasciata dal R.u.p. della stazione appaltante, in quanto amministrazione preposta alla tutela dei beni, sia sufficiente a dimostrare le capacità finanziarie e tecnica dell’impresa.
Relativamente, poi, all’esecuzione solamente parziale dei lavori, la ricorrente precisava che era stato necessario procedere alla redazione di una perizia di variante e, per questa ragione, i lavori erano stati sospesi.
2.3. Con altro motivo riproposto, l’esclusione è contestata per “Violazione dell’art. 86 del d.lgs. 50/2016 – Eccesso di potere per sviamento e irragionevolezza”; ritiene la ricorrente che la stazione appaltante avrebbe violato l’art. 86, commi 5 e 6, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 nella parte in cui stabiliscono: a) che la prova della capacità economica e finanziaria dell’operatore economico possa essere fornita “mediante un qualsiasi altro documento considerato idoneo dalla stazione appaltante” per il caso in cui l’operatore economico per fondati motivi non sia in grado di presentare le referenze chieste dall’amministrazione; b) che le capacità tecniche possono essere dimostrare con uno o più mezzi di prova di cui all’allegato XVII, tra i quali sono indicate al punto c) della parte I “una dichiarazione concernente il fatturato globale…” e al punto i) della parte II “un elenco dei lavori eseguiti negli ultimi cinque anni; tale elenco è corredato dai certificati di corretta esecuzione e buon esito dei lavori più importanti”. La conclusione cui perviene il ragionamento della ricorrente è cha la stazione appaltante non avrebbe potuto escluderla per la sola mancanza del visto della Soprintendenza, poiché alla luce delle richiamate disposizioni il C.E.L. rilasciato dal R.u.p. doveva essere valutato quale mezzo di prova idoneo a dimostrare la sua capacità tecnica, unitamente alle fatture con le quali si dimostrava l’avvenuto pagamento del corrispettivo dovuto.
2.4. Con ultimo motivo di riproposto è contestato il provvedimento di esclusione per “Violazione di legge in riferimento all’art. 3 l. 241/90 e successive. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, partecipazione e motivazione”: la ricorrente sostiene il difetto di motivazione del provvedimento di esclusione per mancata esplicitazione delle ragioni giuridiche e di fatto che avevano indotto l’amministrazione, pur a fronte della documentazione rimessale, a decidere di escluderla dalla procedura di gara.
3. Il motivo di appello è infondato; la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso merita conferma sia pure con diversa motivazione.
4. Preliminarmente, occorre precisare che, nella comunicazione resa alla LFM Costruzioni il 17 settembre 2018, due erano le ragioni per le quali il C.E.L. – certificato di esecuzione lavori rilasciato per le opere eseguite presso la Questura di Bari era ritenuto non utile alla dimostrazione del requisito di qualificazione richiesto dal bando: la circostanza che il contratto di appalto non era ancora concluso – si parla esattamente di “intervento in corso d’opera” – e l’assenza dell’attestazione di buon esito dei lavori da parte della Soprintendenza competente.
L’Agenzia del Demanio, nelle difese svolte nel primo grado del giudizio e qui riproposte, ha meglio spiegato che il certificato di esecuzione prodotto in relazione ai lavori realizzati presso la Questura di Bari (prot. 28379/2018) era datato 26 luglio 2018 (per lavori che risultavano essere stati contabilizzati il 5 marzo 2018, per la cifra di € 68.702,23), e, dunque, ampiamente successivo alla data di presentazione delle domande (il bando era stato pubblicato il 14 febbraio 2018) per cui, anche a voler considerare regolarmente eseguita quella parte di lavori, l’impresa non era in possesso del requisito richiesto al momento di presentazione delle domande.
Il ricorrente ha ammesso le circostanze di fatto come ricostruite dalla stazione appaltante, ma ha articolato argomentazioni rivolte a sostenere l’irragionevolezza della valutazione di inutilità del certificato e, dunque, indirettamente, dell’asserita carente dimostrazione del possesso del requisito di qualificazione richiesto dal bando.
Il giudice di primo grado si è limitato ad esaminare una sola delle ragioni, il carattere parziale dei lavori certificati, e l’ha ritenuta sufficiente ad escludere l’idoneità del C.E.L. per aver ritenuto che solo lavori completamente eseguiti possano dare affidamento sulla capacità tecnica dell’impresa di eseguire le obbligazioni assunte con il contratto di appalto.
4.1. Ritiene il Collegio che il ragionamento del giudice di primo grado non sia condivisibile ma che, ciononostante, il C.E.L. presentato dalla LFM Costruzioni s.r.l. non sia utile alla dimostrazione del requisito di capacità richiesto sia perché il certificato risulta di data posteriore al termine per la presentazione delle domande, sia per l’assenza del visto da parte della Soprintendenza Archeologica delle Belle arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bari.
4.2. Occorre, allora, soffermarsi sul ragionamento del giudice di primo grado.
4.2.1. Il Certificato esecuzione lavori è disciplinato dall’art. 86, comma 5 – bis, 18 aprile 2016, n. 50 “Mezzi di prova” il quale, nella formulazione vigente al momento dell’indizione della gara, prevedeva: “L’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione dei lavori redatto secondo lo schema predisposto dall’ANAC con le linee guida di cui all’articolo 83, comma 2”. L’art. 79, comma 6, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 210 stabilisce, poi, che: “L’esecuzione dei lavori è documentata dai certificati di esecuzione dei lavori previsti dagli articoli 83, comma 4 e 84, indicati dall’impresa e acquisiti dalla SOA ai sensi dell’articolo 40, comma 3, lett. b), del codice, nonché secondo quanto previsto dall’articolo 86”.
L’acquisizione dei certificati da parte della SOA è necessaria alla qualificazione dell’impresa resa da detto organismo e l’art. 83, comma 2, d.P.R. n. 210 specifica che a tal fine “I lavori da valutare sono quelli eseguiti regolarmente e con buon esito iniziati e ultimati nel periodo di cui ai precedenti commi, ovvero la parte di essi eseguita nel quinquennio, per il caso di lavori iniziati in epoca precedente o per il caso di lavori in corso di esecuzione alla data della sottoscrizione del contratto con la SOA, calcolata presumendo un avanzamento lineare degli stessi”.
L’art. 83, comma 4 d.P.R. n. 210 cit., poi, prevede che: “I certificati di esecuzione lavori sono redatti in conformità dello schema di cui all’allegato B e contengono la espressa dichiarazione dei committenti che i lavori eseguiti sono stati realizzati regolarmente e con buon esito; se fanno dato luogo a vertenze in sede arbitrale e giudiziaria, ne viene indicato l’esito”.
Il certificato di esecuzione lavori costituisce, dunque, una certificazione richiesta dall’impresa al committente (anche privato, cfr. art. 84 comma 2, d.P.R. n. 201 cit.) per la dimostrazione del possesso del requisito di idoneità tecnica – organizzativa, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria in quanto la committenza certifica l’avvenuta esecuzione in maniera regolare e con buon esito dei lavori, nonché se risultano, e con quale esito, le contestazioni reciprocamente mosse dalle parti contrattuali in seguito all’esecuzione dei lavori.
Non v’è ragione per ritenere che l’impresa possa richiedere alla committenza (pubblica o privata) il rilascio del certificato di esecuzione solamente quando il contratto d’appalto sia stato integralmente concluso, nel senso che non residuano più prestazioni dovute a carico di entrambe le parti.
Il certificato di esecuzione lavori può essere rilasciato anche qualora il contratto d’appalto non sia ancora concluso, ovvero, detto altrimenti, se i lavori sono ancora in corso di esecuzione, per quella parte di lavori che il R.u.p. attesti completata con buon esito e contabilizzata.
Rileva, in tal senso, il dato normativo: l’art. 83, comma 2, d.P.R. n. 210 cit. in precedenza riportato ammette la possibilità che la SOA sia chiamata a valutare lavori “in corso di esecuzione alla data di sottoscrizione del contratto con la SOA”; e, d’altra parte, non è un caso che lo schema di certificato fornito dall’Allegato B al regolamento (al Quadro 6.1.) preveda si dia risposta alla domanda se “I lavori sono in corso …SI/NO”.
In un precedente specifico, richiamato dall’Agenzia del Demanio nelle sue difese, è stato, però, chiarito che dal combinato disposto delle norme che disciplinano il C.E.L. si evince che “l’impresa acquisisce il requisito tecnico organizzativo, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria, col rilascio del Certificato di esecuzione lavori” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2017, n. 6135). Si è in presenza, dunque, di un atto rientrante nella categoria dei c.d. accertamenti costitutivi, poiché l’effetto dell’accertamento è quello di costituire il requisito in capo all’impresa che richiede il certificato.
4.2.2. Dalle considerazioni esposte deriva che il ragionamento svolto dal giudice di primo grado non può essere condiviso in quanto il C.E.L. non attesta l’affidabilità dell’impresa nell’esecuzione di tutte le obbligazioni sorte dal contratto di appalto, ma solo la corretta esecuzione dei lavori, ossia la sua capacità tecnico – organizzativa, ed è per questa ragione che può senz’altro ammettersi che la committenza certifichi anche lavori eseguiti in forza di contratto non ancora concluso, ma che, nondimeno l’impresa deve essere in possesso del C.E.L., con il quale intende dar prova del requisito, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello per cui i requisiti di qualificazione devono essere posseduti dal momento della presentazione della domanda e per tutta la durata di esecuzione del contratto; consentire l’integrazione del C.E.L. nel corso della procedura costituirebbe palese violazione del principio della par condicio tra i concorrenti.
4.3. Il C.E.L. presentato dalla LFM costruzioni non era utile a dar prova del requisito di qualificazione anche per l’altra ragione indicata dall’Agenzia del Demanio nella comunicazione rivolta all’impresa: l’assenza del visto da parte della Soprintendenza Archeologica delle Belle arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bari.
E’, infatti, indispensabile che il C.E.L., quand’anche riferito a lavori parziali, presenti il contenuto richiesto dalle disposizioni normative.
Nel caso di specie, l’art. 12 del Decreto Ministero dei beni ambientali culturali e del turismo 22 agosto 2017 n. 154, espressamente richiamato nel disciplinare di gara, prevedeva al comma 2 “I requisiti di cui al comma 1, autocertificati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono dichiarati in sede di domanda di partecipazione o in sede di offerta e sono accompagnati da una certificazione di buon esito dei lavori rilasciata dall’autorità preposta alla tutela dei beni su cui si è intervenuti.”
Il disciplinare di gara ulteriormente specificava per la categoria OG2 che: “In sede di comprava del requisito in questione dovranno essere prodotti attestati di buon esito rilasciati dalle Autorità eventualmente preposte alla tutela degli stessi ovvero dall’amministrazione giudicatrice in caso di lavori di importo inferiore ad € 40.000” (cfr. art. 12 del Decreto del MIBACT 22 agosto 2017, n. 154)”.
Non v’è dubbio, pertanto, che, per la tipologia di lavori certificati, fosse necessario il visto della Soprintendenza Archeologica delle Belle arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bari –
né, invero, l’appellante lo nega – e che l’assenza del visto rendesse inidoneo il C.E.L. presentato dall’impresa.
4.4. Le argomentazioni che la ricorrente ha articolato nei diversi motivi di ricorso non valgono a porre in discussione le conclusioni raggiunte.
Anche a non voler tener conto della valenza decisiva che assume nel presente giudizio la circostanza che il C.E.L. relativo ai lavori presso la Questura di Bari – indispensabile per la dimostrazione del possesso del requisito di qualificazione richiesto – sia stato formato successivamente al termine di presentazione delle offerte, resta fermo che il visto della Soprintendenza non può essere derubricato a “mera formalità”, poiché rispondente all’esigenza che la certificazione dell’esecuzione di particolari tipologie di lavori (nel caso di specie, lavori su immobili di interesse storico, artistico e archeologico) sia attestata da parte delle amministrazioni che, in quanto preposte alla tutela dei beni interessati, sono effettivamente in grado di valutarne la corretta esecuzione.
Il C.E.L., come documento probatorio della capacità di idoneità tecnica organizzativa, poi, non è, per espressa indicazione normativa, surrogabile da altra documentazione e, tanto meno, dalla fattura rimessa dall’impresa e pagata dall’amministrazione (anch’essa, peraltro, di data posteriore al termine per la presentazione delle offerte).
È del tutto ragionevole, pertanto, la scelta dell’amministrazione di richiedere il C.E.L. quale documento a comprova dell’esecuzione di precedenti lavori, e, d’altra parte, di escludere l’impresa che di tale documentazione non sia in possesso al momento della presentazione della domanda di partecipazione, con motivazione esente da critiche.
5. In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado confermata con diversa motivazione.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna LFM costruzioni s.r.l. al pagamento delle spese di lite, che liquida in € 3.000,00, oltre accessori e spese di legge, a favore dell’Agenzia del Demanio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019.
GUIDA ALLA LETTURA
La vicenda scrutinata dalla V^ Sezione del Consiglio di Stato concerne l'esclusione di un'impresa da una procedura ad evidenza pubblica per la stipulazione di un Accordo Quadro - ex art. 54, D. Lgs. n. 50/2016 - avente ad oggetto la manutenzione, il recupero nonché la riqualificazione di immobili in uso alle Amministrazioni dello Stato.
La stazione appaltante adottava il provvedimento de quo perché la concorrente (aggiudicataria di un Lotto di gara) risultava priva del requisito di qualificazione tecnico-organizzativa dichiarato con la domanda di partecipazione.
Invero, per la tipologia di lavori (NO SOA) che l'aggiudicataria avrebbe dovuto effettuare (categorie OG2, OG11 e OG1), il disciplinare prescriveva il possesso di requisiti ex art. 90, D.P.R. n. 207/2010 (di aver svolto lavori pubblici di importo pari o inferiore ad €. 150.000) e art. 12, D.M. (MIBACT) n. 154/2017 (il rilascio di un C.E.L. - art. 86, comma 5-bis, D. Lgs. n. 50/2016 - da parte di un'Autorità preposta alla tutela di beni interessati dalle opere oggetto d'appalto).
Uno dei certificati di esecuzione lavori, presentato dall'aggiudicataria in sede di verifica dei requisiti, è risultato privo del visto della P.A. competente al (suo) rilascio, nonché riferito a lavori in corso di esecuzione.
Per tali ragioni la s.a. disponeva l'esclusione dell'operatore economico che, in seguito, adiva il T.A.R Emilia Romagna per impugnarla.
Il Giudice di prime cure rigettava il gravame, precisando che il carattere "parziale" dei lavori certificati è sufficiente ad escludere l'idoneità del C.E.L. presentato dalla ricorrente, atteso che solo lavori completamente eseguiti possono dare affidamento sulla capacità tecnica di un o.e. a eseguire le obbligazioni assunte con il contratto d'appalto.
Dunque la ricorrente appellava tale decisione dinanzi al Consiglio di Stato che la confermava ma con motivazione (diametralmente) opposta.
I Giudici di Palazzo Spada, invero, hanno sottolineato che il certificato di esecuzione lavori può essere rilasciato anche quando le prestazioni contrattuali non siano integralmente concluse; in altri termini, per quella parte di lavori che il R.u.p. attesti conclusa "con buon esito" e contabilizzata, nonostante il contratto sia ancora in corso di esecuzione.
Sul punto, la norma posta al vaglio della V^ Sezione è l'art. 83, comma 2, D.P.R. 207/2010 che ammette, in generale, la possibilità di rilascio del C.E.L. da parte di SOA (nel caso di specie, invece, competente all'emissione del certificato è la Soprintendenza, atteso il valore dei lavori e la tipologia di beni interessati) anche per opere in corso di esecuzione, "alla data di sottoscrizione del contratto" da parte dell'impresa partecipante con le medesime Società che, come noto, sono autorizzate dall'A.N.A.C. a svolgere un'attività di controllo dei soggetti esecutori di opere pubbliche.
A tal proposito, si rammenta che la disposizione in parola non rientra tra quelle norme del D.P.R. n. 207 citato (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) che, con l'entrata in vigore del nuovo Codice (D. Lgs. n. 50/2016), sono state abrogate dall'art. 217, comma 1, lett. u); sicché, alla data di indizione della gara oggetto di causa (e anche oggi), l'art. 83, comma 2 cit. - nonché l'art. 90 del medesimo D.P.R. - costituiva(no) parametro legislativo per la qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici.
Pertanto, dall'interpretazione della norma in questione, il Collegio deduce che: "non v'è ragione per ritenere che l'impresa possa richiedere alla committenza (pubblica o privata) il rilascio del certificato di esecuzione solamente quando il contratto d'appalto sia stato integralmente concluso, nel senso che non residuano più prestazioni dovute a carico di entrambe le parti".
Il C.E.L., prosegue il Collegio, è: "un atto rientrante nella categoria dei cd. accertamenti costitutivi, poiché l'effetto dell'accertamento è quello di costituire il requisito in capo all'impresa che richiede il certificato". Sicché, "non attesta l'affidabilità dell'impresa nell'esecuzione di tutte le obbligazioni sorte dal contratto d'appalto, ma solo la corretta esecuzione dei lavori, ossia la sua capacità tecnico-organizzativa".
Ciò posto, quindi, la V^ Sezione ha deciso di rigettare l'appello perché il C.E.L. era stato ottenuto dall'impresa appellante solo in seguito alla presentazione della domanda di partecipazione alla gara; in particolare, nelle more della verifica dei requisiti da parte della stazione appaltante.
Di qui la sua inidoneità a dimostrare la qualificazione tecnico-organizzativa dell'impresa esclusa.
A tal proposito, infatti, la giurisprudenza è costante nell'affermare il seguente orientamento: "... il possesso dei requisiti di ammissione si impone a partire dall'atto di presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica [...]non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza per la stazione appaltante dell’instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e tecnico-economico-professionale necessari per contrattare con la P.A." (Cons. Stato, Ad. Plen., 20.7.2015, n. 8; ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 28.12.2017, n. 6135; Cons. Stato, sez. IV, 18 aprile 2014, n. 1987; Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2013, n. 4833 e 26 marzo 2012, n. 1732; Cons. Stato, sez. III, 13 luglio 2011, n. 42125; Cons. Stato, Ad. pl., 25 febbraio 2014, n. 10; nn. 15 e 20 del 2013; nn. 8 e 27 del 2012; n. 1 del 2010).
L'integrazione della domanda mediante l'introduzione di un requisito di qualificazione mancante (anche a seguito di soccorso istruttorio - cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9.7.2019, n. 4787; Cons. Stato, 28.12.2017, n. 6135), costituisce, dunque, palese violazione del principio di par condicio tra i concorrenti.
La V^ Sez., da ultimo, ribadisce l'infondatezza del gravame anche per l'assenza del visto rilasciato da parte dell'Autorità competente (id est: la Soprintendenza) sul C.E.L..
Giurisprudenza conforme al caso de quo, invero, ha affermato che: "... l’apposizione del visto della Sovrintendenza ... assume un ruolo essenziale, essendo previsto espressamente dall’art. 12 del Decreto del MIBACT 22 agosto 2017 n. 154, [...] si tratta di una prescrizione non irragionevole, né meramente formale, in quanto concorre a rendere certa la regolare esecuzione non solo sotto il profilo della committenza, ma anche sotto quello ulteriore dell’Autorità preposta al vincolo di tutela" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-ter, 22.7.2019, n. 9792).
Quindi, l'apposizione del visto risponde all'esigenza di assicurare alla s.a. che la regolarità delle opere (già) eseguite su beni di interesse storico-culturale dia prova della qualificazione sostanziale (in particolare, tecnico-organizzativa) dell'impresa partecipante alla gara.