Consiglio di Stato, Sezione IV, 9 marzo 2020, n. 1686

La sospensione dell’efficacia del provvedimento e la rimessione in termini per l’esercizio di tutti gli atti di partecipazione costituiscono adeguata tutela delle prerogative di partecipazione al procedimento del destinatario. La tutela delle facoltà di partecipazione al procedimento non necessita di annullamento del provvedimento con reiterazione ex novo del procedimento: a prescindere dal nomen iuris, una formale sospensione dell’efficacia del provvedimento, con nuova valutazione al termine della rinnovata fase dialettica, è pienamente satisfattiva in quanto equivalente, nella sostanza, ad annullamento

La pronuncia in commento ha ad oggetto l’annullamento di un decreto di addebito di credito erariale. Il destinatario del provvedimento lamentava, con istanza all’amministrazione, di non essere stato notiziato del procedimento e, quindi, di non essere stato in grado di parteciparvi; sollecitava, pertanto, l’annullamento in autotutela e la riedizione del procedimento. L’Amministrazione rispondeva sospendendo l’efficacia del decreto di addebito dichiarando, inoltre, di restare in attesa di memorie e contro-deduzioni. Il destinatario insisteva per l’annullamento in autotutela e proponeva, quindi, ricorso presso il TAR del Lazio chiedendo l’annullamento del provvedimento e il risarcimento del danno.

Il TAR del Lazio ha ritenuto sufficientemente tutelato l’interessato mediante la sospensione dell’efficacia del provvedimento e la rimessione in termini per l’esercizio degli atti di partecipazione. Infatti, la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, con rimessione in termini per l’esercizio delle prerogative di partecipazione, è un sostanziale annullamento, mentre il provvedimento formalmente sospeso resta, nella sostanza, mera contestazione.

Il Consiglio di Stato ha confermato le argomentazioni del Tribunale, specificando che la partecipazione al procedimento è un valore sostanziale e le forme dell’azione amministrativa hanno funzione servente: la violazione di queste ultime non è ex se sufficiente a determinare l’illegittimità del provvedimento, per integrarsi la quale deve sussistere un effettivo e concreto vulnus alle facoltà di partecipazione.

Il valore sostanziale della partecipazione può essere, in definitiva, garantito per mezzo della formale sospensione del provvedimento, seguito da nuova valutazione. Tale sospensione, purché accompagnata da rimessione in termini e da nuova valutazione degli interessi coinvolti, garantisce la stessa tutela di una formale riedizione del procedimento.  

LEGGI LA SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6810 del 2017, proposto dal capitano di fregata Omissis, rappresentato e difeso dall'avvocato Roberto Modena, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte delle Gioie, n. 24;

contro

Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Colonnello OMISSIS, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Roma, Sezione I-bis, n. 2201 del 9 febbraio 2017, resa tra le parti, concernente addebito di credito erariale.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Roberto Modena e l’avvocato dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO e DIRITTO

1. Con decreto n. 1 dell’11 marzo 2015 il Ministero della difesa addebitava al capitano di fregata del Corpo di commissariato della Marina Militare Omissis un danno erariale (rateizzabile) pari ad € 872,92, conseguito alla “ripetizione di approvvigionamenti di materiale a prezzi maggiori rispetto a medesime precedenti acquisizioni” disposta dal medesimo Omissis, con condotta connotata da “colpa grave”, nella qualità di capo servizi amministrativi dell’Ufficio Amministrazioni Speciali (U.A.S.) della Marina Militare.

1.1. Con istanza dell’11 maggio 2015 il Omissis rappresentava all’Amministrazione di non essere stato notiziato del procedimento e, quindi, di non essere stato messo in condizione di parteciparvi: il Omissis, pertanto, sollecitava l’annullamento in autotutela del provvedimento e la riedizione ex novo del procedimento.

1.2. Con comunicazione via p.e.c. del 20 maggio 2015 l’Amministrazione, “ritenute valide le osservazioni esposte”, disponeva di “sospendere l’applicazione del decreto di addebito” e dichiarava di restare in “attesa di ricevere, entro 30 giorni dalla ricezione della presente, memorie o contro-deduzioni dell’interessato circa i fatti addebitati, comprendendo nel termine predetto un eventuale accesso agli atti … Al termine dell’eventuale ulteriore valutazione, ove dovessero pervenire le citate memorie o contro-deduzioni, sarà confermato l’addebito decretato o si procederà ad un’eventuale riforma dello stesso”.

1.3. Il Omissis, con missiva in data 29 maggio 2015, replicava ribadendo l’ineludibile necessità, a suo avviso, di annullare il provvedimento e rieditare ab initio il procedimento, precisando che, in mancanza di tempestivo riscontro, avrebbe impugnato il decreto nelle opportune sedi giurisdizionali.

1.4. Non avendo ricevuto comunicazione da parte dell’Amministrazione, il Omissis provvedeva, dunque, ad impugnare il provvedimento dinanzi al T.a.r. per il Lazio, lamentandone la nullità o, comunque, l’illegittimità per la violazione delle proprie prerogative di partecipazione e svolgendo connessa domanda di risarcimento dei danni rivolta direttamente a carico dell’Ufficiale che aveva sottoscritto l’atto di addebito (il colonnello Brancati), “eventualmente in solido con il Ministero della difesa”.

1.5. Si costituiva in resistenza l’Amministrazione.

1.6. Il Omissis, quindi, radicava ricorso per motivi aggiunti, con cui, a seguito della formulazione delle difese da parte dell’Amministrazione, argomentava ulteriormente le proprie censure e svolgeva anche considerazioni inerenti al merito dell’addebito.

2. Con la sentenza gravata il T.a.r. ha rigettato il ricorso sulla scorta delle seguenti argomentazioni:

- “le censure avanzate dal ricorrente nel ricorso principale attengono esclusivamente alle violazioni formali per la procedura utilizzata dalla p.a. nella definizione dell’addebito al predetto, atteso che il ricorso per motivi aggiunti (rectius: memoria di replica) non ha censurato ulteriori atti connessi e/o collegati al primo, ma ha, come detto, replicato alle osservazioni avanzate dalla difesa erariale e relative al merito della vicenda”;

- l’opzione difensiva coltivata dal ricorrente (secondo cui “il provvedimento di sospensione di efficacia dell’addebito adottato dalla p.a. non era sufficiente e, pertanto, la parte resistente avrebbe dovuto provvedere all’annullamento dell’intera procedura ed alla ripetizione della stessa”) avrebbe “carattere meramente formale” e non sarebbe condivisibile, giacché “l’Amministrazione, dopo aver sospeso l’efficacia del provvedimento in questa sede contestato, ha di fatto rimesso in termini l’incolpato autorizzandolo a presentare memorie, controdeduzioni e consentendo l’acceso agli atti del procedimento, preannunciando una ulteriore valutazione della vicenda al termine di tale fase dialettica”;

- altrimenti detto, “a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalla p.a. (sospensione), la stessa ha provveduto, nella sostanza, ad un vero e proprio annullamento della procedura già avviata e definita con l’addebito in questa sede censurato. Tale evenienza emerge chiara ed univoca proprio dalla nota di sospensione della esecuzione del provvedimento di addebito, in cui l’amministrazione, in buona sostanza, ha rimesso in termini il ricorrente per una effettiva sua partecipazione dialettica al procedimento, compreso l’accesso ai documenti, così che la relazione finale ed il conseguente provvedimento di addebito devono intendersi quale mera contestazione di addebiti, atteso che le eventuali controdeduzioni del ricorrente avrebbero comportato la necessità di una loro attenta disamina nel contesto procedimentale e nella definizione finale del provvedimento”;

- in definitiva, “nel caso di specie la sostanziale partecipazione del ricorrente al procedimento per cui è causa risulta garantita proprio dalle successive determinazioni della p.a. e dalle necessarie conseguenze che tale partecipazione avrebbe comportato proprio sul provvedimento finale”: pertanto, “le censure svolte dalla parte ricorrente, limitate, come detto, a contestare la illegittimità formale del procedimento originario secondo il canone della nullità assoluta, non colgono nel segno, anche perché la parte ha omesso di considerare il successivo provvedimento di sospensione dell’addebito assunto dalla p.a. e parte integrante della procedura amministrativa in contestazione”;

- in conclusione, “gli originari vizi del procedimento di addebito, immediatamente segnalati dalla parte alla p.a., hanno trovato, in quest’ultima, immediato riscontro che, in disparte il nomen iuris utilizzato: sospensione, di fatto hanno prodotto la riapertura della procedura, garantendo la partecipazione dialettica del ricorrente, con l’obbligo per la p.a. di motivare anche sulle eventuali controdeduzioni della parte”;

- di converso, “non possono assumere alcun rilievo nel presente scrutinio i successivi motivi aggiunti che, come detto, in realtà sono da configurare quale mera memoria di replica, atteso che i predetti, rispetto all’originario provvedimento sono intervenuti oltre il previsto termine decadenziale, ed hanno sollevato questioni nuove (sia pure in replica alla memoria dell’avvocatura) attinenti all’originario provvedimento, mai avanzate nel ricorso originario, né, si può dire, che le stesse rappresentano una precisazione delle originarie censure”.

3. Il ricorrente ha interposto appello (esteso per ben 56 pagine).

3.1. Si è costituita in resistenza l’Amministrazione.

3.2. In vista della trattazione il solo ricorrente ha versato in atti difese scritte.

3.3. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 30 gennaio 2020, nel corso della quale il Collegio ha segnalato alle parti, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., la mancanza dell’autorizzazione al superamento del limite dimensionale dell’atto di appello di cui al combinato disposto degli artt. 3 c.p.a., 13-ter disp. att. c.p.a., 3 e 7 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016: il patrono di parte ricorrente, sul punto, si è rimesso al Collegio.

4. L’appello è sia inammissibile sia infondato e, pertanto, deve essere respinto nella sua globalità.

5. Il Collegio, anzitutto, rileva che non possono essere presi in considerazione i rilievi svolti nell’atto di appello nelle pagine successive alla 35^ per violazione dei limiti dimensionali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016 (cfr. in particolare, gli articoli 3 e 8): ne consegue la radicale non esaminabilità della parte di appello con cui si reiterano i motivi aggiunti formulati in primo grado (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 2018, n. 2190; v. anche, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2020, n. 803).

5.1. Sul punto, invero, il Collegio osserva che la parte ricorrente non si è premunita né di ottenere la previa autorizzazione al superamento di siffatti limiti (art. 6 del decreto), né di inoltrare successiva istanza al fine di conseguire un’autorizzazione postuma (art. 7 del decreto), di cui, oltretutto, non ricorrerebbero le condizioni, difettando nella materia del contendere i richiesti “gravi e giustificati motivi”, essendo con ogni evidenza possibile, nella specie, contenere le difese nel pur ampio spazio di 35 pagine.

6. Quanto al resto, il Collegio osserva che il ricorso in appello, connotato da un’alluvionale esposizione di argomentazioni - condensate senza alcuna apprezzabile organicità in un unico motivo - è privo del requisito essenziale della specificità delle censure ex art. 101, comma 1, c.p.a. (richiamato e specificato dall’art. 2 del cennato decreto del Presidente del Consiglio di Stato) ed è, dunque, ex se inammissibile (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 luglio 2018, n. 4413).

6.1. Parimenti inammissibile è, poi, la domanda di condanna al risarcimento del danno proposta, in sede di giurisdizione amministrativa, direttamente nei confronti del funzionario pubblico per l’attività svolta nell’esercizio delle sue funzioni, alla stregua del consolidato indirizzo delle Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr., fra le tante, ord. 3 ottobre 2016, n. 19677).

7. Per scrupolo motivazionale, comunque, il Collegio osserva nel merito - nei limiti di quanto evincibile dall’atto di appello - quanto segue.

7.1. Non si è verificata alcuna effettiva e concreta lesione delle prerogative procedimentali del ricorrente, posto che l’Amministrazione lo ha messo in condizione di interloquire, con espressa riserva, all’esito, di un’eventuale modifica del decisum, la cui applicazione, nelle more della rinnovata fase procedimentale, era stata, per di più, unilateralmente sospesa.

7.1.1. Sul punto, il Collegio conviene con l’esegesi sostanzialistica propugnata dal Tribunale.

7.1.2. Invero, la partecipazione al procedimento è un valore sostanziale cui le forme dell’azione amministrativa sono meramente serventi: pertanto, la violazione delle forme attinge la soglia dell’illegittimità solo e nei limiti in cui ne sia conseguito un concreto ed effettivo vulnus alle facoltà di partecipazione dell’interessato.

7.1.3. Nella specie, di contro, il Omissis è stato messo nella condizione di interloquire con l’Amministrazione, di presentare memorie e documenti e di accedere a quelli in possesso dell’Amministrazione entro un termine prima facie congruo (30 giorni), riservandosi l’Amministrazione, all’esito di tale segmento procedimentale, una nuova valutazione dei fatti.

7.1.4. In tal modo, è stato pienamente assicurato il valore (appunto, sostanziale) della partecipazione procedimentale con un’intensità, un’ampiezza ed una pienezza del tutto analoga a quella che il ricorrente avrebbe ottenuto mediante la riedizione del procedimento.

7.1.5. A fortiori, la violazione di forme del procedimento non determina il radicale vizio della nullità, predicabile solo nei casi eccezionali enucleati nell’art. 21-septies l. n. 241 del 1990 (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. un., 5 marzo 2018, n. 5097 e 3 ottobre 2016, n. 19682; Cons. Stato, Sez. IV, 24 maggio 2016, n. 2202).

7.2. Non si apprezza, poi, alcuna incompetenza o, comunque, incompatibilità dell’ufficiale inquirente (avente il grado il capitano di fregata), essendo irrilevanti l’anzianità nel grado e, più in generale, l’anzianità di servizio: l’art. 452 d.p.r. n. 90 del 2010, infatti, richiede solo la parità di grado; del resto, ogni qual volta la legge intende far riferimento anche all’anzianità nel grado, lo precisa espressamente.

7.3. Non vi è, inoltre, alcun difetto di motivazione, avendo l’Amministrazione debitamente osteso le ragioni poste a fondamento dell’impugnato atto di addebito.

8. In conclusione, il ricorso in appello è:

- non esaminabile dalla pagina 35 in poi e comunque, anche per tale ragione, inammissibile nel suo complesso, per violazione dell’art. 101, comma 1, c.p.a.;

- inammissibile nella parte in cui invoca la condanna al risarcimento del danno direttamente nei confronti dell’ufficiale che ha sottoscritto l’atto impugnato;

- infondato nel merito, per quanto è dato capire dalla disamina dello stesso.

9. Le spese del grado non possono che seguire la soccombenza e sono liquidate, anche ai sensi di cui all’art. 26, comma 1, c.p.a., nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente Omissis a rifondere al Ministero della difesa, anche ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a., le spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi € 4.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.