Consiglio di Stato, sez. III, 4 marzo 2020, n. 1603
1. Il nucleo centrale delle deduzioni svolte nei due giudizi si è concentrato sulla tesi dell'insussistenza dell'onere dichiarativo della sentenza penale di condanna, se non nell'ambito di un certo limite temporale (di tre anni), fissato dall'art. 80 comma 10, d.lgs n. 50/2016, che nel caso di specie risultava decorso;
2. Il ricorso a questi correttivi mitigatori è necessario per rendere l'esito espulsivo conciliabile con il principio di proporzionalità e si giustifica in ragione del fatto che l'espulsione colpisce l'operatore economico che ha presentato l'offerta "per una violazione commessa non da lui direttamente, bensì da un soggetto estraneo alla sua impresa , per il controllo del quale detto operatore può non disporre di tutta l'autorità richiesta e di tutti i mezzi necessari"
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7212 del 2019, proposto da
Del Debbio S.p.A., Gruppo Sei S.r.l., Ciclat Val di Cecina Soc. Coop., tutte componenti di RTI costituendo tra le stesse, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Confalonieri n. 5;
contro
Daf Costruzioni Stradali S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio ed in qualità di capogruppo mandataria del RTI costituito con le imprese GARC S.p.A. ed Edil Moter S.r.l. rappresentata e difesa dagli avvocati Lorenzo Grisostomi Travaglini, Andrea Musenga, Davide Angelucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza Capo di Ferro n. 13;
Azienda Usl Toscana Centro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Paolo Stolzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Umberto Richiello in Roma, via Mirabello n. 18;
nei confronti
Rad Service S.r.l. Unipersonale, Cosmo Ambiente S.r.l., Cosmo Scavi S.r.l., tutte componenti di RTI costituendo tra le stesse, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Antonio Greco, Francesco Vagnucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avv. Francesco Vagnucci in Roma, Piazza San Bernardo n. 101;
sul ricorso numero di registro generale 7227 del 2019, proposto da
Rad Service S.r.l. Unipersonale, Cosmo Ambiente S.r.l., Cosmo Scavi S.r.l., tutte componenti di RTI costituendo tra le stesse, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Antonio Greco, Francesco Vagnucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avv. Francesco Vagnucci in Roma, Piazza San Bernardo n. 101;
contro
Daf Costruzioni Stradali S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio ed in qualità di capogruppo mandataria del RTI costituito con le imprese GARC S.p.A. ed Edil Moter S.r.l. rappresentata e difesa dagli avvocati Lorenzo Grisostomi Travaglini, Andrea Musenga, Davide Angelucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza Capo di Ferro n. 13;
Azienda Usl Toscana Centro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Paolo Stolzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Umberto Richiello in Roma, via Mirabello n. 18;
nei confronti
Del Debbio S.p.A., Gruppo Sei S.r.l., Ciclat Val di Cecina Soc. Coop., tutte componenti di RTI costituendo tra le stesse, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Confalonieri n. 5;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi n. 7212/2019 e n. 7227/2019:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per La Toscana (sezione Terza) n. 1044/2019, resa tra le parti, concernente l’esito della gara indetta per l'affidamento dei lavori di demolizione selettiva e meccanica degli edifici costituenti l'ex Presidio Ospedaliero “Misericordia e Dolce” di Prato.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Azienda Usl Toscana Centro, di Rad Service S.r.l. Unipersonale, di Cosmo Ambiente S.r.l., di Cosmo Scavi S.r.l., di Ciclat Val di Cecina Soc. Coop., di Del Debbio S.p.A. e di Gruppo Sei S.r.l.;
Visto l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto da Daf Costruzioni Stradali S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti gli avvocati Andrea Manzi, Paolo Stolzi, Lorenzo Grisostomi Travaglini, Davide Angelucci e Antonio Greco Antonio Greco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con bando del 3 gennaio 2018, la ASL ha indetto una procedura di gara per l’affidamento dei lavori di demolizione dell’edificio ex ospedaliero della “Misericordia e Dolce” di Prato.
2. La gara si è conclusa con la seguente graduatoria: RTI DAF primo classificato con punti 93; RTI Del Debbio secondo classificato con punti 84,77; RTI RAD Service terzo classificato con punti 77,95.
3. La stazione appaltante ha tuttavia provveduto ad escludere progressivamente i primi due classificati a cagione della riscontrata omessa indicazione, da parte di entrambi, di sentenze penali irrevocabili di condanna.
3.1. In particolare, con riguardo al RTI Daf è emersa, in sede di verifica successiva all’aggiudicazione, l’omessa/falsa dichiarazione da parte di uno dei subappaltatori della terna indicata. In ragione di ciò, con determina dirigenziale 17.1.2019 n. 90, la ASL ha provveduto ad annullare l’atto di aggiudicazione, a sancire l’esclusione del RTI e a disporre lo scorrimento della graduatoria in favore del RTI Del Debbio, secondo classificato.
3.2. In sede di verifica dei requisiti di quest’ultimo è emerso (come da determina dirigenziale 27.2.2019 n. 321) che l’ausiliaria nominata dal costituendo RTI Del Debbio in sostituzione di quella originaria (risultata, medio tempore, priva l’attestazione SOA nella categoria di riferimento), aveva anch’essa omesso di dichiarare una condanna penale irrevocabile. Ne è scaturito un ulteriore scorrimento della graduatoria in favore del terzo classificato.
4. Avverso detti atti espulsivi sono insorte sia il primo che il secondo classificato della graduatoria originaria, con distinti ricorsi incardinati innanzi al Tar Toscana.
Il nucleo centrale delle deduzioni svolte nei due giudizi si è concentrato sulla tesi dell’insussistenza dell’onere dichiarativo della sentenza penale di condanna, se non nell’ambito di un certo limite temporale (di tre anni), fissato dall’art. 80 comma 10, d.lgs. n. 50/2016, che nel caso di specie risultava decorso.
5. Il Tar Toscana ha accolto entrambi i ricorsi, quello proposto dal RTI Del Debbio, con sentenza 955/2019; e quello proposto dal RTI Daf, con sentenza n. 1044/2019.
6. Nella presente sede, attraverso due distinti giudizi di appello aventi a comune oggetto la sentenza n. 1044/2019, la seconda e la terza classificata fanno valere il proprio interesse ad escludere la prima graduata.
E’ oggetto di separato appello (n. 7225/2019) la pronuncia n. 955/20219.
7. In entrambi i giudizi (nn. 7212/2019 e 7227/2019) il RTI Daf ha proposto appello incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale.
8. A seguito del rinvio al merito dell’istanza cautelare, disposto nel contraddittorio tra tutte le imprese contendenti e l’Azienda USL Toscana Centro, le due cause sono state discusse e poste in decisione all’udienza pubblica del 20 febbraio 2020.
DIRITTO
1. Gli evidenti profili di connessione soggettiva e oggettiva che avvincono le due impugnative ne suggeriscono la riunione ai sensi dell’art. 70 c.p.a..
2. Va premesso che la gara per cui è lite è stata bandita in data 3.1.2018, con termine di partecipazione fissato al 26.2.2018.
2.1. Pertanto il testo dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 applicabile ratione temporis è quello antecedente alle modifiche apportate dall’art. 5, comma 1, del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, applicabile alle sole procedure indette successivamente al 15 dicembre 2018 (si veda l’art. 5, comma 1, del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135).
2.2. Ne consegue che la norma di riferimento, così come richiamata nel provvedimento di esclusione impugnato, è l’art. 80, comma 5, secondo cui “le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni […]” e, precisamente, la lettera c) (qualora dimostrino “ ..con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità…”) e la lettera f-bis (“l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”).
2.3 Al RTI Daf è stata contestata l’omessa dichiarazione da parte del subappaltatore Toscoambiente s.r.l. di due decreti penali del 8.8.2012 e 9.7.2014, divenuti irrevocabili il 26.6.2013 e 1.4.2015, per reati ambientali sanzionati dall’art. 256, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 152/2006 (“attività di gestione di rifiuti non autorizzata continuato”).
2.4. Nel provvedimento di esclusione (determina dirigenziale 17.1.2019 n. 90) si richiama “l’art. 80, comma 5, del D.lgs. 50/2016 e s.m., il quale prescrive che le stazioni appaltanti sono tenute ad escludere dalla partecipazione ad una procedura di gara l’operatore economico il quale, in sede di gara, produca documentazione o dichiarazioni non veritiere e che l’esclusione deve essere disposta anche qualora la documentazione o la dichiarazione non veritiera si riferisca al subappaltatore, nei casi in cui è prevista obbligatoriamente l’indicazione della terna dei subappaltatori (art. 105, comma 6, del decreto)”.
Dunque, sono i profili relativi alla omissione comunicativa (art. 80, comma 5, lett. c), ovvero alla dichiarazione non veritiera (art. 80, comma 5, lett. f-bis) ad avere fondato la decisione di esclusione.
3. Il giudice di primo grado:
a) ha sostenuto l’insussistenza di un generalizzato onere dichiarativo delle sentenze penali di condanna, atteso che, sulla falsariga dell’art. 57 della Direttiva comunitaria 24/2014, l’art. 80 comma 10 del d.lgs. n. 50/2016 ha previsto una durata massima della valenza ostativa alla partecipazione della sentenza penale;
b) più precisamente, a fronte di reati in sé non ostativi (art. 80, comma 1, lett. a-f) che perlopiù prevedono ai sensi del c.p. la pena accessoria dell’incapacità a contrarre, e di altri delitti (lett. g) da cui deriva la medesima pena accessoria, sussistono dei reati “minori” (cioè non riconducibili all’art. 80, comma 1, lett. a-f e lett. g), che non prevedono la pena accessoria, ma che possono comunque impedire la partecipazione nel limite dei 3 anni dal giudicato, come previsto dall’art. 80, comma 10, del Codice appalti. Sicché, decorso tale termine triennale, la sentenza penale diverrebbe giuridicamente irrilevante ad ogni effetto di legge;
c) sulla base di queste premesse il Tar ha concluso che tale limite di rilevanza triennale inficia la rilevanza dei decreti penali intervenuti a carico del subappaltatore Toscoambiente, in quanto pronunciati in data 8 agosto 2012 e 9 luglio 2014, quindi oltre il termine di tre anni dalla dichiarazione e dalla indizione della gara;
d) il primo giudice ha inoltre rilevato che il punto D del DGUE non contiene alcuna voce nella quale far constare la sentenza penale; con l’effetto che – non potendosi percepire da parte dei concorrenti l’obbligo della dichiarazione – la stazione appaltante avrebbe dovuto prestare loro soccorso istruttorio;
e) il Tar ha infine pregiudizialmente respinto i motivi del ricorso del RTI Daf concernenti la non configurabilità del subappalto e l’obbligo per la pubblica amministrazione di consentire la sostituzione del subappaltatore.
4. Ciò posto, l’appello avanzato dal RTI Del Debbio intende stigmatizzare l’incongruenza nella quale sarebbe incorso il primo giudice nel valorizzare, come dies a quo per il calcolo del triennio di rilevanza temporale, in un caso (definito con sentenza n. 955/2019) il passaggio in giudicato della condanna, e nell’altro (definito con sentenza n. 1044/2019) la mera condanna. Se, viceversa, anche nel caso Daf si fosse tenuto conto del giudicato, il fatto ostativo sarebbe risultato nel “triennio”: ed infatti la condanna del subappaltatore di Daf (per un reato estraneo all’art. 80, co. 1, d.lgs. 50/2016, e che non ammette la sanzione accessoria) è divenuta irrevocabile (passando in giudicato) il 1.4.2015, quindi entro i tre anni dalla dichiarazione e dal bando.
4.1. Dunque, con la seconda sentenza (1044/2019) il Tar Toscana avrebbe mutato l’orientamento inaugurato con la prima pronuncia (955/2019), affermando innovativamente che i tre anni decorrono non dal giudicato, ma dalla condanna.
Senonché, sostiene Del Debbio, per “accertamento definitivo”, in materia penale, non può che intendersi la condanna definitiva e irrevocabile; e quand’anche si volesse accedere alla tesi per cui i tre anni decorrono dal “fatto”, inteso come provvedimento di accertamento non irrevocabile, occorrerebbe tenere conto del fatto che: i) il “decreto penale” viene emesso inaudita altera parte dal GIP, e successivamente notificato all’indagato. Ricevuto il decreto, l’imputato ha tempo 15 giorni per fare “opposizione” (art. 461 c.p.p.); “se non è proposta opposizione o se questa è dichiarata inammissibile, il giudice che ha emesso il decreto di condanna ne ordina l'esecuzione” (art. 462, co. 5, c.p.p.); ii) dunque, il decreto penale non ha esecutività fino al decorso dei termini di opposizione; soprattutto, esso non ha nessun rilievo fin quando non venga notificato nelle forme debite; iii) nel caso di specie, il secondo decreto a carico del subappaltatore di Daf è stato emesso il 9.7.2014 ed è divenuto esecutivo il 1.4.2015 (il casellario non dà atto di alcuna sentenza successiva ad opposizioni ma semplicemente reca: “9.7.2014, decreto penale del GIP Tribunale …, esecutivo il 1.4.2015”). Se ne desume che esso è stato notificato il 15.3.2015 (15 giorni prima dell’esecutività), cioè “nel triennio”.
4.2. In aggiunta a ciò, Del Debbio sostiene che alcun soccorso istruttorio avrebbe potuto essere prestato alla Daf, sia perché il DGUE chiedeva di esprimersi in merito agli “illeciti” di cui all’art. 80, comma 5 del d.lgs. n. 50/2016, ed è esattamente in questo ambito che avrebbe dovuto essere menzionata la condanna in questione elemento dimostrativo di illecito; sia perché il soccorso istruttorio non vale per il mendacio, né la mancata dichiarazione di una condanna nel triennio può, per definizione, dirsi coperta da buona fede.
4.3. La tesi svolta da Rad (e condivisa dalla Azienda USL Toscana Centro) intende invece dimostrare che accanto ai “motivi obbligatori di esclusione” esistono “motivi facoltativi”, rimessi alla valutazione stazione appaltante, quali quelli di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016, ragione per cui anche una condanna penale per un reato per così dire “minore” (cioè non necessariamente ostativo ai sensi dell’art. 80, comma 1) può essere valutata dall’amministrazione quale “grave illecito professionale”, e pertanto merita di essere dichiarata dall’operatore, il quale non può effettuare “filtri” selettivi in ordine alle circostanze da rappresentare o meno alla stazione appaltante, ma è tenuto a menzionare tutti i fatti in tal senso potenzialmente rilevanti, quale che sia la loro collocazione nel tempo.
La corretta interpretazione della normativa vigente sarebbe quindi nel senso che il limite di 3 anni di cui all’art. 57 dir. 24, e 80, comma 10, d.lgs. n. 50/16 (nel testo vigente) va inteso come periodo di “esclusione automatica” (salvo che intervenga self cleaning); fuori da tali casi e da tale lasso, è invece sempre possibile (non obbligatoria, ma possibile, secondo valutazione discrezionale dell’amministrazione) l’esclusione dalla gara, ed è per tale ragione che le condanne vanno sempre dichiarate, anche se risalenti nel tempo.
4.4. In sintesi, pur a fronte della comune stigmatizzazione dell’omessa o inveritiera dichiarazione, sussiste un punto di divergenza tra le posizioni delle parti appellanti con riguardo all’estensione temporale dell’obbligo dichiarativo e alla sua soggezione o meno al limite del triennio.
4.5. Il Collegio, per dirimere la controversia, ritiene di dovere dare continuità al più recente orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. III, nn. 1174/2020, 3331/2019; id., sez. V, nn. 70/2020, 1644/2019; 1649/2019) volto ad includere nel concetto di “grave illecito professionale” qualunque condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, che si riveli contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa (sez. V, n. 586/2019; n. 591/2019; n. 727/2019; id., sez. III, n. 3908/2019; n. 7231/2018; n. 4192/2017), e che risulti in grado di mettere in dubbio l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico.
Tra queste si inquadrano anche le condanne per reati non reati in sé non ostativi ai sensi dell’art. 80, comma 1, d.lgs. 50/2016.
Sulla base di questa premessa (meglio indagata nei precedenti innanzi citati ai quali per brevità ci si riporta, anche ai sensi dell’art. 88, comma 2 lett. d) c.p.a.), non è configurabile in capo all’impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scelta circa i fatti da indicare, sussistendo, al contrario, un principio di doverosa onnicomprensività della dichiarazione tale da consentire alla stazione appaltante di espletare, con piena cognizione di causa, le opportune valutazioni di sua competenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4532/2018; n. 3592/2018; n. 6530/2018).
4.6. Logico corollario di questa impostazione è quello per cui il limite temporale dei tre anni previsto dall’art. 80, comma 10, non può intendersi riferito alle ipotesi di esclusione per gravi illeciti professionali e al conseguente onere dichiarativo (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 3331/2019).
4.7. Mutuando le valutazioni espresse dalla quinta sezione su un caso speculare a quello qui in esame, in cui veniva in considerazione una condanna per attività di gestione di rifiuti non autorizzata ai sensi dell’art. 256 d.lgs. n. 152/2006 (stesso reato contestato a Toscoambiente s.r.l.), è utile segnalare come anche in quella fattispecie l’omessa indicazione non abbia assunto rilevanza “sotto il profilo dell’obbligo dichiarativo delle condanne penali definitive in sé, in quanto, anche a prescindere dal perimetro temporale di rilevanza giuridica desumibile dal comma 10 dell’art. 80, quella oggetto di controversia non rientra proprio tra le condanne espressamente contemplate dal comma primo dello stesso art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016”; ma “.. in quanto espressione di “grave illecito professionale” ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, dovendosi intendere come tale qualsiasi condotta legata all’esercizio dell’attività professionale, contraria a un obbligo giuridico di carattere civile, penale ed amministrativo (così Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192)” (Cons. Stato, sez. V, n. 6530/2018).
Diverso è, dunque, l’obbligo di dichiarare sentenze penali di condanna rientranti tra quelle previste dall’art. 80, comma 1, ovvero rilevanti ai sensi del successivo comma 5, lett. c): “nel primo caso l’esclusione è atto vincolato in quanto discendente direttamente dalla legge, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), la valutazione è rimessa alla stazione appaltante” e “tale diversità di effetti (espulsivi in un caso, meramente informativi, con finalità preistruttoria nell’altro) giustifica anche, pur nella difficile ermeneusi del comma 10 dell’art. 80, perché solo nel primo caso l’ordinamento attribuisca un’efficacia temporale alla sentenza definitiva di condanna”.
In definitiva, la limitazione triennale “attiene alla diversa rilevanza della pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la P.A. (limitazione che ben si giustifica con la natura necessariamente temporanea della sanzione afflittiva)” ma non anche “all’esercizio del potere della P.A. di escludere l’operatore economico, ai sensi del comma 5, lett. c)” (così Cons. Stato, sez. V, nn. 6529/2018 e 6530/2018).
4.8. Essendo la previsione di durata massima del periodo di interdizione dalle gare riferibile alle sole condizioni che abbiano efficacia automaticamente escludente e non anche all’ipotesi residuale di cui al comma 5, lett. c), la tesi avanzata in senso contrario da Daf e poi accolta dal Tar Toscana va respinta.
In sostanza, la sentenza di primo grado sconta un limite interpretativo nel momento in cui applica all’art. 80, comma 5 lett. c), d.lgs. 80/2016, la disciplina specificamente ed unicamente posta per le ipotesi di cui al comma 1 dal successivo comma 10, confondendo l’illecito professionale con l’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione (“periodo di esclusione” di cui all’art. 57 par. 7 della Direttiva comunitaria e “pena accessoria della incapacità di contrattare” di cui al citato comma 10).
4.9. Per l’effetto, erra il primo giudice anche nel ritenere che il DGUE non contenesse “alcuna specifica voce nella quale l’interessato avrebbe potuto far constare l’intervenuta condanna”, e che tale “non irrilevante ostacolo all’individuazione di un obbligo dichiarativo non adempiuto” avrebbe dovuto giustificare, in via residuale, l’attivazione del soccorso istruttorio (sentenza appellata, p. 11).
Al contrario, nel DGUE allegato alla documentazione di gara veniva espressamente richiesto all’operatore economico di dichiarare l’essersi o meno “reso colpevole di gravi illeciti professionali di cui all’art. 80 comma 5 lett. c) del Codice”; e poiché, come si è detto, nella nozione di grave illecito professionale astrattamente rientra anche la condanna penale in questione, nessun impedimento di carattere materiale poteva giustificarne l’omessa indicazione da parte della subappaltatrice Toscoambiente; né alcun plausibile fraintendimento, alla luce della copiosa e oramai univoca interpretazione giurisprudenziale formatasi sul tema, poteva insorgere in merito alla esatta portata dell’onere ostensivo.
4.10. Esclusa la sussistenza di concreti ostacoli alla piena esplicazione dell’obbligo dichiarativo, vale ancora ricordare che, secondo un indirizzo consolidato di questo Consiglio, il soccorso istruttorio non è invocabile allorquando il concorrente abbia omesso la dichiarazione di un episodio astrattamente rilevante ai fini della valutazione della propria affidabilità professionale (Cons. Stato, Ad. plen., n. 9/2014; Cons. Stato, sez. V nn. 7749/2019; 1527/2019; 3980/2017; 3028/2017). Lo strumento è infatti di ausilio nel chiarire o completare dichiarazioni o documenti già comunque acquisiti agli atti di gara ma non può essere utilizzato per sopperire a dichiarazioni (riguardanti elementi essenziali) radicalmente mancanti - pena la violazione della par condicio fra concorrenti.
4.11. Non ha pregio, infine, l’argomentazione difensiva del RTI Daf (v. memoria del 16.9.2019, pagg. 5 e ss.) intesa ad evidenziare l’estinzione del reato per effetto del trascorrere di oltre 2 anni dalla definitività del decreto penale, ai sensi dell’art. 460, comma 5, c.p.p..
In proposito, è sufficiente richiamare i principi espressi dalla giurisprudenza assolutamente prevalente - in relazione al vecchio codice degli appalti (d.lgs. 163/06) ma ribadita nel regime del vigente codice degli appalti (d.lgs. n. 50/2016) - secondo la quale l'estinzione del reato (che consente di non dichiarare l'emanazione del relativo provvedimento di condanna) non si determina in modo automatico per il mero decorso del tempo, ma deve essere formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione penale, che è l'unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, fino a quando non interviene tale provvedimento giurisdizionale, non può legittimamente parlarsi di "reato estinto" ed il concorrente non è esonerato dalla dichiarazione dell'intervenuta condanna (v. Cons. Stato, sez. III, 1174/2020 e l’ulteriore giurisprudenza ivi citata).
Tale tesi risulta confermata anche dal tenore testuale contenuto nell’art. 80, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016, che nell’escludere rilevanza espulsiva al reato indica come lo stesso deve essere stato “dichiarato estinto” (il che implica la necessità di una dichiarazione formale del giudice).
4.12. In concreto, poi, i fatti oggetto delle condanne penali non rappresentati alla AUSL Toscana Centro non potevano essere considerati palesemente inconferenti al giudizio di affidabilità dell'impresa, perché riguardavano reati ambientali sanzionati dall’art. 256, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 152/2006 (“attività di gestione di rifiuti non autorizzata continuato”), quindi fattispecie rilevanti nel contesto dell’affidamento di lavori di demolizione e trasporto in discarica del materiale di risulta.
5. Appurata la fondatezza dell’appello principale proposto da Rad, va invece respinta l’impostazione perorata da Del Debbio, perché intesa ad ribadire la tesi del limite di rilevanza temporale del precedente penale - pur in parziale dissenso dalla impostazione del Tar con riguardo alla individuazione del suo termine di decorrenza.
Possono invece essere assorbite le ulteriori deduzioni riferite ad asseriti profili di ultra petizione.
6. Resta da esaminare l’appello incidentale.
6.1. In disparte il primo motivo di carattere processuale (inteso a precisare la natura di raggruppamento già costituito e non costituendo dell’ATI appellante, quindi una tematica definitoria priva di apprezzabili ricadute applicative e profili di interesse), il mezzo di impugnazione incidentale si articola nelle seguenti asserzioni di merito: i) Toscoambiente s.r.l. non è subappaltatore dell’ATI Daf ma suo mero “subaffidatario” e, dunque, dovrebbe escludersi a priori l’esistenza di un obbligo dichiarativo a suo carico (secondo motivo); ii) ammessa e non concessa la rilevanza dell’omessa dichiarazione, ad essa non potrebbe mai conseguire un’esclusione automatica, potendo tale sanzione afflittiva essere disposta solo all’esito di un giudizio sull’affidabilità e sull’integrità dell’operatore, che nel caso di specie è mancato (terzo motivo). Tale tesi viene argomentata anche con richiamo (v. memoria 16.9.2019 pag. 9 e ss.) a quell’orientamento giurisprudenziale (formatosi, per vero, tempo dopo la presentazione del DGUE da parte di Toscoambiente) che reputa non applicabile l’effetto dell’automatica esclusione a fattispecie, asseritamente equivalenti a quella qui ricorrente, non già di falsa dichiarazione ma di dichiarazione al più omissiva o reticente (v. Cons. Stato, sez. V, nn. 2407/2019, 5171/2019 e 8906/2019); iii) nella medesima ipotesi in cui si dovesse ritenere che la presenza di motivi di esclusione in capo ad un aspirante subappaltatore determini l’estromissione del concorrente che lo ha designato – la legislazione nazionale risulterebbe in frontale contrasto con le norme comunitarie che essa era chiamata a recepire. Al fine di evitare tale contrasto, dovrebbe ammettersi la possibilità di sostituzione del subappaltatore, soluzione, questa, già contemplata dalla legge nelle ipotesi del concorso e dell’avvalimento ed in relazione alla quale Daf invoca in via subordinata la formulazione di una questione interpretativa pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE (quarto motivo); iv) risultano viziati in via derivata anche i provvedimenti aventi ad oggetto l’incameramento della cauzione, la segnalazione all’ANAC e all’Autorità Giudiziaria per l’applicazione delle norme vigenti in materia di false dichiarazioni (quinto motivo).
6.2. Il Collegio ritiene, innanzitutto, che la preliminare qualificazione della Toscoambiente s.r.l. quale soggetto subaffidatario e non subappaltatore del RTI Daf, non possa essere condivisa.
In senso ad essa nettamente contrario depongono le seguenti considerazioni:
i) l’art.105, comma 6, del Codice prevede l’indicazione obbligatoria della terna dei subappaltatori in sede di offerta “qualora gli appalti di lavori, servizi o forniture siano di importo pari o superiore alle soglie di cui all’art. 35 o, indipendentemente dall’importo a base di gara, riguardino le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa come individuate al comma 53 dell’art. 1 della legge 6 novembre 2012 n. 190”;
ii) nel caso di specie, tra le prestazioni oggetto del contratto di subappalto era ricompreso anche il trasporto di materiali e rifiuti a discarica, attività espressamente contemplate dalle lett. a) e b) del citato comma 53;
iii) nel DGUE prodotto in gara, tutte le imprese del costituendo RTI DAF hanno espressamente dichiarato, nell’apposita sezione “D: INFORMAZIONI CONCERNENTI I SUBAPPALTATORI...”, di voler “subappaltare parte del contratto a terzi”, specificando che le prestazioni che si intendevano “subappaltare” erano i “Servizi di Trasporti”, e rimandando per maggiori dettagli alla allegata “dichiarazione di subappalto congiunta”;
iv) con apposita dichiarazione congiunta di subappalto, poi, il RTI odierno appellante incidentale ha indicato la terna dei “subappaltatori” per le attività maggiormente esposte a infiltrazione mafiosa ex art. 1 comma 53 L. n. 190/2012, espressamente specificando che “I subappaltatori sopra indicati rilasceranno apposita documentazione relativa al possesso dei requisiti mediante compilazione del D.G.U.E., Modulo A2.0 Subappaltatori”. Tanto ciò vero che i subappaltatori hanno poi effettivamente reso la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di moralità professionale, a propria volta compilando il modello DGUE riservato ai subappaltatori. Il DGUE di Toscoambiente S.r.l., sottoscritto dal suo Amministratore Unico, nella parte II sezione A, alla domanda “Forma di partecipazione - L’operatore economico partecipa alla procedura di appalto insieme ad altri?” riporta la seguente risposta: “Subappaltatore come da dichiarazione congiunta del costituendo R.T.I.”.
6.3. Dunque, il tentativo di “derubricare” l’indicazione di Toscoambiente a mero “sub-affidamento” incontra una prima e decisiva smentita nell’inequivoco tenore testuale della documentazione amministrativa prodotta in gara e poc’anzi richiamata.
6.4. Per il resto, il discrimen tra subappalto in senso proprio e mero subaffidamento va tracciato considerando il carattere accessorio o meno delle prestazioni affidate al sub-contraente, in quanto la disciplina di cui all’art. 105 del Codice non si applica unicamente alle prestazioni meramente strumentali e solo funzionalmente collegate con quelle oggetto del contratto (ma ad esso estranee), come tali qualificabili ai sensi del comma 2 del menzionato art. 105 (cfr. Tar Pescara, sez. I, nn. 43/2018 e 199/2018).
Ai sensi della disposizione da ultimo menzionata, “Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l'impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell'importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l'incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell'importo del contratto da affidare”.
Nel caso di specie, la ricorrente non ha minimamente provato la ricorrenza di alcuna delle condizioni richieste dalla disposizione citata onde potersi escludere la sussistenza di una ipotesi di subappalto.
6.5. Aggiungasi che il servizio di trasporto, ben lungi dal profilarsi come prestazione di carattere meramente ancillare, costituisce attività centrale e ricompresa a pieno titolo nell’oggetto dell’affidamento in questione il quale, d’altra parte, non è un appalto di costruzione, ma attiene ad una duplice tipologia di attività di demolizione e di trasporto in discarica dei materiali di risulta.
Si consideri, ancora, che:
i) secondo quanto previsto dal Capitolato Speciale d’Appalto, “l’intervento prevede: … b) il conferimento a Centro Autorizzato di tutti i materiali di risulta” (part. 2.1);
ii) nella relazione generale viene prescritto che: “… i materiali dovranno essere separati per tipologia e secondo il codice CER attribuito e confezionati secondo le norme di trasporto e le indicazioni di conferimento dell’impianto di smaltimento/trattamento o recupero finale di destinazione. Sarà predisposta una zona sull’area a parcheggio attuale per il posizionamento di scarrabili, dove eseguire la cernita e la separazione delle varie tipologie per poi predisporre il trasporto. Qualora i rifiuti vengano confezionati in contenitori chiusi, quali bigbag, fusti, superfusti, cubocisterne, etc.... ogni contenitore dovrà essere numerato ed etichettato a norma di legge ed ai fini del trasporto. In particolare, detta attività di trasporto comporta “un flusso di mezzi pesanti indotto dalle attività di cantiere di circa 26 mezzi/ giorno per ogni direzione di marcia, per un totale di 52 transiti nel tragitto andata/ritorno. Detto volume di traffico, riferito alla fascia di lavori prevista su doppio turno dalle ore 6:00 alle ore 22:00, è quantificabile in circa 3 autocarri all’ora” (cfr. Relazione Generale pag. 43-44);
iii) il trasporto rifiuti costituisce attività intercettata dai criteri di valutazione dell’offerta, ai sensi del disciplinare (D2) che, all’art. 4, pag. 7, punto B, così dispone: “… saranno oggetto di valutazione le modalità di organizzazione e gestione del cantiere con particolare riguardo alla gestione della viabilità interna, all’interferenza con la viabilità cittadina, alla riduzione dell’impatto del traffico pesante, alla gestione dei rifiuti derivanti dalla demolizione (gestione dei depositi, tempi di accumulo, modalità di allontanamento …”.
iv) da ultimo, il “trasporto” è contenuto (e remunerato) in ogni voce dell’Elenco prezzi e del Computo metrico di gara (D5).
6.6. Privo di pregio è anche il rilievo secondo il quale i subappaltatori della terna indicata dall’ATI Daf per le attività di trasporto e conferimento a discarica “non dovevano eseguire alcuna delle lavorazioni oggetto di appalto riconducibili alle categorie SOA OS23 ed OG12, non risultando oltretutto in possesso delle relative qualificazioni”.
Le norme qui rilevanti non sono limitate al solo caso di subappalto necessario, quello a copertura delle carenze nelle attestazioni per le categorie a qualificazione obbligatoria. Ai fini della qualificazione in termini di subappalto del rapporto contrattuale è quindi sufficiente il fatto che le attività affidate dal RTI Daf: (i) rientrino tra quelle contemplate dall’art. 1 comma 53 L. n. 190/2012; (ii) risultino nel perimetro dell’appalto per cui è lite; (iii) siano coerenti con il citato art. 105 comma 2 del Codice.
6.7. Non persuade neppure la tesi per cui, anche in caso di attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa, in tanto è richiedibile la dichiarazione, in quanto l’attività sia qualificabile in termini di subappalto.
Innanzitutto, la tesi finirebbe per svuotare la portata applicativa della norma, consentendo cioè l’”assegnazione” di attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa, purché non qualificabili come subappalto.
In secondo luogo, a scongiurare una simile lettura è l’ampiezza del riferimento testuale agli appalti che “riguardano” attività a maggiore esposizione di infiltrazione mafiosa e, dunque, non che abbiano ad oggetto esclusivo o principale tali attività, ma che le comprendano al loro interno. Poiché l’attività di trasporto, ai fini del conferimento in discarica, è espressamente prevista e compensata nel capitolato della gara qui controversa - essendo previsto l’obbligo di differenziazione del rifiuto e del trasporto del materiale di risulta ed essendo remunerato il trasporto in tutte le voci dell’elenco prezzi del computo metrico - essa costituisce prestazione e oggetto consustanziale del contratto e, come tale, appare infondata la tesi che vorrebbe escludere la natura del conferimento del servizio dall’ambito del subappalto.
6.8. In conclusione, non è seriamente revocabile in dubbio che il servizio di trasporto sia parte integrante dell’appalto (e non invece un’attività meramente accessoria), con la conseguenza che il sub-affidamento di esso configura propriamente subappalto ex art. 105 del Codice con tutto ciò che ne consegue in punto di doverosa vigenza, a carico del subappaltatore, dell’obbligo dichiarativo di cui all’art. 80 comma 5 lett. f bis) del Codice dei contratti.
7. Ulteriore questione posta dall’appello incidentale (e oggetto specifico del quarto motivo) attiene alla pretesa facoltà di sostituzione del subappaltatore che, secondo la difesa del RTI Daf, dovrebbe trovare applicazione anche in fattispecie quale quella qui in esame, così come già previsto, peraltro, nei casi dell’avvalimento (art. 89 comma 3) e del raggruppamento di imprese (art. 48 comma 19 ter). In caso contrario, la disposizione di cui all’art. 80 comma 5 risulterebbe porsi in conflitto con l’art. 71 della Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 e con il divieto di Gold plating.
7.1. Connesso al precedente è il profilo (intercettato dal terzo motivo incidentale) inerente l’automatismo dell’effetto escludente: a detta della difesa di Daf, la misura espulsiva - per non incorrere in una violazione del principio di proporzionalità - dovrebbe essere disposta solo all’esito di un giudizio sull’affidabilità e integrità dell’operatore, e non scaturire in termini automatici e vincolanti dal mero riscontro dell’omessa (e non falsa) dichiarazione.
Il riferimento (sviluppato in modo più specifico nella memoria 4.2.2020 alle pagg. 7 e ss.) è al più recente indirizzo della giurisprudenza di questo Consiglio favorevole a sottrarre all’automatismo espulsivo della lettera f bis) dell’articolo 80, comma 5, fattispecie dichiarative del tipo qui in esame, poiché strutturalmente inidonee - a cagione della connotazione valutativa del vissuto professionale dell’azienda che si correla al concetto di “grave illecito professionale“ - ad integrare gli estremi di un falso cd. ideologico (si vedano in questo senso Cons. Stato, sez. V n. 8906/2019, 5571/2019; 2407/2019).
7.2. Il Collegio osserva che il terzo motivo è fondato, diversamente dal quarto.
La recente giurisprudenza testé richiamata (elaborata in epoca successiva ai fatti di cui qui si controverta) ha effettivamente patrocinato un distinguo fra omesse, reticenti e false dichiarazioni ai sensi dell’art. 80, comma 5, d. lgs. n. 50 del 2016, desumendone, a valle, che l’omissione comunicativa “costituisce violazione dell’obbligo informativo, e come tale va apprezzata dalla stazione appaltante”, la quale, tuttavia, è chiamata a soppesare non il solo fatto omissivo in sé, bensì anche - nel merito - “i singoli, pregressi episodi, dei quali l’operatore si è reso protagonista, e da essi dedurre, in via definitiva, la possibilità di riporre fiducia nell’operatore economico ove si renda aggiudicatario del contratto d’appalto” (Cons. Stato, n. 2407/2019).
In questo contesto, l’omessa dichiarazione di condanne non ostative ai sensi dell’art. 80 comma 1, è stata valutata come integrante una fattispecie di “omessa dichiarazione” ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 (in questi termini, Cons. Stato, sez. V, n.1649/2019; n. 2407/2019 e n. 8906/2019 e sez. III, n. 5040/2018), munita di portata escludente non in sé, cioè come mero inadempimento al dovere di informazione, ma se e nella misura in cui reputata rilevante - sia nell’omissione in sé, che, necessariamente, rispetto al fatto omesso - da parte della stazione appaltante.
A questa prima tesi se ne oppone una più risalente che ritiene l’omissione di una condanna (o di un fatto integrante un potenziale “grave illecito professionale”) di per sé una falsa dichiarazione, comportante in automatico l’esclusione dalla gara, in quanto rilevante ai sensi dell’art. 80 comma 5 lett, f bis) (Cons. Stato, Sez. V, n. 70/2020; n. 1649/2019 n. 7271/2018; n. 6529/2018).
A condivisibile supporto di questo secondo indirizzo - tale per cui nel concetto di “falsa dichiarazione” dovrebbe inquadrarsi non solamente l’ipotesi del falso “commissivo” tradizionalmente inteso, ma pure quella del falso cd. “omissivo” - si è affermato che “in materia di partecipazione alle gare pubbliche d’appalto, una consapevole “omissione” non può essere distinta, quanto agli effetti distorsivi nei confronti della stazione appaltante che la disposizione in esame mira a prevenire e reprimere, dalla tradizionale forma di mendacio commissivo. Invero, nelle procedure di evidenza pubblica l’incompletezza delle dichiarazioni lede di per sé il principio di buon andamento dell'amministrazione, inficiando ex ante la possibilità di una non solo celere ma soprattutto affidabile decisione in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla gara; una dichiarazione inaffidabile, perché falsa o incompleta, è già di per sé stessa lesiva degli interessi tutelati, a prescindere dal fatto che l'impresa meriti o no di partecipare alla procedura competitiva; peraltro l'omessa dichiarazione ha il grave effetto di non consentire proprio all'Amministrazione una valutazione ex ante” (Cons. Stato, sez. V, n. 7271/2018 e sez. IV, n. 2771/2017).
Nello stesso senso si è di recente espressa questa sezione (con le pronunce nn. 1174/2020; 7173/2018; 3331/2019 quest’ultima riferita ad una ipotesi, equivalente a quella qui in esame, nella quale è stata ritenuta contrastante con il disposto dell’art. 80 comma 5 lett f bis) la risposta negativa resa alla domanda “L’operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali di cui all’art. 80 comma 5 lett. c) del Codice”).
7.3. L’effetto dell’automatismo escludente risente, piuttosto, del recente pronunciamento della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2020, C-395/18), reso su ordinanza 29 maggio 2018, n. 6010 del Tar Lazio.
Si tratta di decisione riferita ad una fattispecie concreta non significativamente distante da quella qui in esame, in quanto riguardante l’esclusione di un operatore il cui subappaltatore era risultato non in regola con le norme che disciplinano l'accesso al lavoro dei disabili (art. 80 comma 5 lett. i) del d.lgs. n. 50/2016).
L’indirizzo del giudice comunitario è condensato nell’affermazione di principio per cui “l'articolo 57, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2014/24 non osta ad una normativa nazionale, in virtù della quale l'amministrazione aggiudicatrice abbia la facoltà, o addirittura l'obbligo, di escludere l'operatore economico che ha presentato l'offerta, dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell'appalto, qualora nei confronti di uno dei subappaltatori menzionati nell'offerta di detto operatore venga constatato il motivo di esclusione previsto dalla disposizione sopra citata. Per contro, tale disposizione, letta in combinato disposto con l'articolo 57, paragrafo 6, della medesima direttiva, nonché il principio di proporzionalità, ostano ad una normativa nazionale che stabilisca il carattere automatico di tale esclusione” (par. 55).
La Corte di Giustizia pone l’accento sulla portata dell’art. 57, paragrafo 6 della direttiva 2014/24/UE il quale statuisce espressamente che “Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto”.
L’art. 57, paragrafo 6 della direttiva 2014/24/UE, stando alla ricostruzione operata dalla pronuncia in esame, rappresenta esternazione del principio di proporzionalità (art. 5 TUE, paragrafo 4), quale principio generale del diritto dell’Unione, ragion per cui le amministrazioni nazionali non possono non tenerne conto nell’applicare i motivi di esclusione facoltativi, come quello enunciato al paragrafo 4, lettera a) dell’articolo 57 della direttiva. Al contempo, le autorità tanto comunitarie quanto nazionali non possono imporre, sia con atti normativi che amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore (cioè sproporzionata) a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento sia idoneo (cioè adeguato all’obiettivo da perseguire) e necessario (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile). Tale obiettivo può ben essere perseguito, secondo i giudici della CGUE, lasciando all’amministrazione aggiudicatrice la facoltà di valutare, caso per caso, le particolari circostanze del caso di specie, e all’operatore economico quella di dimostrare la propria affidabilità malgrado la constatazione della violazione, dato che si tratta pur sempre di una violazione commessa non da lui direttamente, quanto piuttosto da un soggetto estraneo alla sua impresa.
7.4. Ne viene che:
- l’effetto espulsivo del subappaltante dalla procedura di gara (quindi nella fase di valutazione delle offerte), conseguente ad una posizione di irregolarità del subappaltatore, costituisce soluzione consentita dalla normativa comunitaria, in alternativa a quella della mera sostituzione del subappaltatore medesimo;
- il maggior rigore adottato dal legislatore nazionale, tuttavia, non può giungere sino al punto di privare, da un lato, l'operatore economico che ha presentato l'offerta “della possibilità di fornire elementi circostanziati in merito alla situazione e, dall'altro, l'amministrazione aggiudicatrice della possibilità di disporre di un margine di discrezionalità” (par. 54):
- la stessa amministrazione è chiamata a considerare gli elementi di prova forniti da tale operatore in funzione della gravità della situazione e delle particolari circostanze del caso di specie;
- il ricorso a questi correttivi mitigatori è necessario per rendere l’esito espulsivo conciliabile con il principio di proporzionalità (oltre che con l'articolo 57, paragrafi 4 e 6, della direttiva 2014/24) e si giustifica in ragione del fatto che l’espulsione colpisce l’operatore economico che ha presentato l’offerta “per una violazione commessa non da lui direttamente, bensì da un soggetto estraneo alla sua impresa, per il controllo del quale detto operatore può non disporre di tutta l’autorità richiesta e di tutti i mezzi necessari” (par. 48).
7.5. Per giustificare la trasposizione al caso in esame delle affermazioni di principio enunciate dalla Corte di Giustizia, pur nella parziale diversità delle vicende a confronto (riferite alle ipotesi di cui alle lettere i) e f bis) dell’art. 80 comma 5), occorre ulteriormente segnalare che:
- le due fattispecie originano entrambe da ipotesi di esclusione facoltative (riconducibili all’art. 57 comma 4, rispettivamente lettere a) c) e h);
- nel giudizio della Corte, l’ipotesi di cui alla lettera i) dell’art. 57 comma 4, intercetta interessi di rilievo primario, nei diversi e cruciali settori del diritto ambientale, sociale e del lavoro (v. par. 38 sent.). Ne consegue che le cautele procedurali individuate nella pronuncia devono ritenersi, a fortiori, in quanto di maggior favore per l’impresa interessata, estensibili anche a casi riferiti a violazioni di minore gravità;
- comune alle due fattispecie comparate è la ratio cautelativa connessa alla estraneità della irregolarità contestata alla sfera giuridica dell’operatore economico direttamente partecipante alla gara.
A questo specifico proposito, Daf afferma che la Toscoambiente ha omesso di dichiarare decreti penali di condanna per i quali beneficia della non menzione e, quindi, non risultanti dai casellari giudiziali “ordinari”, ma soltanto da quelli che vengono richiesti dalle pubbliche amministrazioni.
7.6. Le indicazioni del giudice comunitario, per le ragioni sin qui esposte applicabili anche al caso in esame, inducono a concludere per l’infondatezza del quarto motivo incidentale e per la fondatezza del terzo motivo incidentale.
8. Quanto ai provvedimenti di segnalazione del fatto all’ANAC e all’autorità giudiziaria (quinto motivo incidentale), essi scaturiscono dall’accertata irregolarità della dichiarazione resa in gara dalla subappaltatrice Toscoambiente e rispondono al disposto del comma 12 dell’art. 80.
Spetta alle Autorità destinatarie della segnalazione, naturalmente, valutare il fatto sotto gli ulteriori profili di loro competenza.
9. Va invece accolto il motivo di censura indirizzato nei confronti del provvedimento di incameramento della cauzione provvisoria, in quanto, nella tratteggiata fase di rivalutazione che consegue all’accoglimento del terzo motivo incidentale, non può ancora dirsi realizzato il presupposto applicativo dell'art. 93, comma 6, del d.lgs. 50/2016, ovvero “la mancata sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all'affidatario o all'adozione di informazione antimafia interdittiva”.
10. La fondatezza dell’appello principale proposto da Rad e quella parziale dell’appello incidentale impongono, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado limitatamente al terzo e al quinto motivo ivi dedotti.
Ne consegue l’obbligo dell’amministrazione, per un verso, di rinnovare il sub procedimento di verifica dell’affidabilità dell’offerente, in relazione alle ragioni “giustificatrici” la mancata dichiarazione delle sentenze penali; e, per altro verso, di procedere, nelle more, allo svincolo della cauzione provvisoria.
11. L’esito della lite e la peculiarità delle questioni trattate, in buona parte lumeggiate da indirizzi interpretativi delineatesi in concomitanza con lo svolgimento dei due gradi di giudizio, giustificano la complessiva e unitaria compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti:
- li riunisce, ai sensi dell’art. 70 c.p.a.;
- in relazione alla causa R.G. 7212/2019, respinge l’appello principale;
- in relazione alla causa R.G. 7227/2019 accoglie, ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, gli appelli principale e incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado unicamente in relazione al terzo e al quinto motivo di censura, respingendo i rimanenti motivi;
- compensa le spese dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2020.
Guida alla lettura
La terza Sezione del Consiglio di Stato è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla possibilità per la stazione appaltante di escludere automaticamente l'operatore nelle ipotesi in cui il subappaltatore abbia omesso di dichiarare la sussistenza di una sentenza penale condanna definitiva emessa anteriormente al triennio. In particolare, l'interrogativo posto al Collegio riguardava l'ascrizione della "consapevole omissione" nel novero delle clausole di per sè escludenti, ovvero in quelle che necessitano, ai fini dell'esclusione di un'attività valutativa da parte della Stazione appaltante.
Prima di analizzare le statuizioni cui è pervenuto il Collegio è necessario perimetrare ratione temporis la decisione in rassegna. La vicenda in oggetto, infatti, trae origine da una procedura indetta anteriormente al d.l. 14 dicembre n. 135, convertito in legge n. 12/2019. Conseguentemente, la decisione si basa sull'applicazione della disciplina di cui all'art. 80, comma 5 del D.lgs 50/2016 antecedente alle modifiche apportate nel 2018. I correttivi, per quanto di interesse in questa sede, hanno riguardato, sostanzialmente l'espunzione dell'elenco esemplificativo concernente i gravi illeciti professionali.
Ciò chiarito relativamente all'individuazione della normativa applicabile nel caso di specie, è possibile analizzare le statuizioni del Collegio.
La vicenda portata al vaglio della Sezione riguarda l'illegittimità o meno del provvedimento di esclusione di una impresa a seguito dell'accertamento dell'omessa dichiarazione di una condanna penale definitiva emessa nel triennio antecedente la gara a carico del subappaltatore. La questione è strettamente connessa al rischio di violazione del principio di proporzionalità di matrice europea, considerando che nell'ipotesi in oggetto l'operatore economico si troverebbe ad essere escluso automaticamente per una omissione derivante da un soggetto diverso dal partecipante alla gara. Ciò in considerazione dell'art. 105 del codice dei contratti pubblici che prescrive il possesso dei requisiti anche in capo al subappaltatore. Il problema nasce, nell'ipotesi in rassegna, dalla sussistenza o meno di un automatismo espulsivo nei casi di omesse dichiarazioni.
Sulla questione si contrappongono due distinti orientamenti. Un primo indirizzo ai fini della risoluzione della questione distingue tra omesse, reticenti e false informazioni, ritenendo che nelle ipotesi di omesse informazioni non possa invocarsi l'automatismo espulsivo. I sostenitori della tesi in parola, ritengono che nelle ipotesi di violazione dell'obbligo informativo non integranti i motivi di esclusione di cui all'art. 80, comma 1 del codice dei contratti pubblici, la stazione appaltante debba valutare se l'ommissione sia tale da determinare la perdita di fiducia in capo all'operatore economico. Conseguentemente, la stazione appaltante dovrebbe effettuare una valutazione circa il peso da attribuire all'omessa informazione.
A tale indirizzo si contrappone quello più rigoroso, in virtù del quale l'omessa dichiarazione di una condanna è di per sè una falsa dichiarazione, che conseguentemente determina l'automatica esclusione dell'operatore. In particolare, ad avviso dei fautori della tesi in commento, "la consapevole omissione" comporta effetti distorsivi della procedura di gara analoghi a quelli prodotti dalla falsa dichiarazione. Ne deriva, pertanto, che l'omessa dichiarazione genera l'automatica esclusione, non consentendo alla Pubblica Amministrazione una valutazione ex ante. L'orientamento appena descritto, seppure convincente sul piano dell'assimilazione dell'omissione al mendacio, equiparazione effettuata anche sul piano penalistico dall'art. 479 c.p., deve, tuttavia, essere riletto alla luce del principio di proporzionalità, invocato in una vicenda analoga dalla Corte di Giustizia (CGUE 30 gennaio 2020, C – 395/18). In particolare, ad avviso della Corte di Giustizia, l'articolo 57, paragrafo 4, lettera a9, della direttiva 2014/14 non osta ad una normativa nazionale, in virtù della quale l'amministrazione aggiudicatrice abbia la facoltà, o addirittura l'obbligo, di escludere l'operatore economico che ha presentato l'offerta, dalla partecipazione allaprocedura di aggiudicazione dell'appalto, qualora nei confronti di uno dei subappaltatori menzionati nell'offerta di detto operatore venga constatato il motivo di esclusione previsto dalla disposizione sopra citata. Per contro, tale disposizione, letta in combinato disposto con l'art. 57, paragrafo 6, della medesima direttiva, nonchè il principio di proporzionalità, ostano ad una normativa nazionale che stabilisca il carattere automatico di tale esclusione. La Corte di Giustizia, nella sentenza menzionata pone l'accento sull'art. 57, paragrafo 6 della direttiva sopra citata, sostenendo che la disposizione in parola rappresenti estrinsecazione del principio di proporzionalità, principio di cui le pubbliche amministrazioni devono tener conto nell'applicare l'esclusione nei casi facoltativi. La proporzionalità consiste nell'esercitare la giusta misura del potere in modo tale da assicurare un'azione idonea e adeguata alle circostanze del fatto, che non alteri il giusto equilibrio tra i valori, gli interessi e le situazioni giuridiche. In altri termini, la pubblica amministrazione deve adottare la soluzione idonea comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti e si risolve nell'affermazione che le autorità, dell'Unione e nazionali, non possono imporre, sia con atti normativi che con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto eurounitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria, nel pubblico interesse, per il raggiungimento dello scopo. Occorre che il provvedimento sia idoneo, ossia adeguato all'obiettivo da perseguire, e necessario, in quanto nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile. In definitiva, in ragione del principio di proporzionalità, nelle ipotesi di motivi di esclusione facoltativi, la pubblica amministrazione potrà disporre l'esclusione solo a seguito di una valutazione delle particolari esigenze del caso concreto.
Trasponendo le coordinate sopra tracciate al caso di specie, e accogliendo, di conseguenza il ricorso in parte qua, il Collegio ha ritenuto che trattandosi di motivi facoltativi di esclusione e riconducibili ad una violazione commessa non direttamente dal concorrente ma da un soggetto estraneo alla sua impresa, l'esclusione automatica avrebbe comportato una violazione del principio di proporzionalità, con conseguente lesione delle libertà del concorrente.
In definitiva, pur potendo ricondurre l'omissione del subappaltatore al falso commissivo, che comporterebbe l'automatica esclusione dalla gara, nelle ipotesi in cui l'omissione afferisca ad uno dei motivi facoltativi di esclusione, ai fini di poterla stabilire occorre una valutazione da parte della stazione appaltante. Ciò in applicazione del principio di proporzionalità, tenuto anche conto che le ricadute negative dell'esclusione inciderebbero su un soggetto, l'operatore economico, che non ha posto in essere il fatto oggetto dell'omissione. La mancata valutazione della particolare fattispecie concreta, in simili ipotesi, condurrebbe ad una non consentita violazione del principio di proporzionalità.