Consiglio di Stato, Sez. V, 27 dicembre 2019, ordinanza n. 8822
Attesa la funzione di sanatoria di eventuali accordi invalidi tra operatori del settore energetico da fonti rinnovabili con gli enti locali previsti dall’art. 1, comma 953, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, si rimettono alla Corte costituzionale questioni di legittimità costituzionale della citata norma, in relazione agli artt. 3, 24, 41, 111, e 117, comma 1, della Costituzione.
Guida alla lettura
La Sezione Quinta del Consiglio di Stato solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2018, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale)[1].
Un primo profilo di illegittimità della norma censurata si ravvisa rispetto al parametro della ragionevolezza ricavabile dall’art. 3 della Costituzione, perché eccedendo dalle esigenze connesse all’obiettivo legittimo di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale secondo quanto previsto dalle linee guida nazionali in materia, essa dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle medesime linee guida.
La norma censurata appare inoltre lesiva del diritto di azione sancito dall’art. 24 della Costituzione.
Infatti, nel prevedere la conservazione dell’efficacia degli accordi, essa vanifica l’utilità pratica dell’impugnativa contrattuale, ivi compresa la nullità ai sensi degli artt. 1418 cod. civ. e seguenti, prevista per reagire contro di manifestazioni di volontà contrattuale aventi contenuti contrastanti con norme imperative, ai sensi del comma 1 della medesima disposizione.
Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è rappresentato con riferimento alla violazione dei principi del giusto processo sanciti dagli artt. 111 della Costituzione e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione all’art. 117, comma 1, della medesima Carta fondamentale.
Infatti, la sanatoria generalizzata introdotta con la legge di bilancio per il 2019 altera, la parità delle parti nel processo, privando una parte dei rimedi di legge a sua disposizione e vanificando l’utilità delle pronunce giurisdizionali favorevoli eventualmente conseguite, ma non ancora definitive, quand’anche con esse si sia accertato il contrasto dell’accordo con i principi di ordine imperativo regolatori del settore della produzione energetica da fonti rinnovabili.
Infine, si rileva un ulteriore profilo di contrasto della norma censurata con il vincolo posto al legislatore ordinario dal sopra citato art. 117, comma 1, della Costituzione al rispetto degli obblighi internazionali, nel caso di specie assunti dall’Italia con il protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997 della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, di cui il decreto legislativo n. 387 del 2003 costituisce attuazione nell’ordinamento giuridico interno, per il tramite della direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001 (sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).
Il contrasto è ravvisabile nel fatto che gli obiettivi stabiliti a livello internazionale con il citato protocollo, di promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili in funzione dell’abbattimento delle emissioni inquinanti (art. 2), rispetto ai quali il principio di gratuità delle autorizzazioni in materia è strumentale, potrebbe essere vanificato da una sanatoria generalizzata rispetto ad accordi aventi l’effetto di rendere tali titoli amministrativi onerosi per ragioni estranee alla salvaguardia dell’ambiente, così da scoraggiare gli operatori economici dal mantenere i propri investimenti nel settore delle energie rinnovabili.
Per la ragione da ultimo evidenziata la norma appare anche in contrasto con la libertà economica garantita dall’art. 41 della Costituzione, in relazione ai principi generali regolatori del settore economico relativo alla produzione di energia da fonti rinnovabili, ricavabili dagli artt. 6 della citata direttiva 2001/77/CE - secondo cui gli Stati membri sono tra l’altro tenuti a «ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili», a «razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo» e «garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie…» - e 12 d.lgs. n. 387 del 2003, in virtù del quale la produzione di energia da fonti rinnovabili è soggetta ad un regime amministrativo di tipo autorizzatorio, subordinato all’accertamento dei presupposti di legge e non sottoposto a misure di compensazione di carattere pecuniario.
In conclusione, per tutte le ragioni esposte, il Consiglio di Stato rimette alla Corte costituzionale, ai sensi del sopra citato art. 23 l. n. 87 del 1953, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, della l. n. 145 del 2018, in relazione agli artt. 3, 24, 111, e 117, comma 1, Cost., nonché in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 d.lgs. n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali, di cui agli artt. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e 2 del protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997.
[1] Ferma restando la natura giuridica di libera attività d’impresa dell’attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica, i proventi economici liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali, nel cui territorio insistono impianti alimentati da fonti rinnovabili, sulla base di accordi bilaterali sottoscritti prima del 3 ottobre 2010, data di entrata in vigore delle linee guida nazionali in materia, restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo detti accordi piena efficacia. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, fatta salva la libertà negoziale delle parti, gli accordi medesimi sono rivisti alla luce del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010, e segnatamente dei criteri contenuti nell’allegato 2 al medesimo decreto. Gli importi già erogati e da erogare in favore degli enti locali concorrono alla formazione del reddito d’impresa del titolare dell’impianto alimentato da fonti rinnovabili.
LEGGI L'ORDINANZA
Pubblicato il 27/12/2019
N. 08822/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00155/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 155 del 2019, proposto da
Comune di Ordona, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Michele Dionigi, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia;
contro
Parco Eolico Ordona s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Ragazzo, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Virgilio 18;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Associazione Nazionale Energia del Vento (A.N.E.V.), in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Ragazzo, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Virgilio 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Sede di Bari (Sezione Prima) n. 830/2018, resa tra le parti, concernente la convenzione in data 26 luglio 2007 tra il Comune di Ordona e la Inergia s.r.l. per la realizzazione di una centrale eolica;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Parco Eolico Ordona s.r.l.;
Visto l’atto di intervento dell’Associazione Nazionale Energia del Vento (A.N.E.V.);
Viste le memorie e tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Dionigi e Ragazzo;
PREMESSO IN FATTO
- il Comune di Ordona e la Inergia s.p.a. stipulavano in data 26 luglio 2006 una convenzione regolante la concessione per la realizzazione di una centrale eolica» da parte della seconda su aree private a destinazione agricola comprese nel territorio del primo, site in località Ponte Rotto;
- richiamati in premessa il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e la legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), nella convenzione erano previsti i seguenti patti:
- il Comune di Ordona assumeva l’obbligo di «non rilasciare ulteriori permessi di costruire, nell’area di insediamento del campo eolico e della relativa fascia di rispetto (…) per la realizzazione di opere che, per la loro natura e tipologia, potrebbero penalizzare la gestione dell’impianto o comportare una riduzione della produzione delle turbine installate dalla società INERGIA SPA (ad esempio ostruendo la normale disponibilità del vento)» (art. 2);
- quest’ultima a sua volta assumeva l’obbligo di pagare all’amministrazione un compenso denominato «indennizzo fisso annuale» variamente modulato in base alla potenza di ogni aerogeneratore, un «canone biennale fisso» per l’intero parco eolico, sull’energia elettrica venduta al Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale ed una somma una tantum per la stipula della convenzione (art. 4);
- era fissata una durata della convenzione pari all’intero ciclo di vita dell’impianto (art. 5);
- il Comune di Ordona si riservava la facoltà di «revocare la concessione dell’area» in caso di utilizzo della stessa «per una destinazione diversa da quella concordata» (art. 7)
- la Inergia si impegnava a chiedere alla Regione l’autorizzazione di legge per la realizzazione e gestione dell’impianto e all’amministrazione comunale il permesso di costruire entro il termine di 6 mesi dalla sottoscrizione della convenzione, a pena di decadenza;
- ottenuti tali titoli (e per quanto in particolare rileva nel presente giudizio l’autorizzazione unica ex art. 12 del citato d.lgs. n. 387 del 2003, con determinazione regionale n. 12 del 19 febbraio 2009), e subentrata in essi la Parco Eolico Ordona s.r.l., alla quale la controllante Inergia aveva conferito il ramo d’azienda contenente la centrale eolica, tra la medesima e il Comune di Ordona insorgeva un contenzioso per pagamento delle somme previste nel citato art. 4 della convenzione in data 26 luglio 2006;
- attraverso il proprio agente della riscossione SO.G.E.T. s.p.a. l’amministrazione comunale emetteva nei confronti della Parco Eolico Ordona un’ingiunzione fiscale ai sensi del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e tre atti di pignoramento presso terzi;
- tuttavia, su ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – sede di Bari della società titolare dell’impianto la convenzione in data 26 luglio 2006 era dichiarata nulla nella parte relativa agli obblighi pecuniari posti a carico della medesima ricorrente e il Comune di Ordona era condannato a restituire a quest’ultima la somma di € 578.848,37 complessivamente versata in esecuzione della convenzione;
- la dichiarazione di nullità della clausola convenzionale concernente gli «oneri meramente pecuniari» a carico della Parco Eolico Ordona era fondata dal giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ., sulla base del contrasto di tali oneri con gli artt. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003, e 1, comma 6, della legge n. 239 del 2004 «i quali vietano espressamente l’imposizione di simili pesi economici», oltre che per impossibilità dell’oggetto;
- il Comune di Ordona ha proposto appello contro la sentenza di primo grado;
- nei propri scritti conclusionali l’amministrazione appellante ha richiamato a fondamento della legittimità della convenzione ex adverso impugnata il sopravvenuto art. 1, comma 953, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), il quale prevede quanto segue: «Ferma restando la natura giuridica di libera attività d’impresa dell’attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica, i proventi economici liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali, nel cui territorio insistono impianti alimentati da fonti rinnovabili, sulla base di accordi bilaterali sottoscritti prima del 3 ottobre 2010, data di entrata in vigore delle linee guida nazionali in materia, restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo detti accordi piena efficacia. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, fatta salva la libertà negoziale delle parti, gli accordi medesimi sono rivisti alla luce del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010, e segnatamente dei criteri contenuti nell’allegato 2 al medesimo decreto. Gli importi già erogati e da erogare in favore degli enti locali concorrono alla formazione del reddito d’impresa del titolare dell’impianto alimentato da fonti rinnovabili»;
- di tale norma sopravvenuta l’originaria ricorrente ha invece prospettato l’illegittimità costituzionale;
CONSIDERATO IN DIRITTO
- la Sezione condivide i dubbi di costituzionalità sollevati dalla Parco Eolico Ordona;
- deve innanzitutto premettersi che l’art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 ha una portata generalizzata di sanatoria rispetto ad accordi che abbiano imposto ai titolari di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili oneri di carattere meramente economico, e di cui è stata dichiarata la nullità in sede giurisdizionale, che non ne consente un’interpretazione conforme alla Costituzione;
- l’effetto di sanatoria si desume dal dossier del 22 gennaio 2019 relativo alla legge di bilancio per il 2019 redatto dagli uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, prodotto in giudizio dalla Parco Eolico Ordona;
- infatti, nel documento si ricorda (pag. nn. 1147 e 1148) che per l’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 «non è dovuto alcun corrispettivo monetario in favore dei Comuni interessati dalle opere, e che l’autorizzazione unica può prevedere l’individuazione di misure compensative, a carattere non meramente patrimoniale», ai sensi dell’allegato 2 alle linee guida nazionali in materia, approvate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010; ed ancora si ricorda che la legislazione regionale contrastante con tali principi è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (è richiamata in particolare la sentenza del 1° aprile 2010, n. 124 – erroneamente indicata con il n. 24); e che in alcune pronunce la giurisprudenza amministrativa di primo grado «ha riconosciuto l’invalidità di convenzioni già stipulate che imponevano il pagamento di misure compensative patrimoniali»;
- sulla base del documento in esame si deve pertanto desumere che il legislatore abbia inteso impedire che l’orientamento del giudice amministrativo possa essere confermato e che le amministrazioni locali si trovino pertanto a dovere restituire le somme ricevute in esecuzione di accordi con i gestori di impianti energetici da fonti rinnovabili costituenti mere compensazioni pecuniarie, come nel caso di specie laddove la sentenza di primo grado fosse confermata;
- ulteriore effetto derivante dalla norma è quello per cui la sanatoria degli accordi, attraverso la conservazione della loro efficacia, si estenderebbe anche alle somme ancora da versare da parte dei gestori degli impianti;
- ciò si ricava dalla sua formulazione, secondo cui «i versamenti restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo detti accordi piena efficacia»;
- dalla piena efficacia degli accordi così prevista deriva quindi l’irripetibilità dei versamenti di somme in esecuzione di essi, coerentemente peraltro con il principio di carattere generale per cui ogni spostamento patrimoniale deve essere assistito da una legittima causa giuridica (art. 2041 cod. civ.);
- per tutte le considerazioni finora svolte, l’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2018 presenta profili di illegittimità rispetto alla Carta fondamentale alla luce dei quali si impone la rimessione alla Corte costituzionale delle relative questioni, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale);
- la disposizione di legge di stabilità per il 2019 in questione è innanzitutto rilevante nel presente giudizio, per le circostanze poc’anzi evidenziate, ovvero per il fatto che essa, conformemente alla sua funzione di sanatoria di eventuali accordi invalidi, è stata richiamata dall’amministrazione comunale appellante in funzione paralizzante dell’azione di nullità proposta nel presente giudizio dall’originaria ricorrente ed accolta in primo grado;
- con riguardo al presupposto della non manifesta infondatezza, un primo profilo di illegittimità della norma censurata si ravvisa rispetto al parametro della ragionevolezza ricavabile dall’art. 3 della Costituzione, perché eccedendo dalle esigenze connesse all’obiettivo legittimo di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale secondo quanto previsto dalle linee guida nazionali in materia, essa dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle medesime linee guida e ad ai sovraordinati artt. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003 e 1, comma 5, l. n. 239 del 2004;
- inoltre, la clausola di revisione contenuta nel secondo periodo della disposizione non prevede alcun termine, né strumenti per superare il rifiuto o il dissenso eventualmente manifestato da una delle parti dell’accordo, con il conseguente rischio che l’assetto originariamente prefigurato dalle parti contraenti, pur affetto da illiceità, rimanga inalterato;
- l’effetto complessivamente derivante dalla norma censurata è dunque quello tipico di una sanatoria indiscriminata, per cui il gestore dell’impianto elettrico rimane vincolato al pagamento di somme in esso previste, prive di finalizzazione ambientale ai sensi dell’allegato 2 alle linee guida nazionali, senza che contemporaneamente sia realizzato l’obiettivo di adeguare gli accordi al principio di ordine imperativo per cui l’autorizzazione unica per impianti di produzione energetica alimentati da fonti rinnovabili non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione di carattere meramente patrimoniale, ai sensi dei più volte citati artt. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003 e 1, comma 5, l. n. 239 del 2004, e come stabilito dalla Corte costituzionale nella parimenti richiamata sentenza del 1° aprile 2010, n. 124;
- la norma censurata appare inoltre lesiva del diritto di azione sancito dall’art. 24 della Costituzione;
- nel prevedere la conservazione dell’efficacia degli accordi, essa vanifica infatti l’utilità pratica dell’impugnativa contrattuale, ivi compresa la nullità ai sensi degli artt. 1418 cod. civ. e seguenti, prevista per reagire contro di manifestazioni di volontà contrattuale aventi contenuti contrastanti con norme imperative, ai sensi del comma 1 della medesima disposizione;
- nel caso degli accordi previsti dall’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2018 la pronuncia giurisdizionale dichiarativa della nullità sarebbe inutiliter data, perché da un lato, come da essa espressamente previsto, le somme versate in esecuzione dello stesso non potrebbero essere ripetute dal solvens, gestore dell’impianto elettrico; ed inoltre avvalendosi della conservazione dell’efficacia parimenti affermata dalla norma censurata l’ente locale potrebbe agire per il pagamento delle somme ulteriormente dovute;
- un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è dato dalla violazione dei principi del giusto processo sanciti dagli artt. 111 della Costituzione e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione all’art. 117, comma 1, della medesima Carta fondamentale;
- la sanatoria generalizzata introdotta con la legge di bilancio per il 2019 altera infatti la parità delle parti nel processo, anche quelli in corso, privando una parte dei rimedi di legge a sua disposizione e vanificando l’utilità delle pronunce giurisdizionali favorevoli eventualmente conseguite, ma non ancora definitive, quand’anche con esse si sia accertato il contrasto dell’accordo con i principi di ordine imperativo regolatrici del settore della produzione energetica da fonti rinnovabili;
- quello ora descritto sembra peraltro essere l’unica funzione della norma, come si desume dal sopra citato dossier redatto dagli uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati;
- sotto il profilo ora evidenziato emerge un ulteriore profilo di contrasto della norma censurata con il vincolo posto al legislatore ordinario dal sopra citato art. 117, comma 1, della Costituzione al rispetto degli obblighi internazionali, nel caso di specie assunti dall’Italia con il protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997 della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, di cui il decreto legislativo n. 387 del 2003 costituisce attuazione nell’ordinamento giuridico interno, per il tramite della direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001 (sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità);
- il contrasto è ravvisabile nel fatto che gli obiettivi stabiliti a livello internazionale con il citato protocollo, di promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili in funzione dell’abbattimento delle emissioni inquinanti (art. 2), rispetto ai quali il principio di gratuità delle autorizzazioni in materia è strumentale, potrebbe essere vanificato da una sanatoria generalizzata rispetto ad accordi aventi l’effetto di rendere tali titoli amministrativi onerosi per ragioni estranee alla salvaguardia dell’ambiente, così da scoraggiare gli operatori economici dal mantenere i propri investimenti nel settore delle energie rinnovabili;
- per la ragione da ultimo evidenziata la norma appare infine in contrasto con la libertà economica garantita dall’art. 41 della Costituzione, in relazione ai principi generali regolatori del settore economico relativo alla produzione di energia da fonti rinnovabili, ricavabili dagli artt. 6 della citata direttiva 2001/77/CE - secondo cui gli Stati membri sono tra l’altro tenuti a «ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili», a «razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo» e «garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie…» - e 12 d.lgs. n. 387 del 2003, in virtù del quale la produzione di energia da fonti rinnovabili è soggetta ad un regime amministrativo di tipo autorizzatorio, subordinato all’accertamento dei presupposti di legge e non sottoposto a misure di compensazione di carattere pecuniario;
- infatti, la conservazione dell’efficacia di accordi che abbiano previsto simili misure, proprie di un regime di carattere concessorio in funzione della regolazione dell’accesso al mercato, rappresenta inoltre per gli operatori del settore un disincentivo economico rispetto ad una prospettiva di continuazione dell’attività per l’intero ciclo di vita degli impianti;
- per tutte le ragioni esposte il giudizio va sospeso e vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi del sopra citato art. 23 l. n. 87 del 1953, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, della l. n. 145 del 2018, in relazione agli artt. 3, 24, 111, e 117, comma 1, Cost., nonché in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 d.lgs. n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali, di cui agli artt. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e 2 del protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in relazione agli artt. 3, 24, 41, 111, e 117, comma 1, della Costituzione, nei termini esposti in motivazione;
dichiara pertanto la sospensione del processo e ordina che a cura della cancelleria l’ordinanza sia notificata alle parti in causa e al presidente del Consiglio dei Ministri, ed inoltre comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento;
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
Federico Di Matteo, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere