Cons. Stato, sez. V, 20 gennaio 2020, n. 444

1. Il legittimo ricorso al criterio del minor prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma 4, lett. b) del Codice dei contratti pubblici, in deroga alla generale preferenza accordata al criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa, si giustifica, tra altro, per l’affidamento di forniture o di servizi che siano, per loro natura, strettamente vincolati a precisi e inderogabili standard tecnici o contrattuali ovvero caratterizzati da elevata ripetitività e per i quali non vi sia quindi alcuna reale necessità di far luogo all’acquisizione di offerte differenziate.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

sentenza

sul ricorso in appello numero di registro generale 2863 del 2019, proposto da
Deco s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Xavier Santiapichi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Eco.Lan. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Maurizio Zoppolato, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Cogesa s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa prima dall’avvocato Stefano di Nino, poi dall’avvocato Alessandro Scelli, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione prima, n. 49/2019, resa tra le parti.

Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Eco.Lan. s.p.a.;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Cogesa s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 17 ottobre 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Nicoletta Tradardi, su delega dell’avv. Santiapichi, e Maurizio Zoppolato, anche in dichiarata delega dell’avv. Alessandro Scelli;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Eco.Lan., società per azioni a capitale interamente pubblico partecipata da numerosi comuni della provincia di Chieti operante nella gestione del ciclo dei rifiuti e del servizio di igiene urbana, con esclusione del servizio di trattamento meccanico-biologico dell’indifferenziata, indiceva con bando del 4 aprile 2018 una gara per l’affidamento a terzi di durata annuale di tale ultimo servizio a favore di alcuni comuni soci.

Deco s.p.a. impugnava con autonomi ricorsi proposti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, l’ammissione alla procedura dell’altra partecipante alla gara Cogesa s.p.a., società pubblica interamente detenuta da enti locali ricadenti nel territorio della regione Abruzzo, e l’aggiudicazione della gara intervenuta a favore della medesima Cogesa, chiedendone l’annullamento e domandando anche il risarcimento del danno.

Eco.Lan. e Cogesa si costituivano in resistenza in entrambi i predetti giudizi.

Con sentenza n. 49/2019 la sezione prima dell’adito Tribunale:

- riuniva i ricorsi per connessione oggettiva e soggettiva;

- respingeva l’eccezione di Cogesa di inammissibilità del ricorso avverso la sua ammissione alla gara e lo esaminava nel merito, ritenendo infondate le censure relative al presunto mancato possesso dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), alla computabilità dei servizi analoghi dichiarati e la sua capacità di partecipare alla gara; riteneva altresì manifestamente infondate le connesse questioni di costituzionalità e di compatibilità con norme eurounitarie sollevate in via subordinata;

- respingeva anche il ricorso proposto da Deco avverso l’aggiudicazione, ritenendo infondate sia le censure formulate in via derivata che quelle rivolte avverso l’utilizzo del criterio del minor prezzo e della formula correttiva fondata sul costo del trasporto, anziché di quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa;

- condannava Deco alle spese di giudizio in favore di entrambe le parti resistenti.

Deco ha appellato la predetta sentenza e ne ha chiesto la riforma, deducendo: 1) Quanto alle censure relative all’AIA, error in iudicando e in procedendo per perplessità e mancanza di motivazione, violazione e falsa applicazione di legge, art. 83 d.l.gs. n. 50/2016, art. 29-octies d.lgs. n. 152/2006, circolare MATTM n. 22295 del 27 ottobre 2014, determina regionale n. Da13/09 del 13 gennaio 2015, lex specialis di gara, art. 15, eccesso di potere per erronea individuazione dei presupposti di fatto e di diritto; 2) Quanto alle censure relative ai requisiti di qualificazione (servizi analoghi), error in iudicando e in procedendo per perplessità e mancanza di motivazione, violazione e falsa applicazione di legge, artt. 3, 80 e 83 comma 1 lett. c) d.lgs. n. 50/2016, della lex specialis di gara e del disciplinare § 17.3.5., eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea individuazione dei presupposti di fatto e di diritto; 3) Quanto alle censure relative ai requisiti di qualificazione (servizi analoghi), sotto altro profilo, error in iudicando e in procedendo per perplessità e mancanza di motivazione, violazione e falsa applicazione di legge, violazione dell’art. 107, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), versione consolidata, da ultimo modificato dall’articolo 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.130 ed entrato in vigore (aiuti di stato), eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea individuazione dei presupposti di fatto e di diritto; 4) Quanto alle censure relative ai requisiti di qualificazione, sotto altro profilo, error in iudicando e in procedendo per perplessità e mancanza di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 80 d.lgs. n. 50/2016, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea individuazione dei presupposti di fatto e di diritto; 5) Quanto al criterio di aggiudicazione (minor prezzo), error in iudicando e in procedendo per perplessità e mancanza di motivazione, violazione di legge, art. 95 comma 4 lett. b) e comma 5 d. lgs. n. 50/2016 e linee guida n. 2 (delibera n. 1005 del 21 settembre 2016), sotto altro profilo, violazione di legge, art. 95 comma 4 lett. b) e comma 5 d. lgs. n. 50/2016 e d.lgs. n. 152/2006, art. 182-bis, principio di prossimità, l. n. 241/1990 per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, eccesso di potere per travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità.

Sono state riproposte, in via subordinata, le questioni di legittimità costituzionale e di pregiudiziale comunitaria.

Eco.Lan. e Cogesa si sono costituite in resistenza, domandando la reiezione del ricorso.

Tutte le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 17 ottobre 2019.

DIRITTO

1. Con il primo motivo l’appellante Deco s.p.a. lamenta l’erroneo rigetto della censura con la quale era stato sostenuto che Cogesa s.p.a. non avrebbe potuto essere ammessa alla gara per il mancato possesso, richiesto a pena di esclusione dalla lex specialis, dell’autorizzazione integrata ambientale-AIA per l’esercizio dell’impianto sito in località Noce Mattei del Comune di Sulmona e il trattamento dei rifiuti urbani non indifferenziati: nello specifico l’appellante ha contestato la validità dell’AIA n. 9/11 del 9 dicembre 2011 prodotta in gara da Cogesa s.p.a., in quanto rilasciata a favore di altro soggetto (Cogesa s.r.l.) e comunque scaduta (il 9 dicembre 2016) prima della stessa partecipazione alla gara.

1.1. Quanto a tale ultimo profilo l’appellante evidenzia che l’art. 29-octies del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che nel testo originario, prevedeva la validità quinquennale dell’AIA e disciplinava il suo rinnovo periodico, per effetto delle modifiche apportate dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, ne ha fissato la durata in dieci anni, estesa rispettivamente a sedici e a dodici anni per le ipotesi di cui ai commi 8 e 9.

Ad avviso dell’appellante non si tratterebbe di una proroga automatica ex lege; il periodo transitorio è stato disciplinato infatti dalla circolare n. 22295 del 27 ottobre 2014 del Ministero per la tutela dell’ambiente del territorio e del mare, secondo cui le scadenze delle autorizzazioni in vigore alla data dell’11 aprile 2014 (come quella della Cogesa) possono essere prorogate a condizione che la ridefinizione della scadenza sia riportata in AIA o in apposita corrispondenza tra la proprietà dell’impianto e l’autorità competente al rilascio. La Regione Abruzzo ha recepito tali direttive con atto n. Da13/09 del 13 gennaio 2015, che, nel confermare la possibilità di proroga delle AIA in parola, prescrive, al fine di rendere evidente la ultravigenza dell’autorizzazione, che alla stessa sia allegato il provvedimento stesso, la predetta circolare ministeriale e gli eventuali altri carteggi con la Regione.

Sulla base di tali substrato normativo l’appellante sottolinea che l’AIA (n.9/11) prodotta in gara da Cogesa era priva degli allegati sopra indicato, così che la stessa doveva considerarsi inesorabilmente scaduta, in quanto il meccanismo cui la proroga è stata ricollegata, oltre a permettere agli interessati di averne contezza ed eventualmente contestarla, confermerebbe la configurazione dell’AIA come autorizzazione a riesame periodico, seppur semplificato: di conseguenza la commissione di gara avrebbe dovuto escludere Cogesa dalla gara per carenza del requisito de quo, non sanabile in via di soccorso istruttorio.

1.2. La tesi dell’appellante, che si fonda sul presupposto che le allegazioni non prodotte da Cogesa sarebbero funzionali ad attestare che l’AIA è stata sottoposta a una “verifica”, ancorchè “semplificata”, volta ad accertare la sussistenza delle condizioni che consentono la più lunga validità temporale dell’autorizzazione prevista dalle sopravvenute disposizioni normative, non è meritevole di favorevole considerazione, non comprendendosi, dal punto di vista logico, ancor prima di quello giuridico, come una verifica amministrativa possa ritenersi compiuta e attestata dalla mera produzione di atti generali (quali i due atti richiesti dal provvedimento regionale invocato da Deco, tanto più che gli altri atti ivi menzionati, ovvero gli “altri carteggi con la Regione”, sono definiti “eventuali”).

Innanzitutto è da rilevare come nessuna espressa disposizione normativa imponga, a pena di eventuale inefficacia, di sottoporre a verifica le AIA in vigore alla data dell’11 aprile 2014 ai fini dell’applicazione del nuovo e più lungo termine di validità; né un simile effetto può ricavarsi in via sistematica dal fatto che la nuova normativa non disponga espressamente una proroga automatica sic et simpliciter di tali AIA; tanto meno risulta idonea, nel senso inteso dall’appellante, il contenuto della circolare ministeriale n. 22295 del 27 ottobre 2014, dal momento che essa afferma anzi che le scadenze di tali AIA sono prorogate e si limita a prevedere l’espressa ridefinizione della loro scadenza, solo a titolo di mera opportunità (ovvero al fine di chiarirne la validità laddove esse contengano la data antecedentemente fissata per il rinnovo), con conseguente impossibilità di interpretare la sua violazione come violazione di una condizione autorizzativa (come del resto si può apprezzare dal tenore letterale del punto 3, lett. d), a mente del quale “la ridefinizione della scadenza sia resa evidente da un carteggio tra gestore e autorità competente, anche in forma di lettera circolare, che confermi la applicazione della nuova disposizione di legge alla durata delle AIA vigenti, facendo salva la facoltà per l’autorità competente di avviare di sua iniziativa un riesame alla data del previsto rinnovo”.

Nulla aggiunge, a supporto della tesi dell’appellante, neppure il provvedimento regionale n.13/9 del 13 gennaio 2015 che infatti recepisce integralmente i contenuti della predetta circolare (sia rilevando la proroga delle scadenze di legge delle autorizzazioni integrate ambientali (AIA) in vigore alla data del 11 aprile 2014, con conseguente archiviazione delle istanze di rinnovo eventualmente pendenti se non diversamente comunicato, con rimborso delle spese al riguardo sostenute dagli interessati che ne facciano richiesta), sia segnalando l’opportunità di rendere evidente la ridefinizione delle relative scadenze, prescrivendo a tal fine “alle ditte con AIA in vigore alla data dell’14 aprile 2014 per le quali la scadenza viene prorogata ex lege, di allegare il presente provvedimento, la Circolare Ministeriale prot. 22295 del 27/10/14, ovvero eventuali ulteriori carteggi con la Scrivente, alla propria AIA ai fini di rendere evidente la vigenza dell’AIA oltre la data riportata nell’atto”.

E’ da aggiungere, poi, che, pur dovendo ammettersi che la normativa attualmente in vigore non esclude l’avvio d’ufficio di iniziative volte al riesame, ai fini del rinnovo, dell’AIA già rilasciata, ciò non è avvenuto nel caso di specie, così che non vi sono ragioni per negare la perdurante validità dell’AIA n. /11 rilasciata alla Cogesa, non potendo la sua efficacia essere inibita dalla pretesa mancata allegazione dei documenti sopra indicati (che del resto quali meri allegati ben potevano essere oggetto di soccorso istruttorio, vertendosi, a tutto concedere, in una ipotesi di mera incompletezza documentale).

1.3. Quanto alla questione concernente la pretesa inutilizzabilità dell’AIA prodotta in gara da Cogesa S.p.A. in quanto quell’autorizzazione era stata a suo tempo alla Cogesa s.r.l., si osserva innanzitutto che la stessa appellante riferisce non solo quella trasformazione societaria, ma evidenzia che la Regione Abruzzo ha volturato l’AIA a favore di quest’ultima con Da 5/12 del 9 maggio 2012.

E’ da aggiungere poi che l’art. 29-nonies, comma 4, del d.lgs. 152/2006 stabilisce, pel caso di variazione della titolarità della gestione dell’impianto autorizzato, la mera comunicazione all’autorità competente, anche nella forma dell’autocertificazione; inoltre è privo di qualsiasi rilievo ai fini della validità ed efficacia dell’AIA che la sua volturazione dell’AIA sia stata subordinata alla presentazione di nuove garanzie finanziarie, tanto più che non è stato neppure provato che Cogesa non abbia a tanto provveduto.

Resta per completezza da aggiungere che la trasformazione di una società da uno ad un altro dei tipi previsti dalla legge (ancorché dotato di personalità giuridica) non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella nascita di un altro, configurandosi piuttosto come un fenomeno evolutivo – modificativo (Cass. Civ., II, 7 maggio 2013), così che anche sotto profilo la tesi dell’appellante va respinta.

2. Con il secondo motivo di appello Deco, ricordato che Cogesa è società in house per l’erogazione di servizi pubblici locali e come tale tenuta al rispetto dell’art. 16 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (secondo cui “Gli statuti delle società di cui al presente articolo [ovvero le società in housedevono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci”), ha sostenuto che il rispetto di tale soglia sia requisito soggettivo da cui dipende la stessa capacità di partecipazione della società in house alle gare competitive del mercato esterno e che di tale requisito sia priva Cogesa: i servizi analoghi dell’ultimo triennio di cui al par. 17.3.5 del disciplinare da essa dichiarati svolti da Cogesa in favore di Asm s.p.a. non avrebbero potuto essere utili ai fini di partecipazione alla gara, in quanto i bilanci di Cogesa attesterebbero che nel periodo il 2010 e il 2016 l’incidenza percentuale dei servizi prestati verso terzi sul valore totale della produzione è pari al 41,13% ed inoltre questi servizi sarebbero conseguenza di un affidamento diretto (ma non in house, in quanto Asm non era all’epoca socia di Cogesa).

La censura è da respingere.

2.1. Il citato art. 16 del d.lgs. n. 175/2016, in conformità alla direttiva UE 2014/23, ha lo scopo di assicurare che il funzionamento della società in house sia improntato ad una regola interna in grado di conformarne l’operatività.

Senonché tale regola non viene in rilievo nel caso di specie nel quale non si contesta ovvero non è controversa la legittimità di un affidamento diretto di un appalto ad una società pubblica in house, quanto piuttosto si ritiene che i servizi effettivamente svolti dalla società in house non sarebbero utilizzabili proprio da quella società in house per partecipare ad una procedura aperta indetta da un’altra amministrazione a causa della presunta violazione del limite di operatività fissato dal predetto articolo.

Al riguardo deve osservarsi, per un verso, le conseguenze dell’eventuale situazione irregolare in cui si trova Cogesa non determina la perdita della sua capacità di partecipare a gare pubbliche, trattandosi di una vera e propria sanzione che come tale dovrebbe essere tipica ed espressa, mentre non è neppure prevista dal Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016: l’art. 16, comma 4 del d.lgs. n. 175 del 2016 qualifica infatti il mancato rispetto del predetto limite quantitativo in termini di grave irregolarità, che, in quanto tale, può essere oggetto di denunzia degli amministratori dinanzi al tribunale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2409 Cod. civ., e di valutazione nell’ambito delle attività di monitoraggio, indirizzo e coordinamento delle società in house di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze; inoltre essa è suscettibile di essere sanata dalla società in house ai sensi del comma 5, optando tra la rinunzia a una parte dei rapporti con soggetti terzi e conseguente scioglimento dei relativi contratti – sicchè i contratti con i terzi eccedenti il limite di legge non possono dirsi neanche affetti, a monte, da nullità – e la rinunzia agli affidamenti diretti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci.

Né d’altro canto l’incapacità dedotta dall’appellante può conseguire dall’attività di coordinamento dei due testi normativi (TUSPP e Codice appalti), operazione che non può tradursi nella creazione di una sanzione non prevista dall’ordinamento.

In definitiva, come correttamente ritenuto dal tribunale, la prospettazione dell’appellante non è idonea a fondare l’invalidità della partecipazione alla gara da parte di Cogesa.

Per completezza è da aggiungere che tale conclusione non si pone in contrasto con il parere n. 968/2016 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sul d.lgs. n. 175/2016 e con la deliberazione Anac 15 febbraio 2017, relativa al registro delle società in house di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 50/2016: infatti, anche per tali atti l’eventuale superamento del limite di cui trattasi non impatta con gli affidamenti extra moenia. In particolare, alla luce della deliberazione Anac, il provvedimento di cancellazione della società da tale registro per l’ipotesi del superamento del limite determina che “dalla data di cancellazione dall’Elenco, l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore non può effettuare nuovi affidamenti diretti in favore dello specifico organismo in house” (paragrafo 8.8). Nulla muta considerando la successiva previsione secondo cui Anac può indicare “il termine e la possibilità di impugnazione innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa” (paragrafo 8.7): il riferimento, da rapportarsi al potere di impugnativa Anac di cui all’art. 211, comma 1-bis e 1-ter del Codice dei contratti pubblici, chiarisce semmai che i rapporti extra moenia della società in house sono suscettibili di scrutinio in via di legittimità e non di nullità, come del resto emerge dal già richiamato art. 16, comma 5, del d.lgs. 175/2016. Ancora, la rinuncia da parte della società ai rapporti extra moenia per mantenere la sua natura in house, che è, come visto, una delle due opzioni previste per la sanatoria dell’irregolarità in parola dall’art. 16, comma 5, del d.lgs. n. 175/2016, resta una opzione, e non potrebbe essere diversamente, anche alla luce della relativa contestazione da parte di Anac (paragrafo 8.4: il soggetto interessato “può” impegnarsi a eliminare la causa ostativa all’iscrizione nel termine massimo di 60 giorni), sicchè la ricostruzione di Deco è affetta da un palese salto logico laddove afferma che, nell’ipotesi, la società in house sarebbe (“indirettamente”) costretta a rinunciare a tali rapporti per mantenere la sua natura, scelta quest’ultima che invece consegue solo e unicamente alla ben precisa determinazione della società di mantenere gli affidamenti diretti.

Quanto al parere della Commissione speciale n. 968/2016, è vero che il paragrafo 14, nell’ambito delle articolate osservazioni riferite all’art. 16 del d.lgs. n. 175 del 2016, ha richiamato anche la sentenza della Corte costituzionale n. 439 del 2008 e il rilievo in essa contenuto in ordine alla possibile alterazione della concorrenza discendente alle gare pubbliche da una “consistente” attività esterna della società in house, ma si tratta di un richiamo avente valenza ricostruttiva della situazione antecedente all’introduzione del limite quantitativo di cui all’art. 16, comma 3, del d.lgs. 175/2016 oggetto di valutazione in quella sede e che non ha avuto effettiva incidenza sul parere, tant’è che nessuno dei quattro suggerimenti avanzati per il superamento delle criticità rilevate dall’organo consultivo nell’allora schema dell’art. 16 ha posto in connessione le vicende afferenti i rapporti extra moenia e la partecipazione alle gare pubbliche delle società in house, segnalandosi solo, quanto ai primi, il rischio che la prevista valenza “retroattiva” della loro rinuncia da parte di tali società potesse incidere sulle posizioni dei terzi.

Il rigetto del profilo di censura in esame assorbe ogni questione circa la pretesa erroneità (perchè parziale e assertiva) della lettura del bilancio.

2.2. Sempre col secondo motivo di gravame l’appellante si è doluta del fatto che il primo giudice non si sarebbe pronunziato sulla censura relativa alla dedotta genericità delle informazioni rese nel DGUE da Cogesa sui servizi analoghi in parola.

Anche tale doglianza va respinta.

Fermo che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale il difetto di motivazione della sentenza appellata è vizio assorbito dall’effetto devolutivo dell’appello, che comporta l’integrale rivalutazione delle questioni controverse, che vengano in tale sede riproposte, come nel caso di specie, con modifica o integrazione della motivazione ove necessario (tra tante, Cons. Stato, VI, 21 marzo 2016, n.1158), si osserva che il motivo di censura era ed è generico, non essendo in alcun modo chiarito le ragione secondo cui le informazioni in parola non sarebbero esaustive, tenuto conto del fatto che la deducente è stata posta in grado di conoscere sia il soggetto che ha affidato a Cogesa il servizio stesso (la già citata Asm s.p.a.), sia i relativi contratti.

2.3. Per le stesse ragioni sin qui esposte, è infondata la censura, avanzata in via subordinata nell’ultima parte del motivo in esame, di illegittimità della lex specialis di gara perché non corredata dalla previsione dell’attestazione del requisito della capacità di agire delle società in house nei termini sopra illustrati nonché dell’attribuzione alla commissione valutatrice dei relativi poteri investigativi.

2.4. E’ manifestamente infondata la questione di incostituzionalità del Codice dei contratti per violazione degli artt. 3, 11, 41, 97 comma 2, 117 comma 2 lett. e), avanzata in via ulteriormente subordinata, in rapporto alla mancata previsione negli artt. 3 e 80 del Codice, in conformità all’art. 16 del d.lgs. n. 176 del 2016 e nei sensi evidenziati dal motivo che precede, dei requisiti di partecipazione alle gare pubbliche (anche extraterritoriali) delle società in house.

Le attività extra moenia delle società in house sono state limitate dalle percentuali di cui al più volte citato art. 16 in esclusiva relazione agli affidamenti diretti e nell’ottica della loro riconosciuta strumentalità alle economie di scala e agli altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale di tali società, secondo una logica che, essendo strettamente connessa a tali due specifiche linee direttrici, non fa emergere una sua pari funzionalità rispetto alle esigenze affatto diverse che presiedono alla regolazione dei requisiti di capacità delle imprese per la partecipazione alle gare pubbliche, con la conseguenza che la carenza di osmosi tra le relative discipline non viola né l’art. 3, né l’art. 97 della Costituzione: non si è infatti in presenza di situazioni la cui identità giustifichi norme aventi eadem ratio e, per la stessa ragione, non è predicabile che dalle modalità con cui l’art. 16 ha regolato il rapporto delle attività intra ed extra moenia delle società in house discendano automaticamente regole espressive del principio di buon andamento dell’attività amministrativa in riferimento alla materia delle gare pubbliche.

Quanto agli artt. 117, comma 2 e 41 Cost., non occorrono molte parole per rammentare come il valore della concorrenza è, per definizione, penalizzato dall’apposizione di condizioni che restringono la libera partecipazione delle imprese alle gare pubbliche piuttosto che dalla maggior ampiezza del mercato, condizione di cui tale valore invece, correttamente inteso, si avvantaggia, mentre infine, quanto all’art. 11 Cost., è d’uopo ribadire come i rapporti percentuali considerati dall’art. 16 del d.lgs. 175/2016 derivino da puntuali previsioni comunitarie che non sono state riprodotte dalle disposizioni della stessa fonte aventi a oggetto la partecipazione alle gare pubbliche.

2.5. In definitiva il secondo motivo va interamente respinto.

3. Con il terzo motivo l’appellante lamenta la distorsione della concorrenza, in violazione dell’art. 107, paragrafo 1 TFUE e del divieto di aiuti di Stato, discendente dalla possibilità di Cogesa di partecipare alla gara per cui è causa, facendo valere requisiti tecnici-economici e risorse finanziarie specificamente generati dagli affidamenti diretti derivanti dalla sua natura di società in house.

La censura è infondata in quanto, come già accennato in precedenza, tale possibilità non si pone in contrasto con la disciplina di settore, siccome regolato dal diritto nazionale (art. 16 del d.lgs. 175/2016) e da quello comunitario (art. 13 della direttiva UE 2014/23), con conseguente impossibilità di rinvenire vizi negli atti che hanno reso possibile la partecipazione di Cogesa alla procedura, a partire dalla lex specialis. Sul punto, è appena il caso di rammentare che la previgente disposizione limitativa di cui all’art. 13 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, è stata abrogata proprio dal d.lgs. n. 175 del 2016, art. 28, comma 1, lett. d).

Una volta acclarata la legittimità di tale partecipazione, deve convenirsi con il primo giudice quando rileva che sarebbe, semmai, l’impossibilità della società in house di far valere i servizi analoghi ottenuti nell’ambito dei limiti di legge a determinare uno svantaggio competitivo contrario al vigente sistema normativo e alle regole che vi presiedono.

Si tratta infatti di una affermazione che resiste ai rilievi mossi dall’appellante, che fondano sul già citato parere n. 968/2016 reso dalla Commissione speciale di questo Consiglio di Stato sul d.lgs. n. 175 del 2016, nell’ambito del quale il richiamo al funzionamento delle regole della concorrenza non si è concretizzato nei sensi ostativi alla partecipazione delle società in house alle gare pubbliche che l’appellante genericamente vi riconnette.

Il motivo è infondato anche laddove ripropone la questione della valenza assunta nella gara dai requisiti maturati da Cogesa in dipendenza di rapporti extra moenia asseritamente intrattenuti in violazione del limite quantitativo di cui all’art. 16, comma 3 del d.lgs. 175/2016, essendo al riguardo sufficiente richiamare quanto già osservato nel par. 2.

Le considerazione svolte conducono al rigetto dell’istanza ex art. 267 TFUE, pure avanzata nel motivo, di rimessione alla Corte di giustizia UE della questione di compatibilità tra l’art. 107 TFUE e il Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 50/2016, nella misura in cui quest’ultimo: a) non prevede “un obbligo di valutazione della sussistenza dei requisiti di legge che consentono la partecipazione delle società in house alle procedure selettive”; b) omette la “previsione di strumenti di sterilizzazione dei requisiti maturati effettuando l’attività in house”.

4. Con il quarto motivo l’appellante lamenta la mancata pronunzia del primo giudice sulla censura avanzata in primo grado di violazione dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016, per mancata comunicazione da parte di Cogesa dell’annullamento, di cui alla sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato 18 agosto 2017, n. 4030, dell’affidamento diretto alla società del ciclo integrato dei rifiuti da parte del Comune di Sulmona.

Al riguardo, preliminarmente richiamato quanto già osservato al capo 2.2. in relazione all’effetto devolutivo dell’appello, si osserva innanzitutto che la censura è innanzitutto inammissibile per genericità, non avendo l’appellante precisato a quale delle variegate previsioni dell’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 si ascriva l’obbligo di comunicazione asseritamente violato.

La censura è comunque anche infondata.

La statuizione di cui trattasi ha annullato la delibera consiliare n. 60/2014 con cui la predetta Amministrazione comunale aveva disposto l’affidamento in house del servizio di igiene urbana in favore della Cogesa, ritenendo, in applicazione dei principi di diritto espressi dalla Corte di giustizia UE in relazione alle questioni interpretative precedentemente rimesse in via pregiudiziale alla stessa Corte, che “la Cogesa non risulta legata al Comune di Sulmona da un genuino rapporto di delegazione interorganica (essendo quanto meno carente del requisito dell’attività prevalente)”.

Si tratta di una fattispecie estranea a tutti gli obblighi informativi disciplinati dall’art. 80, ivi compresi quelli relativi ai pregressi illeciti professionali del concorrente.

5. Con il quinto motivo l’appellante torna a contestare la legittimità del prescelto criterio di aggiudicazione della gara, il minor prezzo, e la formula correttiva relativa al costo del trasporto applicata al criterio stesso.

Il primo giudice, in relazione alle puntuali censure svolte al riguardo, ha rilevato che: “Non sussiste poi la violazione dell’articolo 95 del d.lgs. n. 50 del 2016, atteso che nel disciplinare di gara, come chiarito dall’Amministrazione resistente, è specificato che la standardizzazione deriva dalla circostanza che si tratta di servizi che devono rispettare la normativa vigente e ciò è appunto riferibile anche agli impianti di trattamento. Del resto, anche il rispetto dell’ambiente non implica necessariamente la previsione del metodo di aggiudicazione dell’offerta più vantaggiosa, quanto invece appunto il rispetto della normativa vigente cui le prestazioni devono necessariamente conformarsi. Quanto al computo del costo di trasporto, in realtà, secondo la formula utilizzata nel bando (P=Po+Fc+D), si tratta di un fattore che aumenta il prezzo offerto (perché il fattore correttivo Fc del costo di trasporto si somma al prezzo offerto) e quindi nel caso di specie è andato a discapito della controinteressata che, ciò nonostante, si è aggiudicata la gara. Ciò rileva, da un lato, che la ricorrente non ha interesse alla censura in quanto non supera comunque la prova di resistenza, dall’altro, che tale previsione non è irragionevole poiché non favorisce affatto chi ha impianti più distanti e quindi potrebbe arrecare maggior impatto ipotetico sull’ambiente. Quanto alla presunta violazione del principio di prossimità di cui all’articolo 182 bis del d.lgs. n. 152 del 2006, è sufficiente rilevare che tale principio è adeguatamente tutelato mediante quello di autosufficienza regionale (cfr. Consiglio di Stato sentenza 3215 del 2013), e in tale ambito infatti non può avere valore assoluto ma deve pur essere contemperato con altri, tra cui quello di economicità, sicché nel caso di specie l’aggiudicazione con prezzo più basso a un concorrente il cui impianto è pur sempre situato all’interno della Regione non può dirsi in contrasto con esso. Ciò tenuto altresì conto della circostanza che, nel caso di specie, non appare contestato che l’ambito territoriale ottimale ai sensi della lett. b) dell’articolo 182 bis cit. coincide appunto con il territorio della Regione Abruzzo”.

5.1. Tali argomentazioni resistono alle critiche mosse dall’appellante. In particolare:

- il legittimo ricorso al criterio del minor prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma 4, lett. b) del Codice dei contratti pubblici, in deroga alla generale preferenza accordata al criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa, si giustifica, tra altro, per l’affidamento di forniture o di servizi che siano, per loro natura, strettamente vincolati a precisi e inderogabili standard tecnici o contrattuali ovvero caratterizzati da elevata ripetitività e per i quali non vi sia quindi alcuna reale necessità di far luogo all’acquisizione di offerte differenziate (Cons. Stato, III, 13 marzo 2018, n. 1609; 2 maggio 2017, n. 2014). A loro volta, le linee guida Anac n. 2, approvate nel 2016 e aggiornate nel 2018, chiariscono che “i servizi e forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato” menzionati dal Codice sono quei servizi o forniture che, anche con riferimento alla prassi produttiva sviluppatasi nel mercato di riferimento, non sono modificabili su richiesta della stazione appaltante oppure che rispondono a determinate norme nazionali, europee o internazionali. Si tratta di elementi che si rinvengono nel caso di specie, trattandosi, come chiarito dalla lex specialis, del trattamento del rifiuto non indifferenziato, da eseguirsi da impianti fissi a tecnologia complessa (TMB, essicazione, etc.) che eseguono attività di smaltimento o recupero finale del rifiuto conferito. Di contro, non rileva né la diversità degli impianti (l’impianto di Deco è un impianto di trattamento, mentre quello di Cogesa svolge attività di selezione e stabilizzazione del rifiuto, ai fini dello smaltimento in discarica), né la carenza del grado di dettaglio delle prestazioni dedotte nella censura. L’oggetto dell’affidamento è infatti un servizio unitario e tipico, da svolgersi in impianti che, a prescindere dalla tecnologia utilizzata, sono autorizzati ai sensi della specifica normativa ambientale, ciò che fa escludere anche che possa ipotizzarsi la violazione delle relative norme di tutela e del criterio di prossimità, che l’appellante ha dedotto alla luce della maggior distanza dell’impianto di Cogesa (km 222) rispetto al proprio (km 103), trattandosi comunque, come rilevato dal giudice di prime cure, di impianti tutti situati nell’ambito del territorio regionale;

- neanche il previsto correttivo relativo al costo del trasporto dimostra ex se l’inadeguatezza del criterio. Una volta, infatti, che il prescelto criterio di aggiudicazione si sia rivelato corrispondente a una delle fattispecie normative per cui esso è previsto, nulla osta alla possibilità di apportarvi un correttivo che risponda all’esigenza di considerare, al suo interno, varianti che, laddove non regolate, potrebbero pregiudicare la funzione cui esso è destinato.

7. In conclusione, assorbita ogni eccezione introdotta dalle parti resistenti, le domande demolitorie, risarcitorie e pregiudiziali avanzate nell’appello devono essere respinte.

Le spese di giudizio del grado possono nondimeno essere compensate, tenuto conto della particolarità delle questioni introdotte.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese di giudizio del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia dello scorso 20 gennaio la V Sezione del Consiglio di Stato si sofferma sull’individuazione del corretto criterio di aggiudicazione della gara, nella specie il minor prezzo, correlato dalla formula correttiva relativa al costo del trasporto.

Il giudice di I grado ha rilevato che “non sussiste la violazione dell’art. 95 del d.lgs. n. 50 del 2016 (anteDecreto Sblocca Cantieri - d.lgs. n. 32/2019 conv. con L. n. 55/2019),  atteso che nel disciplinare di gara, come chiarito dall’Amministrazione resistente, è specificato che la standardizzazione deriva dalla circostanza che si tratta di servizi che devono rispettare la normativa vigente e ciò è appunto riferibile anche agli impianti di trattamento. Del resto, anche il rispetto dell’ambiente non implica necessariamente la previsione del metodo di aggiudicazione dell’offerta più vantaggiosa, quanto invece appunto il rispetto della normativa vigente cui le prestazioni devono necessariamente conformarsi”. 

Le predette argomentazioni hanno resistito alle critiche mosse dall’appellante. 

In particolare il legittimo ricorso al criterio del minor prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma 4, lett. b) del Codice dei contratti pubblici, in deroga alla generale preferenza accordata al criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa, si giustifica, tra altro, per l’affidamento di forniture o di servizi che siano, per loro natura, strettamente vincolati a precisi e inderogabili standard tecnici o contrattuali ovvero caratterizzati da elevata ripetitività e per i quali non vi sia quindi alcuna reale necessità di far luogo all’acquisizione di offerte differenziate (in termini Cons. Stato, sez. III, 13 marzo 2018, n. 1609; Id., 2 maggio 2017, n. 2014).

Inoltre, le Linee guida Anac n. 2, approvate nel 2016 e aggiornate nel 2018, chiariscono che “i servizi e forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato” menzionati dal Codice sono quei servizi o forniture che, anche con riferimento alla prassi produttiva sviluppatasi nel mercato di riferimento, non sono modificabili su richiesta della stazione appaltante oppure che rispondono a determinate norme nazionali, europee o internazionali...”.

Infine la Corte sostiene che neppure il previsto correttivo relativo al costo del trasporto dimostra ex sel’inadeguatezza del criterio prescelto: una volta che il prescelto criterio di aggiudicazione si sia rivelato corrispondente a una delle fattispecie normative per cui esso è previsto, infatti, nulla osta alla possibilità di apportarvi un correttivo che risponda all’esigenza di considerare, al suo interno, varianti che, laddove non regolate, potrebbero pregiudicare la funzione cui esso è destinato.